Sentenza n. 92 del 1962
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SENTENZA N. 92

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Dott. Mario COSATTI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

Dott. Giuseppe VERZÌ

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 82, 83 e 84 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570; degli artt. 41, 42 e 160 del R. D. 12 febbraio 1911, n. 297; degli artt. 1 e 2 del D. L. Lgt. 12 aprile 1945, n. 203; degli artt. da 1 a 5 del R. D. 26 giugno 1924, n. 1058, promosso con deliberazione emessa il 3 settembre 1961 dal Consiglio comunale di Marano di Napoli su ricorso di Guarino Giuseppe e Quaranta Giuliano, iscritta al n. 175 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 287 del 18 novembre 1961.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione in giudizio di Quaranta Giuliano e del consigliere comunale Carandente Giarruso Giuseppe;

udita nell'udienza pubblica del 17 ottobre 1962 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

uditi l'avv. Giuseppe Guarino, per il Carandente Giarruso, l'avv. Roberto Gava, per il Quaranta, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Il Consiglio comunale di Marano di Napoli, in occasione d'un giudizio relativo alle operazioni elettorali del 6-7 novembre 1960, instaurato su ricorso degli elettori Guarino e Quaranta, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 72, comma sesto, del T.U. 16 maggio 1960, n. 570; ma di tale questione la Corte costituzionale, con sentenza n. 44 del 3 luglio 1961, aveva dichiarato la non fondatezza.

Tuttavia, appena ritornato in possesso degli atti di causa, il Consiglio comunale di Marano, con deliberazione emessa il 3 settembre 1961, sollevava una nuova questione di legittimità costituzionale denunciando, in riferimento agli artt. 102, 103, 104 e 130 della Costituzione, le norme che attribuiscono ai Consigli comunali e alle Giunte provinciali amministrative la potestà di decidere le controversie in materia elettorale (artt. 82, 83 e 84 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570; 41, 42 e 160, R. D. 12 febbraio 1911, n. 297; 1 e 2 del D. L. Lgt. 12 aprile 1945, n. 203; 1 a 5 del R. D. 26 giugno 1924, n. 1058).

Nel giudizio presso questa Corte si sono costituiti, quale consigliere comunale di Marano, il sig. Giuseppe Carandente Giarruso, con deduzioni depositate il 9 dicembre 1961, e quale ricorrente nella causa di merito, il sig. Giuliano Quaranta, con deduzioni depositate nello stesso giorno. É intervenuto il Presidente del Consiglio a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 25 settembre 1961.

Hanno presentato una memoria il 4 ottobre 1962 tanto il Carandente Giarruso quanto il Presidente del Consiglio, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato.

2. - Il Consiglio comunale di Marano, nella deliberazione di rinvio, assume che tra gli organi di giustizia amministrativa ammessi dall'art. 103 della Costituzione non si possono annoverare i Consigli comunali: infatti, l'art. 103 si riferisce agli organi muniti di "competenza generale ed astratta", mentre i Consigli comunali hanno competenza limitata ad alcune categorie di controversie; indubbiamente essi, come ha affermato anche la sentenza n. 44 del 1961 della Corte costituzionale, sono giudici straordinari o speciali. Ma le giurisdizioni speciali sono vietate dall'art. 102 della Costituzione; di conseguenza le norme che attribuiscono funzioni giurisdizionali ai Consigli, poiché reintroducono una giurisdizione speciale, apparirebbero illegittime. Comunque, il Consiglio comunale di Marano dichiara di non poter decidere il giudizio di merito finche non sia risolto questo dubbio.

Altrettanto si dica - conclude la deliberazione di rinvio - di quelle altre norme che attribuiscono potestà giurisdizionale, nella stessa materia, alla Giunta provinciale amministrativa: secondo il Consiglio comunale di Marano "appare opportuno che la Corte costituzionale esamini in questa sede, anche ai fini pratici dell'ulteriore corso del giudizio", la legittimità costituzionale di tali norme.

3. - Il Carandente Giarruso ribadisce e sviluppa gli scarsi rilievi dedicati, nella deliberazione di rinvio, alla potestà giurisdizionale dei Consigli comunali.

Innanzi tutto dagli artt. 1, 102 e 104 della Costituzione e dallo stesso collocamento del titolo IV, relativo alla Magistratura, si rileverebbe che gli organi giurisdizionali devono avere carattere statale. Il che sembra da escludere per i Consigli comunali, organi del Comune che svolgono attività finanziata da quest'ultimo e non sono inquadrati nella organizzazione unitaria dello Stato. Né - precisa il Carandente in memoria - si può dire che essi assumano carattere statale allorché e in quanto esercitano funzione giurisdizionale poiché se così fosse, la garanzia dipendente dalla statualità della giurisdizione acquisterebbe un valore soltanto nominalistico.

In secondo luogo, a norma dello stesso art. 102 della Costituzione, l'attività giurisdizionale é una funzione esercitata da magistrati dell'ordine giudiziario che perciò dovrebbero essere indipendenti e imparziali, e partecipano al processo dal principio alla fine. Queste garanzie di partecipazione totale a un regolare procedimento, di indipendenza e di imparzialità sono costituzionalmente richieste - secondo il Carandente Giarruso non all'ufficio, ma alle persone dei giudici (non per nulla gli artt. 101, 102 e 108 della Costituzione parlano esclusivamente di "magistrati" e di "giudici"); in conseguenza, se il giudizio su una determinata materia é di competenza d'un collegio, 1) tutti i suoi componenti, salvo eccezioni coperte da norme costituzionali, devono prendere parte al procedimento ed essere messi in grado di sentire e valutare le argomentazioni delle parti (se così non fosse, ne verrebbe compromesso il diritto di difesa garantito dall'art. 24 che deriva dalla stessa esigenza di cui é espressione il citato art. 102); come dire che i collegi giudicanti sono sempre collegi perfetti; 2) inoltre, essi devono essere composti in prevalenza da magistrati dell'ordine giudiziario; 3) infine, ciascuno dei giudici che compone il collegio deve essere imparziale (arg. degli artt. 25 e 101 in relazione al più volte citato art. 102).

Sta di fatto che, invece, le leggi, con cui si attribuisce competenza giurisdizionale ai Consigli comunali, non rispettano nessuna delle tre predette esigenze: 1) non rispettano la prima poiché le deliberazioni del Consiglio comunale possono essere prese anche se alcuni consiglieri sono assenti o, sopraggiungendo solo all'ultimo momento, ignorano gli esatti termini della controversia, sì che tutto si riduce alla semplice votazione d'una proposta scarsamente motivata; 2) non rispettano la seconda poiché del Consiglio comunale non fa parte neanche un magistrato; 3) non rispettano la terza poiché si ammette che del collegio giudicante facciano parte gli stessi interessati (cioè i consiglieri della cui elezione si discute).

Queste censure - prosegue il Carandente Giarruso - non hanno niente a che fare col problema della sopravvivenza delle giurisdizioni speciali anteriori alla Costituzione, cioè dell'esistenza di certi organi in sé considerati. Esse attengono al funzionamento di qualunque collegio giudicante, sia ordinario che speciale: anzi in tanto le giurisdizioni speciali sono state mantenute e sono ancora in vita oltre il termine previsto dalla Costituzione in quanto non contrastino ai principi finora ricordati, primo fra tutti quello che si ricollega al diritto di difesa.

D'altra parte - conclude il Carandente Giarruso - la giurisdizione dei Consigli comunali non può considerarsi una giurisdizione speciale preesistente: infatti, la materia é stata disciplinata ex novo dalla legge del 1956 e da quella impugnata, posteriori alla Costituzione; queste leggi non si sono limitate a riprodurre le norme precedenti, ma vi hanno introdotto sostanziali innovazioni (impugnabilità della decisione adottata dallo stesso Consiglio comunale in sede amministrativa, riconoscimento del carattere giurisdizionale del ricorso alla G. P. A, obbligo del Consiglio comunale di pronunziarsi entro due mesi).

4. - Viceversa il Quaranta eccepisce l'inammissibilità di tutte le questioni di legittimità costituzionale proposte in questa causa e, in subordine, la loro infondatezza.

Inammissibili sarebbero perché la deliberazione di rinvio va considerata come un atto inesistente: siccome la causa di merito, iniziatasi il 3 dicembre 1960, dopo due mesi, anche senza tener conto del tempo trascorso per il giudizio di costituzionalità, non era stata ancora decisa, il Quaranta e il Guarino (già ricorrenti nel giudizio di merito) ne hanno investito la Giunta provinciale amministrativa, a norma dell'art. 82, comma terso, del T.U. citato, con istanza anteriore alla deliberazione di rinvio; la conseguenza sarebbe che quest'ultima é stata emessa da un organo, il Consiglio comunale, a cui la controversia, in virtù di quella norma, era stata già sottratta, cioè da un organo ormai privo di qualunque potestà giurisdizionale.

In più, relativamente agli artt. 41, 42 e 160 del R.D. 12 febbraio 1911, n. 297, l'inammissibilità deriverebbe dal fatto che non si possono denunciare alla Corte costituzionale disposizioni contenute in un regolamento, che non ha forza di legge; e, relativamente alle norme che attribuiscono potestà giurisdizionale alle Giunte provinciali amministrative in subiecta materia (artt. 1-5 del R. D. 26 giugno 1924, n. 1058, e 1-2 del D. L. Lgt. 12 aprile 1945, n. 203), la questione di legittimità costituzionale sarebbe inammissibile perché manca la motivazione della sua rilevanza in questo giudizio (anzi il Consiglio comunale di Marano prospetta la questione come rilevante in un eventuale giudizio di appello).

Infine, le questioni sarebbero infondate innanzi tutto perché gli artt. 103 e 113 della Costituzione ammettono, accanto al Consiglio di Stato, "altri organi di giustizia amministrativa" in particolari materie e tra questi organi si devono ricomprendere i Consigli comunali e le Giunte provinciali amministrative giudicanti sulle controversie elettorali (senza contare che, se si tratta di giurisdizioni speciali, esse, quando siano anteriori alla Costituzione, restano in vita finché le sopprime il Parlamento); in secondo luogo, perché l'art. 104 della Costituzione, a cui fa riferimento il Consiglio comunale di Marano, si riferisce alle giurisdizioni ordinarie e non alle giurisdizioni speciali, che invece, quanto all'indipendenza dei giudici, vengono prese in considerazione dall'art. 108, non richiamato dalla deliberazione di rinvio; né le norme impugnate contrastano con l'art. 130 della Costituzione poiché questo non riguarda l'attività giurisdizionale dei Consigli, ma il controllo della loro attività amministrativa.

5. - Anche per l'Avvocatura dello Stato tutte le questioni sono inammissibili sia perché come ha rilevato il Quaranta, la deliberazione di rinvio é stata emessa da un organo che non era più investito della controversia, sia per i motivi seguenti: la questione relativa agli artt. 82 e 83 (competenza giurisdizionale dei Consigli comunali), sarebbe inammissibile perché già decisa nello stesso processo con la sentenza n. 44 del 1961; quella relativa all'art. 84 (correzione dei risultati elettorali), perché priva di motivazione sulla rilevanza; le questioni riguardanti gli artt. 1-5 del R. D. 26 giugno 1924, n. 1058, e 1-2 del D. L. Lgt. 12 aprile 1945, n. 203 (funzione giurisdizionale della Giunta provinciale amministrativa), e gli artt. 41, 42, 160 del R.D. 12 febbraio 1911, n. 297, per motivi analoghi a quelli esposti dal Quaranta (n. 4.)

Comunque, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 82 e 83 del T.U. citato sarebbe manifestamente infondata perché le sentenze n. 42 e n. 44 del 1961 hanno già escluso che essi siano in contrasto con la Costituzione, né, precisa la memoria dell'Avvocatura dello Stato, si possono prendere in considerazione i rilievi svolti nelle deduzioni del Carandente Giarruso: infatti, questi denuncia un contrasto con norme costituzionali (artt. 1, 24, 25, 101 e 111 della Costituzione) che non sono menzionate nella deliberazione di rinvio; quanto all'art. 84 dello stesso T.U., l'infondatezza della questione sarebbe patente poiché nessuna norma costituzionale nega ai Consigli e alle Giunte quella potestà giurisdizionale di merito (correzione di risultati elettorali) che la disposizione impugnata ha ad essi attribuito; infine, la questione relativa alla potestà giurisdizionale della Giunta provinciale amministrativa in questa materia sarebbe infondata perché nessuno dei motivi addotti nei confronti dei Consigli comunali può riferirsi alla Giunta provinciale amministrativa, organo imparziale, che fa parte dell'organizzazione dello Stato e la cui attività é rigorosamente disciplinata dalla legge.

6. - Il Carandente Giarruso, nella memoria, replicando alla prima eccezione di inammissibilità proposta dal Quaranta, nega che la deliberazione di rinvio sia stata emessa da un organo ormai spoglio del potere di decidere: l'istanza rivolta dopo i due mesi alla Giunta provinciale amministrativa non basta a privare il Consiglio comunale della sua giurisdizione, conseguenza molto grave che esige, invece, una pronuncia della Giunta (avocazione); d'altra parte, la remissione degli atti del giudizio alla Corte costituzionale non solo sospende, ma addirittura interrompe il termine di due mesi entro cui il Consiglio comunale deve decidere la controversia: insomma questo termine, quando gli atti ritornano al Consiglio comunale, ricomincia a decorrere ex novo poiché il giudice del merito, dopo d'allora, si trova in una posizione identica a quella che sussisteva allorché si era instaurato il giudizio di merito. Se ciò é vero, in questa causa i due mesi non sono decorsi né dal giorno dell'instaurazione del giudizio di merito presso il Consiglio comunale a quello della prima interruzione, né dal momento del ritorno degli atti al Consiglio comunale al momento della seconda interruzione; viceversa, se ciò non fosse vero, la norma che ha introdotto il termine di due mesi sarebbe in contrasto col diritto di difesa garantito dalla Costituzione.

Quanto all'eccezione di inammissibilità proposta dall'Avvocatura generale dello Stato, secondo cui la Corte costituzionale avrebbe già deciso la questione relativa agli artt. 82 e 83 del T.U. citato, il Carandente Giarruso nega che ciò sia avvenuto: nella sentenza n. 44 del 1961 la Corte si é occupata del problema solo in via incidentale e non ha esaminato la legittimità costituzionale delle norme che riguardano la giurisdizione dei Consigli comunali.

7. - Nella discussione orale le parti hanno ribadito le proprie tesi.  

Considerato in diritto 

1. - La difesa del Quaranta e l'Avvocatura dello Stato insistono sull'inammissibilità di tutte le questioni di legittimità costituzionale: la deliberazione di rinvio a questa Corte sarebbe inesistente come atto giurisdizionale poiché verrebbe da un organo, il Consiglio comunale di Marano, non più investito della controversia; infatti, secondo questa tesi, anche se non si conteggia il tempo trascorso per il primo giudizio di legittimità costituzionale, quando é stata emessa la deliberazione di rinvio erano già passati due mesi dal giorno del ricorso al Consiglio comunale senza che questo ultimo si fosse pronunciato sul merito; di conseguenza la Giunta provinciale amministrativa, a cui uno dei promotori della causa di merito aveva fatto istanza, era già automaticamente investita del giudizio con l'effetto di privare il Consiglio comunale di Marano della originaria potestà di decidere.

L'eccezione non può essere accolta. Essa tocca un problema di dubbia soluzione, che può essere affrontato solo in altra sede; per cui questa Corte, paga di constatare che la deliberazione di rinvio é stata emanata da un organo giurisdizionale nello svolgimento di attività giurisdizionale, si ritiene legittimamente investita della questione che le é stata sottoposta (si veda la sentenza n. 65 del 1962).

Altrettanto infondata é la seconda eccezione di inammissibilità con la quale l'Avvocatura dello Stato sostiene che la questione di legittimità costituzionale relativa agli artt. 82, 83 e 84 del T.U. 16 maggio 1960, n. 570, sarebbe stata già decisa in questa causa, cioè con la precedente sentenza n. 44 del 1961. La sentenza n. 44 del 1961, respingendo un'eccezione di inammissibilità della stessa Avvocatura dello Stato, ha soltanto ribadito il carattere giurisdizionale dell'attività svolta dai Consigli comunali in questa materia; ma non si é pronunciata sulla legittimità costituzionale o meno delle norme che disciplinano quella attività.

2. - Meritano, invece, accoglimento le altre due eccezioni di inammissibilità avanzate dall'Avvocatura dello Stato e, in parte, dal Quaranta: la prima, relativa agli artt. 41, 42 e 160 del R. D. 12 febbraio 1911, n. 297, é fondata poiché queste disposizioni fanno parte d'un regolamento d'esecuzione e perciò non hanno forza di legge, dimodoché sono sottratte al sindacato della Corte costituzionale; la seconda, relativa agli artt. 1 e 2 del D. L. Lgt. 12 aprile 1945, n. 203, e 1-5 del R. D. 26 giugno 1924, n. 1058, che attribuiscono funzione giurisdizionale alla G. P. A. in materia elettorale, é anch'essa fondata poiché la questione é del tutto estranea a questa causa: in sostanza la stessa deliberazione di rinvio prospetta la questione solo per l'opportunità che sia risolto un problema così delicato.

In conclusione, il giudizio, che deve dare questa Corte, rimane circoscritto agli artt. 82, 83 e 84 del citato T.U. n. 570 del 1960.

3. - La difesa del Carandente Giarruso denuncia l'illegittimità costituzionale delle norme citate perché la giurisdizione dei Consigli comunali, essendo stata disciplinata da leggi posteriori alla Costituzione, non potrebbe considerarsi come una di quelle giurisdizioni preesistenti, che la disposizione VI ha temporaneamente salvato. La questione sotto tale aspetto é stata già decisa sia nella sentenza n. 42 del 1961, sia nell'ordinanza n. 11 del 1962, con cui la Corte ha stabilito che le norme impugnate e quelle analoghe, contenute nella legge n. 136 del 1956, hanno sostanzialmente riprodotto le disposizioni anteriori alla Costituzione; ma in questa causa vengono addotte nuove ragioni di incostituzionalità, sulle quali occorre pronunciarsi.

Secondo il Carandente Giarruso la legge n. 136 del 1956, di cui le norme impugnate sono una riproduzione letterale, non si sarebbe limitata a ripetere la legislazione precedente; ma avrebbe modificato in parte la disciplina relativa alla giurisdizione dei Consigli comunali: cioè avrebbe introdotto norme nuove, come l'obbligo dei Consigli comunali di decidere entro due mesi, l'impugnabilità, presso lo stesso Consiglio comunale, delle decisioni adottate dal Consiglio in sede amministrativa, la natura giurisdizionale del ricorso alla Giunta provinciale amministrativa.

Questa affermazione non é esatta; il semplice confronto degli artt. 53 e segg. del D. L. Lgt. n. 1 del 1946 con le norme impugnate (e con l'art. 43 della legge n. 136 del 1956) mostra subito che le pretese innovazioni non sussistono: l'obbligo di decidere entro due mesi e l'impugnabilità delle deliberazioni emesse in sede amministrativa erano previsti anche dal D. L. Lgt. del 1946 (art. 54, quarto comma; art. 55, terzo comma), mentre il carattere giurisdizionale del procedimento che si svolge dinanzi alla G. P. A, benché non dichiarato, era implicito nello stesso D. L. Lgt.; di modo che le leggi posteriori alla Costituzione si sono limitate, rispetto a quelle anteriori, a mutamenti che non vanno oltre la formulazione degli articoli.

Se non ci sono state sostanziali innovazioni, é da escludere che possa considerarsi violato il secondo comma dell'art. 102, una norma che vieta soltanto l'introduzione di altre giurisdizioni speciali: non é un'altra giurisdizione quella che le leggi posteriori alla Costituzione hanno mantenuto tale quale era prima e quale sarebbe stata senza di esse.

Si é denunciato il fatto che quelle leggi sono successive alla Costituzione, cioè sono state emanate nel tempo in cui ogni giurisdizione speciale doveva essere sottoposta a revisione dal Parlamento (disp. VI): poiché non hanno adempiuto a questo obbligo, esse sarebbero costituzionalmente illegittime; ma neanche questo, a parere della Corte, é un motivo di incostituzionalità. Dalla disposizione VI si ricava anzi che l'Assemblea costituente non ha voluto sopprimere le giurisdizioni speciali preesistenti, ma sottoporle a revisione; che la revisione, comportando una scelta delicata fra la soppressione pura e semplice e la trasformazione, é stata affidata esclusivamente al Parlamento; che, come si é stabilito in una precedente sentenza, il quinquennio, entro cui questa scelta doveva essere attuata, non é un termine perentorio; che perciò la mancata revisione d'una giurisdizione speciale ad opera d'una legge recente non é materia di giudizio di legittimità costituzionale.

4. - Posto ciò, quelle, tra le ulteriori denuncie, che riguardano la natura, la formazione e la composizione del collegio giudicante, si rivelano subito infondate.

Infatti, che i Consigli comunali, pur giudicando in nome del popolo ed in ciò facendo parte dell'organizzazione unitaria dello Stato, non siano organi statali in senso stretto, si potrebbe anche ammettere; ma si tratterebbe a ogni modo di una semplice anomalia connessa con la specialità della giurisdizione e perciò non contrastante con norme costituzionali (art. 102), che si riferiscono soltanto alla Magistratura ordinaria e alle sezioni specializzate.

Analogo discorso vale per l'altro rilievo secondo cui i giudici collegiali, a norma della Costituzione, dovrebbero essere sempre collegi perfetti, tali che non possano pronunciarsi senza la partecipazione di tutti i propri componenti. Effettivamente, che i collegi giudicanti siano collegi perfetti si ricava dalle norme dell'ordinamento giudiziario al quale rinvia il citato primo comma dell'art. 102; ma queste norme non si estendono ai vecchi collegi competenti in materia di giurisdizione speciale.

Altrettanto si dica di quella denuncia con cui si afferma che, secondo la Costituzione, una parte dei componenti d'ogni collegio giudicante devono essere giudici ordinari. Ciò é vero tutt'al più per le sezioni specializzate di vecchia e nuova istituzione; ma non per le preesistenti giurisdizioni speciali, fra le cui caratteristiche c'é proprio quella di una particolare composizione del collegio.

5. - Con questo non si vuoi dire che le vecchie giurisdizioni speciali, appunto perché coperte dalla disposizione VI, sfuggano a qualunque giudizio di costituzionalità. La Corte ritiene, invece, che anche presso gli organi di giurisdizione speciale debbano essere garantiti sia il diritto di difesa, sia l'indipendenza e l'imparzialità del giudicante; indipendenza e imparzialità, che, prima ancora d'essere scritte in disposizioni particolari della Costituzione, come l'art. 108, riposano nel complesso delle norme costituzionali relative alla Magistratura e al diritto di difesa. Perciò le denuncie avanzate in proposito dal Carandente Giarruso meritano la più attenta considerazione.

Questi afferma innanzi tutto che il diritto di difesa sarebbe compromesso in un giudizio, come quello dei Consigli comunali, a cui partecipano anche i consiglieri che non conoscono le argomentazioni delle parti. Ma la censura, in concreto, non ha fondamento: nel contenzioso elettorale le argomentazioni delle parti sono avanzate soltanto col ricorso e colle controdeduzioni che qualunque interessato può presentare prima della seduta consiliare; di modo che tutti i consiglieri, anche quelli che sopraggiungano al momento della votazione, possono essere al corrente delle ragioni delle parti, consacrate negli scritti difensivi, e sono in grado di decidere.

6. - Resta un'ultima censura, piuttosto accennata che svolta: la deliberazione di rinvio, col richiamo agli artt. 104 e 130 della Costituzione, e le deduzioni del Carandente Giarruso negano che i Consigli comunali siano giudici indipendenti e imparziali. Ma neanche questa censura può essere accolta, benché la Corte non ne dissimuli il peso.

In verità, se si allude all'indipendenza dell'organo giudicante da altri organi o poteri, può rispondersi che il controllo a cui é sottoposta l'attività amministrativa dei Consigli comunali non implica ne rapporto gerarchico, né soggezione formale o sostanziale. Sotto questo aspetto il libero esercizio della potestà giurisdizionale sembra garantito proprio da quell'autonomia comunale, in cui sono confluite antiche tradizioni cittadine e moderne concezioni sull'investitura popolare.

Se ci si riferisce all'indipendenza del giudice dagli interessi dedotti nel giudizio (c. d. imparzialità), a prima vista può sembrare che il Consiglio comunale sia un collegio giudicante composto dagli stessi interessati (consiglieri la cui elezione é contestata), cioè un vero e proprio "giudice in causa propria". Ma a ben guardare la situazione é sostanzialmente diversa.

Innanzi tutto si deve tener conto del fatto che, quando sia contestata l'elezione di un singolo consigliere, egli non può partecipare alla decisione (art. 275 della legge comunale e provinciale). Inoltre, a rigore, neanche quando si contesti la nomina di tutti i componenti d'una lista o genericamente il risultato delle operazioni elettorali si può dire che il Consiglio comunale sia un giudice in causa propria: infatti, più che giudicare d'un suo interesse in contrasto con quello dell'eventuale ricorrente, esso giudica della legittimità della propria composizione; il che ha sempre fatto e può fare in quanto é un collegio dotato di quella particolare autonomia che gli deriva, tradizionalmente, dal voto cittadino; ciò che da una precedente sentenza della Corte é stato già rilevato (sentenza n. 42 del 1961).  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

accoglie le eccezioni di inammissibilità relative alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1-5 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1058, 1-2 del D.L.Lgt. 12 aprile 1945, n. 203, e 41, 42 e 160 del R.D. 12 febbraio 1911, n. 297;

respinge le altre eccezioni pregiudiziali;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 82, 83 e 84 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (T. U. delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali), proposta con deliberazione 3 settembre 1961 dal Consiglio comunale di Marano di Napoli, in riferimento agli artt. 102, 103, 104 e 130 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 novembre 1962.

Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ

 

Depositata in cancelleria il 22 novembre 1962.