Sentenza n. 111 del 1972

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 SENTENZA N. 111

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 10, secondo comma, n. 13, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), promossi con ricorsi proposti dalle Regioni Sicilia, Trentino-Alto Adige e Sardegna, notificati il 13 novembre 1971, depositati in cancelleria il 19 successivo ed iscritti ai nn. 25, 26 e 27 del registro ricorsi 1971.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 aprile 1972 il Giudice relatore Michele Fragali;

uditi l'avv. Antonio Sorrentino, per la Regione siciliana, l'avv. Feliciano Benvenuti, per la Regione Trentino-Alto Adige, l'avv. Giuseppe Guarino, per la Regione sarda, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La Regione siciliana, quella sarda e la Regione del Trentino-Alto Adige, con ricorsi notificati il 13 novembre 1971, hanno denunciato a questa Corte l'illegittimità costituzionale dell'art. 10, secondo comma, n. 13, della legge statale 9 ottobre 1971, n. 825, che accorda al Governo delegazione legislativa per la riforma tributaria. Detto articolo pone, fra i principi direttivi che debbono essere applicati nell'esercizio della delegazione, l'abolizione delle deroghe al principio della nominatività obbligatoria dei titoli azionari previste nelle leggi di regioni a statuto speciale. A sostegno dei rispettivi ricorsi, la Regione siciliana invoca gli artt. 14 e 21 del proprio Statuto e l'art. 41 della Costituzione; la Regione sarda gli artt. 4, 51 e 47 del proprio Statuto e gli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione; la Regione Trentino-Alto Adige gli artt. 23, 42, secondo comma, e 116 della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt. 1, 5 n. 3, 34, secondo comma, dello Statuto regionale.

2. - Tutte e tre le Regioni osservano di avere emanato rispettivamente, le leggi 8 luglio 1948, n. 32, 18 aprile 1957, n. 20, e 9 agosto 1969, n. 10, con le quali, a determinate condizioni, venne data facoltà di emettere azioni al portatore per le società esercenti industrie locali, allo scopo di incentivare le rispettive economie.

Coincidono le deduzioni delle tre Regioni in quanto affermano:

a) che il disegno di legge statale nel quale era inclusa la disposizione impugnata non fu deliberato da un Consiglio dei ministri al quale furono fatti partecipare i rispettivi presidenti regionali, donde un vizio di incostituzionalità della disposizione stessa;

b) lo Stato non ha il potere di abrogare leggi regionali e comunque l'abrogazione potrebbe essere disposta soltanto per l'avvenire, così da non incidere sulla posizione di coloro che sulla base delle leggi regionali predette hanno investito propri capitali in industrie di carattere regionale;

c) non può essere consentito allo Stato di incidere sulle materie di competenza regionale sotto un profilo esclusivamente fiscale che é il fine che si assume di voler perseguire con la disposizione denunciata: ne risulterebbero svuotate di contenuto le competenze costituzionali delle Regioni, perché é difficile non rinvenire aspetti fiscali in ciascuna materia che forma oggetto di tali competenze. La nominatività obbligatoria dei titoli azionari, si soggiunge, non é un presupposto ineliminabile per la progressività dei tributi, come può risultare dal confronto con gli ordinamenti di altri Paesi, e non potrebbe essere invocata ai fini dell'unicità dell'imposizione diretta, perché la riforma tributaria per la quale il Governo ha avuto delegazione legislativa presuppone numerose ed importanti deroghe a tale principio.

3. - Per parte sua, la Regione siciliana ha dedotto che la sua legge é stata ritenuta rientrante nella materia dell'industria e del commercio, che é di sua competenza esclusiva, dalla sentenza 5 luglio-17 agosto 1949 dell'Alta Corte per la Sicilia; non si può opporre la sentenza di questa Corte del 22 dicembre 1961, n. 66, con la quale venne dichiarata illegittima un’analoga legge valdostana, perché la Valle d'Aosta ha, in materia, potestà di emanare soltanto norme di integrazione e di attuazione delle leggi statali.

4. - La Regione sarda deduce, in particolare, che un’eventuale modificazione dei principi delle leggi dello Stato ai quali é soggetta la competenza della Regione in materia di industria e commercio, dovrebbe desumersi da una legge puntuale emanata con riferimento alla Sardegna, e alla particolare materia che tenga cioé presenti gli specifici interessi e le condizioni particolari della Regione; possono sopperire i principi generali, quando manca tale legge, soltanto se lo Stato non vuole influenzare la vigenza o la validità di leggi regionali preesistenti. Una norma come quella impugnata non risponde ai requisiti della norma ad hoc anche perché dispone in materia d'accertamento tributario e non in modo diretto in materia d'industria e commercio o specificamente in materia di società per azioni. Osserva inoltre la Regione sarda che essa comunque non potrebbe essere privata del suo potere di adattare il nuovo principio alle necessità locali: la legge statale innovativa dei principi deve assegnare un termine per l'adeguamento, diverso per le singole regioni.

Quanto all'assunto che la disposizione impugnata risponde al principio dell'imposta unica sul reddito, la Regione specifica che tale principio é derogato con la legge di delegazione per i soggetti di altra nazionalità, per gli aventi diritto alle indennità, per le cariche elettive di cui all'art. 1 legge 11 ottobre 1965, n. 221, per i redditi attualmente esenti dalle imposte dirette, per i premi e gli altri frutti dei titoli del debito pubblico, dei buoni postali e dei titoli assimilabili, per i redditi da deposito e conto corrente bancario e postale e da obbligazioni e titoli similari, per i premi e le vincite erogate da persone giuridiche pubbliche e private ecc.: vi é disparità di trattamento fra le ipotesi esentate dalla legge statale e la fattispecie regolata dalla legge sarda, dato che questa é funzionalizzata ad uno scopo di incentivazione ben preciso, costituzionalmente qualificato, mentre le esenzioni statali hanno fondamento in considerazioni di opportunità.

Rileva inoltre la Regione sarda che, in base all'art. 51 dello Statuto, la Giunta regionale può chiedere al Governo dello Stato la sospensione dell'applicazione di una legge o di un provvedimento statale in materia economica e finanziaria che risulti manifestamente dannoso all'isola; il che postula che la legislazione dello Stato ha un limite di favore per la Regione, limite che é applicabile nella specie, perché la legge denunciata vuole l'abolizione di una misura in materia economica e finanziaria che ha dato copiosi frutti favorevoli.

5. - La Regione Trentino-Alto Adige obietta che lo Stato, escludendo con le proprie leggi l'istituto dell'anonimato azionario, non ha inteso porre disposizioni di principio né tanto meno abrogare l'art. 2355 codice civile. La legge di delegazione non impone l'abrogazione di questo articolo, ma pretende di abolire leggi regionali che legittimamente hanno compiuto una scelta da esso consentita; e pretende tale abolizione in vista, non di un interesse dell'economia nazionale, ma di quello dell'accertamento dei tributi, mentre avrebbe potuto imporre alle regioni che hanno abolito l'anonimato, l'adozione di speciali bordereaux.

La generalizzazione della regola della nominatività non può ritenersi oggetto di un principio valido anche nei confronti del legislatore regionale: lo ha riconosciuto lo Stato non impugnando in precedenza le leggi regionali, e lo riconosce la norma di delegazione, la quale non dice che le leggi predette sono illegittime, ma che esse hanno dato luogo ad una deroga da eliminare.

La norma denunciata, secondo la Regione, é illegittima anche perché soltanto una legge generale potrebbe porre limitazioni al diritto di proprietà, e non pure una legge tributaria; per giunta con una norma che ha soltanto il fine strumentale dell'accertamento delle imposte e dell'individuazione del contribuente.

6. - In tutte le cause é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha eccepito l'inammissibilità dei ricorsi, perché denunciano l'illegittimità costituzionale di una legge di delegazione quando ancora non é stata concretamente manifestata e resa operante la volontà legislativa.

Il Presidente del Consiglio ha poi rilevato che é inconsistente l'assunto per cui l'iniziativa legislativa, nella specie, doveva essere deliberata con la partecipazione del Presidente delle regioni che hanno leggi che ammettono azioni al portatore: la legge denunciata riguarda la riforma tributaria, che é di esclusiva competenza statale e comunque la partecipazione dei Presidenti regionali alle sedute del Consiglio dei ministri é richiesta soltanto quando questo delibera provvedimenti amministrativi, non nel caso di iniziative legislative, senza di che la struttura del Governo risulterebbe allargata. Del resto l'eventuale vizio del disegno di legge é assorbito dall'iter parlamentare che il medesimo ha subito presso le due Camere.

Nel merito il Presidente del Consiglio ha fatto presente:

a) che la norma impugnata é un principio direttivo rivolto al Governo per l'esercizio della funzione legislativa delegata, e perciò non può ritenersi abrogatrice delle leggi regionali sui titoli al portatore;

b) che la materia in esame appartiene legittimamente ed in via esclusiva allo Stato come ha affermato questa Corte con le sentenze 12 dicembre 1957, n. 129, e 22 dicembre 1961, n. 66, e dovendo escludersi il metodo finalistico come criterio discriminatore delle materie di competenza regionale;

c) che l'incentivazione produttiva non può bastare a legittimare una competenza regionale in una materia, come la disciplina delle società e la riforma dello Stato, che non é materia propria della Regione;

d) che l'acquiescenza statale alle leggi che adottarono il principio opposto alla nominatività e la sentenza dell'Alta Corte per la Regione siciliana, che ritenne non fondata la questione di legittimità costituzionale della corrispondente legge siciliana, non possono avere espropriato lo Stato della sua competenza;

e) che, in ogni caso, la Corte potrebbe sollevare in via incidentale, innanzi a se stessa, la questione di legittimità costituzionale delle leggi regionali sopra ricordate, sotto vari profili: perché contrastano con l'art. 3 della Costituzione per le sperequazioni che esse determinano, e con il successivo art. 53, impedendo l'attuazione del precetto costituzionale della progressività del carico tributario; perché non si accordano con l'art. 42 della stessa Costituzione essendo solo lo Stato competente ad emanare leggi che garantiscano, disciplinino o limitino la proprietà privata; perché violano il limite territoriale dell'efficacia delle leggi regionali, potendo le azioni al portatore circolare anche fuori del territorio regionale con pregiudizio del controllo e dell'accertamento fiscale; perché vanno oltre le competenze statutarie, la materia afferendo direttamente a rapporti di diritto privato e strumentalmente alla riforma tributaria, e non valendo che, secondo un criterio finalistico, essa rientrerebbe in quella dell'industria e del commercio, di competenza regionale.

7. - Nella memoria la Regione siciliana, riprodotte le deduzioni esposte nel suo ricorso, ha contestato che esso sia inammissibile perché diretto contro la legge delegante: ha rilevato che questa legge fa obbligo di abrogare quella regionale relativa alle azioni al portatore e non é da supporre che il Governo non assolva ad esso.

Quanto al vizio del disegno di legge derivante dalla sua approvazione senza la partecipazione dei Presidenti regionali, obietta che esso é di rilievo costituzionale e non può divenire irrilevante solo perché il disegno di legge é stato fatto proprio dal Parlamento.

La Regione ha altresì osservato che l'ordinamento é tuttora basato sulla coesistenza di azioni nominative e di azioni al portatore e che essa ha competenza anche in una materia fiscale e non ha perciò rilevanza l'assunto secondo il quale la legge non é di incentivazione ma di carattere fiscale. La competenza della Regione in materia tributaria rende del resto legittimo un ordinamento diverso da quello dello Stato; donde altresì é priva di valore l'osservazione per cui la legge regionale produce sperequazioni.

Infine la Regione ha obiettato che la materia non rientra fra quelle riforme che portano limite al suo potere legislativo.

8. - La memoria della Regione sarda ha pure ribadito i motivi del ricorso regionale.

Essa ha chiarito che lo Stato, con l'art. 10 della legge 29 dicembre 1962, n. 1742, con il d.l. 23 febbraio 1964, n. 27, convertito nella legge 12 aprile 1964, n. 191, con il d.l. 21 febbraio 1967, n. 22, convertito nella legge 21 aprile 1967, n. 209, ha disciplinato i profili fiscali delle azioni al portatore emesse in base a leggi regionali e ha così riconosciuto la competenza regionale in materia: la norma denunciata, essa ha osservato, essendo strumentale all'accertamento dei tributi non può essere ritenuta di natura fiscale.

La Regione, rilevato che il codice civile ammette le azioni al portatore, osserva che le sue norme di attuazione hanno soltanto sospeso la facoltà di emetterle per tutto il tempo in cui ha vigore il r.d. 25 ottobre 1941, n. 1148: in tali condizioni non possono dirsi violati i principi generali dell'ordinamento. Il principio dell'alternatività fra azioni al portatore e azioni nominative manca di efficacia attuale, ma esiste; esiste anche in base alla citata legge 29 dicembre 1962, n. 1742, la quale, all'art. 20, dispone che nulla é innovato all'art. 2345, secondo comma, cod. civ., il quale mantiene ferma la nominatività per le azioni alle quali é connesso l'obbligo delle prestazioni accessorie al conferimento. Lo stesso art. 20 fa salvo l'art. 3, secondo comma, della legge 3 dicembre 1939, n. 1966, il quale impone la nominatività delle azioni per le società fiduciarie e di revisione. Queste salvezze, secondo la Regione sarda, non possono spiegarsi se non nel presupposto dell'attuale vigenza del principio di alternatività.

Quanto all'assunto della violazione del principio di eguaglianza, la Regione ha dedotto che la sua legge non provoca sperequazioni nel sistema di accertamento tributario fra cittadini di diverse regioni, perché hanno accesso al mercato delle azioni al portatore sia i cittadini residenti in Sardegna, sia coloro che non vi risiedono.

La Regione ha sostenuto l'infondatezza della tesi dell'esorbitanza territoriale della legge sarda: al fine del rispetto del limite territoriale cui sottostanno le leggi regionali interessa l'incidenza immediata delle stesse, che non manca se quelle di cui si discute riguardano iniziative che si attuano nell'isola.

Circa la pretesa lesione del principio della progressività del carico tributario, la Regione ha osservato che esso riguarda il sistema fiscale nella sua globalità, - non le singole leggi.

9. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha illustrato, nella sua memoria, le deduzioni contenute nel suo atto di costituzione.

Ha soggiunto che, in base alla legge costituzionale 10 novembre 1971, n. 1, la Regione del Trentino-Alto Adige ha perduto la sua competenza in materia di industria e commercio, la quale é stata attribuita alle provincie: il suo ricorso dovrà essere perciò dichiarato inammissibile.

Ha osservato infine che la Regione sarda, nella detta materia, ha una competenza limitata dai principi stabiliti dalle leggi dello Stato: il subentrare, nella legislazione statale, di nuovi principi, può ben produrre abrogazione della legge sarda.

10. - All'udienza del 12 aprile 1972 i difensori delle Regioni ricorrenti e del Presidente del Consiglio dei ministri hanno confermato le rispettive tesi ed insistito nelle conclusioni già prese.

 

Considerato in diritto

 

1. - I ricorsi possono essere riuniti perché riguardano la legittimità costituzionale di una disposizione contenuta in una medesima legge statale.

2. - La Corte non ritiene che la legge costituzionale 10 novembre 1971, n. 1, con il trasferire alle - Provincie di Trento e Bolzano la competenza legislativa in materia di industria e commercio, abbia fatto estinguere il processo sulla legittimità costituzionale della legge dello Stato 9 ottobre 1971, n. 825, promosso dalla Regione Trentino-Alto Adige.

L'art. 56 della legge costituzionale predetta ha mantenuto in vigore le leggi regionali vigenti al 20 gennaio 1972 fino a quando le Provincie non dispongano diversamente; e non ha fatto perciò venir meno l'interesse della Regione a proseguire nelle istanze dirette ad evitare che lo Stato ne abroghi una legge, da essa ritenuta riferibile alla materia trasferita.

Altro é il caso deciso da questa Corte con la sentenza 15 marzo 1972, n. 44, la quale aveva per oggetto una legge che la Regione non avrebbe potuto più promulgare a seguito delle sopravvenute disposizioni costituzionali.

3. - Tutti e tre i ricorsi hanno per oggetto una norma della su menzionata legge statale, che accordò al Governo delegazione per la Riforma tributaria. Precisamente hanno per oggetto uno dei criteri che il Governo deve seguire nell'attuazione della potestà attribuitagli: la legge delegata dovrebbe infatti abrogare le leggi regionali che hanno portato deroga al principio della nominatività dei titoli azionari.

Le Regioni sostengono che le loro leggi sono atti di esercizio di una competenza statutaria che lo Stato non può conculcare; ma non avvertono che i loro ricorsi investono una norma che non porta lesione attuale a quella competenza, perché ne é destinatario il Governo dello Stato, non le Regioni. Determina infatti l'oggetto dell'attività delegata e ne dà un limite, senza innovare direttamente e immediatamente l'ordinamento preesistente, cioé l'ordinamento costituito dalle Regioni. Cosicché potrà discutersi della validità delle leggi delegate, dopo che il Governo avrà esercitato la potestà che gli é stata conferita, ma non oggi della validità della legge delegante.

In altre parole, la legge di delegazione legislativa é soltanto fonte di un potere governativo, ha valore preliminare e, per non essere legge materiale interessante la Regione, dovrà essere integrata dall'atto di esercizio della delegazione. Il suo controllo di legittimità é strumentale a quello relativo alla legittimità della legge delegata; non può essere cioé promosso come fine a se stante, tanto più che non si può escludere in via di fatto che il termine della delegazione trascorra inutilmente.

Né si obietti che vi é lesione attuale dell'interesse delle Regioni perché la norma impugnata, ponendo al Governo la direttiva di disporre l'abrogazione di leggi regionali, implicitamente afferma che lo Stato sia a ciò competente: vale anche per tale obiezione, proposta nella discussione orale, il rilievo per cui la norma, concernendo unicamente i rapporti fra Parlamento e Governo, incide sulla competenza rivendicata dalle Regioni condizionatamente all'attuazione concreta della potestà delegata.

In altra occasione la Corte ha deciso che la lesione di un diritto o di un interesse sorge dalla legge delegata, non da quella delegante; ed ha giudicato inammissibile la denuncia in via principale di questa seconda legge quando già erano decorsi i termini per la denuncia della prima (sentenza 24 febbraio 1964, n. 13).

4. - Rimane assorbita ogni altra questione, compresa quella concernente la partecipazione dei Presidenti delle Regioni ricorrenti al Consiglio dei ministri che approvò l'iniziativa inerente alla legge denunciata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibili per mancanza di interesse attuale i ricorsi proposti dalla Regione siciliana, dalla Regione sarda e dalla Regione Trentino-Alto Adige, con i quali si denuncia l'illegittimità costituzionale dell'art. 10, secondo comma, n. 13, della legge statale 9 ottobre 1971, n. 825, concernente delegazione al Governo per la riforma tributaria.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Michele FRAGALI

Depositata in cancelleria il 27 giugno 1972.