Sentenza n. 6 del 1969

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SENTENZA N. 6

 

ANNO 1969

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

 

Prof. Giuseppe BRANCA

 

Prof. Michele FRAGALI

 

Prof. Costantino MORTATI

 

Prof. Giuseppe CHIARELLI

 

Dott. Giuseppe VERZÌ

 

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

 

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

 

Dott. Luigi OGGIONI

 

Dott. Angelo DE MARCO

 

Avv. Ercole ROCCHETTI

 

Prof. Enzo CAPALOZZA

 

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

 

Prof. Vezio CRISAFULLI

 

Dott. Nicola REALE

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

SENTENZA

 

 

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 51 della legge 2 luglio 1952, n. 703 (disposizioni in materia di finanza locale), promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 7 novembre 1966 dal tribunale di Ravenna nel procedimento civile vertente tra Minguzzi Adriano, il Comune e la Cassa di risparmio di Ravenna, iscritta al n. 18 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 64 dell'11 marzo 1967;

 

2) ordinanza emessa il 12 giugno 1967 dal tribunale di Bassano del Grappa nel procedimento civile vertente tra Giacobbe Silvio e Tessari Luigi ed altri, iscritta al n. 219 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 282 dell'11 novembre 1967;

 

3) ordinanza emessa il 1 agosto 1967 dalla Commissione comunale per i tributi locali di Montecatini Terme sul ricorso di Berardi Mario contro il Comune di Montecatini Terme, iscritta al n. 223 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 282 dell'11 novembre 1967;

 

4) ordinanza emessa il 9 settembre 1967 dalla Commissione comunale per i tributi locali di Torchiara sul ricorso di Russo Raffaele contro il Comune di Torchiara, iscritta al n. 239 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 307 del 9 dicembre 1967.

 

Visti gli atti di costituzione di Minguzzi Adriano e del Comune di Ravenna, e di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

 

udita nell'udienza pubblica del 6 novembre 1968 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;

 

uditi l'avv. Gian Marco Dallari, per il Minguzzi, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

 

1. - Con ordinanza emessa il 7 novembre 1966 nel procedimento pendente fra il signor Minguzzi Adriano, il Comune e la Cassa di risparmio di Ravenna il tribunale locale, pronunciandosi su un'eccezione proposta dall'attore, ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate alcune questioni di legittimità costituzionale concernenti gli artt. 47 e 51 della legge 2 luglio 1952, n. 703.

 

Nell'ordinanza si osserva che il citato art. 47 - che, fra l'altro, dispone che i due terzi dei componenti della Commissione comunale dei tributi locali sono nominati dal Consiglio comunale - appare illegittimo sotto diversi profili: a) la disposizione non fissa alcun criterio direttivo e limitativo per la nomina dei membri della Commissione, e ciò a differenza di quanto avviene per le Commissioni tributarie erariali, ritenute legittime dalla Corte (sent. n. 103 del 1964) proprio in presenza di criteri di nomina stabiliti dal legislatore; b) la statuizione relativa alla decadenza dei componenti che abbiano contestazioni pendenti per tributi da essi dovuti e la brevità del periodo della durata in carica, fissato in due anni, danno luogo ad una disciplina che influenza negativamente la garanzia di inamovibilità e di indipendenza; c) in via di principio la neutralità della funzione giurisdizionale é assicurata, anzitutto, dalla "neutralità ed estraneità della nomina dell'organo giudicante": ed invece la legge in esame - ancora una volta a differenza del regime relativo alle Commissioni erariali, per le quali l'Intendente di finanza deve scegliere i componenti nell'ambito di designazioni fatte da altri soggetti - affida la nomina dei due terzi alla libera scelta dell'amministrazione comunale e, per di più consente che la Commissione possa funzionare in composizione variabilissima, fino al numero minimo di tre componenti, senza alcuna proporzione in riferimento alla loro provenienza e senza che esistano disposizioni che regolino la supplenza.

 

La stessa ordinanza, come si é già detto, impugna anche l'art. 51 della legge n. 703 del 1952, secondo il quale possono essere provvisoriamente iscritte a ruolo le partite contestate, dopo la decisione di prima istanza e nel limite massimo dei due terzi dell'imponibile determinato dalla Commissione. Tale disposizione, ad avviso del giudice a quo, consente al Comune, che é parte in causa, di rendere provvisoriamente e parzialmente esecutive le decisioni di primo grado, senza che siano fissati criteri direttivi ed anche in mancanza di quei presupposti che a norma dell'art. 282 del Cod. proc. civile condizionano l'analogo potere del giudice civile. Escluso che la fattispecie possa inquadrarsi nel paradigma dell'esecutorietà dell'atto amministrativo, la circostanza che la disposizione in esame rimette all'arbitrio di una delle parti in causa la determinazione della concreta forza giuridica della decisione ne rivela la illegittimità per violazione dell'eguaglianza fra le parti e della neutralità della funzione giurisdizionale; la stessa disposizione, in quanto consente al Comune di usare o di non usare la descritta facoltà, appare anche in contrasto con i principi di eguaglianza fra i soggetti e di adeguamento del prelievo tributario alla reale capacità contributiva.

 

Il tribunale, dopo aver messo in evidenza i motivi che dimostrano la rilevanza delle proposte questioni, rimette alla Corte l'esame delle citate disposizioni in riferimento agli articoli 3, 24, 53, 102, 104 e 108 della Costituzione.

 

2. - L'ordinanza, ritualmente notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 64 dell'11 marzo 1967.

 

Nel presente giudizio si sono costituiti il signor Minguzzi Adriano (atto depositato il 28 marzo 1967) ed il Comune di Ravenna (atto depositato il 23 marzo 1967); é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato (atto depositato il 16 marzo 1967).

 

3. - La difesa del signor Minguzzi, dopo aver messo in rilievo che le Commissioni tributarie, secondo una costante giurisprudenza, hanno carattere giurisdizionale e che le disposizioni impugnate sono posteriori alla Costituzione, sostiene che l'illegittimità del modo di composizione delle Commissioni per i tributi locali risulta evidente se si tengono presenti i principi affermati da questa Corte in molteplici occasioni: la sentenza n. 103 del 1964 escluse l'illegittimità delle Commissioni erariali in quanto la legge ad esse relativa contiene la prefissione dei criteri per la scelta dei componenti, prefissione che, tranne l'onnicomprensivo rinvio ai requisiti per l'elezione a consigliere comunale, é del tutto assente nella disposizione denunciata dal tribunale di Ravenna; la sentenza n. 93 del 1965 ha dichiarato l'illegittimità di norme sul contenzioso elettorale in considerazione del difetto delle garanzie di imparzialità dell'organo giudicante, per un vizio, cioé, che inficia anche la disciplina in esame sia perché il Comune può provocare la decadenza dei componenti della Commissione sia perché, a causa della brevità della durata della carica, non vengono assicurate l'inamovibilità e l'indipendenza del giudice; in base alle regole enunciate nella già citata sentenza n. 103 del 1964 bisogna riconoscere che l'art. 47 non garantisce l'imparzialità e l'estraneità della nomina dei componenti delle Commissioni; se la sentenza n. 92 del 1962 affermò che l'esigenza che gli organi giurisdizionali collegiali siano almeno in parte costituiti da giudici ordinari e siano sempre collegi perfetti non si può riferire agli organi anteriori alla Costituzione, é vero che l'impugnato art. 47 é a questa posteriore e che comunque la Corte, successivamente alla ricordata sentenza, ha riconosciuto che i principi di cui si discorre sono applicabili anche ai collegi preesistenti; infine, secondo quanto si ricava dalla motivazione della ricordata sentenza n. 103 del 1964, anche la mancanza di disposizioni sulla supplenza e ricusazione e la circostanza che la composizione delle Commissioni e sotto commissioni viene rimessa all'arbitrio del Comune costituiscono vizi di legittimità costituzionale.

 

Quanto alla questione concernente l'art. 51 della stessa legge, la difesa del Minguzzi ribadisce l'esattezza di tutti i rilievi prospettati dal giudice a quo.

 

4. - L'infondatezza di tutte le questioni in esame viene invece sostenuta sia dal Comune di Ravenna che dall'Avvocatura dello Stato.

 

La difesa del Comune, pur riconoscendo che la giurisprudenza segue un opposto orientamento, mette anzitutto in evidenza che molteplici ragioni concorrono a dimostrare che le Commissioni comunali per i tributi locali sono organi amministrativi, non giurisdizionali. E, tuttavia, anche se si vuol ritenere che si tratti di una vera e propria giurisdizione speciale, nessun precetto costituzionale risulta violato: il modo di nomina dei due terzi dei componenti della Commissione é un sistema elettivo, che esclude ogni dipendenza dell'eletto (esso, anzi, risulta più riguardoso di tale esigenza di quanto non fosse il precedente meccanismo, che dava prevalenza alla designazione delle varie categorie economiche, indirettamente interessate alla decisione delle liti tributarie); l'autonomia della Commissione, riconosciuta da una decisione della Commissione centrale (n. 82974 del 22 aprile 1966) che dichiarò manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, é assicurata per il fatto che gli eletti non sono soggetti ad un vincolo di gerarchia e di dipendenza rispetto all'organo che provvede alla nomina, giacché il sistema é rigorosamente ancorato al divieto di mandato imperativo, né esiste alcun parametro per ritenere non congruo il biennio di durata in carica; infine la decadenza dei componenti per sopravvenuta incompatibilità opera ex lege e non per dichiarazione dell'amministrazione comunale e perciò l'imparzialità e l'indipendenza del giudicante é qui garantita meglio di quanto non accada per i componenti delle Commissioni erariali, la cui decadenza é pronunciata dall'Intendente di finanza. Del pari infondata, secondo la difesa del Comune, é la questione concernente l'art. 51 della legge. Il procedimento tributario, infatti, non può essere regolato dalle stesse norme del processo civile, perché esso ubbidisce ad esigenze particolari, e la particolare forma riconosciuta alle decisioni della Commissione comunale é predisposta al fine di consentire l'indefettibile funzionamento della pubblica amministrazione, evidentemente compromessa se l'esazione si dovesse arrestare fino alla definitiva decisione dei ricorsi tributari: ed in effetti la norma in esame deve essere interpretata nel senso che é proprio la legge, e non già la volontà della Giunta comunale, a conferire quella particolare forza alla decisione, nell'ambito di un sistema che assicura al contribuente ogni possibile garanzia. La difesa, infine, tornando al problema relativo alla composizione delle Commissioni, richiama le ragioni poste dalla Corte a fondamento della sentenza n. 1 del 1967 e pone in rilievo che occorre distinguere fra funzioni amministrative e funzioni rappresentative del Consiglio comunale: é nell'esercizio delle seconde, e non delle prime, che il Consiglio procede a varie nomine e fra queste a quella dei componenti della Commissione tributaria, che non assume una rappresentanza organica del Comune. ma é del tutto indipendente.

 

L'Avvocatura dello Stato conclude, a sua volta, chiedendo che le questioni sollevate dal tribunale di Ravenna vengano dichiarate non fondate. Nell'atto di costituzione ed in una memoria depositata il 24 ottobre 1968 si osserva che i vari profili sotto i quali il giudice a quo ha ritenuto sussistano i dubbi di costituzionalità dell'art. 47 sono tutti da disattendere: i criteri da seguire nella scelta dei componenti della Commissione sono sufficienti a garantirne l'idoneità; la decadenza dall'ufficio per incompatibilità derivante dalla pendenza nei loro confronti di una contestazione tributaria garantisce la neutralità del giudice, perché esclude dall'esercizio della funzione giurisdizionale le persone portatrici di un interesse personale, inconciliabile con la distaccata obiettività che deve essere propria di chi giudica; la durata in carica per un biennio non é incongrua, come immotivatamente assume il giudice a quo; per la parte in cui derivano dalla nomina consiliare, le Commissioni appaiono come organi elettivi, e la nomina elettiva, quale espressione fondamentale di democrazia, assicura automaticamente l'indipendenza e l'inamovibilità del giudice; la variabilità della composizione del collegio non dà luogo a vizio di costituzionalità sia per le ragioni che precedono sia perché nella specie non si é in presenza di una rappresentanza di interessi settoriali. Sui singoli punti l'Avvocatura richiama i principi desumibili dalla giurisprudenza di questa Corte ed assume che nessuna delle supposte violazioni costituzionali appare sussistere: le norme relative alla composizione ed al funzionamento della Commissione non toccano in alcun modo il diritto di agire in giudizio garantito dall'art. 24 della Costituzione: alla luce della giurisprudenza costituzionale in argomento é da escludere ogni contrasto con l'art. 102 della Costituzione; in riferimento agli artt. 104 e 108 della Costituzione l'impugnato art. 47 appare immune da ogni vizio, perché determina i principi necessari per il regolare funzionamento dell'organo giurisdizionale, fissa il numero, i requisiti e le modalità di elezione dei componenti della Commissione e, in quanto demanda al Consiglio comunale il potere di eleggere i due terzi di essi, pone il presupposto di una maggiore garanzia di imparzialità e di neutralità del giudice, non diminuita né dalla norma sulla decadenza né da quella sulla durata in carica né infine dalla possibilità che la Commissione possa deliberare anche con la presenza di tre soli membri.

 

Passando alla questione concernente l'art. 51, l'Avvocatura mette in evidenza che l'iscrizione provvisoria a ruolo, mentre da un canto nulla ha a che vedere col principio del solve et repete e non viola l'art. 24 della Costituzione, non incide sulla neutralità della funzione giurisdizionale, perché la Giunta comunale, adottando il relativo provvedimento, esercita una funzione amministrativa nel rispetto dei criteri di obiettività, correttezza ed adeguatezza ai fini pubblici. La ratio della disposizione é da ricercarsi nell'interesse generale alla riscossione dei tributi, che condiziona la vita dell'ente pubblico e che perciò risulta garantita dalla Costituzione, ed il potere conferito alla Giunta non viola né l'art. 3 Cost. né l'art. 53 Cost.: non il primo, perché la provvisoria iscrizione a ruolo riguarda tutte le decisioni di primo grado e la facoltà relativa é rimessa al prudente apprezzamento della pubblica amministrazione, non al suo incontrollato arbitrio; non il secondo, perché il principio della capacità contributiva deve porsi in relazione con il presupposto dell'obbligazione tributaria e perché la provvisorietà del prelievo, giustificata dalla presunzione di giustizia che assiste la decisione, non esclude la possibilità del rimborso nel caso in cui la decisione impugnata venga riformata.

 

5. - Analoghe questioni di legittimità costituzionale dell'art. 47 della legge 2 luglio 1952, n. 703, sono state sollevate dal tribunale di Bassano del Grappa con ordinanza 12 giugno 1967, emessa nel procedimento pendente fra Giacobbe Silvio e Tessari Luigi ed altri; dalla Commissione comunale per i tributi locali di Montecatini Terme con ordinanza 1 agosto 1967, emessa nel procedimento tra Berardi Mario ed il Comune di Montecatini Terme; e dalla Commissione comunale dei tributi locali di Torchiara con ordinanza 9 settembre 1967, emessa nel procedimento tra Russo Raffaele ed il Comune di Torchiara.

 

Il tribunale di Bassano del Grappa, accogliendo l'eccezione sollevata da uno dei convenuti, ha ritenuto che l'art. 47 citato violi gli artt. 101 e 108 della Costituzione per il fatto che i due terzi dei componenti della Commissione comunale per i tributi locali non si trovano in condizione di indipendenza verso il Consiglio comunale dal quale derivano la nomina e che la disposizione impugnata crea una situazione giuridica analoga a quella che indusse la Corte a dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 del d.l. 12 aprile 1965, n. 203 (sent. n. 30 del 1967).

 

Secondo la Commissione comunale di Montecatini Terme non é manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 citato in riferimento agli artt. 102 e 108 della Costituzione: la disposizione, infatti, non fissa limiti o criteri per la scelta dei componenti di nomina comunale, non garantisce l'autonomia della Commissione a causa dell'ipotesi di decadenza prevista nel penultimo comma e, perciò, influisce negativamente sull'inamovibilità ed indipendenza del giudice, necessarie per assicurarne l'imparzialità. Gli stessi argomenti e quello relativo alla circostanza che la nomina dei due terzi dei componenti é devoluta all'amministrazione comunale, che nelle liti tributarie é parte in causa, sono infine addotti dalla Commissione comunale di Torchiara per dichiarare non manifestamente infondata la questione in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 104 e 108 della Costituzione.

 

Le ordinanze sono state ritualmente notificate alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicate ai Presidenti dei due rami del Parlamento, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale: l'ordinanza del tribunale di Bassano del Grappa nel n. 282 dell'11 novembre 1967; l'ordinanza della Commissione comunale tributi locali di Montecatini Terme nel n. 282 dell'11 novembre 1967; l'ordinanza della Commissione comunale tributi locali di Torchiara nel n. 307 del 9 dicembre 1967. Innanzi a questa Corte nessuno si é costituito.

 

6. - Nella discussione orale la difesa del signor Minguzzi ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità della costituzione dell'Avvocatura generale dello Stato. Dopo la replica di quest'ultima la Corte ha pronunciato un'ordinanza con la quale ha disposto il prosieguo del dibattimento, nel corso del quale la difesa del Minguzzi e l'Avvocatura hanno insistito nelle rispettive tesi e conclusioni.

 

 

 

Considerato in diritto

 

 

 

1. - Le quattro ordinanze indicate in epigrafe - salvo quanto si dirà al n. 7 - propongono identiche questioni di legittimità costituzionale e pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

 

2. - In sede di discussione orale la difesa del sig. Adriano Minguzzi, parte nel giudizio promosso dall'ordinanza del tribunale di Ravenna, ha eccepito l'inammissibilità della costituzione dell'Avvocatura generale dello Stato, rilevando la mancanza di ogni atto dal quale risulti la determinazione del Governo di intervenire nel presente giudizio.

 

L'eccezione é infondata. Ai sensi del terzo comma dell'art. 20 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il Governo, quando intervenga innanzi alla Corte costituzionale in persona del Presidente del Consiglio, é rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato o da un suo sostituto, ed in forza dell'art. 1 del T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611, delle leggi sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato non é richiesta, per la rituale sua costituzione, l'esibizione di un mandato. L'attribuzione all'Avvocatura, ope legis, dell'ius postulandi non significa, ovviamente, che essa possa di sua iniziativa procedere alla costituzione in giudizio, giacché la legge conferisce il relativo potere al Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 25, ultimo comma, legge n. 87 del 1953), che ne assume la responsabilità politica: tuttavia, poiché l'Avvocatura é posta alle dirette dipendenze del Presidente stesso - art. 17 del citato T. U. - non é necessario che la volontà di questi risulti da uno specifico atto.

 

La difesa del Minguzzi ha prospettato altresì il dubbio che l'intervento del Presidente del Consiglio debba essere autorizzato da una deliberazione del Consiglio dei Ministri. Anche sotto questo secondo profilo l'eccezione é infondata. All'uopo é sufficiente rilevare che la citata legge del 1953 - art. 31, secondo comma - prevede la necessità di tale deliberazione solo nell'ipotesi in cui debba essere promossa in via principale una questione di legittimità costituzionale di una legge regionale, e ciò in conformità dell'ultimo comma dell'art. 127 della Costituzione, che affida al Governo della Repubblica l'iniziativa in proposito (cfr. Corte cost. sent. n. 119 del 1966): sicché é da ritenere che quando la stessa legge - art. 25, ultimo comma - prevede l'intervento del Presidente del Consiglio nei giudizi incidentali essa attribuisca direttamente a lui il relativo potere.

 

3. - Tutte le ordinanze di rimessione impugnano l'art. 47 della legge 2 luglio 1952, n. 703 - che sostituisce il testo dell'art. 278 del T. U. per la finanza locale 14 settembre 1931, n. 1175 - nella parte in cui viene affidata ai Consigli comunali la nomina dei due terzi dei componenti delle Commissioni comunali per i tributi locali. Le varie censure e le argomentazioni che le sorreggono si riassumono sostanzialmente nella denunzia della mancanza di indipendenza di tali componenti, determinata sia dal sistema di nomina sia dalla disciplina giuridica della posizione che essi conseguono dopo la nomina: nella denunzia, cioè, della violazione di un fondamentale principio costituzionale, che deve essere osservato nei riguardi di ogni giudice, ordinario o speciale che sia, e che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, é operante anche per quei giudici speciali che, preesistendo alla Costituzione, dovranno essere oggetto di revisione ai sensi della VI disposizione transitoria.

 

La questione di legittimità costituzionale così definita muove dall'implicita premessa che le Commissioni comunali per i tributi locali siano organi giurisdizionali. La Corte ritiene di dover portare il suo esame preliminare sulla fondatezza di tale presupposto, contestato dalla difesa del Comune di Ravenna, atteso che esso, come é del tutto evidente, condiziona la pronunzia di merito sulla questione sollevata dal tribunale di Ravenna e dal tribunale di Bassano del Grappa e l'ammissibilità della medesima questione proposta dalle Commissioni di Montecatini Terme e di Torchiara.

 

4. - La natura amministrativa o giurisdizionale delle competenze attribuite alle Commissioni comunali per i tributi locali é tuttora oggetto di gravi incertezze, ed é noto che mentre la giurisprudenza, modificando il suo primitivo orientamento, negli ultimi tempi ha risolto l'alternativa nel secondo senso, parte notevole della dottrina continua a ritenere che ci si trovi di fronte ad attività amministrative: si deve convenire, perciò, che nella complessiva esperienza giuridica contemporanea la soluzione del problema non può essere considerata pacifica e la giurisdizionalità delle Commissioni non può essere assunta come dato incontroverso.

 

Nel riprendere l'esame del tema la Corte ritiene che nessuno dei singoli argomenti che sono stati o possono essere addotti in favore dell'una o dell'altra tesi abbia di per sé valore decisivo, ma che, tuttavia, se ci si attiene ai dati offerti dall'ordinamento positivo e se questi vengono valutati nel loro complesso, é possibile individuare nel sistema del contenzioso tributario locale una fase propriamente amministrativa ed una fase tipicamente giurisdizionale.

 

Giova in proposito osservare che alla frequente qualificazione delle Commissioni come organi comunali non può essere riconosciuta una incidenza risolutiva sulla definizione delle loro funzioni. La Corte ha già avuto modo di rilevare (cfr. sent. n. 42 del 1961) che anche se tale qualificazione fosse esatta ed anche se si dovesse consentire sulla giurisdizionalità delle attribuzioni conferite alle Commissioni, le due cose non riuscirebbero inconciliabili: l'accoglimento della prima ipotesi, pertanto, non sarebbe sufficiente a dimostrare la non validità della seconda. Ma va subito aggiunto che ciò non esclude che alcuni elementi attinenti al modo di composizione delle Commissioni (e qui viene in evidenza proprio la norma denunziata), alla sua organizzazione, da valutarsi, appunto, anche in connessione con quella composizione (ad es. l'affidamento della segreteria al segretario o ad altro impiegato comunale: cfr. art. 278, quinto comma, del T.U.), ed alla mancanza di previsione di incompatibilità con carichi ed uffici dell'amministrazione interessata debbano essere presi in considerazione come seri ed univoci indizi della natura amministrativa delle competenze in esame, tanto più che ad essi corrispondono concorrenti argomenti desumibili dai poteri conferiti alle Commissioni, dalle modalità del loro funzionamento e dalle conseguenze che l'ordinamento collega ai casi di disfunzione. In quest'ambito appaiono particolarmente significativi almeno tre punti: a) in sede di esame del ricorso proposto dal contribuente la Commissione (art. 280 del T.U.) ha il potere di aumentare ex officio la base imponibile accertata, con il che si chiude il procedimento instaurato dal ricorso del contribuente, giacché quest'ultimo contro il nuovo accertamento deve adire nuovamente la stessa Commissione: e questa disciplina, mentre contrasta con regole che nel nostro ordinamento sono comuni a tutte le giurisdizioni (principio della domanda, principio della impossibilità per i giudici di tornare sui propri pronunciati salvo nei casi in cui viene ammessa la revocazione), appare connaturale alla funzione amministrativa; b) la Commissione o le sottocommissioni decidono validamente con la presenza di almeno metà dei componenti (art. 279 del T.U.), secondo una regola che é propria dei collegi amministrativi e che non trova riscontro nei principi vigenti per gli organi sicuramente giurisdizionali; c) il potere di scioglimento della Commissione e di nomina di un commissario, attribuito al Prefetto dall'art. 291 del T.U., é sicuramente incompatibile con la pretesa natura giurisdizionale dell'organo e delle sue funzioni e, di contro, é perfettamente corrispondente al potere di controllo sostitutivo che ha per destinatari organi amministrativi e per oggetto attività amministrative.

 

5. - Dall'esame complessivo degli indici di valutazione offerti dalla disciplina relativa alla composizione, ai poteri ed al funzionamento delle Commissioni risulta, dunque, che tutti gli argomenti deducibili dalle norme positive concorrono a convalidare la qualifica amministrativa con la quale la stessa legge definisce quegli organi (cfr. l'ultimo comma dell'art. 285 del T.U.); e, d'altro canto, é agevole rilevare che altri elementi di carattere procedurale (come i termini "ricorso", "appello", "decisioni"; il contraddittorio, sia pur semplificato; l'obbligo della motivazione) sono pienamente conciliabili col carattere amministrativo di un'attività che é pur sempre contenziosa.

 

La conclusione così raggiunta trova, ad avviso della Corte, una decisiva conferma se l'esame dell'interprete si volge a considerare, su un piano più generale, l'intero sistema relativo alla tutela delle situazioni soggettive che formano oggetto del contenzioso tributario locale.

 

In proposito la Corte osserva che la natura amministrativa della fase che si sta esaminando é convalidata dal fatto che, dopo l'esaurimento di essa, nei suoi vari stadi, si svolge davanti ai giudici ordinari, nei normali gradi, un procedimento sicuramente giurisdizionale. Infatti la legge (art. 285 del T.U.) attribuisce alla parte interessata, dopo l'ultima decisione delle Commissioni "amministrative", il potere di adire il giudice ordinario e di percorrere i vari gradi di giurisdizione a tutela dei suoi diritti. Non si può non riconoscere che la predisposizione di una duplice tutela giurisdizionale, ciascuna articolata in tre gradi, sarebbe estremamente singolare: e la singolarità del fenomeno (che non trova riscontro fuori della materia tributaria) sarebbe accentuata dall'autonomia che secondo l'orientamento della giurisprudenza e la prevalente opinione dottrinale caratterizza il ricorso ex art. 285 T.U. La Corte ritiene, perciò, che l'esistenza, nell'ambito del contenzioso tributario, di una fase indubbiamente giurisdizionale contribuisca anch'essa in modo sicuro alla conclusione che la fase precedente ha natura amministrativa: solo in tal modo l'intero sistema viene ricondotto in un quadro logico e coerente con le normali strutture dell'ordinamento.

 

Va aggiunto che la Corte non sottovaluta la circostanza che la legge (art. 285, primo comma, del T.U.) sottrae alla competenza dell'autorità giudiziaria ogni questione che si riferisca "ad estimazione di redditi o ad accertamenti di fatto relativi alla materia imponibile". Osserva però che, una volta esclusa la natura giurisdizionale del contenzioso che precede il ricorso al giudice, quella limitazione - risalente ad una epoca nella quale la tutela giurisdizionale non trovava piena e completa attuazione - suscita problemi di altra natura, dei quali la Corte non deve occuparsi in questa sede.

 

6. - Stante la natura amministrativa delle Commissioni o della loro attività deve essere dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 della legge 2 luglio 1952, n. 703, proposta dal tribunale di Ravenna e dal tribunale di Bassano del Grappa; a causa della mancanza dei presupposti richiesti dall'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, deve essere dichiarata inammissibile la stessa questione sollevata dalle Commissioni comunali di Montecatini Terme e di Torchiara.

 

7. - L'ordinanza del tribunale di Ravenna denunzia anche l'illegittimità costituzionale dell'art. 51 della legge 2 luglio 1952, n. 703 - che modifica l'art. 286 del T.U. per la finanza locale - nella parte in cui si consente alla Giunta comunale di disporre, dopo la decisione di prima istanza e nel limite massimo dei due terzi dell'imponibile determinato dalla Commissione, la provvisoria iscrizione a ruolo delle partite contestate.

 

Successivamente all'ordinanza é stata emanata la legge 18 maggio 1967, n. 388, che ha ulteriormente modificato l'art. 286 del T.U., stabilendo, nella parte che qui interessa, che le partite contestate, sempre nei limiti dei due terzi dell'imponibile fissato dalla Commissione, "debbono" essere iscritte provvisoriamente a ruolo. La Corte ritiene, tuttavia, di non dover disporre la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo esame di rilevanza. Dall'ordinanza di rimessione, infatti, risulta che il tribunale é stato chiamato a valutare la legittimità di una iscrizione provvisoria disposta dalla Giunta comunale dall'allora vigente art. 51 della legge n. 703 del 1952, ed é perciò indubitabile che questa sia la disposizione da applicare al caso concreto e che permanga di conseguenza la rilevanza della questione sottoposta a questa Corte.

 

8. - Nel merito la questione non é fondata. Una parte delle censure che il tribunale muove alla disposizione impugnata - l'illegittimità, cioè, del conferimento ad una delle parti in causa del potere di rendere esecutiva la decisione del giudice - presuppone la natura giurisdizionale della pronunzia della Commissione comunale, e per essa valgono le considerazioni svolte nei numeri precedenti. Per quanto attiene, invece, alla supposta violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione, la Corte osserva che la legge non attribuisce alla Giunta comunale un potere arbitrario che possa mettere in pericolo la eguaglianza dei cittadini, ma, come esattamente mette in luce l'Avvocatura dello Stato, le conferisce una facoltà che deve essere esercitata in base a valutazioni discrezionali e sempre in vista del soddisfacimento del pubblico interesse; rileva altresì che la provvisoria iscrizione a ruolo non risulta lesiva del principio della capacità contributiva, perché essa trova la sua legittima spiegazione nella imperatività degli atti della pubblica amministrazione (cfr. sent. n. 30 del 1961) ed é consentita in ipotesi ed in limiti che le danno sicuro fondamento di razionalità.

 

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 della legge 2 luglio 1952, n. 703, contenente "disposizioni in materia di finanza locale", sollevata dalla Commissione comunale per i tributi locali di Montecatini Terme in riferimento agli artt. 102 e 108 della Costituzione e dalla Commissione comunale per i tributi locali di Torchiara in riferimento agli artt. 3, 24, 104 e 108 della Costituzione;

 

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 e dell'art. 51 della stessa legge, sollevata dal tribunale di Ravenna in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 102, 104 e 108 della Costituzione;

 

c) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 della stessa legge, sollevata dal tribunale di Bassano del Grappa in riferimento agli artt. 101 e 108 della Costituzione.

 

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 gennaio 1969.

 

Aldo SANDULLI  -  Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -   Costantino MORTATI  -   Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE

 

 

Depositata in cancelleria il 6 febbraio 1969.