Sentenza n. 214 del 1983

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SENTENZA N. 214

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 796, 797 e 801 cod. proc. civ. (Efficacia delle sentenze straniere e di provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione) promossi con le ordinanze emesse il 24 novembre e l'1 dicembre 1981 e il 20 aprile 1982 dalla Corte d'appello di Torino - sezione per i minorenni - sui ricorsi proposti da Saronne Aldo ed altra, da Bruna Michelangelo ed altra e da Bertetto Giovanni ed altra, rispettivamente iscritte ai nn. 173, 174 e 374 del registro ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248 dell'8 settembre 1982 e n. 310 del 10 novembre 1982.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 febbraio 1983 il Giudice relatore Ettore Gallo;

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Le tre ordinanze che la Corte d'appello di Torino - Sezione minorile - ha pronunziato rispettivamente il 24 novembre e 1 dicembre 1981 e il 20 aprile 1982 riguardano oggetti analoghi e si riferiscono agli stessi parametri: salvo quello di cui all'art. 3 primo comma, Cost. che non ricorre nella seconda.

1. - La prima ordinanza riguarda il caso dei coniugi Saronne, che avevano presentato ricorso alla detta Corte per ottenere declaratoria di efficacia in Italia, con effetti di adozione speciale, di un provvedimento addozionale concernente una bimba seienne, emanato a loro favore il 14 maggio 1981 dal Tribunale Secondo di famiglia di Città del Guatemala. La minore, nata in quella città da genitori ignoti, era affidata ad un Istituto religioso in quanto priva di qualunque assistenza; i coniugi ricorrenti avevano contratto le nozze il 23 giugno 1973 e non avevano avuto figli. La loro idoneità all'adozione era stata accertata da una relazione 23 novembre 1979 della Croce Rossa italiana; la bambina viveva già presso di loro in Italia previo regolare permesso di soggiorno.

La Corte, però, sospeso l'instaurato procedimento, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 796, 797 e 801 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 2 e 30 primo e secondo comma, nonché 3 primo comma Cost.

Secondo la Corte, la drammatica situazione creatasi a causa della disinvolta procedura con cui alcuni Stati esteri consentono adozioni (spesso oggetto di intermediazioni internazionali non disinteressate), prive di qualunque serio accertamento nell'interesse del minore, ha richiamato l'attenzione sul carattere meramente formale delle valutazioni che gli articoli denunziati consentono al giudice della delibazione. Per tal modo, si finisce per introdurre in Italia una sorta di adozione speciale del tutto priva delle garanzie che, attraverso gli artt. da 314/2 a 314/27, il Codice civile impone per la pronunzia di adozione di quella specie.

E poiché siffatte garanzie (requisiti di età, durata del matrimonio, valutazione comparativa della idoneità degli aspiranti all'adozione, esperimento controllato di affidamento preadottivo) sono direttamente ispirate dagli artt. 2 e 30 comma primo e secondo Cost., il pretermetterle significherebbe palese violazione delle citate norme costituzionali.

In proposito, si cita la sentenza n. 11/1981 di questa Corte che - secondo l'ordinanza - pur vertendo in materia di conflitto fra adozione speciale e adozione ordinaria, detta tuttavia principi che ben si confanno all'ipotesi di specie. D'altra parte, deve ritenersi pacifica l'applicabilità dei richiamati principi costituzionali alla minore guatemalteca, anche perché, essendo di nazionalità italiana la coppia adottante, spiegherebbe efficacia l'art. 20 comma secondo delle Disposizioni preliminari al cod. civ., che prescrive l'applicazione della legge dell'adottante al momento dell'adozione.

Infine, rileva l'ordinanza il contrasto delle norme denunziate coll'art. 3 primo comma Cost., sia sotto il profilo concernente i minori adottandi, quanto sotto quello riferito agli adottanti, a causa della palese discriminazione che viene a crearsi, per gli uni e per gli altri, tra il facile automatismo di cui é gratificata la delibazione di adozioni straniere di infraottenni, dispensate da qualsiasi filtro rivolto a sindacare la sostanza dell'atto adozionale, ed il rigore cui la legge italiana invece sottopone i cittadini che sperimentano la procedura di adozione speciale.

Tutto questo - aggiunge l'ordinanza - assume particolare rilievo nel caso di specie, in quanto la legge guatemalteca considera sufficiente per l'adozione un atto pubblico intercorrente tra privati davanti a notaio.

Né il provvedimento dell'Autorità giudiziaria straniera aggiunge alcunché alla sostanziale validità dell'atto tra privati, ché anzi esso ha valore di mero espediente nel tentativo di aggirare le esigenze della legge italiana. Esso, infatti, lungi dall'entrare nel merito, si limita ad accertare soltanto le "diligencias notariales de adopcion".

L'ordinanza conclude affermando che la rilevanza delle proposte questioni in relazione al caso di specie é lampante, visto che si tratta appunto di dichiarare l'efficacia in Italia, con effetti di adozione speciale, dell'adozione pronunziata in Guatemala, nei confronti di minore infraottenne e a favore di adottanti italiani, senza alcuna delle garanzie previste dalla legge italiana.

Ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri che, tramite l'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che tutte le sollevate questioni siano dichiarate infondate.

In particolare, ha sostenuto l'Avvocatura che - come riconosce la stessa ordinanza - in forza dell'art. 20, secondo comma delle preleggi, nella specie i rapporti fra adottante ed adottato sono regolati dalla legge nazionale dell'adottante. Essendo stata, invece, indebitamente applicata la legge straniera, il giudice a quo avrebbe dovuto svolgere una penetrante indagine volta a controllare se il trattamento così ottenuto dal cittadino non sia decisamente e palesemente diverso da quello che gli sarebbe spettato se fosse stata applicata la legge italiana. E poiché la Corte piemontese ha potuto facilmente stabilire che, secondo la legge del Guatemala, l'adozione é seguita senza alcuna sostanziale verifica da parte dell'Autorità giudiziaria, che si é limitata a constatare la regolarità formale di un atto notarile, una volta preso atto che le rigorose garanzie statuite dalla legge italiana sono state perciò ignorate, la conseguenza doveva essere ben altra da quella che ne é stata tratta.

La Corte, infatti, secondo l'Avvocatura, anziché denunziare le norme sulla delibazione per illegittimità costituzionale, avrebbe dovuto applicarle rifiutando la dichiarazione di efficacia del provvedimento straniero di adozione.

Ma quand'anche - prosegue l'Avvocatura - si fosse voluto prescindere dalla legge nazionale applicabile, restava pur sempre al giudice della delibazione l'accertamento, ai sensi degli artt. 797 n. 7 e 801 cod. proc. civ., in ordine al contrasto del provvedimento straniero coll'ordine pubblico cosiddetto internazionale.

Qualunque sia per essere - si é sostenuto - il concetto che di ordine pubblico si voglia assumere, foss'anche il più restrittivo, é certo comunque - sulla base delle consolidate interpretazioni della Corte di Cassazione - che l'attribuzione di efficacia nel nostro ordinamento al provvedimento guatemalteco comporterebbe - come riconosce la stessa ordinanza - la violazione sia del principio di uguaglianza che dei diritti garantiti al minore dall'art. 30 primo e secondo comma Cost., al punto di esporlo ad essere oggetto addirittura di un mercato di bambini.

Tutto ciò é sicuramente inconciliabile con qualunque nozione di ordine pubblico, e perciò la Corte torinese, anziché eccepire l'incostituzionalità dell'art. 797 n. 7 cod. proc. civ., avrebbe dovuto ravvisare in esso lo strumento che consentiva la reiezione del ricorso.

2. - La seconda ordinanza si riferisce al ricorso dei coniugi Bruna che hanno chiesto la dichiarazione di efficacia in Italia, con effetti di adozione ordinaria, della sent. 14 settembre 1981 del Tribunale di I grado di Huari (Perù), colla quale era stata pronunziata a loro favore l'adozione speciale di una bambina peruviana minore degli anni 8, essendo nata il 1 gennaio 1981. Nel ricorso i coniugi precisavano che la bambina, abbandonata appena nata, era ospite di un istituto di suore italiane in Perù, e che la loro idoneità all'adozione era stata riconosciuta anche sulla base di una relazione 1 giugno 1981 dell'Istituto provinciale per l'infanzia di Cuneo. Dal 22 settembre 1981, d'altra parte, la piccola viveva nella loro casa in Italia, a seguito di regolare permesso di soggiorno.

Quanto alla specie di adozione (ordinaria) in ordine alla quale richiedevano l'efficacia in Italia, spiegavano i ricorrenti essere dovuta al fatto che la signora adottante aveva superato il limite di età di cui all'art. 314/2 cod. civ., secondo comma, e che inoltre non era stato raggiunto il quinquennio di matrimonio.

Anche in questo caso, la Corte torinese propone questione di legittimità costituzionale delle stesse norme processuali di cui all'ordinanza precedente, e sempre - salvo quello di cui all'art. 3 Cost. - in relazione agli stessi parametri.

Tuttavia la questione di specie si propone qui in termini ben diversi dalla precedente. Secondo la Corte piemontese, infatti, il problema di costituzionalità, che qui verrebbe in evidenza, riguarda l'impossibilità per la Corte d'appello di valutare se al minore, anziché i richiesti effetti di adozione ordinaria (riferiti ad una "adopcion plena" concessa in Perù) meglio non convengano quelli dell'adozione speciale. Impossibilità rappresentata sia dai limiti propri dell'accertamento consentito dall'art. 797 cod. proc. civ., sia dall'ovvia considerazione che la Corte d'Appello - Sezione minorile -, competente alla delibazione della sentenza straniera, non ha invece alcuna competenza a pronunziare eventualmente un'adozione speciale.

Secondo i primi giudici, il principio costituzionale che legittimerebbe la sollevata eccezione sarebbe pure ricavabile dalla già citata sentenza di questa Corte n. 11 del 1981. Questa, infatti, ha chiarito che la coesistenza fra le due diverse specie di adozione nel nostro ordinamento esige che uno stesso giudice sia competente per ambo i procedimenti, quando si ponga un problema di scelta, posto che soltanto in tal modo può essere assicurata una effettiva valutazione comparativa fra le due specie in relazione all'interesse del minore.

Ebbene, secondo l'ordinanza, l'impossibilità da parte della Corte torinese di potere eventualmente effettuare siffatta scelta si tradurrebbe in un sostanziale contrasto col combinato disposto degli artt. 2 e 30, primo e secondo comma Cost.

Osserva altresì l'ordinanza che non può sorgere dubbio sull'applicabilità di tali norme anche rispetto alla tutela di minori stranieri, sia per gli effetti, più volte richiamati, del disposto di cui all'art. 20, secondo comma, cod. civ., sia perché al momento della delibazione la minore de qua già vive in Italia, sia infine anche in grazia dell'art. 11 della Convenzione europea di Strasburgo sull'adozione dei minori, decisa nel 1967, e resa esecutiva in Italia colla l. 22 maggio 1974 n. 357.

Nulla dice, invece, l'ordinanza in tema di rilevanza.

Ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri che, tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.

Fa rilevare innanzitutto l'Avvocatura che il richiamo alla citata sentenza della Corte costituzionale é inconferente, perché la fattispecie per cui é oggi questione é completamente diversa da quella presa in esame dalla sentenza di questa Corte.

A questa Corte era stato proposto un problema di conflitto fra i due diversi procedimenti e di identificazione della competenza di "scelta" fra di essi, mentre la Corte torinese é stata chiamata a delibare una sentenza straniera di adozione minorile, pronunciata sulla base di un ordinamento straniero. E poiché - salvo le ipotesi di cui all'art. 798 cod. proc. civ. - il giudice della delibazione deve solo verificare se esistano le condizioni dettate dall'art. 797 cod. proc. civ. per rendere efficace all'interno il provvedimento estero, si spiegano i criteri di competenza stabiliti dall'art. 796 cod.proc. civ.

Ne consegue che, non essendo né possibile né opportuno concentrare davanti al giudice della delibazione anche la competenza propria del tribunale minorile per l'adozione speciale, non esiste incompatibilità costituzionale nella necessaria e naturale limitazione della competenza della Corte d'Appello.

In ogni caso, come ampiamente chiarito nell'intervento relativo all'ordinanza precedente, di cui l'Avvocatura ripete le sequenze argomentative, resta pur sempre lo sbarramento di cui all'art. 797 n. 7 cod. proc. civ., cui il giudice di merito può largamente attingere per rifiutare efficacia al provvedimento straniero, senza ricorrere all'eccezione d'incostituzionalità.

3. - Relativamente più semplice il caso contemplato dalla terzo ordinanza.

Si tratta del ricorso con cui i coniugi italiani Bertetto chiedevano alla Corte d'Appello di Torino la delibazione, con effetto di adozione ordinaria, della sent. 29 agosto 1981 del Tribunale Quarto di Famiglia di Città del Guatemala, che aveva sanzionato l'adozione a loro favore di una bambina guatemalteca ultraottenne di padre ignoto. La sentenza omologava la convenzione, rogata da notaio della stessa città guatemalteca, sul presupposto della dichiarazione della madre consenziente di non essere in grado né di accudirla né di mantenerla a causa dell'estrema povertà. I ricorrenti erano stati valutati idonei all'adozione a seguito di una favorevole relazione presentata il 28 luglio 1981 dal Servizio sociale guatemalteco, il quale aveva anche appurato l'effettivo stato di sostanziale abbandono della bambina. Si sottolineava nel ricorso che adottanti e minore avevano superato i limiti di età previsti per l'adozione speciale.

La Corte, sollevando la solita questione in ordine alle stesse norme ed in relazione agli stessi parametri (ritorna qui anche quello di cui all'art. 3 Cost.), rileva che per operare sulla linea indicata dalle norme costituzionali - così come suggerisce questa Corte colla sua giurisprudenza -, non si può abdicare a quel minimo filtro che é rappresentato dall'art. 312 n. 3 cod. civ., vale a dire dalla valutazione di convenienza per l'adottando. Ma l'attuale schema della delibazione, consentendo un controllo puramente formale del provvedimento straniero, esclude quell'esame sostanziale cui sottostanno le adozioni italiane attraverso il citato articolo del codice civile.

Siffatta esclusione determinerebbe appunto - secondo l'ordinanza - il denunziato contrasto delle norme impugnate cogli artt. 2 e 30, comma primo e secondo, Cost.

Peraltro, il contrasto non sarebbe meno evidente nei confronti dell'art. 3 comma primo Cost., dato che la detta limitazione viene a determinare altresì una disparità di trattamento rispetto ai coetanei minori italiani, in ordine ai quali, invece, funziona il filtro-barriera di cui all'art. 312 n. 3 cod. civ.

Tutto questo, poi, assumerebbe particolare importanza nel caso di specie, stante che i coniugi richiedenti, non per evitare la lunga attesa in Italia si rivolsero all'estero, ma soltanto perché, nella procedura di adozione speciale tentata in Italia, non furono ritenuti idonei ad adottare un minore (vedasi relazione in atti della psicologa): e risulta per tabulas che il provvedimento giudiziale straniero s'affida completamente all'atto notarile che - come la stessa sentenza guatemalteca rileva - é da solo sufficiente per quella legge a determinare piena efficacia giuridica.

La rilevanza é data per evidente.

Ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, che ha chiesto dichiarazione d'infondatezza della proposta questione.

Sostiene l'Avvocatura che la verifica di cui all'art. 797 cod. proc. civ. non é affatto caratterizzata da automatismo formale. Essa consente, anzi, attraverso l'esatta configurazione del concetto di ordine pubblico (e qui vengono ripetute le già riportate argomentazioni), un controllo sui provvedimenti stranieri addirittura più intenso di quello auspicato dal giudice a quo.

Considerato in diritto

1. - Nonostante qualche profilo particolare che i tre casi presentano, la stretta analogia dell'oggetto, l'identità della materia, e quella delle norme impugnate e dei parametri di riferimento, determinano quella comune area di fondo che giustifica la riunione dei tre giudizi di legittimità provocati dalle ordinanze, e la loro decisione in unico contesto. Al riguardo deve subito osservarsi che nonostante l'entrata in vigore della legge 4 maggio 1983, n. 184, recante anche una compiuta disciplina dell'adozione internazionale, le questioni sottoposte all'esame della Corte restano rilevanti. L'art. 76 del citato testo normativo dispone infatti che alle procedure per l'adozione di minori stranieri in corso al momento dell'entrata in vigore della legge continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti alla data medesima.

2. - Va preliminarmente esaminata la rilevanza delle questioni sollevate colla prima e terza ordinanza, le quali mostrano, sotto questo profilo, una identica situazione giuridica.

La Corte torinese ha dato esplicitamente atto, nella parte motiva delle due ordinanze, che il provvedimento del Tribunale di Famiglia di Città del Guatemala é, in realtà, "un plus che non adempie ad alcuna funzione di garanzia sostanziale" perché non entra nel merito dell'adozione, "limitandosi ad una valutazione meramente esterna di quelle che vengono chiamate las diligencias notariales de adopcion". I1 giudice a quo, anzi, non esita a definire siffatto provvedimento quale "espediente", escogitato per sfuggire al rifiuto di delibazione più volte opposto dalla stessa Corte al procedimento guatemalteco di adozione.

Quella legislazione, in realtà, prevede che l'adozione si compia e consegua pieni effetti giuridici, non attraverso procedura e provvedimento giudiziali, sia pure di volontaria giurisdizione, ma esclusivamente mediante atto notarile. Si tratta, quindi, di espressione di autonomia privata che il notaio raccoglie in un atto pubblico: e non é soltanto opinione della Corte torinese, giacché é lo stesso provvedimento dell'Autorità giudiziaria guatemalteca che lo riconosce testualmente.

É scritto, infatti, nel provvedimento 29 agosto 1981 n. 471907 del Tribunale IV di famiglia, concernente l'adozione della minore Sandra Perez da parte dei coniugi Bertetto, che "le surriferite pratiche furono presentate dal Notaio, promotore delle medesime, dinanzi a questo Tribunale, affinché venga dettata la risoluzione definitiva poiché, secondo la legislazione italiana, può essere accettata come valida l'adozione promossa all'estero sempre che dette pratiche siano state formalizzate attraverso una sentenza pronunciata da Tribunali stranieri. Considerando che, ai sensi del Capitolo VI del Decreto 54-77 del Congresso della Repubblica, i notai pubblici sono debitamente autorizzati a formalizzare l'adozione disciplinata dal nostro codice civile, senza che sia richiesta l'approvazione giudiziale delle pratiche; che, tuttavia, nel caso sottoposto a questo Tribunale... si tratta di una situazione che può convertirsi in giudiziale, data la circostanza che con ciò si cerca di favorire la minore Sandra Perez..." etc...

Dopodiché, prosegue la motivazione osservando che l'adozione "é un atto giuridico di assistenza sociale" e che, perciò, il Tribunale può provvedere "per il fatto che con una misura di tal natura si stanno proteggendo gl'interessi spirituali, morali ed economici della minore".

Come esattamente aveva rilevato il giudice a quo, non c'è dunque il minimo accenno ad una qualsiasi valutazione dell'atto notarile, se non l'ovvia constatazione che il notaio si é attenuto alle norme del codice civile. Mentre c'è l'esplicito riconoscimento che il provvedimento giudiziario é inutile e non previsto dall'ordinamento guatemalteco, e che viene tuttavia emanato "per favorire la minore", visto che altrimenti la legislazione italiana non potrebbe dare riconoscimento ad una adozione perfezionata attraverso un atto notarile.

Sostanzialmente analogo il provvedimento 14 maggio 1981 del Tribunale Secondo di Famiglia della stessa città, concernente l'adozione da parte dei coniugi Saronne della minore Ester De Jesus.

Ebbene, se tale era la situazione giuridica straniera sottoposta alla delibazione della Corte torinese, sembra evidente che il provvedimento giudiziario, definito superfluo e non previsto dalla legge guatemalteca nel testo della sua stessa motivazione, rappresenta una mera ed artifiziosa copertura formale diretta ad eludere la legge italiana. Conseguentemente, ciò che realmente veniva sottoposto alla delibazione, attraverso quell'artifizio, era in sostanza l'atto pubblico eretto dal notaio, che aveva solennizzato un negozio espressione di privata autonomia, così come consente quell'ordinamento: tant'é vero che il Tribunale di Famiglia lo definisce "atto di assistenza sociale" e considera l'adozione "extragiudiziale".

Ma allora la norma che disciplina l'efficacia nella Repubblica degli atti contrattuali ricevuti da pubblico ufficiale in paese estero, attraverso la delibazione della Corte d'Appello, é l'art. 804 cod. proc. civ. il quale, a differenza dell'art. 801, non richiama gli artt. 796 e 797 cod. proc. civ.: ed in effetti la problematica che, in sede di delibazione, solleva l'atto notarile di adozione é ben diversa da quella concernente un provvedimento giurisdizionale.

3. - Venendo ora alla questione sollevata coll'ordinanza 1 dicembre 1981, deve concordarsi col rilievo della Corte torinese, che riconosce la non coincidenza di questo caso con quelli dianzi trattati.

In effetti, la sentenza del Tribunale peruviano di Huari é provvedimento primario, non essendo dipendente da intermediazioni notarili. Il giudice dà atto di avere direttamente accertato la rispondenza nelle parti dei requisiti di legge, non attraverso l'atto notarile, ma bensì mediante documenti direttamente a lui prodotti ed informazioni assunte, sì che alla fine é esso giudice stesso che, sia pure attraverso un rituale sommario, "dichiara l'adozione piena della minore Angela Sifuentes Diaz". D'altra parte, i coniugi adottanti si limitano a richiedere alla Corte d'appello gli effetti dell'adozione ordinaria, le cui norme - come pure riconosce la Corte d'Appello di Torino nell'ordinanza 20 aprile 1982 - "sono meno esigenti di quelle dell'adozione speciale"

E tuttavia i giudici a quibus, sotto il riflesso che la minore é infraottenne, e che, perciò, per quanto la riguarda, potrebbe ottenere un'adozione speciale, dagli effetti più pregnanti rispetto a quella ordinaria, e considerando che i coniugi ricorrenti, non avendo raggiunto il quinquennio di matrimonio (e per di più avendo la signora superato il limite di età previsto dall'art. 314/2 cod. civ.), non hanno alcuna possibilità di ottenerla, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 796, 797 e 801 cod. proc. civ. E ciò in quanto i detti articoli non attribuiscono al giudice della delibazione il potere di valutare e di decidere se il concreto interesse del minore non suggerisca di scegliere invece per lui l'altra specie di adozione.

In proposito, l'ordinanza richiama la sentenza 10 febbraio 1981 n. 11 di questa Corte nella quale - a giudizio della Corte torinese - sarebbe stata decisa una situazione del tutto analoga al caso di specie.

Secondo i giudici a quibus, infatti, la Corte costituzionale, dando atto che la coesistenza all'interno dell'ordinamento fra le due specie di adozione si realizza pacificamente quando un unico giudice sia competente a decidere su ambo le specie, avrebbe denunciato la conflittualità che, invece, si verifica allorquando diversi sono i giudici competenti a deliberare su ciascuna specie. Da ciò deriverebbe la lesione della tutela costituzionale, ogniqualvolta, cioé, non sia possibile ad uno stesso giudice affermare il prevalente concreto interesse del minore, operando una scelta di convenienza fra le due adozioni.

E poiché il giudice chiamato a delibare l'adopcion plena pronunziata dal tribunale peruviano, non soltanto non ha potere per sindacare il merito, ma non può nemmeno operare quella scelta in quanto é incompetente sull'istituto dell'adozione speciale, verrebbe a verificarsi una situazione di illegittimità costituzionale perfettamente analoga alla precedente.

Se é vero - si dice - che le garanzie dettate dal codice civile, soprattutto in tema di adozione speciale ma anche in quello di adozione ordinaria, sono ispirate agli artt. 2 e 30, comma primo e secondo Cost. - come ha riconosciuto la Corte costituzionale - non si può sfuggire all'illazione secondo cui le norme processuali, disciplinanti la delibazione in siffatta materia, sono incompatibili con i citati parametri: e ciò in quanto quelle norme non consentono al giudice della delibazione di accertare la sussistenza del presidio delle stesse garanzie nella procedura straniera di adozione.

Non sembra, però, che una siffatta proposizione del problema adombri effettivamente una questione di legittimità costituzionale.

Adozione ordinaria ed adozione speciale, nella configurazione data loro dalla disciplina anteriore alla legge numero 184/1983, sono, infatti, realtà sostanziali dell'ordinamento interno, organizzate sulla base dei principi generali, e diversamente modellate in relazione alle distinte finalità perseguite dal legislatore.

Esse non sono, però, di per se stesse comparabili colle adozioni effettuate alla stregua di ordinamenti giuridici stranieri, le quali devono essere verificate esclusivamente sulla base degli artt. 797, 801 oppure 804 cod. proc. civ., e non assumendo a modello le norme del codice civile che disciplinano le nostre due specie di adozione. La procedura di delibazione, infatti, così come prevista dall'ordinamento giuridico - processuale, contempla espressamente negli artt. 798 e 799 cod. proc. civ. le sole ipotesi in cui é eccezionalmente ammesso il riesame del merito, al di fuori del filtro rappresentato dal limite dell'ordine pubblico.

Per verità, la Corte d'Appello di Torino aveva correttamente avvertito siffatte difficoltà allorquando aveva osservato che "delibazione del provvedimento adozionale e adozione speciale sono istituti che operano su due piani diversi". Ciononostante, si é ritenuto di poter opporre ai principi di diritto internazionale privato, e al modo come il legislatore ha organizzato in aderenza l'istituto della delibazione, quel complesso sostanziale di valori costituzionali che permea l'interna disciplina in materia di adozioni, assumendo di porre così in luce l'incompatibilità costituzionale dell'istituto stesso.

Né sembra che quell'argomentare tragga profitto dallo spirito informatore delle preleggi, che i giudici a quibus pure invocano, particolarmente nel disposto di cui all'art. 20. Se é vero, infatti, che la detta disposizione regola i rapporti fra adottante ed adottato assoggettandoli alla legge dei primi, é pur vero, però, che lo stesso principio non domina la fase precedente, quella, cioè, della procedura straniera che si conclude coll'adozione.

La dottrina specialistica parla infatti, a proposito della delibazione, di "cumulo" delle norme straniere e di quelle interne.

Ovviamente, tutto questo non significa che il giudice della delibazione non debba tener conto, nell'ambito proprio di tale procedura e attraverso il filtro di cui all'art. 797 cod. proc. civ., anche del momento costituzionale come passaggio obbligato della tematica dell'ordine pubblico.

Ad integrare quest'ultima nozione, infatti, nel suo aspetto della cosiddetta "fondamentalità" dei principi, certamente concorrono almeno quelli costituzionali definiti "supremi".

Nella specie, peraltro, il giudice a quo, pur fondatamente argomentando con richiamo a quelle esigenze di protezione del minore, che hanno trovato una migliore considerazione nella nuova disciplina dell'adozione internazionale, prospetta un coacervo di soluzioni strettamente modellate sulla disciplina dell'adozione speciale (artt. da 314/2 a 314/27), che certo non possono, nella loro unitarietà, avere ingresso nel giudizio di delibazione. La Corte costituzionale, d'altro canto, non può operare scelte nell'ambito di questo complesso normativo, la cui estesa articolazione é di per sé dimostrativa della necessità di una serie di previsioni, anche di natura organizzativa, che soltanto il legislatore, nella discrezionalità ad essa riservata, può effettuare, come poi in realtà ha fatto con la citata legge n. 184/1983.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i tre incidenti iscritti ai nn. 173, 174 e 374 RO. 1982, dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 796, 797 e 801 cod. proc. civ., sollevate colle ordinanze in epigrafe dalla Corte d'Appello di Torino - Sezione minorenni - in riferimento agli artt. 2, 3, comma primo e 30 commi primo e secondo Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'1 luglio 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI -  Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI – Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 1 luglio 1983.