Sentenza n. 119 del 1966
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SENTENZA N. 119

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dal Consiglio regionale della Sardegna il 14 maggio 1965 e riapprovata il 20 gennaio 1966, contenente "Modifiche alla legge regionale 31 marzo 1965, n. 5, concernente la concessione di un assegno mensile ai vecchi lavoratori senza pensione", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri notificato il 5 febbraio 1966, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale l'11 successivo ed iscritto al n. 4 del Registro ricorsi 1966.

Visto l'atto di costituzione del Presidente della Regione autonoma della Sardegna;

udita nell'udienza pubblica del 9 novembre 1966 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e l'avv. Pietro Gasparri, per il Presidente della Regione autonoma della Sardegna.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - In data 20 gennaio 1966 il Consiglio regionale sardo ha riapprovato, in seguito a rinvio, un disegno di legge, già approvato nella seduta del 14 maggio 1965, con il quale si apportano "Modifiche alla legge regionale 31 marzo 1965, n. 5, concernente la concessione di un assegno mensile ai vecchi lavoratori senza pensione".

Il disegno di legge stabilisce (art. 1) che quando i beneficiari dell'assegno previsto dal primo comma dell'art. 1 della legge regionale 31 marzo 1965, n. 5, rivestano la qualifica di combattenti della guerra 1915-1918 l'assegno viene aumentato a lire 12.000 mensili; e dispone (art. 2) che ai nuovi oneri - precisati in un aumento di lire 120 milioni del capitolo di cui all'articolo 7 della citata legge n. 5 del 1965 - si faccia fronte mediante il corrispondente aumento del capitolo 10302 dello stato di previsione dell'entrata del bilancio della Regione per l'anno 1965.

2. - Con ricorso notificato il 5 febbraio e depositato l'11 febbraio 1966 il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che il predetto disegno di legge venga dichiarato costituzionalmente illegittimo e sia, di conseguenza, annullato.

Secondo la tesi del ricorrente il disegno di legge impugnato: a) riproduce, in sostanza, un precedente disegno di legge già annullato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 27 del 1965; b) viola la competenza legislativa attribuita alla Regione dagli artt. 3 p.p., 4 p.p. e lett. h, 5 p.p. e lett. b dello Statuto, giacché il maggior beneficio viene concesso con essenziale riferimento alla qualifica di combattente, rispetto alla quale gli ulteriori requisiti richiesti in via generale dall'art. 1 della legge regionale 31 marzo 1965, n. 5, sono secondari: e non v'é dubbio che la materia pensionistica esula dalle attribuzioni regionali; c) in dispregio dell'art. 3 della Costituzione, crea una ingiustificata sperequazione fra i combattenti della guerra 1915-1918 e i combattenti della guerra 1940-1944 e fra i combattenti nati o residenti da almeno 5 anni in Sardegna e quelli nati nel restante territorio dello Stato ovvero nati in Sardegna ma trasferiti altrove; d) viola l'art. 81 della Costituzione, perché, trattandosi di nuova spesa, occorre una nuova entrata sostanziale, laddove il capitolo 10302 del bilancio di previsione, relativo alla quota regionale dell'imposta di fabbricazione, deve considerarsi come semplice posta contabile non impegnativa per lo Stato.

3. - La Regione si é costituita in giudizio nella persona del suo Presidente, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Gasparri, con atto depositato il 24 febbraio 1966.

La difesa regionale osserva che la legge regionale 31 marzo 1965, n. 5 - non impugnata dallo Stato - rientra nella potestà della Regione di integrare il sistema delle leggi statali in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale (art. 4, lett. h, dello Statuto) e che nella stessa competenza trova fondamento il disegno di legge oggetto del presente giudizio, giacché la qualifica di combattente non é assunta a presupposto unico del beneficio, ma solo come titolo ad un trattamento preferenziale. La Regione contesta altresì che sia stato violato il principio di eguaglianza: la restrizione del beneficio ai combattenti della prima guerra mondiale troverebbe infatti giustificazione nella circostanza che tutti gli appartenenti a tale categoria hanno superato i limiti massimi di età lavorativa. Quanto al disposto dell'art. 81 della Costituzione, la Regione rileva che la previsione di aumento del gettito previsto dal capitolo 10302 dello stato di previsione é rigorosamente fondata su dati statistici che dimostrano una regolare e costante crescita del cespite: le previsioni relative al gettito dei tributi non potrebbero, comunque, essere sindacate in sede di giudizio di legittimità costituzionale.

La Regioneconclude chiedendo che il ricorso venga respinto.

Nelle successive deduzioni depositate il 2 marzo 1966 la difesa regionale fa osservare che il ricorso fu proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri senza la previa deliberazione del Consiglio stesso e che questa intervenne solo in data 7 febbraio 1966 e cioé non solo dopo la notifica del ricorso, ma dopo la scadenza dei termini prescritti dall'art. 33 dello Statuto. La Regione chiede pertanto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

4. - Nella memoria depositata il 21 ottobre 1966 l'Avvocatura dello Stato sostiene l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità, in quanto nei termini previsti per il deposito del ricorso venne depositato l'estratto della seduta del 7 febbraio 1966, nella quale il Consiglio dei Ministri ratificò l'impugnativa già proposta dal Presidente per motivi di urgenza. Ad avviso della stessa Avvocatura é incontestabile che ogni organo di presidenza, quando ricorra l'urgenza e non sia possibile convocare tempestivamente l'organo collegiale, può adottare, salvo ratifica, i provvedimenti necessari, e ciò in base ad un principio generale dell'ordinamento applicabile anche all'impugnativa di leggi: principio che trova espressa enunciazione nell'art. 3 del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, concernente norme di attuazione dello Statuto per il Trentino-Alto Adige, e che é stato riaffermato nella sentenza n. 57 del 1957 di questa Corte. I due elementi che in tale decisione sono stati ritenuti necessari per l'ammissibilità del ricorso - e, cioè, la sussistenza dell'urgenza e la ratifica anteriore all'udienza di discussione del ricorso - ricorrono nella specie, perché il Governo dell'epoca era in crisi e non fu possibile convocare il Consiglio prima del 7 febbraio. Né, a parere dell'Avvocatura, può trarsi argomento contrario dalla sentenza n. 33 del 1962, perché nel caso ivi deciso non solo difettava l'urgenza, ma esisteva e poteva funzionare almeno per gli affari urgenti la Giunta che il Presidente della Regione non aveva ritenuto di convocare.

Nel merito l'Avvocatura insiste in tutti i motivi del ricorso ed in particolare osserva che la competenza attribuita alla Regione dall'art. 5, lett. b, dello Statuto é relativa all'assistenza connessa al lavoro, laddove il supplemento di sussidio disposto dall'impugnato disegno di legge non trova titolo in questa, ma solo nella qualifica di combattente: e devono valere in proposito i principi enunciati dalla Corte nella sentenza n. 27 del 1965. Per quanto riguarda la copertura del maggior onere finanziario l'Avvocatura rileva che l'indicazione delle nuove entrate per l'esercizio in corso deve essere rigorosa e che, nella specie, trattandosi di quota di un tributo erariale, la Regione non può ragionevolmente presumere un aumento del gettito: d'altra parte solo lo Stato, come é stato affermato nella sentenza n. 1 del 1966, potrebbe riferirsi all'aumento del gettito delle entrate già previste, perché solo lo Stato può, alla stregua dei programmi economico-finanziari, presumere un aumento del reddito nazionale o di determinati redditi ed il correlativo aumento dei tributi.

5. - Nella memoria del 25 ottobre 1966 la Regione ha preliminarmente insistito nell'eccezione di inammissibilità, facendo rilevare che la deliberazione di impugnare una legge regionale ha per oggetto uno di quegli affari correnti sui quali il Consiglio dei Ministri deve provvedere anche in periodo di crisi.

Circa i motivi del ricorso la difesa regionale deduce:

a) infondatamente si assume che la legge impugnata ha carattere pensionistico: ed infatti la circostanza che una prestazione assistenziale assuma il carattere di un assegno periodico non é sufficiente a modificarne la natura;

b) a differenza della legge annullata con la sentenza n. 27 del 1965, il disegno di legge in esame non introduce una pensione assistenziale estesa a tutti i combattenti come tali, ma solo determina un trattamento assistenziale privilegiato (e siffatti privilegi sono normali nella nostra legislazione);

c) non sussiste alcuna sperequazione fra i combattenti del 15-18 e quelli del 40-44, e ciò in considerazione della maggiore anzianità dei primi, i quali hanno superato, tutti, il massimo dell'età lavorativa. Né sussiste una disparità di trattamento in ragione della nascita e della residenza, giacché dal beneficio sono esclusi gli ultrasessantenni i quali risiedono fuori della Sardegna: e questa é una circostanza sufficiente a giustificare la diversità di trattamento. Ed é giustificata, altresì, l'esclusione di quei soggetti i quali, nati fuori della Sardegna, vi siano immigrati da meno di cinque anni, giacché si tratta di cittadini che, venuti in Sardegna in tarda età, lo hanno fatto in considerazione di una qualche possibilità di mantenimento sul posto;

d) relativamente alla pretesa violazione dell'art. 81 della Costituzione, é erroneo che la norma costituzionale imponga una simmetria fra nuove spese e nuove entrate, maggiori spese e maggiori entrate, giacché l'importante é che l'equilibrio generale del bilancio non subisca alterazioni. La previsione della maggiore entrata relativa alle imposte di fabbricazione non comporta alcun impegno giuridico nuovo dello Stato nei confronti della Regione, ma ciò non esclude che essa possa esser presa in considerazione ai fini della copertura della spesa, purché sia ragionevolmente probabile. E nella specie i dati relativi alle cifre dei redditi accertati, riferiti ai 6 decimi di spettanza regionale ed al quinquennio 1960-64, rivelano come le entrate regionali si siano quasi quintuplicate, con un tasso medio di incremento di oltre un miliardo e mezzo: sicché é ben ragionevole imputare a tale capitolo la copertura di una maggiore spesa di soli 120 milioni annui, spesa destinata a diminuire e poi a scomparire nel giro di pochi anni.

6. - Nella discussione orale l'Avvocatura dello Stato e la difesa della Regione hanno ulteriormente sviluppato le rispettive tesi ed hanno insistito nelle conseguenti conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa della Regione, é fondata.

L'art. 33, secondo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 - contenente lo Statuto speciale per la Sardegna - conferisce non al Presidente del Consiglio dei Ministri, ma al Governo della Repubblica il potere di promuovere la questione di legittimità costituzionale di una legge riapprovata dal Consiglio regionale; l'art. 31 della legge 11 marzo 1953, n. 87, prescrive che il ricorso del Presidente del Consiglio va proposto "previa deliberazione del Consiglio dei Ministri".

Nel caso in esame i due provvedimenti non sono stati adottati nell'ordine in tal modo stabilito. La legge impugnata - approvata dal Consiglio regionale il 14 maggio 1965 e riapprovata, a seguito di rinvio da parte del Governo, nella seduta del 20 gennaio 1966 - venne comunicata il 21 gennaio 1966 al Presidente del Consiglio, secondo le modalità previste dall'art. 14 del D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250. Risulta dagli atti che il ricorso, notificato il 5 febbraio 1966, non fu preceduto dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri, la quale intervenne, col contenuto di ratifica, solo il 7 febbraio, vale a dire dopo la scadenza del termine fissato dall'art. 33 dello Statuto.

2. - Gli artt. 31 e 32 della legge 11 marzo 1953, n. 87, impongono (cfr. sentenza n. 33 del 1962) che il ricorso del Presidente del Consiglio o del Presidente della Giunta venga proposto dopo la deliberazione collegiale del Consiglio dei Ministri o della Giunta e ciò perché solo a questi organi é attribuito il potere di deliberare l'impugnativa per illegittimità costituzionale di una legge. Dal che discende che l'ordine degli atti collegiale e presidenziale risponde - come fu precisato nella ricordata sentenza di questa Corte - ad una esigenza non formale, ma sostanziale, al rigoroso rispetto, cioè, delle competenze relative ad una attività alla quale sono connessi gravi effetti costituzionali. Una successiva deliberazione del Consiglio dei Ministri, nella specie adottata dopo la scadenza del termine, appare perciò non idonea a sanare un vizio che deriva dall'assoluto difetto del potere del Presidente.

A contrastare tale conclusione, fondata su una non dubbia interpretazione del sistema vigente, non valgono le osservazioni prospettate dall'Avvocatura dello Stato. Ed in vero é da escludere che possa farsi ricorso ad un preteso principio generale secondo il quale ogni organo di presidenza potrebbe, in caso di urgenza e salvo ratifica, adottare i provvedimenti spettanti al collegio. Le competenze di ordine costituzionale sono infatti tassativamente attribuite e delimitate, e di conseguenza la sostituzione di un organo ad un altro é ammissibile solo nei casi e nei limiti eccezionalmente previsti da specifiche norme: non giova, perciò, invocare il precedente giurisprudenziale costituito dalla sentenza n. 57 del 1957 di questa Corte, giacché in quella occasione l'eccezione di inammissibilità venne respinta perché una norma statutaria (art. 48, n. 7, dello Statuto Trentino-Alto Adige) espressamente consente alla Giunta provinciale di adottare in via di urgenza i provvedimenti di competenza consiliare (e nella successiva sentenza n. 33 del 1962 la Corte confermò che da tale disposizione non é ricavabile una norma atta a regolare fattispecie analoghe); né giova, con più diretto riferimento al caso in esame, richiamare l'art. 3 del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, perché questa norma, dettata in attuazione dello Statuto Trentino-Alto Adige e avente forza di legge ordinaria, regola anch'essa una delimitata fattispecie e non può essere assunta a fonte di individuazione di un principio generale che consenta lo spostamento, sia pure provvisorio, di competenze costituzionali.

Nessuna incidenza sulla questione in esame, infine, può avere la circostanza che all'epoca del ricorso il Governo era dimissionario. A parte il rilievo che quando, in data 7 febbraio 1966, il Consiglio dei Ministri deliberò la ratifica il gabinetto era ancora in crisi - e, dunque, si riconobbe pur tuttavia competente a provvedere sulla materia - é evidente che l'urgenza determinata dalla perentorietà del termine, se non legittima la sostituzione del Presidente del Consiglio (in senso analogo cfr. sentenza n. 36 del 1962), rende incontrovertibile che la relativa deliberazione, adottata a tutela di un obiettivo interesse generale, rientra fra gli atti che il Governo dimissionario può legittimamente porre in essere.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile il ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, proposto in data 5 febbraio 1966 e relativo alla legge approvata dal Consiglio regionale della Sardegna il 14 maggio 1965 e riapprovata il 20 gennaio 1966, contenente "Modifiche alla legge regionale 31 marzo 1965, n. 5, concernente la concessione di un assegno mensile ai vecchi lavoratori senza pensione".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI 

 

 

Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1966.