Sentenza n. 36 del 1962
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SENTENZA N. 36

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio promosso dal Presidente della Regione siciliana con ricorso notificato il 24 giugno 1961, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 4 luglio successivo ed iscritto al n. 12 del Registro ricorsi 1961, per conflitto di attribuzione tra la Regione siciliana e lo Stato, sorto a seguito del decreto 15 marzo 1961 del Ministro per i lavori pubblici, col quale l'ing. Giovanni Battista Boscaino é stato nominato membro della Commissione regionale costruita presso il Provveditorato regionale alle opere pubbliche per la Sicilia, incaricata di decidere sui ricorsi avverso le determinazioni del prezzo venale degli alloggi di tipo popolare ed economico, stabilito dalle Commissioni provinciali previste dall'art. 6 del D.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2.

Udita nell'udienza pubblica del 7 marzo 1962 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

uditi l'avv. Camillo Ausiello Orlando, per il Presidente della Regione siciliana, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Il Ministro per i lavori pubblici, con un decreto del 15 marzo 1961, nominava il dott. ing. G. B. Boscaino a membro della Commissione regionale siciliana dei ricorsi relativi al prezzo venale degli alloggi di tipo popolare ed economico stabilito dalle Commissioni provinciali ex art. 6 del D.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2.

Nei confronti di tale decreto, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 26 aprile 1961, n. 102, il Presidente della Regione siciliana promoveva ricorso per regolamento di competenza: il ricorso, per motivi d'urgenza, veniva proposto senza la preventiva deliberazione della Giunta regionale, notoriamente dimissionaria; ma la nuova Giunta, successivamente, con deliberazione del 4 luglio 1961, procedeva alla ratifica.

2. - Si afferma nel ricorso che ogni attività amministrativa in materia di lavori pubblici sarebbe ormai riservata alla Regione: gli organi regionali la svolgono, a norma dell'art. 20, primo comma, dello Statuto regionale siciliano e degli artt. 1 e 2 delle disposizioni d'attuazione (D.P.R. 30 luglio 1950, n. 878), persino in fatto di opere di prevalente interesse nazionale; solo che in questo caso, poiché essi esercitano funzioni dello Stato, devono seguire le direttive del Governo centrale. Ne deriverebbe che anche in materia di edilizia popolare ed economica la competenza é passata alla Regione, i cui organi amministrativi, trattandosi di opere costruite con interventi diretti dello Stato, incontrano il solo limite delle direttive statali. Di modo che il decreto ministeriale di nomina d'un componente della predetta Commissione relativa alla edilizia popolare ed economica avrebbe invaso la sfera di competenza della Regione e perciò dovrebbe essere annullato.

É vero che, per l'art. 5 del citato D.P.R. n. 878 del 1950, niente é mutato quanto all'edilizia popolare ed economica; tuttavia, questa norma, asserisce la Regione, non contiene una riserva di competenza amministrativa statale, ma allude soltanto a una futura legiferazione sulla materia. Ché, se contenesse una riserva di quel tipo, sarebbe manifestamente illegittima per contrasto col citato art. 20, primo comma, seconda parte, dello Statuto regionale siciliano, secondo cui l'attività amministrativa statale oramai é svolta dagli organi della Regione. Pertanto, il Presidente della Regione siciliana conclude sollevando, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale del predetto art. 5.

3. - La Presidenza del Consiglio, con deduzioni depositate il 10 luglio 1961, eccepisce innanzi tutto l'inammissibilità del ricorso per mancanza della necessaria deliberazione della Giunta regionale: la Giunta, sebbene dimissionaria quando il ricorso fu proposto, poteva deliberare poiché restava in carica, alla pari del suo Presidente, fino alla costituzione del nuovo Governo regionale.

Nel merito, secondo la Presidenza del Consiglio, il ricorso é infondato sia perché l'art. 20, primo comma, dello Statuto regionale si limita a prevedere la mera possibilità che gli organi regionali esercitino funzioni statali sia perché ad ogni modo la competenza degli organi della Regione sorge solo per effetto di direttive statali in cui é implicita una delega di funzioni amministrative. Se non fosse cosi, data la generica formulazione del citato art. 20, bisognerebbe pensare che in nessuna materia, cioè neanche in fatto di giurisdizione, di difesa ecc., la relativa competenza sarebbe rimasta allo Stato: il che non é ammissibile.

Quanto all'art. 5 del D.P.R. 30 luglio 1950, n. 878, esso non contrasta affatto con l'art. 20, primo comma, dello Statuto regionale interpretato correttamente: quest'ultima norma, infatti, non esclude che lo Stato riservi ai propri organi un determinato ramo di attività; senza contare che nessuna competenza amministrativa spetta agli organi regionali quando ancora non si sono impartite le direttive del Governo.

4. - In una memoria depositata il 22 febbraio 1962 la Regione siciliana respinge l'eccezione di inammissibilità avanzata dalla Presidenza del Consiglio: infatti, al tempo del ricorso la Giunta regionale esisteva e fu regolarmente convocata, ma non poté provvedere per mancanza del numero legale; al Presidente della Regione non restava altro, per evitare la scadenza del termine, che promuovere subito il ricorso salvo ratifica da parte d'una Giunta efficiente.

Nel merito, la Regione si sofferma sull'art. 5 delle norme d'attuazione (citato D.P.R. n. 878 del 1950): questa disposizione, allorché afferma che niente é innovato circa la disciplina dell'edilizia economica e popolare, si riferisce evidentemente alla sola disciplina sostanziale della materia, così come alla disciplina sostanziale si riferiscono le disposizioni che immediatamente la precedono (artt. 3 e 4); se con l'art. 5 si fosse voluta riservare agli organi dello Stato la competenza amministrativa in materia, lo si sarebbe collocato subito dopo l'art. 1, secondo cui la Regione svolge tutte le attribuzioni che erano già del Ministero dei lavori pubblici.

D'altra parte l'immediata competenza della Regione si ricava esplicitamente dall'art. 20 dello Statuto: infatti, esso non si limita a prospettare una possibilità di esercizio regionale d'attività amministrativa dello Stato, come pretende, invece, la Presidenza del Consiglio, ma attribuisce immediatamente una competenza agli organi regionali; la norma dice che essi "svolgono", e non già che "possono svolgere", attività amministrative.

5. - La Presidenza del Consiglio, in una memoria depositata il 15 febbraio 1962, avanza un'altra eccezione di inammissibilità: il provvedimento impugnato é né più né meno un atto esecutivo e conseguenziale del D.M. 4 dicembre 1959, n. 17976, con cui é stata costituita la Commissione dei ricorsi prevista dall'art. 7 del D.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2; poiché questi decreti non sono stati impugnati, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale non sarebbe ammissibile un ricorso contro un atto che di essi é esecuzione e conseguenza.

Tutto ciò proverebbe anche l'irrilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 del D.P.R. n. 878 del 1950, promossa in via subordinata dalla Regione: infatti, caduto questo, rimarrebbero sempre i due decreti del 1959.

Quanto al merito, la Presidenza del Consiglio osserva che la Regione ha un mero interesse, non un diritto all'esercizio di funzioni statali decentrate; di più, se in materia di sua esclusiva competenza la Regione non può esercitare attività amministrativa senza particolari norme d'attuazione, a fortiori per l'esercizio di funzioni statali occorrerà qualcosa di più: di modo che esse sono precluse alla Regione se lo Stato non é prima intervenuto anche per impartire le necessarie direttive.

6. - Nella discussione orale la Regione si é soffermata specialmente sulle due eccezioni di inammissibilità proposte dalla Presidenza del Consiglio. Rispetto alla prima ha osservato che il Governo regionale é un tutto unico, di modo che esso nel tempo in cui fu promosso il ricorso, in realtà non esisteva poiché il Presidente nuovo non poteva governare in mancanza d'una nuova Giunta: perciò il ricorso fu avanzato senza l'approvazione di quest'ultima: mancata approvazione del resto, che, secondo una costante giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato, relativa agli atti introduttivi del giudizio, costituisce un vizio normalmente suscettibile di sanatoria. Rispetto alla seconda eccezione, la Regione ha negato che il provvedimento denunciato costituisca una mera esecuzione dei decreti istitutivi della Commissione dei ricorsi, mai impugnati.

L'Avvocatura dello Stato, a nome della Presidenza del Consiglio, ha ribadito le sue tesi soprattutto negando che l'unitarietà del Governo possa essere intesa in senso così rigido come la intende la Regione.  

Considerato in diritto 

L'Avvocatura dello Stato eccepisce l'inammissibilità del ricorso promosso senza la preventiva deliberazione della Giunta regionale (legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 39, terzo comma).

La Corte ritiene di dover accogliere questa eccezione cosi come ha fatto con la sentenza n. 33 del 4 aprile 1962, per la quale il ricorso, quando non sia preceduto da una deliberazione della Giunta regionale, contrasta insanabilmente col predetto art. 39, terzo comma, della legge n. 87 del 1953. Né i due argomenti, accennati per la prima volta nella discussione orale dalla difesa della Regione siciliana, sono tali da indurre in contrario avviso.

L'argomento, secondo cui un nuovo Presidente regionale, nell'esplicare le sue funzioni, non potrebbe chiedere la collaborazione d'una Giunta già dimissionaria, di modo che in questo caso il Presidente non aveva l'onere di promuovere una preventiva deliberazione della Giunta, non sembra rilevante; se tale affermazione fosse ineccepibile nella sua prima parte, ne deriverebbe tutt'al più che gli atti, come il ricorso a questa Corte, per i quali é necessaria una deliberazione della Giunta, non potrebbero essere compiuti quando c'é un nuovo Presidente e una Giunta dimissionaria: infatti, non esiste una norma che in questa materia consenta al Presidente della Regione di sostituirsi alla Giunta o, ad ogni modo, di fare a meno della preventiva deliberazione di quest'ultima. Del resto quell'assunto é contraddetto dalla constatazione che lo stesso Presidente, prima di promuovere il ricorso, si rivolse alla Giunta regionale e che questa non poté deliberare solo per mancanza del numero legale.

L'altra argomentazione, benché formalmente nuova, é tuttavia assorbita dalla motivazione della precedente sentenza della Corte: anche se fosse esatto che, dinanzi alla Cassazione e al Consiglio di Stato, i vizi dell'atto introduttivo del giudizio o del suo titolo o dei suoi presupposti siano normalmente sanabili, tale principio urterebbe nella specie col precetto del citato art. 39, terzo comma, della legge n. 87, del 1953; la posizione, che ha la Giunta nel Governo regionale rispetto al Presidente, l'importanza dei ricorsi avanzati presso questa Corte, la delicatezza del giudizio che con essi si promuove, l'affermazione precisa e perentoria dello stesso art. 39, terzo comma, inducono necessariamente a ritenere che la preventiva deliberazione della Giunta sia un atto la cui mancanza non ammette sanatoria; la posteriore ratifica della Giunta regionale non può colmare un vuoto che ha privato fatalmente e definitivamente di consistenza o di titolo il ricorso promosso dinanzi a questa Corte.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzioni, promosso dalla Regione siciliana a seguito del decreto del Ministro per i lavori pubblici 15 marzo 1961, ai sensi del terzo comma dell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per difetto della preventiva deliberazione della Giunta regionale.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 aprile 1962.

Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 19 aprile 1962.