Sentenza n. 259 del 2019

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SENTENZA N. 259

ANNO 2019

 

Commenti alla decisione di

 

I. Stefano Rossi, Est modus in rebus. Note a margine della sentenza n. 259/2019 della Corte costituzionale, per g.c. di Federalismi.it

 

II. Federica Fabrizzi, Un conflitto decostituzionalizzato o un conflitto politicizzato? Leggendo la sent. 259/2019 su un conflitto tra enti che somiglia ad un conflitto tra poteri, per g.c. di Forum di Quaderni Costituzionali

 

III. Franco Sicuro, I profili processuali e sostanziali del conflitto di attribuzione tra Enti nella sentenza della Corte costituzionale n. 259 del 2019, per g.c. dell’Osservatorio AIC

 

IV. Alessandra Prozzo, L’estensione oggettiva e soggettiva del conflitto di attribuzioni tra enti: la sindacabilità degli atti degli ordini professionali e l’ammissibilità del loro intervento nel giudizio innanzi alla Corte costituzionale, negli Studi 2020 di questa Rivista, 706 ss.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito dell’atto della Commissione disciplinare medica dell’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bologna del 30 novembre 2018 e del silenzio del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della salute in relazione all’atto di significazione della Giunta regionale dell’Emilia-Romagna, trasmesso il 27 dicembre 2018, promosso dalla Regione Emilia-Romagna con ricorso notificato il 29 gennaio-4 febbraio 2019, depositato in cancelleria il 15 febbraio 2019, iscritto al n. 4 del registro conflitti tra enti 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visti l’atto di intervento ad opponendum dell’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bologna e l’atto di intervento ad adiuvandum di Sergio Venturi, nella qualità di assessore pro tempore alle politiche per la salute della Regione Emilia-Romagna;

udito nell’udienza pubblica del 22 ottobre 2019 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi gli avvocati Vittorio Manes e Giuseppe Caia per la Regione Emilia-Romagna, Giuseppe Caia per Sergio Venturi, nella qualità di assessore pro tempore alle politiche per la salute della Regione Emilia-Romagna e Alberto Santoli per l’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bologna.

Ritenuto in fatto

1.‒ Con ricorso notificato il 29 gennaio-4 febbraio e depositato il successivo 15 febbraio 2019, la Regione Emilia-Romagna ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in riferimento all’atto conclusivo dell’udienza disciplinare del 30 novembre 2018, consistente nella pronuncia di radiazione quale sanzione disciplinare, adottato dalla Commissione disciplinare medica dell’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bologna, a conclusione del procedimento disciplinare prot. n. 2501/gp/pm, a carico del dott. Sergio Venturi, all’epoca dei fatti e a tutt’oggi assessore alle politiche per la salute della Regione Emilia-Romagna, nonché all’inerzia del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della salute, ai quali la Regione ha trasmesso un atto di significazione e sollecitazione in data 27 dicembre 2018.

La Regione ricorrente ritiene che l’irrogazione della citata sanzione disciplinare nei confronti dell’assessore regionale, per aver questi proposto e contribuito ad approvare la delibera della Giunta regionale 11 aprile 2016, n. 508 (Principi e criteri in ordine alla predisposizione di Linee guida regionali per l’armonizzazione dei protocolli avanzati di impiego di personale infermieristico adottati ai sensi dell’art. 10 D.P.R. 27 marzo 1992 per lo svolgimento del servizio di emergenza sanitaria territoriale 118), non gradita all’Ordine professionale, rappresenti un’interferenza, priva di qualsiasi base legislativa, nelle determinazioni inerenti alla sfera di autonomia costituzionalmente attribuita alla Regione in materia di «tutela della salute» e, in particolare, nell’esercizio delle specifiche funzioni regionali di organizzazione del servizio sanitario e dei servizi di emergenza, in violazione degli artt. 117, terzo, quarto e sesto comma, 118, primo comma, 121 e 123 della Costituzione, nonché dell’art. 46 della legge statutaria regionale 31 marzo 2005, n. 13 (Statuto della Regione Emilia-Romagna), anche in relazione al riparto di competenze delineato dall’art. 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e dagli artt. 112, 114 e 115 del d.P.R. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).

La ricorrente premette che, con la delibera n. 508 del 2016, proposta dall’assessore alle politiche per la salute, la Giunta regionale, nell’esercizio della propria ampia competenza amministrativa in materia di «tutela della salute», fondata sugli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., ha autorizzato l’impiego di personale infermieristico specializzato nell’assistenza sanitaria in emergenza (ambulanza 118), in conformità ad appositi protocolli operativi, predisposti dal personale medico, in attuazione di quanto stabilito dall’art. 10 del d.P.R. 27 marzo 1992 (Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza) e dall’intesa in Conferenza Stato-Regioni dell’11 aprile 1996 (Atto di intesa tra Stato e regioni di approvazione delle linee guida sul sistema di emergenza sanitaria in applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992).

Ciò premesso, la Regione ritiene che l’esercizio del potere disciplinare da parte dell’Ordine provinciale nei confronti dell’assessore sia avvenuto in assenza dei relativi presupposti, poiché ha avuto come oggetto la condotta politico-amministrativa dell’assessore e non comportamenti del medico rilevanti sul piano disciplinare. Un simile esercizio del potere avrebbe determinato una lesione delle prerogative dell’assessore, tra le quali non può non rientrare la facoltà di proporre e di concorrere a formare e deliberare gli atti dell’organo collegiale di appartenenza. Da ciò deriva la simultanea lesione delle competenze della Giunta, in ragione del rapporto di immedesimazione organica dell’assessore con la stessa, nella materia della tutela della salute e, in specie, dell’organizzazione dei servizi sanitari dell’emergenza.

Pertanto, la Regione Emilia-Romagna chiede a questa Corte di dichiarare che non spetta allo Stato, e per esso alla Commissione disciplinare medica dell’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bologna, adottare un provvedimento disciplinare nei confronti di un componente della Giunta regionale, per avere questi proposto, formato o comunque concorso a deliberare un atto politico-amministrativo regionale, peraltro senza che l’Amministrazione statale vigilante ovviasse a tale invasione della sfera di competenza regionale. La ricorrente chiede pertanto che sia annullata la sanzione consistente nella radiazione dell’assessore regionale dall’albo dei medici.

2.‒ È intervenuto in giudizio innanzi alla Corte costituzionale l’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bologna, che ha chiesto di dichiarare il ricorso inammissibile e comunque infondato.

Il ricorso sarebbe inammissibile perché volto a ottenere l’annullamento di una sanzione disciplinare dinanzi a un giudice, la Corte costituzionale, carente di giurisdizione in materia, in violazione dell’art. 3, commi 2, lettera c), e 4, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse), che stabilisce che, avverso tali provvedimenti, è ammesso ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie (CCEPS).

Il difetto di giurisdizione di questa Corte si evincerebbe anche dalla circostanza che quest’ultima sarebbe chiamata a pronunciarsi su una domanda negativa (di accertamento della non spettanza del potere), laddove, ai sensi e per gli effetti dell’art. 38 [richiamato dall’art. 41] della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), sarebbe istituzionalmente chiamata a pronunciarsi, in termini positivi, sulla spettanza del potere di adottare un provvedimento. I termini del conflitto, inoltre, sarebbero mal posti, essendo riferiti a un provvedimento disciplinare adottato nei confronti di un assessore regionale, anziché nei confronti di un medico iscritto all’albo.

Non sussisterebbe, inoltre, l’interesse ad agire, concreto e attuale, della Regione Emilia-Romagna, dato che la delibera che la stessa ritiene sia stata pregiudicata nella fase di attuazione, risulterebbe tuttora vigente ed esecutiva, come precisato e ammesso dalla stessa Regione ricorrente. Pertanto, non vi sarebbe stata alcuna invasione delle competenze regionali.

Più in generale, la difesa dell’Ordine provinciale dei medici contesta la sussistenza dei presupposti per promuovere un conflitto di attribuzione, posto che il presente giudizio sarebbe volto non già alla delimitazione delle sfere di attribuzione di Stato e Regione, quanto al sindacato e alla delimitazione del potere disciplinare. Si tratterebbe di un potere tipico dell’Ordine, chiamato a vigilare sul rispetto, da parte degli iscritti, delle regole deontologiche dallo stesso predisposte a tutela del decoro e del prestigio della professione, la cui efficacia si esaurirebbe all’interno dell’Ordine o della categoria. Pertanto, la Regione non potrebbe denunciare alcuna ingerenza o invasione di competenza, poiché il procedimento disciplinare avrebbe riguardato il dott. Venturi nella sua qualità di medico iscritto all’albo dell’Ordine dei medici di Bologna. Egli non ricopre una carica elettiva, ma è un assessore esterno, nominato dal Presidente della Regione, al quale non sarebbe riferibile la prerogativa costituzionale di cui all’art. 122, quarto comma, Cost.

Ancora in linea preliminare, la difesa dell’Ordine chiede che sia dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio del dott. Venturi. Si esclude che l’esito del conflitto possa definitivamente pregiudicare un soggetto ad esso estraneo, in linea con la giurisprudenza costituzionale. Ricorda infatti la difesa dell’Ordine che il dott. Venturi ha proposto ricorso innanzi alla CCEPS, da ritenersi giudice competente a conoscere dell’impugnativa avverso la sanzione disciplinare irrogatagli.

Nel merito il ricorso sarebbe, comunque, privo di fondamento.

Qualunque medico iscritto all’albo, anche se non esercente la professione medica, è tenuto a osservare il codice deontologico. Nella specie, l’Ordine dei medici di Bologna ha aperto il procedimento disciplinare nei confronti del dott. Venturi, prendendo le mosse dalla circostanza che la CCEPS aveva ritenuto le determinazioni delle aziende sanitarie locali (ASL) relative ai protocolli inerenti ai servizi di emergenza sanitaria, pur fondate sulla delibera regionale, in contrasto con il codice deontologico. Pertanto, una valutazione deontologica della condotta dei medici che avevano promosso e contribuito a formare la delibera sarebbe stata necessaria. In altri termini, l’Ordine dei medici si sarebbe limitato a valutare, da un punto di vista deontologico, il contegno del medico dott. Venturi, senza alcuna pretesa censura dell’azione amministrativa regionale.

Posto che il codice deontologico individua i doveri generali del sanitario, quali che siano le condizioni istituzionali e sociali in cui opera, la condotta del sanitario, dott. Venturi, non sarebbe stata esente da censure deontologiche in virtù del ruolo, o più precisamente, dell’incarico assegnatogli in ambito regionale.

Tuttavia, non si potrebbe sostenere che, esercitando le proprie competenze disciplinari nell’interesse pubblico, l’Ordine abbia condizionato, disatteso, disapplicato o interferito con gli atti amministrativi della Regione.

Il procedimento disciplinare sarebbe strutturalmente e teleologicamente indipendente rispetto alle prerogative e attribuzioni regionali. Esso riguarderebbe la tutela del prestigio e del decoro di una categoria di professionisti, attraverso il rispetto di regole deontologiche, fondate su principi di correttezza e irreprensibilità della condotta dei relativi componenti, senza connessione o interferenza con le competenze regionali e/o con la natura amministrativa del ruolo svolto dall’assessore Venturi.

3.‒ È intervenuto nel giudizio il dott. Sergio Venturi, che ha chiesto, previo il riconoscimento dell’ammissibilità del proprio intervento, che sia accolto il ricorso e annullata la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo degli esercenti le professioni mediche.

Preliminarmente, la difesa del dott. Venturi sostiene l’ammissibilità dell’intervento alla luce delle indicazioni della giurisprudenza costituzionale. Quest’ultima ha ritenuto ammissibili gli interventi di terzi, nei conflitti di attribuzione fra enti, nei casi in cui l’oggetto del conflitto sia tale da coinvolgere in modo immediato e diretto situazioni soggettive riferibili all’interveniente, il cui pregiudizio o la cui salvaguardia dipendano dall’esito del giudizio costituzionale.

Nella specie, sussisterebbero tali condizioni. L’interveniente è titolare di una situazione soggettiva (il diritto a svolgere la professione di medico) direttamente incisa dal provvedimento impugnato in sede di conflitto di attribuzione fra enti.

Nel merito, il ricorso sarebbe fondato.

Il provvedimento impugnato, avrebbe determinato un’ingerenza «nel potere di indirizzo politico-amministrativo della Regione Emilia-Romagna in materia di organizzazione del servizio sanitario regionale per censurare una scelta di merito (relativa all’impiego di personale infermieristico nei servizi di emergenza) che esso ritiene in contrasto con gli interessi della categoria dei medici». Tale scelta – sottolinea la difesa dell’interveniente ‒ si è tradotta in un atto che la Regione ha adottato l’11 aprile 2016, in attuazione del già menzionato atto d’intesa tra Stato e Regioni dell’11 aprile 1996.

4.‒ All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni contenute nelle memorie scritte.

Considerato in diritto

1.‒ La Regione Emilia-Romagna ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione all’atto conclusivo dell’udienza disciplinare del 30 novembre 2018, consistente nella sanzione disciplinare della radiazione dall’albo dei medici, adottata dalla Commissione disciplinare medica dell’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bologna, nei confronti del dott. Sergio Venturi, all’epoca dei fatti e a tutt’oggi assessore alle politiche per la salute della Regione medesima, nonché all’inerzia del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della salute, ai quali la Regione ha rivolto un atto di significazione e sollecitazione in data 27 dicembre 2018.

La ricorrente lamenta che l’Ordine professionale, adottando la citata sanzione disciplinare nei confronti dell’assessore regionale alle politiche per la salute, per aver questi proposto e contribuito ad approvare la delibera della Giunta regionale 11 aprile 2016, n. 508 (Principi e criteri in ordine alla predisposizione di Linee guida regionali per l’armonizzazione dei protocolli avanzati di impiego di personale infermieristico adottati ai sensi dell’art. 10 D.P.R. 27 marzo 1992 per lo svolgimento del servizio di emergenza sanitaria territoriale 118), con cui è stato autorizzato l’impiego di personale infermieristico specializzato nell’assistenza sanitaria in emergenza, abbia determinato una lesione delle competenze regionali nella materia «tutela della salute», di cui agli artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, e, in specie, dell’organizzazione dei servizi sanitari di emergenza.

L’Ordine professionale avrebbe esercitato il potere disciplinare in assenza dei presupposti necessari, censurando non comportamenti del medico, rilevanti sul piano disciplinare, ma la condotta politico-amministrativa dell’assessore. In tal modo avrebbe leso le prerogative dell’assessore, in particolare la facoltà di proporre e di concorrere a formare e deliberare gli atti dell’organo collegiale di appartenenza. Avrebbe anche leso le competenze della Giunta stessa, in ragione del rapporto di immedesimazione organica dell’assessore con la Giunta, nella materia della «tutela della salute» e, in specie, dell’organizzazione dei servizi sanitari dell’emergenza.

2.‒ Preliminarmente, deve essere dichiarato ammissibile sia il conflitto nei confronti dello Stato, sia l’intervento spiegato nel giudizio dall’assessore regionale alle politiche per la salute della Regione Emilia-Romagna, dott. Sergio Venturi.

Nei giudizi per conflitto di attribuzione tra enti, di regola, non è ammesso l'intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o resistervi, «subendo tale regola l’eccezione relativa all’ipotesi in cui l’interventore sia parte di un giudizio comune, il cui esito la pronuncia della Corte sia suscettibile di condizionare» (sentenza n. 107 del 2015).

Nel caso di specie ricorrono gli estremi dell’eccezione indicata. Infatti, il dott. Sergio Venturi è parte del giudizio pendente dinanzi alla Commissione centrale di disciplina per gli esercenti le professioni sanitarie (CCEPS), avente ad oggetto l’impugnazione del medesimo provvedimento disciplinare, adottato dall’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bologna, impugnato anche in questa sede. Pertanto, il presente giudizio costituzionale, volto ad accertare se spettasse allo Stato – e, per esso, all’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bologna – adottare il suddetto provvedimento disciplinare, è suscettibile di incidere sul giudizio pendente dinanzi alla CCEPS.

3.‒ Ancora in via preliminare, nessun ostacolo si pone all’intervento in giudizio dell’Ordine dei medici, nonostante la mancata costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri quale parte resistente.

Questa Corte ha, di recente, sottolineato che, nei giudizi per conflitto di attribuzione tra enti, promossi dalla Regione nei confronti dello Stato, l’art. 25, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale «espressamente prevede che il ricorso […] debba essere notificato anche “all’organo che ha emanato l’atto, quando si tratti di autorità diverse da quelle di Governo e da quelle dipendenti dal Governo”» (sentenza n. 43 del 2019), di organi dello Stato dotati di autonomia e di soggettività, «sì da legittimarl[i] passivamente nel processo (sentenza n. 252 del 2013)» (sentenza n. 43 del 2019). E ciò «al fine di fare valere le ragioni della legittimità dell’atto impugnato, da essi adottato, in via autonoma dal resistente Presidente del Consiglio dei ministri» (sentenza n. 252 del 2013).

3.1. – Nel caso di cui si discute si devono ritenere sussistenti i requisiti ora indicati, considerato che l’Ordine dei medici, che ha adottato l’atto impugnato, è espressamente qualificato dall’art. 1, comma 3, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse), come sostituito dall’art. 4, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 3 (Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute), come ente pubblico non economico, dotato di ampia «autonomia patrimoniale, finanziaria, regolamentare e disciplinare» (lettera b), che agisce quale organo sussidiario dello Stato «al fine di tutelare gli interessi pubblici, garantiti dall’ordinamento, connessi all’esercizio professionale» (lettera a), e per ciò stesso sottoposto alla vigilanza del Ministero della salute (lettera b).

4.‒ A tal proposito si deve precisare, sempre in linea preliminare, che l’atto posto in essere dal citato Ordine provinciale dei medici di Bologna – impugnato in questa sede – è riferibile allo Stato «inteso, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, non come persona giuridica, bensì come sistema ordinamentale (sentenza n. 72 del 2005) complesso e articolato, costituito da organi, con o senza personalità giuridica, ed enti distinti dallo Stato in senso stretto, ma con esso posti in rapporto di strumentalità in vista dell’esercizio, in forme diverse, di tipiche funzioni statali» (sentenza n. 31 del 2006). Da tempo questa Corte ha sottolineato che, nella prospettiva dei rapporti con il sistema regionale, il termine Stato è impiegato dall’art. 134 Cost. in una accezione più ampia, quale «conglomerato di enti, legati tra loro da precisi vincoli funzionali e di indirizzo, destinati ad esprimere, nel confronto dialettico con il sistema regionale, le esigenze unitarie imposte dai valori supremi tutelati dall’art. 5 Cost.» (sentenza n. 31 del 2006).

Con riguardo in particolare alla qualificazione degli ordini professionali, occorre ricordare che questa Corte, già nel passato, peraltro in armonia con la giurisprudenza di legittimità (fra le altre, Cassazione civile, sezione prima, sentenza 14 ottobre 2011, n. 21226) e con la giurisprudenza amministrativa (fra le tante, Consiglio di Stato, sezione quarta, decisione 16 marzo 2004, n. 1344), li ha configurati come «enti pubblici ad appartenenza necessaria» (sentenza n. 405 del 2005) e ha riconosciuto che la loro istituzione e disciplina «risponde all’esigenza di tutelare un rilevante interesse pubblico la cui unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso», affidando loro «il compito di curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi», in vista dell’obiettivo di «garantire il corretto esercizio della professione a tutela dell’affidamento della collettività» (sentenza n. 405 del 2005).

Si tratta, in altri termini, di organismi associativi a partecipazione obbligatoria cui il legislatore statale ha affidato poteri, funzioni e prerogative, sottoposti a vigilanza da parte di organi dello Stato-apparato, tutti preordinati «alla tutela di pregnanti interessi di rilievo costituzionale» (sentenza n. 173 del 2019, inerente all’Ordine forense), connessi all’esercizio di attività professionali, caratterizzati da una necessaria «dimensione nazionale» e pertanto dalla «infrazionabilità» (sentenza n. 405 del 2005). Tali sono gli interessi inerenti alla tutela della salute.

Questa Corte ha ricondotto alla materia dell’«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» (sentenza n. 405 del 2005) la disciplina di organismi, «ausiliarii della Pubblica Amministrazione» (Consiglio di Stato, n. 1344 del 2004) perché chiamati a svolgere funzioni pubbliche di tutela di interessi pubblici unitari. Ciò serve a confermare inequivocabilmente l’appartenenza degli stessi al sistema ordinamentale dello Stato.

L’art. 4 della legge n. 3 del 2018, già citato, conferma quanto si è ora affermato, con specifico riguardo agli Ordini delle professioni sanitarie. Gli Ordini sono qualificati, come già si è visto, «enti pubblici non economici» e agiscono «quali organi sussidiari dello Stato al fine di tutelare gli interessi pubblici, garantiti dall’ordinamento, connessi all’esercizio professionale» (art. 1, comma 3, lettera a, del d.lgs. C.p.S. n. 233 del 1946, come sostituito dal citato art. 4). A questo fine, sono affidati a tali enti molteplici compiti e funzioni, che è opportuno elencare a fini esemplificativi: verifica del possesso dei titoli abilitanti all’esercizio professionale; tenuta, anche informatizzata, e pubblicità, anche telematica, degli albi dei professionisti; parere obbligatorio sulla disciplina regolamentare dell’esame di abilitazione all’esercizio professionale; concorso con le autorità locali e centrali nello studio e nell’attuazione dei provvedimenti che possano interessare l’Ordine e collaborazione con le istituzioni sanitarie e formative pubbliche e private alla promozione, organizzazione e valutazione delle attività formative e dei processi di aggiornamento per lo sviluppo continuo professionale di tutti gli iscritti agli albi. La stretta inerenza di tali compiti alla tutela di un interesse pubblico unitario ne qualifica con chiarezza la natura di enti che esercitano funzioni pubbliche imputabili all’apparato statale.

Ai soli fini del conflitto costituzionale di attribuzione tra Regione e Stato, la riconducibilità alla sfera di competenza statale di tali funzioni – «affidate» all’Ordine degli esercenti le professioni sanitarie, nell’àmbito del peculiare modulo organizzatorio disegnato dal legislatore statale, in particolare dal d.lgs. C.p.S. n. 233 del 1946, come modificato dalla legge n. 3 del 2018 – esige di imputare al sistema ordinamentale statale gli atti emessi nell'esercizio delle medesime (sentenza n. 72 del 2005).

5.‒ Poste tali necessarie premesse, occorre esaminare le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla difesa dell’Ordine provinciale dei medici di Bologna.

Quest’ultima, anzitutto, eccepisce l’inammissibilità del ricorso di attribuzione fra enti. La Regione ricorrente chiederebbe a questa Corte di accertare non già la spettanza di un’attribuzione costituzionale, ai sensi dell’art. 38 [richiamato dall’art. 41] della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ma l’inesistenza del potere dell’Ordine di adottare la sanzione disciplinare impugnata e di annullare la stessa, peraltro erroneamente individuando come oggetto del provvedimento impugnato una condotta dell’assessore regionale e non del medico iscritto all’albo. Si lamenta, in altri termini, che il presente giudizio sia volto non già alla delimitazione delle sfere di attribuzione dello Stato e della Regione, quanto al sindacato e alla delimitazione del potere disciplinare dell’Ordine, che si esercita sulle condotte dei medici iscritti all’albo. Non vi sarebbe, pertanto, alcuna attitudine lesiva delle attribuzioni regionali, né sussisterebbe alcun interesse concreto e attuale della Regione ad agire in giudizio. Da un lato, la delibera regionale, proposta e votata da Sergio Venturi, in qualità di assessore regionale alla sanità, che è all’origine della sanzione, risulta vigente ed esecutiva; dall’altro, Venturi, in quanto assessore regionale, non gode della prerogativa di cui all’art. 122, quarto comma, Cost.

Si tratta, in sostanza, di eccezioni che possono essere riassunte nella pretesa insussistenza dei presupposti per promuovere un conflitto di attribuzione fra enti. In particolare si denuncia la carenza di interesse a ricorrere della Regione nei confronti di un atto – la sanzione disciplinare della radiazione del dottor Venturi dall’albo dei medici – destinato a incidere sulla sfera individuale di quest’ultimo e perciò privo di ogni attitudine lesiva delle attribuzioni regionali. Sarebbe dunque assente il tono costituzionale del conflitto.

5.1.‒ Queste eccezioni sono prive di fondamento.

Questa Corte ha da lungo tempo affermato e costantemente ribadito che «la figura dei conflitti di attribuzione non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l’appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per sé, ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall’illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all’altro soggetto» (sentenza n. 110 del 1970; più di recente, sentenza n. 130 del 2014).

La Regione ritiene che il provvedimento emesso dall’Ordine dei medici, all’esito del procedimento disciplinare avviato nei confronti dell’assessore regionale alle politiche della salute, che è anche medico, per aver questi proposto e votato una delibera di Giunta contenente una disciplina dell’organizzazione dei servizi di emergenza sanitaria, non condivisa dal medesimo Ordine, sia illegittimo, perché lo Stato (e, per esso, l’Ordine) non avrebbe il potere di sottoporre a giudizio disciplinare e censurare l’attività di indirizzo politico-amministrativo in materia di organizzazione sanitaria dell’assessore, membro della Giunta regionale. All’esercizio di tale potere si contrapporebbe, infatti, l’autonomia amministrativa regionale costituzionalmente garantita, che ne risulterebbe quindi menomata.

Questa Corte ha ritenuto che per conferire tono costituzionale a un conflitto serve essenzialmente prospettare l’esercizio effettivo di un potere, non avente base legale, «in concreto incidente sulle prerogative costituzionali della ricorrente» (fra le altre, vedi sentenze n. 260 e n. 104 del 2016). Sono, pertanto, prive di fondamento le eccezioni di inammissibilità del ricorso per insussistenza del tono costituzionale del conflitto.

La Regione contesta, infatti, non già le modalità di esercizio del potere disciplinare dell’Ordine, ma l’esistenza stessa di tale potere, con riferimento alla condotta politico-amministrativa dell’assessore regionale medico, e afferma che la lesione delle prerogative di quest’ultimo (facoltà di proposta e di voto), derivante dall’esercizio “abusivo” del potere disciplinare, si risolve nella lesione delle competenze della Giunta stessa, in ragione del rapporto di immedesimazione organica fra assessori e Giunta, e quindi della Regione. In tal modo, risulta evidente non solo l’interesse a ricorrere della Regione, «qualificato dalla finalità di ripristinare l’integrità della sfera di attribuzioni costituzionali» (sentenza n. 265 del 2003) che si assumono menomate, ma anche l’attualità della lesione, derivante dall’atto impugnato. L’adozione di quest’ultimo, infatti, costituendo esercizio illegittimo del potere di sindacare e sanzionare sul piano disciplinare le scelte politico-amministrative della Giunta regionale, per il tramite dell’assessore sottoposto alla più rigorosa delle sanzioni disciplinari, determinerebbe di per sé la lesione dell’autonomia amministrativa regionale.

Ai fini dell’ammissibilità del ricorso non riveste alcun rilievo la circostanza che il medesimo atto impugnato in questa sede è stato impugnato anche dinanzi alla CCEPS, giudice competente a pronunciarsi sui ricorsi proposti avverso i provvedimenti disciplinari adottati dalle commissioni di albo, ai sensi dell’art. 3, comma 4, del d.lgs. C.p.S. n. 233 del 1946, come successivamente modificato. La pendenza di un giudizio dinanzi all’autorità giurisdizionale avente come oggetto il medesimo atto impugnato in sede di conflitto di attribuzione fra enti non comporta – come questa Corte ha precisato – l’inammissibilità del conflitto, ove sussista il tono costituzionale (di recente, sentenza n. 57 del 2019).

6.‒ Nel merito, il ricorso è fondato.

Gli ordini delle professioni sanitarie, e fra questi l’Ordine dei medici, sono investiti – come si è detto – di funzioni di interesse pubblico dal d.lgs. C.p.S. n. 233 del 1946, come modificato dall’art. 4 della legge n. 3 del 2018. Fra tali funzioni, a tutela di interessi generali della collettività, garantiti dall’ordinamento e connessi all’esercizio professionale, vi è quello di vigilare «sugli iscritti agli albi, in qualsiasi forma giuridica svolgano la loro attività professionale, compresa quella societaria, irrogando sanzioni disciplinari» (art. 1, comma 3, lettera l, del d.lgs. C.p.S. n. 233 del 1946, come successivamente modificato). L’Ordine è chiamato, in questa prospettiva, a promuovere e assicurare «l’indipendenza, l’autonomia e la responsabilità delle professioni e dell’esercizio professionale, la qualità tecnico-professionale, la valorizzazione della funzione sociale, la salvaguardia dei diritti umani e dei princìpi etici dell’esercizio professionale indicati nei rispettivi codici deontologici, al fine di garantire la tutela della salute individuale e collettiva» (art. 1, comma 3, lettera c, del d. lgs C.p.S. n. 233 del 1946, come successivamente modificato). All’Ordine è attribuito un potere disciplinare, esercitato, in particolare, dalla commissione di albo (art. 3, comma 2, lettera c, del d.lgs. C.p.S. n. 233 del 1946, come successivamente modificato).

Il potere disciplinare, così configurato nelle sue finalità, serve ad assicurare il rispetto delle regole deontologiche che governano il corretto esercizio della professione. Il legislatore ha inteso, in tal modo, delimitare un potere sanzionatorio che, se non ristretto entro confini ben precisi, potrebbe irragionevolmente invadere la sfera dei diritti dei singoli destinatari delle sanzioni. Esso può dunque essere legittimamente esercitato solo «tenendo conto degli obblighi a carico degli iscritti, derivanti dalla normativa nazionale e regionale vigente e dalle disposizioni contenute nei contratti e nelle convenzioni nazionali di lavoro», nonché «secondo una graduazione correlata alla volontarietà della condotta, alla gravità e alla reiterazione dell’illecito» (ancora art. 1, comma 3, lettera l, già citato). Il potere disciplinare nasce, quindi, limitato dal necessario rispetto delle garanzie degli iscritti, ma anche dalla natura dei codici deontologici, definiti dalla stessa CCEPS (decisione 7 luglio 2017, n. 80) atti di “soft law” vincolanti nei termini e nei limiti indicati dalla legge.

In questa prospettiva, l’art. 38 del d.P.R. 5 aprile 1950, n. 221 (Approvazione del regolamento per la esecuzione del decreto legislativo 13 settembre 1946, n. 233, sulla ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse) delimita l’ambito di operatività del potere disciplinare e prescrive che esso può essere esercitato nei soli confronti dei «sanitari che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della professione o, comunque, di fatti disdicevoli al decoro professionale».

Per la precisa individuazione di tali ipotesi di responsabilità, il codice di deontologia medica, nel testo approvato nel 2014, chiarisce, all’art. 1, che le regole da esso poste impegnano «il medico nella tutela della salute individuale e collettiva vigilando sulla dignità, sul decoro, sull’indipendenza e sulla qualità della professione». Così circoscritto, il potere si rivolge a colpire comportamenti dissonanti rispetto a un corretto svolgimento dell’attività professionale, nonché i «comportamenti assunti al di fuori dell’esercizio professionale quando ritenuti rilevanti e incidenti sul decoro della professione». La genericità di tale ultima previsione – peraltro contenuta in una formula comune a tutti gli ordinamenti disciplinari – è di tutta evidenza. Essa non impedisce, tuttavia, di identificare comportamenti del medico, tenuti nella vita privata, lesivi della sua reputazione, oltre che idonei a compromettere l’immagine (il «decoro») della categoria professionale o comunque tali da giustificare in generale «un biasimo, perché non rispettos[i] dei doveri di lealtà verso gli altri iscritti» (Cassazione civile, sezione terza, sentenza 19 giugno 2002, n. 8915).

Alla luce di tali indicazioni, la stessa CCEPS, organo di giurisdizione speciale chiamato a pronunciarsi sui ricorsi promossi avverso i provvedimenti disciplinari adottati dalla commissione di albo (art. 3, comma 4, del d.lgs. C.p.S. n. 233 del 1946), ha affermato: «è sottratto al potere disciplinare dell’Ordine il comportamento del medico riconducibile all’ambito dell’esercizio di mansioni o funzioni pubbliche e non riferibile ad attività svolte nell’interesse personale del professionista» (decisione n. 16 dell’8 giugno 1991), né all’attività professionale in genere (decisione n. 41 del 21 febbraio 2000).

Così delimitato l’ambito di esercizio del potere disciplinare dell’Ordine dei medici risulta pertanto evidente che, nel caso in esame, l’Ordine dei medici ha agito in carenza di potere, poiché ha sottoposto a procedimento disciplinare e sanzionato un proprio iscritto per atti compiuti da quest’ultimo non nell’esercizio della professione di medico, ma nell’esercizio di una funzione pubblica, in qualità di assessore regionale. Tali atti, ascrivibili a un munus pubblico, non rientrano fra quelli sottoposti al potere sanzionatorio dell’Ordine.

L’Ordine ha, infatti, sanzionato, senza averne il potere, l’assessore alle politiche della salute per aver quest’ultimo proposto e votato e quindi contribuito ad approvare la delibera della Giunta regionale n. 508 del 2016, non condivisa dall’Ordine stesso. In tal modo ha interferito illegittimamente con l’esercizio delle prerogative dell’assessore, tra le quali rientra la facoltà di proporre e di concorrere a formare e deliberare gli atti dell’organo collegiale di appartenenza. Per il tramite dell’assessore sanzionato, esso ha interferito con le attribuzioni costituzionali della Regione in materia di organizzazione sanitaria con conseguente menomazione delle stesse. L’assessore, membro della Giunta regionale, organo collegiale titolare delle competenze amministrative della Regione, contribuisce a definire nell’ambito assegnatogli – le politiche della salute – l’indirizzo politico-amministrativo della Giunta regionale stessa. A tali funzioni viene assegnato su richiesta del Presidente, organo di elezione diretta (ai sensi dell’art. 122, ultimo comma, Cost.). Con tale nomina si genera un rapporto di immedesimazione organica con la Giunta, cosicché la lesione delle attribuzioni dell’assessore si traduce nella lesione delle attribuzioni, nella medesima materia, della Giunta regionale di cui è parte e, conseguentemente, della Regione.

Quanto alle attribuzioni regionali in discussione, occorre rilevare che la delibera n. 508 del 2016, proposta dall’assessore Venturi e approvata dalla Giunta regionale, ha autorizzato l’impiego di personale infermieristico specializzato nell’assistenza sanitaria in emergenza, sulla base di appositi protocolli operativi, predisposti dal personale medico. Essa costituisce esercizio della competenza amministrativa regionale in materia di organizzazione sanitaria, «parte integrante della competenza […] regionale in materia della tutela della salute di cui al terzo comma del citato art. 117 Cost. (ex plurimis sentenze n. 54 del 2015 e n. 371 del 2008)» (sentenza n. 137 del 2019) e «inerisce […] ai metodi ed alle prassi di razionale ed efficiente utilizzazione delle risorse umane, finanziarie e materiali destinate a rendere possibile l’erogazione del servizio» (sentenza n. 105 del 2007).

La delibera ha dato attuazione alle indicazioni già formulate nel d.P.R. 27 marzo 1992 (Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza), in specie, all’art. 10 (che prevede che il «personale infermieristico professionale, nello svolgimento del servizio di emergenza, può essere autorizzato a praticare iniezioni per via endovenosa e fleboclisi, nonché a svolgere le altre attività e manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio»), e nella successiva intesa in conferenza Stato-Regioni (Atto d’intesa tra Stato e regioni di approvazione delle linee guida sul sistema di emergenza sanitaria dell’11 aprile 1996, in applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992). Tale atto ha, infatti, definito i «requisiti organizzativi e funzionali della rete dell’emergenza», individuando nella centrale operativa il centro di raccolta di tutte le «richieste telefoniche di urgenza ed emergenza convogliate attraverso il numero unico 118», e il centro di individuazione degli interventi più idonei per dare risposta alle citate richieste, sulla base di protocolli operativi interni, «di valutazione di criticità dell'evento», che utilizzino «codifiche e terminologie standard non suscettibili di ambiguità interpretative» e siano «sottoposti a periodica valutazione e revisione».

Questo dettagliato apparato di misure si colloca nell’ambito del conferimento alle Regioni di più ampie competenze e responsabilità in ordine alla pianificazione e organizzazione dei servizi sanitari, in linea con quanto stabilito dall’art. 2 del d.lgs. n. 502 del 1992 e in attuazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.

7.‒ In conclusione, il ricorso deve essere accolto.

Si dichiara che non spetta allo Stato, e per esso alla Commissione dell’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bologna, adottare, a conclusione del procedimento disciplinare prot. n. 2501/gp/pm, la sanzione della radiazione dall’albo dei medici a carico dell’assessore alle politiche della salute della Regione Emilia-Romagna, dott. Sergio Venturi, per aver questi proposto e contribuito a formare la delibera della Giunta regionale n. 508 del 2016.

Pertanto, va annullata la sanzione della radiazione dall’albo dei medici, adottata a conclusione del procedimento disciplinare prot. n. 2501/gp/pm, a carico dell’assessore alle politiche della salute della Regione Emilia-Romagna.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara ammissibile l’intervento in giudizio del dott. Sergio Venturi;

2) dichiara ammissibile l’intervento in giudizio dell’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bologna;

3) dichiara che non spetta allo Stato, e per esso alla Commissione dell’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bologna, adottare, a conclusione del procedimento disciplinare prot. n. 2501/gp/pm, la sanzione della radiazione dall’albo dei medici a carico dell’assessore alle politiche della salute della Regione Emilia-Romagna, dott. Sergio Venturi, per aver questi proposto e contribuito a formare la delibera della Giunta regionale 11 aprile 2016, n. 508 (Principi e criteri in ordine alla predisposizione di Linee guida regionali per l’armonizzazione dei protocolli avanzati di impiego di personale infermieristico adottati ai sensi dell’art. 10 D.P.R. 27 marzo 1992 per lo svolgimento del servizio di emergenza sanitaria territoriale 118) e al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro della salute non provvedere a seguito dell’Atto di significazione della Giunta regionale dell’Emilia-Romagna, trasmesso in data 27 dicembre 2018;

4) annulla per l’effetto la sanzione disciplinare irrogata con l’atto indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 novembre 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2019.