Sentenza n. 151 del 1974

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SENTENZA N. 151

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 10, secondo comma, n. 13, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo per la riforma tributaria), e dell'art. 74 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), promossi con ricorsi della Regione Trentino-Alto Adige, della Provincia di Trento, della Provincia di Bolzano e della Regione autonoma della Sardegna, tutti notificati il 14 novembre 1973, depositati in cancelleria il 22 dello stesso mese ed iscritti, rispettivamente, ai nn. 12, 13, 14 e 15 del registro ricorsi 1973, e con ricorso della Regione siciliana, notificato il 15 novembre 1973, depositato in cancelleria il 26 dello stesso mese ed iscritto al n. 16 del registro ricorsi 1973.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 3 aprile 1974 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;

uditi l'avv. Feliciano Benvenuti, per la Regione Trentino-Alto Adige e per le Provincie di Trento e di Bolzano; l'avv. Giuseppe Guarino, per la Regione sarda, gli avvocati Marcello Molé, Salvatore Orlando Cascio e Antonio Sorrentino, per la Regione siciliana, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso notificato il 14 novembre 1973 e depositato il 22 novembre successivo, il Presidente della Provincia autonoma di Bolzano ha sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, secondo comma, n. 13, della legge statale 9 ottobre 1971, n. 825, recante delega legislativa al Governo per la riforma tributaria, e dell'art. 74 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, contenente norme sulla nominatività obbligatoria delle azioni al portatore, deducendone il contrasto con gli artt. 1, 5, n. 3, e 34, secondo comma, della legge cost. 26 febbraio 1948, n. 5 (corrispondenti ora agli articoli 1, 9, n. 8, e 52 - inesattamente indicato come 53 - ultimo comma, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), e con gli artt. 23, 41, 42, secondo comma, 76 e 116 della Costituzione.

Si assume dalla parte ricorrente: a) che la normativa impugnata non rispetterebbe i principi della separazione costituzionale delle competenze fra Stato e Regioni (o Province), ponendosi come direttamente abrogativa della legge reg. T.-A.A. 8 agosto 1959, n. 10; b) che, in particolare, la norma delegata sarebbe illegittima per eccesso di delega se intesa ad abrogare l'art. 2355 cod. civ., ovvero, nel caso opposto, per la sua inidoneità ad introdurre il principio della nominatività obbligatoria dei titoli azionari; c) che ulteriori ragioni della sua illegittimità risiedono nella circostanza che con legge tributaria si pretenda di modificare l'ordinamento sostanziale in materia di regime delle azioni delle società commerciali ed inoltre si pretenda di generalizzare un tipo di azionariato adottato dalla legge statale ma non vigente come principio generale anche nei confronti del legislatore regionale, violando al tempo stesso la riserva di legge generale e sostantiva fissata all'art. 42 cpv. Cost. per la disciplina dei modi di acquisto e di godimento della proprietà privata; d) che il Presidente della Regione avrebbe dovuto intervenire alla seduta del Consiglio dei ministri che ha approvato la presentazione del disegno di legge da cui sono scaturite le disposizioni in esame, trattandosi di questioni che riguardano la Regione; e) che la stessa norma sarebbe viziata per eccesso di delega e per invasione della competenza regionale, in quanto non si é limitata ad abolire, agli effetti fiscali, le deroghe alla nominatività obbligatoria delle azioni previste dalle leggi regionali, ma ha stabilito che tutte le azioni di società italiane debbano essere nominative, abrogando così sia l'art. 2355 cod. civ. sia l'art. 109 delle disposizioni di attuazione.

2. - Resiste al ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, con deduzioni depositate il 4 dicembre 1973, nelle quali contesta anzitutto la doglianza relativa alla mancata partecipazione del Presidente della Regione alle sedute del Consiglio dei ministri in cui furono deliberati gli atti normativi impugnati: e ciò sia perché la riforma tributaria é di esclusiva competenza dello Stato, sia perché l'intervento dell'organo regionale riguarderebbe le fattispecie in cui si decidano provvedimenti amministrativi e non anche quelle in cui si esercita la funzione legislativa, sia infine perché l'eventuale vizio procedimentale sarebbe stato assorbito e sanato dal successivo iter parlamentare.

Respinte come inammissibili in sede di impugnativa diretta le censure basate esclusivamente su pretese violazioni della Costituzione, l'Avvocatura dello Stato rileva che né la legge di delegazione, né quella delegata, avrebbe operato abrogazione rispetto alla legislazione regionale, limitandosi la prima a fissare un principio direttivo per il Governo e la seconda a confermare il precetto sulla nominatività delle azioni nell'ordinamento giuridico generale. L'acquiescenza da parte dello Stato alle leggi della Sicilia, della Sardegna e del Trentino-Alto Adige, facoltizzanti l'emissione di azioni al portatore e non tempestivamente impugnate nonostante vertessero in materia non appartenente alla potestà regionale, non potrebbe, comunque valere ad espropriare lo Stato stesso della sua competenza nel settore delle società e della riforma fiscale, né impedire il legittimo esercizio di questa con riferimento all'intero territorio nazionale, pur determinandosi la conseguenza di un eventuale problema di coesistenza formale fra norme statali e norme regionali contrastanti che sarà compito del giudice ordinario risolvere in favore delle prime. Peraltro, nulla esclude che, ad eliminare ogni possibile ostacolo alla legislazione statale, sia incidentalmente sollevata dalla stessa Corte, con riferimento ai principi costituzionali di eguaglianza, di progressività del carico tributario, di riserva alla legge statale per la disciplina delle garanzie e dei limiti alla proprietà privata e di territorialità della legge regionale e per contrasto anche rispetto all'art. 9, n. 8, del nuovo testo dello Statuto speciale in tema di incremento della produzione industriale, questione di legittimità della legge reg. T.-A.A. 8 agosto 1959, n. 10: ed in tal senso, nelle conclusioni della parte resistente intese ad ottenere la reiezione del ricorso, viene formulata esplicita richiesta.

3. - Anche il Presidente della Provincia autonoma di Trento ed il Presidente della Regione autonoma del Trentino-Alto Adige hanno, con ricorsi entrambi notificati rispettivamente il 14 novembre 1973 e depositati il 22 novembre successivo proposto impugnazione avverso le stesse norme statali, chiedendone una declaratoria di illegittimità costituzionale per ragioni non diverse da quelle prospettate nel ricorso della Provincia di Bolzano. Ed anche in questi giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si é costituito con deduzioni depositate il 4 dicembre 1973, sostenendo la tesi della infondatezza dei ricorsi con argomenti analoghi a quelli già svolti ed eccependo formalmente la illegittimità costituzionale della citata legge regionale Trentino-Alto Adige n. 10 del 1959.

4. - Un'altra impugnativa dell'art. 10, secondo comma, n. 13, della legge statale n. 825 del 1971 e dell'art. 74 del d.P.R. n. 600 del 1973, per contrasto con gli artt. 14, lett. d, e 21 dello Statuto speciale e 41, 42, 76 e 77, primo comma, della Costituzione, viene dedotta dal Presidente della Regione siciliana, con ricorso notificato il 15 novembre 1973 e depositato il 26 novembre successivo, nel quale oltre ad argomenti in parte analoghi a quelli già sviluppati negli altri ricorsi ricorda il giudizio favorevole alla legittimità costituzionale della legge reg. 8 luglio 1948, n. 32, di autorizzazione alla emanazione di azioni al portatore per società costituite per determinate finalità, pronunziato dall'Alta Corte per la Regione siciliana nella decisione del 5 luglio-17 agosto 1948, n. 1, e l'implicito riconoscimento nel trattamento tributario disposto dall'art. 10 della legge statale 29 dicembre 1962, n. 1745, dal decreto-legge 23 febbraio 1964, n. 27, dalla legge di conversione 12 aprile 1964, n. 191, ed ancora dal decreto-legge 21 febbraio 1967, n. 22, e dall'art. 1 della legge di conversione 21 aprile 1967, n. 209, della validità del regime differenziato adottato dal legislatore regionale. Proprio la validità di questo regime e la persistenza del principio di alternatività dei tipi di azioni, enunciato dall'art. 2355 del codice civile e mai abolito ma solo quiescente perché temporaneamente sospeso dal r.d. n. 1148 del 1941, rende illegittima la legge di delegazione e la legge delegata sulla riforma tributaria, nella parte in cui si propongono l'abrogazione delle anzidette leggi regionali. D'altra parte, se la norma delegante, che si limita a prevedere l'abolizione delle deroghe alla nominatività obbligatoria fosse da intendere nel più concreto significato di una abilitazione ad emanare disposizioni dirette a realizzare - eventualmente in modo graduale e tenendo conto delle ragioni e situazioni locali - l'adattamento della legislazione regionale a regime della nominatività obbligatoria, salva sempre la competenza legislativa della Regione, si configurerebbe un vizio autonomo nell'atto di esercizio della delegazione - sia per mancanza di conferimento di una delega sia per l'uso del potere delegato per uno scopo estraneo a quello del suo conferimento - con particolare riferimento alla statuizione secondo cui "le azioni di tutte le società aventi sede nel territorio dello Stato devono essere nominative".

Infine, ed in via subordinata, il ricorrente sostiene che, se pure le norme oggetto di impugnazione dovessero reputarsi legittime, non potrebbero operare nei riguardi delle azioni al portatore già in circolazione senza violare l'art. 41 della Costituzione, poiché inciderebbero profondamente sulla posizione degli operatori economici che in base ad una legge - già riconosciuta valida dal giudice costituzionale - hanno investito i loro capitali in società che svolgono la loro attività nell'isola.

5. - Con deduzioni depositate il 4 dicembre 1973, l'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, sostiene la tesi dell'infondatezza del ricorso ed in tal senso precisa le sue conclusioni, previa occorrendo declaratoria di illegittimità costituzionale in via incidentale della legge reg. sic. 8 luglio 1948, n. 32.

6. - Un quinto ricorso promosso dal Presidente della Regione autonoma della Sardegna con atto notificato il 14 novembre 1973 e depositato il 22 novembre successivo, chiede una pronuncia di incostituzionalità della stessa normativa statale per contrasto con gli artt. 4, 51 e 47 dello Statuto speciale di quella Regione e con gli artt. 3, 41 e 76 della Costituzione.

Oltre ai motivi comuni agli altri ricorsi, la difesa di questa Regione, che muove dalla duplice premessa della legittimità costituzionale della legge reg. sarda 12 aprile 1957, n. 10, e della sua inerenza alla materia dell'industria e commercio di cui all'art. 4, lett. a, dello Statuto speciale, deduce in particolare che, ai sensi di questa norma, la potestà legislativa concorrente della Sardegna non può essere limitata se non da principi fissati in leggi dello Stato vigenti anteriormente al suo esercizio ovvero inerenti specificamente alla singola materia ed alla sola Regione ricorrente; che la normativa statale realizzerebbe anche una disparità di trattamento, disponendo l'abrogazione delle norme regionali autorizzanti l'emissione di titoli azionari al portatore e consentendo, ad un tempo, secondo mera opportunità numerose altre deroghe ed esenzioni al principio dell'imposta unica sul reddito; ed inoltre che dall'art. 51 dello Statuto si evince un limite di carattere generale per le norme statali in materia economica e finanziaria manifestamente dannose per l'isola. Infine, un'eventuale interpretazione retroattiva dell'art. 74 del d.P.R. n. 600 del 1973 implicherebbe violazione degli artt. 76, 3, 41 e 42 della Costituzione, mentre ulteriore contrasto con lo stesso art. 76 e con il già ricordato art. 4, lettera a, dello Statuto discenderebbe dal carattere di completezza e di dettaglio della disposizione delegata, invasiva anche sotto questo profilo della competenza regionale.

7. - Anche di questo ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiede, con deduzioni depositate il 4 dicembre 1973, la reiezione, sollevando questione incidentale di legittimità costituzionale relativamente alla legge reg. sarda n. 10 del 12 aprile 1957.

8. - Nella pubblica udienza i difensori delle parti hanno insistito nelle argomentazioni e conclusioni rispettivamente formulate, come sopra riassunte.

 

Considerato in diritto

 

1. - I ricorsi del Presidente della Regione siciliana, del Presidente della Regione sarda, del Presidente della Regione del Trentino-Alto Adige e dei Presidenti delle Province autonome di Trento e di Bolzano hanno il medesimo oggetto e propongono questioni identiche o strettamente connesse. I relativi giudizi vanno pertanto decisi congiuntamente.

2. - Benché nessuna eccezione sia stata mossa al riguardo dalla difesa dello Stato, la Corte deve accertare preliminarmente l'ammissibilità dei ricorsi, di identico contenuto, proposti dal Presidente della Regione Trentino-Alto Adige e dai Presidenti delle Province di Trento e di Bolzano.

La legittimazione del primo si giustifica alla stregua di considerazioni strettamente analoghe a quelle svolte nella sent. n. 111 del 1972, nel senso, cioè, che, avendo l'art. 56 della legge cost. n. 1 del 1971 (art. 106 del t.u. Statuto del Trentino-Alto Adige) mantenuto ferme le leggi regionali in vigore al 20 gennaio 1972 su materie trasferite alla competenza delle Province sino a che queste non abbiano a disporre diversamente, permane l'interesse della Regione ad impugnare leggi statali che, come nella specie, abroghino leggi da essa a suo tempo emanate e che assumono riferibili alle materie trasferite.

Ma anche le Province sono legittimate a ricorrere, perché d'ora in poi, per effetto delle modificazioni apportate allo Statuto dalla menzionata legge costituzionale, la materia della quale si lamenta una illegittima invasione ad opera dello Stato é diventata di loro competenza.

Tutti i ricorsi sono pertanto ammissibili.

3. - Vanno disattese le censure mosse all'art. 10, secondo comma, n. 13, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, e all'art. 74 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per violazione degli articoli 34, secondo comma, dello Statuto del Trentino-Alto Adige (ora 40 del relativo testo unico), 21, ultimo comma, dello Statuto della Regione siciliana e 47, capoverso, dello Statuto della Regione della Sardegna, per il mancato invito ai Presidenti delle Regioni e Province ricorrenti a partecipare alle sedute in cui il Consiglio dei ministri, ebbe ad approvare, in un primo momento, il testo del disegno di legge contenente la delega alla riforma tributaria, nonché, in un secondo momento, il testo del decreto legislativo in base ad essa adottato.

A prescindere dal rilievo che, come si dirà subito appresso al punto 5 esaminando il merito dei ricorsi, nella specie le Regioni e le Province non potevano vantare, semmai, che un mero interesse di fatto, ma non quell'interesse giuridicamente rilevante e differenziato che si richiede dalle invocate norme statutarie (così come questa Corte ha ritenuto con le sentenze n. 4 del 1966 e n. 1 del 1968), é certo, in linea più generale, che l'intervento dei Presidenti regionali e provinciali non può considerarsi prescritto anche per atti legislativi o comunque ricollegantisi quali presupposti al procedimento legislativo vero e proprio. Basta a convincerne l'equiparazione, quanto alla "forza" o "valore" ad essi riconosciuti, dei decreti legislativi e dei decreti-legge alle leggi formali e, con particolare riguardo a queste ultime, alla fungibilità ed equipollenza di effetti tra le varie forme di iniziativa previste dall'art. 71 della Costituzione: che logicamente non consente di riservare un trattamento diverso a quella governativa, nella quale, ricorrendo in ipotesi l'interesse qualificato delle Regioni, questo avrebbe ingresso nella fase della deliberazione consiliare, mentre un tale inserimento sarebbe escluso nelle altre, che pur potrebbero avere ad oggetto identica materia. A ritenere altrimenti, si perverrebbe alla conseguenza di far dipendere la possibilità per le Regioni di influire, in modo più o meno incisivo, sui contenuti della legislazione statale che indirettamente le concerna, dalla forma di volta in volta prescelta per legiferare.

D'altronde, sia pure limitatamente alle Regioni, l'ordinamento appresta altri mezzi utili a dare ingresso ai loro particolari interessi nello svolgimento della funzione legislativa spettante allo Stato nelle materie di sua competenza: le Regioni, hanno, infatti, l'iniziativa legislativa e possono formulare voti (cfr. art. 121 Cost., art. 51 alinea St. sardo, art. 18 St. sic., art. 35 t.u. St. T.-A.A., art. 26 St. F.-V.G.), a tacere anche, per quanto riguarda la Regione della Sardegna, dello speciale strumento previsto dall'art. 51 cpv., del relativo Statuto, cui si richiama ad altro fine, la difesa della Regione, e del quale si dirà appresso al punto 8.

4. - Passando alle censure che investono nella loro sostanza precettiva l'art. 10, secondo comma, n. 13, della legge del 1971, che delega il Governo a disporre la "abolizione delle deroghe al principio della nominatività obbligatoria dei titoli azionari previste nelle leggi di Regioni a statuto speciale", e l'art. 74 del decreto delegato, dov'é stabilito che "le azioni di tutte le società aventi sede nel territorio dello Stato devono essere nominative", aggiungendosi poi una particolareggiata disciplina transitoria in ordine alle azioni anteriormente emesse, vanno dichiarate inammissibili in questa sede, conformemente alla costante giurisprudenza della Corte, quelle aventi ad oggetto asserite violazioni di disposizioni costituzionali insuscettibili di concretare invasioni di competenze statutariamente spettanti alle Regioni e alle Province ricorrenti.

5. - Le rimanenti censure si riassumono, per la maggior parte, nella questione concernente l'ammissibilità o meno che leggi statali dispongano l'abrogazione di leggi regionali, come nella specie si é verificato nei confronti della legge regionale siciliana 8 luglio 1948, n. 32, della legge regionale sarda 12 aprile 1957, n. 10, e della legge della Regione del Trentino-Alto Adige 8 agosto 1959, n. 10 (tutte autorizzanti l'emissione di azioni al portatore), in forza del combinato disposto del rammentato n. 13 dell'art. 10 della legge di delega e dell'art. 74 del decreto presidenziale n. 600 pure citato.

La risposta affermativa e la conseguente non fondatezza della questione discendono pienamente dai principi che presiedono alla ripartizione della potestà legislativa tra lo Stato e le Regioni (e le Province autonome di Trento e Bolzano): sempre circoscritta a particolari materie quest'ultima; residuale, e quindi generale, la prima. Dove una materia non é espressamente attribuita alla competenza regionale, si afferma, perciò, e si espande nella sua pienezza la potestà legislativa dello Stato. Persino sulle materie di competenza regionale, ove questa sia bipartita o concorrente, permane una competenza statale, limitatamente alla posizione e successiva modificazione dei principi; ed in ogni caso, anche trattandosi di materie devolute a competenze regionali di tipo primario, resta pur sempre allo Stato il potere di dettare le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e di dare attuazione legislativa agli obblighi internazionalmente assunti.

Ora, non può dubitarsi che le disposizioni denunciate nella specie siano espressione di una potestà legislativa spettante unicamente allo Stato.

Tanto il principio del n. 13 dell'art. 10 della legge, quanto l'art. 74 del decreto delegato n. 600, infatti, hanno specifico riferimento al regime legale delle società e delle azioni che queste sono autorizzate ad emettere, come risulta confermato dalla stessa rubrica del detto art. 74, che si intitola "nominatività obbligatoria dei titoli azionari". E, come questa Corte ebbe già ad affermare nella sent. n. 66 del 1961, "la disciplina delle società non riguarda i soggetti di questa o quella attività economica, ma riguarda, in generale, le forme di esercizio collettivo dell'impresa", e pertanto non può non avere quel carattere unitario, che soltanto l'essere posta dalla legislazione statale é in grado di conferirle.

A identica conclusione si perverrebbe anche a considerare la normativa specificamente rivolta al regime delle azioni societarie, che forma oggetto dei ricorsi, nel suo nesso di strumentalità con i fini della riforma tributaria (certamente né irrazionale né pretestuoso, a prescindere da ogni valutazione di politica economica e finanziaria estranea a questa sede) perché, come finiscono per ammettere alcuni tra gli scritti di causa delle difese regionali, soltanto la legislazione statale poteva validamente riformare il sistema tributario, che d'altronde dev'essere, almeno tendenzialmente, uniforme in tutto il territorio nazionale.

Sotto l'uno come sotto l'altro punto di vista, dunque, sussiste la competenza della legge statale: alla forza della quale inerisce la idoneità ad abrogare, espressamente od implicitamente, qualsiasi norma che su quella materia fosse per l'innanzi in vigore (non importa se validamente o meno), fatta eccezione delle norme di grado costituzionale ed entro i limiti - beninteso - da queste ultime eventualmente stabiliti per determinate ipotesi.

Conseguentemente diventano anche manifestamente irrilevanti le questioni di legittimità costituzionale delle leggi della Regione siciliana, della Regione sarda e della Regione Trentino-Alto Adige, prospettate - in linea, d'altronde, subordinata - dalla difesa dello Stato.

6. - Privo di fondamento é l'argomento, addotto dalle difese regionali, di un preteso riconoscimento che lo Stato avrebbe effettuato della difforme anteriore legislazione regionale in tema di azioni societarie, con il farvi riferimento in una serie di provvedimenti legislativi successivamente adottati, nonché, da ultimo, nello stesso art. 10, n. 13, della legge di delega alla riforma tributaria. Giacché, in primo luogo, ove pure un siffatto riconoscimento fosse davvero intervenuto e quelle disposizioni a suo tempo emanate dalle Regioni fossero state in qualche modo convalidate, ciò non sarebbe stato di ostacolo alla loro abrogazione (l'effetto abrogativo verificandosi indipendentemente dalla validità o invalidità delle norme su cui incide); mentre é comunque certo, in secondo luogo, che semplici leggi ordinarie non avrebbero potuto legittimamente sanare i vizi di incostituzionalità delle leggi regionali preesistenti, operando addirittura uno spostamento di competenze normative dallo Stato alle Regioni.

Né vale opporre il preteso "giudicato" che sarebbe costituito dalla pronuncia, con la quale l'Alta Corte per la Regione siciliana ebbe a ritenere non incostituzionale la legge regionale siciliana del 1948, in precedenza ricordata, allora impugnata dal Commissario dello Stato, perché le sentenze costituzionali che dichiarano la non fondatezza di una questione non producono effetti che trascendano quel determinato rapporto processuale in cui sono intervenute: non conferiscono alcun crisma di legittimità alle disposizioni che ne formavano l'oggetto, e perciò non precludono la riproposizione della medesima questione, né impediscono alla Corte, ove ciò avvenga, di riprenderla in esame, pervenendo a diverse conclusioni.

7. - Anche non fondata é la censura all'art. 74 del d.P.R. n. 600, in riferimento agli artt. 76 e 77 Cost., ed all'art. 10 della legge di delega, per avere disposto l'immediata abrogazione della disciplina derogatoria di fonte regionale, laddove - secondo l'assunto - la disposizione delegante dovrebbe intendersi come rivolta semplicemente all'emanazione di norme che realizzassero un adattamento della legislazione regionale al principio di nominatività, "salva sempre la competenza legislativa delle Regioni".

A parte che questa asserita competenza non sussiste, per quanto si é fin qui venuti dicendo, un semplice raffronto tra la dizione dell'art. 10, secondo comma, n. 13, della legge e quella dell'art. 74 del decreto, oltre alla stessa ratio cui l'una e l'altra disposizione sono informate, bastano ad escludere il prospettato eccesso di delega invasivo della sfera regionale. Risulta chiaro, infatti, che l'intento del legislatore, nel conferire la delega al Governo, é stato proprio quello di far cessare l'esistenza e circolazione nel territorio nazionale di azioni al portatore emesse da società aventi in esso la loro sede; ed é anzi da rilevare che il richiamato n. 13 dell'art. 10 non tanto parla di "abrogazione" delle deroghe stabilite dalle leggi regionali, quanto di "abolizione", che é parola esprimente un concetto più forte.

Cade con ciò stesso ed in base alle medesime considerazioni l'altra censura all'art. 74 del decreto delegato, sempre per eccesso di delega, a causa della cosiddetta retroattività conferita alla abrogazione disposta.

8. - Prive di fondamento si rivelano, infine, le più particolari questioni proposte dalla Regione della Sardegna, con specifico riguardo a norme del proprio Statuto.

Ciò dicasi di quella di violazione dell'art. 4 (peraltro non chiaramente precisata), non venendo in considerazione, nella presente controversia, problemi attinenti ai rapporti tra principi di fonte statale e normativa regionale, dal momento che, come si é sopra accertato al punto 4, la materia disciplinata dalle disposizioni impugnate era ed é di esclusiva spettanza dello Stato.

Ciò va altresì ribadito in ordine a quella che si vorrebbe argomentare dall'art. 51, perché la circostanza che questo preveda un singolare strumento che permette alla Regione di provocare la eventuale sospensione di leggi statali in materia economica o finanziaria, la cui applicazione sia "manifestamente dannosa all'isola" (strumento al quale la Regione comunque non ha fatto ricorso) é del tutto inconferente ai fini delle valutazioni che la Corte é oggi chiamata a compiere.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 10, secondo comma, n. 13, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, recante "Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria" e dell'articolo 74 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, recante "Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi", proposte, in riferimento agli artt. 3, 23, 41, 42, 76 e 77, primo comma, della Costituzione, con i ricorsi delle Province autonome di Bolzano e di Trento e delle Regioni Trentino-Alto Adige, Sicilia e Sardegna, indicati in epigrafe;

b) dichiara non fondate - in riferimento agli artt. 76, 77, primo comma, e 116 della Costituzione, 1, 5, n. 3, e 34, secondo comma, della legge cost. 26 febbraio 1948, n. 5, corrispondenti agli artt. 1, 9, n. 8, e 52, ultimo comma (inesattamente indicato come 53), del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante il testo unificato dello Statuto per il Trentino-Alto Adige, nonché agli artt. 14, lett. d, e 21 dello Statuto speciale per la Regione siciliana ed agli artt. 4, 51 e 47 dello Statuto speciale della Regione sarda - le questioni di legittimità costituzionale proposte, relativamente alle stesse norme, con i ricorsi delle Province autonome di Bolzano e di Trento e delle Regioni Trentino-Alto Adige, Sicilia e Sardegna, in epigrafe indicati.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 maggio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 29 maggio 1974.