Sentenza n. 200 del 2020

CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 200

ANNO 2020

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Mario Rosario MORELLI;

Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1 e 2, e 30, comma 1, della legge della Regione Liguria 27 dicembre 2018, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2019), e della legge della Regione Liguria 19 aprile 2019, n. 5 (Norma di interpretazione autentica), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati il 1°-8 marzo e il 24-27 giugno 2019, depositati in cancelleria rispettivamente l’8 marzo e il 28 giugno 2019, iscritti ai numeri 41 e 74 del registro ricorsi 2019 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 22 e 34, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visti gli atti di costituzione della Regione Liguria;

udito nella udienza pubblica del 22 luglio 2020 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Ettore Pafundi per la Regione Liguria;

deliberato nella camera di consiglio del 22 luglio 2020.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso iscritto al registro ricorsi n. 41 del 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1, 2, 9, 10 e 11 (recte: gli articoli 2, commi 1 e 2) e 30 (recte: 30, comma 1) della legge della Regione Liguria 27 dicembre 2018, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2019).

1.1.– L’art. 2, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 è impugnato per violazione degli artt. 51, primo comma, 97, quarto comma, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in relazione all’art. 70 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) e all’art. 6 del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi). La disposizione regionale impugnata ha riscritto l’intero testo dell’art. 6 della legge della Regione Liguria 25 marzo 1996, n. 15 (Norme sull’assunzione agli impieghi regionali), rubricato «Calendario e svolgimento delle prove». Al comma 1, nel testo sostituito, si prevede quanto segue: «Il diario delle prove è pubblicato nel sito internet istituzionale dell’Ente, con valenza di notifica ai candidati a tutti gli effetti, non meno di quindici giorni prima dell’inizio delle prove scritte e non meno di venti giorni prima dell'inizio della prova orale. Qualora il ridotto numero dei candidati lo consenta, la convocazione alle suddette prove può essere effettuata con comunicazione scritta tramite posta elettronica certificata o raccomandata con avviso di ricevimento, nel rispetto dei predetti termini di preavviso. La comunicazione del diario delle prove scritte può essere già contenuta nel bando di concorso».

Secondo il ricorrente, tale disposizione contrasterebbe con la normativa statale, in particolare, con l’art. 6, comma 1, del d.P.R. n. 487 del 1994, quale richiamato dall’art. 70, comma 13, del d.lgs. n. 165 del 2001. L’art. 6, comma 1, del d.P.R. n. 487 del 1994 stabilisce quanto segue: «Il diario delle prove scritte deve essere comunicato ai singoli candidati almeno quindici giorni prima dell'inizio delle prove medesime. Tale comunicazione può essere sostituita dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica – 4a serie speciale – concorsi ed esami». Il contrasto tra la norma regionale e quella statale starebbe nel fatto che la prima – così afferma il ricorrente – «contempla, in alternativa alla comunicazione personale, la pubblicazione del diario delle predette prove nella Gazzetta Ufficiale». Il ricorrente invoca, in proposito, il «consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa» secondo cui «le forme di pubblicità previste dal D.P.R. n. 487 del 1994 citato, che rappresentano una diretta attuazione degli articoli 51 e 97 della Costituzione, non risultano in alcun modo sostituite dalle forme di "adeguata pubblicità” della selezione e modalità di svolgimento previste dall’articolo 35, comma 3, lett. a), del D.lgs. n. 165 del 2001 citato».

1.2.– L’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 ha sostituito l’intero testo dell’art. 16 della legge reg. Liguria n. 15 del 1996, recante la disciplina della selezione pubblica per le assunzioni di personale regionale a tempo determinato. Oggetto di censura da parte dello Stato sono i soli commi 9, 10 e 11 del testo così introdotto.

Il comma 9 dell’art. 16, come sostituito dalla norma regionale impugnata, prevede come meramente facoltativo, e non come obbligatorio, l’accertamento – in sede di procedura concorsuale – della conoscenza da parte dei candidati dell’uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse. Questa previsione contrasterebbe con quanto stabilisce l’art. 37, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, a norma del quale i bandi di concorso per l’accesso alle pubbliche amministrazioni devono prevedere, quale requisito di ammissione, tra gli altri, la conoscenza da parte dei candidati proprio dell’uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse. Si avrebbe, pertanto, una violazione degli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Il comma 10 dello stesso art. 16 stabilisce che le assunzioni a tempo determinato «avvengono per chiamata dei candidati nel rispetto dell’ordine di avviamento o graduatoria» e che, nel caso sia necessario assumere più dipendenti con uguale decorrenza, e per periodi di diversa durata, «l’assunzione per il periodo più lungo avviene nei confronti dei candidati risultati idonei seguendo l’ordine della graduatoria o dell’elenco». Secondo il ricorrente si avrebbe, in tal modo, una disciplina difforme da quella statale (di cui all’art. 1, comma 361, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021»), che limita l’utilizzazione delle graduatorie dei concorsi esclusivamente per la copertura dei posti messi a concorso. Ne deriverebbe la violazione degli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Il comma 11 dello stesso art. 16 stabilisce quanto segue: «I candidati che si trovino nel periodo corrispondente all’interdizione anticipata dal lavoro e all’astensione obbligatoria per maternità hanno titolo a permanere in graduatoria e ad essere richiamati in caso di ulteriore utilizzo della graduatoria stessa da parte dell’Amministrazione al termine del predetto periodo». Questa disposizione, a giudizio del ricorrente, detterebbe «regole peculiari in relazione alla fattispecie del personale in aspettativa per maternità», introducendo «una discriminazione in ragione dello stato di gravidanza», con violazione del principio di non discriminazione in base al sesso di cui all’art. 3 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53). Secondo il ricorrente, infatti, la norma regionale impugnata consentirebbe all’amministrazione di derogare, «per le candidate in astensione per maternità», dall’ordine di merito della graduatoria, consentendo altresì «di non utilizzare la stessa graduatoria, una volta trascorso il periodo di interdizione anticipata o di astensione obbligatoria dal lavoro», in tal modo sostanzialmente «negando [...] il diritto alla assunzione in servizio». Ne deriverebbe la violazione degli artt. 2, 3, 31 e 51 Cost.

1.3.– L’art. 30 della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 ha introdotto, al comma 1, una norma di «interpretazione autentica» dell’art. 29, comma 2, lettera d), secondo periodo, della legge della Regione Liguria 17 agosto 2006, n. 25 (Disposizioni sull’autonomia del Consiglio regionale Assemblea legislativa della Liguria).

Quest’ultima disposizione, nel riferirsi al personale dell’Ufficio stampa dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa regionale, prevedeva che, «[s]ino alla data di entrata in vigore dell’apposito accordo collettivo nazionale quadro relativo alla costituzione del profilo professionale del personale addetto alle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni», al personale dell’Ufficio stampa venissero attribuiti i profili professionali dei giornalisti previsti dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, nonché l’equivalente economico previsto dal medesimo contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti per i relativi profili.

Con la norma di interpretazione autentica oggetto dell’impugnativa dello Stato, si è stabilito che l’accordo collettivo nazionale quadro (la cui entrata in vigore funge da spartiacque temporale per la definizione del regime giuridico ed economico del personale de quo) «è quello definito a seguito dell’apposita sequenza contrattuale di cui alla dichiarazione congiunta n. 8 al CCNL funzioni locali del 21 maggio 2018». La stessa norma impugnata ha poi aggiunto: «Rimane comunque ferma l’applicazione dei "profili professionali dei giornalisti previsti dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, nonché l’equivalente economico previsto dal medesimo contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti per i relativi profili” nei confronti del personale assunto con contratto a tempo determinato anteriormente alla data del 21 maggio 2018».

In sostanza, sostiene il Presidente del Consiglio dei ministri, il regime giuridico ed economico che la legge regionale del 2006 aveva transitoriamente applicato al personale dell’Ufficio stampa (quello previsto dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti) rimarrebbe comunque vigente per tutti coloro che sono stati assunti prima del 21 maggio 2018, nonostante l’avverarsi della condizione risolutiva che era stata prevista dalla norma del 2006.

Secondo il ricorrente, la norma impugnata avrebbe un contenuto innovativo (e non di mera interpretazione) dell’art. 29, comma 2, lettera d), secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 25 del 2006 e finirebbe «per cristallizzare il trattamento economico e giuridico applicabile al personale assunto in data anteriore al 21 maggio 2018». Nel ricordare che l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali presso gli uffici stampa «sono affidate alla contrattazione collettiva nell’ambito di una speciale area di contrattazione», secondo quanto prevede l’art. 9, comma 5, della legge 7 giugno 2000, n. 150 (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni), il ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il rapporto di impiego alle dipendenze di Regioni ed Enti locali, in seguito alla privatizzazione, è retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed è, perciò, soggetto alle regole che garantiscono l’uniformità di tale tipo di rapporti. Quelli derivanti dalla legge statale sarebbero, pertanto, «limiti di diritto privato, fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati». In tale quadro, si ricaverebbe il principio per cui il trattamento economico dei dipendenti pubblici deve essere regolato mediante contratti collettivi, principio che si porrebbe quale limite alla potestà legislativa regionale in materia.

La disposizione impugnata, pertanto, risulterebbe in contrasto con gli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., posto che, con riferimento al personale assunto entro il 21 maggio 2018, non si limiterebbe a rinviare alla contrattazione collettiva, ma specificherebbe essa stessa il trattamento economico che deve essere riconosciuto, facendo di tale disciplina «il frutto, non del libero esplicarsi dell’autonomia negoziale collettiva, bensì dell’intervento del legislatore». Essa infatti «non dispone che il rapporto di lavoro di detto personale debba essere regolato dalla contrattazione collettiva, bensì individua il trattamento che si deve applicare a quel personale», non consentendo che gli agenti negoziali rappresentativi delle categorie interessate possano contrattare alcunché in proposito.

2.– Si è costituita in giudizio la Regione Liguria, in persona del proprio Presidente pro tempore, chiedendo il rigetto del ricorso, previa disamina, nel merito, delle singole questioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

2.1.– Relativamente alla prima delle questioni sollevate, la Regione – nel lamentare «una sospetta sinteticità» del motivo complessivamente considerato – ha innanzitutto eccepito l’inammissibilità della censura concernente la violazione, da parte dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto «generica» e non argomentata «in alcun modo».

Nel merito, ha invocato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la regolamentazione delle modalità di accesso al lavoro pubblico regionale rientrerebbe nella competenza residuale delle Regioni a norma dell’art. 117, quarto comma, Cost. (in specie, è citata la sentenza n. 380 del 2004).

Quanto, poi, alle ulteriori censure ex artt. 51, primo comma, e 97, quarto comma, Cost., la Regione osserva che «è proprio l’art. 6, comma 1, del DPR n. 487 a consentire che la comunicazione al singolo ammetta l’equipollente della pubblicazione in G.U.», con ciò introducendo «il principio di libertà delle forme e di adeguatezza». Del resto, aggiunge la resistente, l’art. 32, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile) ha stabilito che, con decorrenza 1° gennaio 2010, gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei siti informatici delle amministrazioni stesse.

In definitiva, precisa la Regione, «nemmeno la norma statale esige la inderogabilità della comunicazione del diario delle prove ai singoli candidati». In tale quadro, la disposizione regionale impugnata sarebbe «pienamente in sintonia con i principi desumibili dalle richiamate normative statali e rende per ciò solo adeguata la conoscibilità dell’atto da parte di quanti, avendo avanzato domanda di partecipazione alla procedura concorsuale, siano già edotti della pendenza della procedura».

2.2.– La Regione resistente eccepisce, inoltre, la genericità, e quindi l’inammissibilità, delle censure avversarie anche con riguardo alla seconda questione sollevata, con riferimento all’impugnazione dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, nella parte in cui introduce il comma 9 del nuovo art. 16 della legge reg. Liguria n. 15 del 1996 (concernente la natura meramente facoltativa dell’accertamento, rimesso alla commissione giudicatrice dei concorsi per l’assunzione di dipendenti regionali a tempo determinato, delle competenze informatiche dei candidati). Tale impugnazione non sarebbe in alcun modo argomentata e si limiterebbe «per lo più a mere affermazioni».

Nel merito, la Regione ribadisce che le procedure di selezione del personale dipendente delle Regioni non andrebbero ascritte alla materia dell’ordinamento civile ma, collocandosi a monte dell’instaurando rapporto di impiego, rientrerebbero nella competenza regionale residuale in materia di organizzazione degli uffici regionali, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.

Inammissibile, «in assenza di sviluppo, sia pur embrionale, delle argomentazioni», sarebbe poi il profilo di dedotta violazione degli artt. 3 e 51 Cost.

Quanto alla censura che fa leva sull’art. 97 Cost., la Regione resistente – sul presupposto che, mediante tale censura, il ricorrente abbia voluto dolersi di una selezione non adeguata dei candidati, in spregio al principio di buon andamento – obietta che la norma impugnata riguarda solo le selezioni di personale a tempo determinato, laddove l’art. 37 del d.lgs. n. 165 del 2001, invocato quale norma interposta, farebbe riferimento solo alle procedure concorsuali per l’accesso a tempo indeterminato. Tale diversità giustificherebbe, quindi, le diverse conoscenze richieste. Del resto, secondo la Regione, apparirebbe ragionevole rimettere alla discrezionalità dell’amministrazione procedente la scelta di richiedere la valutazione delle cognizioni informatiche e linguistiche «in considerazione della durata dell’incarico da ricoprire e della mansione di maggiore o minore responsabilità da occupare».

2.3.– Quanto, poi, ai commi 10 e 11 dell’art. 16 novellato, introdotti anch’essi dall’impugnato art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, la Regione resistente riferisce che essi sono stati abrogati «nella seduta del Consiglio Regionale del 9 aprile u.s.». L’abrogazione, in effetti, risulta essere stata disposta dall’art. 3, comma 1, della legge della Regione Liguria 19 aprile 2019, n. 4, recante «Modifiche alla legge regionale 27 dicembre 2018, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2019) e altre disposizioni di adeguamento». Ne deriverebbe, ad avviso della resistente, la cessazione della materia del contendere.

2.4.– Quanto, infine, alla terza questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, concernente la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, la Regione resistente, nella memoria di costituzione in giudizio, ha annunciato il proprio «intendimento» di «abrogare la norma», omettendo, pertanto, di svolgere difese.

3.– Con ricorso iscritto al n. 74 del registro ricorsi 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri ha successivamente impugnato l’intera legge della Regione Liguria 19 aprile 2019, n. 5 (Norma di interpretazione autentica).

Questa legge regionale – dopo che, con l’art. 1, comma 1, della coeva legge reg. Liguria n. 4 del 2019, era stata abrogata la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 – ha introdotto una nuova disposizione di interpretazione autentica dell’art. 29, comma 2, lettera d), della legge reg. Liguria n. 25 del 2006. Essa dispone quanto segue: «Alla lettera d) del comma 2 dell’articolo 29 della legge regionale 17 agosto 2006, n. 25 (Disposizioni sull’autonomia del Consiglio regionale Assemblea Legislativa della Liguria) e successive modificazioni e integrazioni, le parole: "sino alla data di entrata in vigore dell’apposito accordo collettivo nazionale quadro relativo alla costituzione del profilo professionale del personale addetto alle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni” si interpretano nel senso che l’accordo collettivo nazionale quadro è quello definito a seguito dell’apposita sequenza contrattuale di cui alla dichiarazione congiunta n. 8 al contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) funzioni locali del 21 maggio 2018».

In sostanza, la nuova norma di interpretazione autentica ha riprodotto la prima parte di quella precedente – ribadendo, quindi, che l’accordo collettivo nazionale quadro destinato a fungere da spartiacque temporale per il regime giuridico ed economico del personale dell’Ufficio Stampa deve considerarsi quello definito a seguito della sequenza contrattuale di cui alla citata dichiarazione congiunta n. 8 – mentre ne ha espunto la seconda parte, quella che aveva formato oggetto delle censure di incostituzionalità dello Stato, di cui al ricorso iscritto al n. 41 del reg. ric. 2019.

Ciò nondimeno, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che anche la sopravvenuta norma regionale del 2019 continui a presentare «un contenuto non limitato a una mera funzione interpretativa», essendo anch’essa diretta ad innovare il contenuto precettivo della disposizione del 2006. L’effetto della novella del 2019 sarebbe, infatti, quello di posticipare l’applicazione delle previsioni del Contratto collettivo nazionale di lavoro (da ora in avanti: CCNL) del comparto «Funzioni locali», per il periodo 2016-2018, sottoscritto in data 21 maggio 2018. Anche la nuova norma regionale, pertanto, si porrebbe in contrasto con il principio generale che riserva alla contrattazione collettiva il trattamento economico dei dipendenti pubblici. Ciò avverrebbe nel solco di quanto previsto, a livello statale, dalla legge n. 150 del 2000, con connotati di specialità rispetto al d.lgs. n. 165 del 2001. Nell’ambito del processo di contrattualizzazione del lavoro pubblico, essa ha previsto una specifica area di contrattazione per gli addetti agli uffici stampa nella pubblica amministrazione. A sua volta – ricorda il ricorrente – l’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001, nel testo novellato dal d.lgs. n. 150 del 2009, ha ridotto a quattro i comparti di contrattazione collettiva nazionale nel pubblico impiego e ha previsto che, nell’ambito di tali comparti, possono essere istituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità.

Le richiamate disposizioni statali sarebbero espressione della competenza esclusiva dello Stato nella disciplina del rapporto di lavoro pubblico, anche in riferimento al personale di aree professionali specifiche, e della riserva di contrattazione collettiva. Ne deriverebbe l’illegittimità dell’intervento normativo regionale, pur se caratterizzato da natura transitoria, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Si avrebbe, inoltre, una disparità di trattamento tra dipendenti pubblici, in violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., insieme al «contrasto con i principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’articolo 97 Cost.».

Del resto, aggiunge il ricorrente, la richiamata dichiarazione congiunta n. 8 al CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018, lungi dall’escludere l’applicazione del medesimo CCNL al personale addetto agli uffici stampa, si sarebbe limitata a prevedere un’apposita sequenza contrattuale, ovvero «una specifica regolazione di raccordo, anche ai sensi dell’art. 2, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che provveda a disciplinare l’applicazione della citata disposizione contrattuale nei confronti del personale al quale, in forza di specifiche, vigenti norme di legge regionale in materia, sia stata applicata una diversa disciplina contrattuale nazionale, seppure in via transitoria». La disapplicazione del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018, da parte del legislatore regionale, non sarebbe quindi, a giudizio del ricorrente, «neppure sotto il profilo letterale, compatibile con il contenuto della citata dichiarazione congiunta».

4.– Anche con riferimento al ricorso ora in esame, si è costituita in giudizio la Regione Liguria, in persona del proprio Presidente pro tempore, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.

La Regione evidenzia, anzitutto, la natura transitoria della disposizione contenuta nell’art. 29, comma 2, lettera d), della legge reg. Liguria n. 25 del 2006. Tale disposizione, nell’attesa dell’entrata in vigore della fonte contrattuale nazionale, avrebbe chiarito che i profili professionali riguardanti i giornalisti dell’Ufficio stampa avrebbero dovuto essere disciplinati dal contratto collettivo valido per i giornalisti. A distanza di 18 anni dalla legge statale è stato firmato il CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018, relativo al comparto «Funzioni locali», il cui art. 18-bis ha descritto il profilo professionale di giornalista addetto all’ufficio stampa di Regioni ed Enti locali.

Tale art. 18-bis, tuttavia, riguarderebbe – secondo la Regione – solo l’inquadramento del personale da assumere presso gli uffici stampa regionali. Esso sarebbe quindi «inidoneo» a ricostruire correttamente la posizione economico-giuridica raggiunta dal personale già in servizio, come risulterebbe confermato anche dal tenore della dichiarazione congiunta n. 8 con la quale le parti firmatarie avrebbero convenuto di rimandare, ad apposita e futura sequenza contrattuale di raccordo, l’applicazione dell’art. 18-bis nei confronti del personale degli uffici stampa che, in via transitoria, era stato destinatario di una diversa disciplina contrattuale nazionale (come è accaduto proprio con riguardo ai dipendenti dell’Ufficio stampa oggetto delle norme regionali impugnate, cui è stato transitoriamente applicato il contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, ai sensi dell’art. 29, comma 2, lettera d, della legge reg. Liguria n. 25 del 2006).

Il tutto, quindi, si iscriverebbe nella cornice di quanto previsto dall’art. 9, comma 5, della legge n. 150 del 2000, ai fini dell’individuazione e della regolamentazione dei profili professionali indicati dalla contrattazione collettiva, nell’ambito di una speciale area di contrattazione separata con l’intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti.

Di conseguenza, a giudizio della Regione, il regime transitorio delineato dall’art. 29, comma 2, lettera d), secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 25 del 2006 non poteva dirsi cessato a seguito dell’entrata in vigore del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018. Con la norma di interpretazione autentica oggetto di impugnativa, la Regione si sarebbe limitata a trarre «le naturali conseguenze dalla volontà delle parti come espressamente manifestata nella sede della contrattazione nazionale con la dichiarazione congiunta n. 8, volontà orientata a dare attuazione al CCNL Funzioni Locali secondo una sequenza procedimentale a sé stante, che proprio la dichiarazione congiunta n. 8 descrive ed il successivo accordo sottoscritto anche con la FNSI andrà a definire». In sostanza, quindi, la Regione non avrebbe assunto iniziative autonome, ma si sarebbe limitata a dare applicazione ad una volontà emersa nella competente sede contrattuale nazionale. Ne deriverebbe il rispetto del riparto di competenze di cui all’art. 117 Cost.

Del resto, aggiunge la Regione, «sotto il profilo pratico», l’applicazione di un contratto collettivo nazionale di lavoro, specie laddove comporti nuovi inquadramenti di personale, non è affatto «automatica», poiché è necessaria l’adozione di «atti interni», e viene spesso definita in seguito a indicazioni fornite dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN).

In conclusione, l’impugnata norma di interpretazione autentica regolerebbe solo i rapporti di lavoro in essere, rimanendo fermo che l’assunzione di nuovo personale presso gli uffici stampa regionali avverrà in esecuzione del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018.

5.– A seguito del rinvio di entrambe le cause a nuovo ruolo, disposto con decreto presidenziale del 9 marzo 2020, sia il Presidente del Consiglio dei ministri, sia la Regione Liguria, con memorie successivamente depositate, hanno ribadito, con riferimento a entrambi i ricorsi, le argomentazioni difensive già illustrate.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, con ricorso iscritto al n. 41 del registro ricorsi 2019, alcune disposizioni della legge della Regione Liguria 27 dicembre 2018, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2019), nonché, con successivo ricorso iscritto al n. 74 del registro ricorsi 2019, l’intera legge della Regione Liguria 19 aprile 2019, n. 5 (Norma di interpretazione autentica), deducendo la violazione degli artt. 2, 3, 31, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

Quanto al primo dei ricorsi, lo scrutinio è limitato agli artt. 2, commi 1 e 2, e 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018.

Resta riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni proposte con lo stesso.

Il secondo dei due ricorsi riguarda una disciplina che, come verrà chiarito più avanti, è strettamente connessa a quella dettata dall’art. 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018.

I giudizi, così delimitati, devono pertanto essere riuniti, in ragione della loro connessione oggettiva, per essere trattati congiuntamente e decisi con un’unica pronuncia.

2.– L’art. 2, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, nel sostituire l’intero art. 6 della legge della Regione Liguria 25 marzo 1996, n. 15 (Norme sull’assunzione agli impieghi regionali), ha disciplinato, nel novellato comma 1 di quest’ultimo, le modalità di pubblicazione e comunicazione del diario delle prove dei concorsi per l’accesso agli impieghi regionali.

Il ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera l), 51, primo comma, e 97, quarto comma, Cost. Risulterebbe violata la competenza dello Stato in materia di ordinamento civile, posto che le forme di pubblicità indicate dalla norma regionale non corrisponderebbero a quelle previste dall’art. 6, comma 1, del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi), come richiamato dall’art. 70, comma 13, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). Inoltre, secondo il ricorrente, le forme di pubblicità previste dall’art. 6, comma 1, del d.P.R. n. 487 del 1994 rappresenterebbero una «diretta attuazione» degli artt. 51 e 97 Cost., con conseguente violazione anche di tali parametri.

2.1.– La Regione Liguria ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità della questione per genericità, in quanto essa risentirebbe di una «sospetta sinteticità» e la censura dedotta non sarebbe argomentata «in alcun modo».

L’eccezione non è fondata.

Le censure formulate dal ricorrente sono unitarie e denunciano, con sufficiente chiarezza, la violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia dell’ordinamento civile, che includerebbe, nella prospettazione del ricorso, anche la disciplina delle forme di pubblicità del calendario delle prove di esame, in quanto attinente al lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e diretta espressione dei princìpi sanciti dagli artt. 51 e 97 Cost.

2.2.– Nel merito, la questione non è fondata.

La norma regionale impugnata, che regola la pubblicazione del diario delle prove di concorso e le modalità di convocazione dei candidati, rientra nella competenza legislativa residuale della Regione ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, la disciplina dei concorsi per l’accesso al lavoro pubblico è sottratta all’incidenza della privatizzazione del lavoro presso le pubbliche amministrazioni, riferita alla disciplina del rapporto già instaurato. I profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico regionale «rientrano nell’ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, e quindi appartengono alla competenza legislativa residuale della Regione» (ex multis, sentenza n. 126 del 2020, punto 5.1 del Considerato in diritto; sentenza n. 191 del 2017, punto 5.4 del Considerato in diritto; sentenza n. 149 del 2012, punto 4.2 del Considerato in diritto).

La precisazione delle modalità con cui deve avvenire la pubblicazione del diario delle prove, nonché la convocazione dei singoli candidati, costituisce un profilo inerente alla disciplina della procedura concorsuale pubblicistica per l’accesso ai ruoli regionali e, come tale, rientra nella competenza residuale delle Regioni.

Nel caso di specie, peraltro, questa competenza è stata esercitata dalla Regione Liguria adottando forme di pubblicità che appaiono non solo adeguate allo scopo, nel rispetto dei principi di trasparenza della procedura e di accessibilità in favore dei candidati, ma anche in linea con gli intendimenti generali fatti propri dallo stesso legislatore statale. È prevista, infatti, la pubblicazione del diario nel sito istituzionale dell’ente, in coerenza con la regola generale dettata, in materia di pubblicità legale degli atti e dei provvedimenti amministrativi, dall’art. 32, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), facendo ricorso comunque, «[q]ualora il ridotto numero dei candidati lo consenta», alla comunicazione scritta personale ai singoli candidati. Nell’esercitare la propria competenza residuale, pertanto, la Regione non incorre neanche nella dedotta violazione degli artt. 51 e 97 Cost.

3.– L’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 è censurato dal Presidente del Consiglio dei ministri nelle parti in cui riscrive i commi 9, 10 e 11 dell’art. 16 della legge reg. Liguria n. 15 del 1996 (rubricato «Selezione pubblica per assunzioni di personale a tempo determinato»).

Il nuovo comma 9 dell’art. 16 della legge reg. Liguria n. 15 del 1996 stabilisce che, per le assunzioni «in tutte le categorie», «può essere previsto anche l’accertamento della conoscenza dell’uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse». Secondo il ricorrente, la previsione di un simile accertamento come facoltativo, e non come obbligatorio, determinerebbe la violazione degli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., avuto riguardo a quanto prevede la corrispondente normativa statale in tema di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, di cui all’art. 37, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001.

3.1.– La Regione Liguria ha, anche in questo caso, eccepito l’inammissibilità delle questioni, assumendo la genericità delle censure statali, in quanto non argomentate e limitate «a mere affermazioni».

L’eccezione non è fondata.

Le censure proposte dall’Avvocatura dello Stato, pur sintetiche, seguono un’argomentazione idonea a prospettare la dedotta invasione della competenza esclusiva statale, coerentemente sorretta dal richiamo agli artt. 3, 51 e 97.

3.2.– La questione non è fondata.

In sede di concorso per accedere a impieghi regionali, la valutazione discrezionale circa la conoscenza da parte dei candidati delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse costituisce uno degli aspetti riconducibili alla materia dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali. Tale discrezionalità non può che manifestarsi «nella fase anteriore all’instaurazione del contratto di lavoro e incide in modo diretto sul comportamento delle amministrazioni nell’organizzazione delle proprie risorse umane e solo in via riflessa ed eventualmente sulle posizioni soggettive» (da ultimo, sentenza n. 241 del 2018).

La disposizione della legge regionale in esame è da ricondurre alla competenza residuale della Regione (art. 117, quarto comma, Cost.). Nell’esercizio della propria discrezionalità in materia ben può la Regione calibrare i requisiti di accesso alle selezioni pubbliche in relazione al profilo professionale di volta in volta valutato, affiancando le conoscenze informatiche ad altri requisiti ritenuti pertinenti per lo svolgimento delle mansioni dedotte nel contratto. La formulazione della disposizione impugnata, nel prevedere come meramente facoltativo l’accertamento delle conoscenze informatiche, consente all’amministrazione di valutarne l’effettiva necessità, in coerenza con i principi di parità nell’accesso agli uffici pubblici e di buon andamento dell’amministrazione, sottesi agli invocati artt. 3, 51 e 97 Cost.

4.– L’art. 16, comma 10, della legge reg. Liguria n. 15 del 1996, quale sostituito dall’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, stabilisce quanto segue: «Le assunzioni a tempo determinato avvengono per chiamata dei candidati nel rispetto dell’ordine di avviamento o graduatoria. Nel caso sia necessario assumere più dipendenti con uguale decorrenza, e per periodi di diversa durata, l’assunzione per il periodo più lungo avviene nei confronti dei candidati risultati idonei seguendo l’ordine della graduatoria o dell’elenco».

Secondo il ricorrente, questa disposizione confliggerebbe con gli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione all’art. 1, comma 361, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), in quanto disciplinerebbe la fattispecie dello scorrimento delle graduatorie in modo difforme dalla normativa statale di riferimento.

4.1.– Nelle more del giudizio, la disposizione censurata è stata abrogata dall’art. 3 della legge della Regione Liguria 19 aprile 2019, n. 4, recante «Modifiche alla legge regionale 27 dicembre 2018, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2019) e altre disposizioni di adeguamento», con effetto dal 27 aprile 2019. La Regione, quindi, ha concluso per l’intervenuta cessazione della materia del contendere.

Questa Corte ha costantemente affermato che lo ius superveniens determina la cessazione della materia del contendere, purché la modifica sia satisfattiva delle pretese avanzate con il ricorso e la norma censurata non abbia, medio tempore, ricevuto applicazione (ex plurimis, da ultimo, sentenze n. 70 e n. 25 del 2020; ordinanza n. 140 del 2020).

In sede di pubblica udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri, in considerazione dell’intervenuta abrogazione della norma, ha dichiarato di non coltivare più alcun interesse per l’impugnazione. La Regione ha inoltre dichiarato che, durante il periodo di vigenza – peraltro assai breve (su quest’ultimo aspetto, sentenza n. 32 del 2015, punto 3.2 del Considerato in diritto) – la norma non ha ricevuto alcuna applicazione.

Da queste convergenti allegazioni si deve pertanto desumere che esistono i presupposti per dichiarare cessata la materia del contendere in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018.

5.– L’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 è impugnato anche nella parte in cui sostituisce il comma 11 dell’art. 16 della legge reg. Liguria n. 15 del 1996. La norma così introdotta prevede quanto segue: «I candidati che si trovino nel periodo corrispondente all’interdizione anticipata dal lavoro e all’astensione obbligatoria per maternità hanno titolo a permanere in graduatoria e ad essere richiamati in caso di ulteriore utilizzo della graduatoria stessa da parte dell’Amministrazione al termine del predetto periodo».

Secondo il ricorrente, questa disposizione violerebbe gli artt. 2, 3, 31 e 51 Cost., in relazione all’art. 3 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), in quanto, nel dettare «regole peculiari» per la fattispecie del «personale in aspettativa per maternità», finirebbe con l’introdurre una «discriminazione in ragione dello stato di gravidanza».

5.1.– Deve premettersi che, nelle more del giudizio, la norma impugnata è stata abrogata dall’art. 3 della legge reg. Liguria n. 4 del 2019, con decorrenza 27 aprile 2019. La Regione Liguria ha concluso per la declaratoria di cessazione della materia del contendere, in ragione dell’intervenuta abrogazione.

Non ricorrono in questo caso gli estremi per la declaratoria di cessazione della materia del contendere. In sede di pubblica udienza, il ricorrente non ha esteso a questa disposizione la propria volontà di non coltivare l’impugnazione proposta. Inoltre, non c’è evidenza alcuna della mancata applicazione, medio tempore, della norma impugnata. Essa, infatti, è rimasta in vigore per più di quattro mesi (dal 1° gennaio al 26 aprile 2019), arco temporale durante il quale non può escludersi che l’effetto di discriminazione lamentato dallo Stato sia venuto in essere. Tanto basta per sostenere che non vi è cessazione della materia del contendere (da ultimo, sentenze n. 68 del 2018, punto n. 14.1 del Considerato in diritto, e n. 191 del 2017, punto n. 5.3 del Considerato in diritto).

5.2.– Nel merito, la questione è fondata.

La norma impugnata richiama esplicitamente gli istituti del congedo obbligatorio di maternità, disciplinato dall’art. 16 del d.lgs. n. 151 del 2001 (norma che prevede, come condizione ordinaria, il «divieto di adibire al lavoro le donne» durante i due mesi precedenti la data presunta del parto – ovvero, ove il parto avvenga oltre tale data, anche per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto – nonché durante i tre mesi dopo il parto), e dell’interdizione anticipata dal lavoro, di cui all’art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001 (disposizione che prevede per le lavoratrici in stato di gravidanza un ulteriore periodo di astensione dal lavoro, che si va ad aggiungere a quello di congedo obbligatorio per maternità, in caso di gravi o particolari motivi che sono valutati dalla Direzione territoriale del lavoro e dalla ASL).

Essa prevede che, per i corrispondenti periodi di tempo, i candidati già inclusi in una graduatoria hanno «titolo» a permanervi e ad essere «richiamati» in caso di «ulteriore» utilizzo della graduatoria stessa. Il ricorrente assume che, in tal modo, si finisce per negare il diritto all’immediata assunzione in servizio dei candidati che, pur inclusi in graduatoria, si trovino nel periodo corrispondente al congedo per maternità, ovvero che godano dell’interdizione anticipata dal lavoro, poiché si posticipa l’accesso al lavoro al momento del successivo – ma solo eventuale – «ulteriore» scorrimento della graduatoria.

Così ricostruita, la disposizione censurata si pone in insanabile contrasto con i principi costituzionali che tutelano l’interesse primario dei minori. I principi già espressi da questa Corte, relativamente al divieto di discriminazioni connesse allo stato di gravidanza e alla maternità, nonché alla cura del bambino, intesa come valorizzazione di un peculiare legame affettivo e relazionale (sentenza n. 158 del 2018, che richiama le sentenze n. 61 del 1991 e n. 423 del 1995), devono, peraltro, seguendo il corso dell’evoluzione legislativa, considerarsi estesi al padre lavoratore, quando ricorrono le condizioni indicate dall’art. 28 del d.lgs. n. 151 del 2001. Secondo questa disposizione, in caso di morte o di infermità grave della madre, ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre, quest’ultimo ha il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo corrispondente a quello del congedo obbligatorio di maternità.

La previsione della legge della Regione Liguria secondo cui i candidati non possono essere immediatamente assunti, qualora si trovino nei periodi corrispondenti al congedo ovvero all’interdizione dal lavoro, è in contrasto con tutti i parametri evocati dal ricorrente, che congiuntamente esprimono i principi di non discriminazione, di protezione del minore e di tutela della maternità, più volte enunciati da questa Corte. Tale disposizione, nel privare i candidati di una concreta possibilità di immissione in ruolo, con la perdita dei connessi benefici giuridici ed economici, compromette il loro accesso all’impiego, nell’ipotesi in cui la graduatoria non divenga oggetto di «ulteriore» utilizzo. Ciò determina una palese discriminazione in ragione dello stato di gravidanza e di maternità, che si sostanzia nella perdita di chance, collegata a un effettivo ingresso in ambito lavorativo.

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, nella parte in cui ha sostituito l’art. 16, comma 11, della legge reg. Liguria n. 15 del 1996.

6.– Anche l’art. 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 forma oggetto delle censure di cui al primo dei due ricorsi di cui qui si discute. Con tale disposizione il legislatore regionale ha introdotto una norma di «interpretazione autentica» dell’art. 29, comma 2, lettera d), secondo periodo, della legge della Regione Liguria 17 agosto 2006, n. 25 (Disposizioni sull’autonomia del Consiglio regionale Assemblea legislativa della Liguria). Essa interviene sul profilo professionale (e sul connesso «equivalente economico») attribuibile al personale dell’Ufficio stampa dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa regionale. La norma di «interpretazione autentica» è impugnata dallo Stato per violazione degli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto essa consisterebbe in una norma innovativa, e non di mera interpretazione, atta a cristallizzare il trattamento economico e giuridico applicabile al personale assunto in data anteriore al 21 maggio 2018, senza alcun rinvio alla contrattazione collettiva di settore (costituita, adesso, dal Contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto «Funzioni locali», per il periodo 2016-2018, sottoscritto in data 21 maggio 2018).

Successivamente alla proposizione del primo ricorso, la norma impugnata è stata abrogata dall’art. 1, comma 1, della legge reg. Liguria n. 4 del 2019. L’art. 1 della coeva legge reg. Liguria n. 5 del 2019, tuttavia, ha contestualmente introdotto una nuova norma di interpretazione autentica, simile a quella abrogata, oggetto del secondo ricorso promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri.

In questo caso, l’Avvocatura dello Stato – nell’impugnare, con il secondo dei due ricorsi qui esaminati, l’intera legge regionale n. 5 del 2019 che, oltre all’art. 1, contiene anche l’art. 2, rubricato «Dichiarazione d’urgenza» – ha dedotto la violazione degli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto la nuova norma di interpretazione autentica, quale introdotta dall’art. 1 della legge reg. Liguria n. 5 del 2019, comporterebbe la disapplicazione, in parte qua, del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018. Secondo il ricorrente, da ciò deriverebbe una disparità di trattamento tra dipendenti pubblici, oltre che la violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione.

6.1.– Quanto all’ammissibilità della questione sollevata sull’intera legge reg. Liguria n. 5 del 2019, si deve porre in evidenza che l’impugnazione del Presidente del Consiglio dei ministri investe l’intera legge regionale, composta, come già detto, da due articoli. Anche se le doglianze si riferiscono al contenuto del solo art. 1, è di tutta evidenza che i due articoli sono tenuti insieme da un forte e coerente nesso, tanto da non ingenerare incertezze circa il contenuto delle censure (da ultimo, sentenza n. 128 del 2020).

Questa Corte ha chiarito che se «è inammissibile l’impugnativa di una intera legge ove ciò comporti la genericità delle censure che non consenta la individuazione della questione oggetto dello scrutinio di costituzionalità», sono, invece, ammissibili «le impugnative contro intere leggi caratterizzate da normative omogenee e tutte coinvolte dalle censure» (tra le tante, sentenze nn. 143 e 128 del 2020, n. 247 del 2018, n. 14 del 2017 e n. 141 del 2010).

Questo è il caso della legge regionale impugnata, poiché l’art. 2, che prevede la precisazione del giorno della sua entrata in vigore, riveste una funzione meramente accessoria rispetto al contenuto dell’art. 1 (sentenze n. 128 del 2020, n. 14 del 2017 e n. 201 del 2008).

6.2.– Nel passare al merito, si impone un breve inquadramento delle questioni sollevate.

6.2.1.– La legge 7 giugno 2000, n. 150 (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni), prevede all’art. 9 che le pubbliche amministrazioni possono dotarsi di un ufficio stampa che svolge attività indirizzata ai mezzi di comunicazione di massa. A norma del comma 2 dell’art. 9, il personale degli uffici stampa è iscritto all’albo nazionale dei giornalisti ed è costituito da dipendenti di amministrazioni pubbliche, anche in comando o fuori ruolo (ovvero, da personale estraneo alla p.a.).

Il comma 5 dell’art. 9 ha, inoltre, stabilito che l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali del personale in questione «sono affidate alla contrattazione collettiva nell’àmbito di una speciale area di contrattazione, con l’intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti». Per molti anni successivi al varo della legge, tale «speciale area di contrattazione» non è stata creata. Alcune Regioni – tra queste la Liguria – hanno stabilito pertanto di applicare le previsioni del vigente contratto collettivo dei giornalisti, stipulato dalle organizzazioni degli editori e dalla Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI). L’art. 29, comma 2, lettera d), secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 25 del 2006, con specifico riguardo al personale dell’Ufficio stampa della Presidenza dell’Assemblea legislativa regionale, ha stabilito che, «[s]ino alla data di entrata in vigore dell’apposito accordo collettivo nazionale quadro relativo alla costituzione del profilo professionale del personale addetto alle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni», sono attribuiti a quel personale «i profili professionali dei giornalisti previsti dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, nonché l’equivalente economico previsto dal medesimo contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti per i relativi profili».

In data 21 maggio 2018 è stato sottoscritto il contratto collettivo nazionale del comparto «Funzioni locali», per il triennio 2016-2018 (d’ora innanzi: CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018). Tale contratto, all’art. 18-bis, ha istituito i nuovi profili per le attività di comunicazione e informazione delle amministrazioni locali. Al tempo stesso, la allegata dichiarazione congiunta n. 8 ha preso in considerazione la situazione di quel personale «al quale, in forza di specifiche, vigenti norme di legge regionale in materia, sia stata applicata una diversa disciplina contrattuale nazionale, seppure in via transitoria», e ha quindi stabilito, per tale personale, di rimandare ad «apposita sequenza contrattuale» la «specifica regolazione di raccordo» atta a disciplinare l’applicazione delle norme di cui all’art. 18-bis.

6.2.2.– In tale quadro si collocano le due norme regionali oggetto dell’impugnazione del Presidente del Consiglio dei ministri.

Con la norma di «interpretazione autentica» di cui all’art. 30, comma 1, della legge regionale n. 29 del 2018 (impugnata con il primo dei due ricorsi in decisione), il legislatore ligure ha stabilito che l’inciso «sino alla data di entrata in vigore dell’apposito accordo collettivo nazionale quadro relativo alla costituzione del profilo professionale del personale addetto alle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni» (espressione contenuta nel secondo periodo della lettera d del comma 2 dell’art. 29 della legge reg. Liguria n. 25 del 2006), deve essere inteso «nel senso che l’accordo collettivo nazionale quadro è quello definito a seguito dell’apposita sequenza contrattuale di cui alla dichiarazione congiunta n. 8 al CCNL funzioni locali del 21 maggio 2018». In tal modo, si è disposta l’applicazione del contratto collettivo dei giornalisti anche oltre l’entrata in vigore del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018.

Lo stesso art. 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 ha altresì stabilito, nella seconda parte, quanto segue: «Rimane comunque ferma l’applicazione dei "profili professionali dei giornalisti previsti dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, nonché l’equivalente economico previsto dal medesimo contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti per i relativi profili” nei confronti del personale assunto con contratto a tempo determinato anteriormente alla data del 21 maggio 2018». Si è così confermata per tale personale l’applicazione del contratto collettivo dei giornalisti anche per il periodo successivo all’entrata in vigore della specifica regolazione di raccordo preannunziata dalla dichiarazione congiunta n. 8 di cui al CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018.

Con la successiva disposizione di cui all’art. 1 della legge regionale n. 5 del 2019 (oggetto del secondo ricorso presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri) la Regione Liguria, abrogato l’intero comma 1 dell’art. 30 della legge regionale n. 28 del 2019, ne ha riproposto in modo identico la prima parte, con l’effetto di confermare l’applicazione del contratto collettivo dei giornalisti anche oltre l’entrata in vigore del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018, ma pur sempre fino all’entrata in vigore della specifica regolazione di raccordo menzionata dalla dichiarazione congiunta n. 8. Non è stata, invece, più riprodotta la (già abrogata) seconda parte della stessa disposizione, che manteneva fermo, per il personale assunto prima del 21 maggio 2018, il regime dettato dalla contrattazione collettiva dei giornalisti.

Il quadro normativo si completa poi, a livello statale, con la novella introdotta dall’art. 1, comma 160, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022). Si tratta del nuovo comma 5-bis dell’art. 9 della legge n. 150 del 2000, che ha stabilito, con decorrenza 1° gennaio 2020, quanto segue: «Ai dipendenti di ruolo in servizio presso gli uffici stampa delle amministrazioni di cui al comma 1 ai quali, in data antecedente all’entrata in vigore dei contratti collettivi nazionali di lavoro relativi al triennio 2016-2018, risulti applicato il contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico per effetto di contratti individuali sottoscritti sulla base di quanto previsto dagli specifici ordinamenti dell’amministrazione di appartenenza, può essere riconosciuto il mantenimento del trattamento in godimento, se più favorevole, rispetto a quello previsto dai predetti contratti collettivi nazionali di lavoro, mediante riconoscimento, per la differenza, di un assegno ad personam riassorbibile, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 2, comma 3, ultimo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, con le modalità e nelle misure previste dai futuri contratti collettivi nazionali di lavoro».

Come recentemente affermato da questa Corte, tale novella legislativa «deve intendersi riferita unicamente ai rapporti di lavoro dei singoli soggetti, ancorché la loro regolazione con il contratto di lavoro giornalistico abbia trovato fonte e ragione in normative regionali, che tale applicazione espressamente autorizzavano, mentre non potrebbe intendersi quale ratifica di tali leggi regionali anche al fine di autorizzazione della spesa da parte dell’ente locale» (sentenza n. 112 del 2020, punto 5 del Considerato in diritto).

6.3.– Alla luce del quadro normativo qui ricostruito nei suoi tratti essenziali, le due questioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri sono fondate.

Con riferimento a leggi regionali simili a quelle oggi sub iudice, questa Corte ha affermato che l’applicazione a una categoria di personale di ruolo della Regione di un contratto collettivo non negoziato dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), ma dalle organizzazioni degli editori e dalla Federazione nazionale della stampa italiana, vìola l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto «[l]a disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici rientra [...] nella materia "ordinamento civile” e spetta in via esclusiva al legislatore nazionale». Viene, infatti, in considerazione un rapporto di lavoro che, a seguito della privatizzazione, «è disciplinato dalle disposizioni del codice civile e dalla specifica contrattazione collettiva, espressamente regolata dall’art. 2» del d.lgs. n. 165 del 2001 (sentenza n. 10 del 2019, punto 6 del Considerato in diritto).

L’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001, e successive modificazioni, prevede, al comma 2, ultimo periodo, che «[n]ell’ambito dei comparti di contrattazione possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità». Proprio alla luce di tale previsione, il CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018 ha disciplinato la posizione dei giornalisti addetti agli uffici stampa in questione, con la conseguenza che «la legge impugnata vìola la sfera di competenza statale, che riserva alla contrattazione collettiva la disciplina del pubblico impiego» (sentenza n. 10 del 2019, punto 6 del Considerato in diritto).

Anche le disposizioni regionali censurate, nello stabilire le condizioni di perdurante applicabilità della contrattazione collettiva dei giornalisti, in luogo di quella del comparto «Funzioni locali», determinano l’effetto di rendere applicabile un contratto collettivo che non coincide con quello indicato dalla fonte a ciò deputata, con conseguente violazione delle prerogative statali in materia (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.)

Né a considerazioni diverse può condurre la natura solo transitoria delle norme impugnate (ovvero, l’avvenuta abrogazione dell’art. 30, comma 1, seconda parte, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, che regolava l’applicazione del contratto collettivo dei giornalisti per il personale assunto antecedentemente al 21 maggio 2018), poiché la contrattazione collettiva cui rinvia la legislazione statale non è derogabile neanche in via provvisoria.

Queste conclusioni, ribadite dalla già citata sentenza n. 112 del 2020 (punto 12 del Considerato in diritto), chiariscono che è la contrattazione collettiva di settore la sede in cui si adottano le soluzioni più consone per regolamentare l’attività dei giornalisti alle dipendenze della pubblica amministrazione.

Si deve pertanto dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 e dell’intera legge reg. Liguria n. 5 del 2019. Restano assorbiti gli ulteriori parametri evocati dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso n. 41 del 2019;

riuniti i giudizi;

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge della Regione Liguria 27 dicembre 2018, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2019), nella parte in cui ha sostituito l’art. 16, comma 11, della legge della Regione Liguria 25 marzo 1996, n. 15 (Norme sull’assunzione agli impieghi regionali);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 e dell’intera legge della Regione Liguria 19 aprile 2019, n. 5 (Norma di interpretazione autentica);

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, promossa, in riferimento agli artt. 51, primo comma, 97, quarto comma, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, nella parte in cui ha sostituito l’art. 16, comma 9, della legge reg. Liguria n. 15 del 1996, promossa, in riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, nella parte in cui ha sostituito l’art. 16, comma 10, della legge reg. Liguria n. 15 del 1996, promossa, in riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 luglio 2020.

F.to:

Mario Rosario MORELLI, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 settembre 2020.