Ordinanza n. 214 del 2018

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ORDINANZA N. 214

ANNO 2018

 

 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Giorgio            LATTANZI                                        Presidente

-      Aldo                            CAROSI                                            Giudice

-      Marta                          CARTABIA                                               ”

-      Mario Rosario             MORELLI                                                  ”

-      Giancarlo                     CORAGGIO                                              ”

-      Giuliano                       AMATO                                                     ”

-      Silvana             SCIARRA                                                  ”

-      Nicolò                         ZANON                                                     ”

-      Franco                         MODUGNO                                              ”

-      Augusto Antonio          BARBERA                                                 ”

-      Giulio                           PROSPERETTI                                          ”

-      Giovanni                      AMOROSO                                               ”

-      Francesco                    VIGANÒ                                                   ”

-      Luca                            ANTONINI                                               ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 27 e 292, comma 2, lettera c), del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Brescia, nel procedimento penale a carico di A. M. con ordinanza dell’8 febbraio 2017, iscritta al n. 104 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2018 il Giudice relatore Francesco Viganò.

Ritenuto che il Tribunale ordinario di Brescia, terza sezione penale e del riesame, con ordinanza dell’8 febbraio 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt. 13, secondo comma, 25, primo comma, e 111, sesto comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 27 e 292, comma 2, lettera c), del codice di procedura penale, nella parte in cui consentono «al giudice competente di "motivare facendo rinvio alle valutazioni già espresse dal precedente giudice, dichiaratosi incompetente, su tutti i presupposti per la adozione del titolo restrittivo”»;

che il giudice rimettente premette di avere, con precedente provvedimento, annullato, in accoglimento della richiesta di riesame formulata ex art. 309 cod. proc. pen., l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Bergamo in data 25 giugno 2016 nei confronti di A. M., indagato per furto aggravato in abitazione, possesso di segni distintivi contraffatti ed associazione per delinquere;

che, infatti, il GIP del Tribunale ordinario di Bergamo, nel rinnovare, ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen., nel termine di venti giorni l’ordinanza custodiale adottata dal giudice dichiaratosi incompetente, aveva riprodotto in toto, senza aggiungere valutazioni proprie, le motivazioni dell’ordinanza adottata in data 8 giugno 2016 dal GIP del Tribunale ordinario di Pavia;

che, secondo il Tribunale rimettente, la motivazione meramente per relationem così posta in essere violava il requisito della autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari prescritto, a pena di nullità rilevabile d’ufficio, dall’art. 292, comma 2, lettera c), cod. proc. pen., così come riformulato dall’art. 8, comma 1, della legge 16 aprile 2015, n. 47 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità);

che il pubblico ministero presso il Tribunale di Bergamo aveva, tuttavia, impugnato in sede di legittimità tale ordinanza, deducendo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., la inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità;

che la Corte di cassazione, sezione quarta penale, con la sentenza 29 novembre 2016, n. 55272, aveva annullato l’ordinanza in questione, rinviando al Tribunale del riesame di Brescia per un nuovo esame della regiudicanda cautelare;

che la Corte di cassazione aveva, infatti, rilevato che nella ordinanza del GIP del Tribunale di Bergamo erano presenti elementi di fatto ulteriori rispetto a quelli indicati nella motivazione della ordinanza del GIP del Tribunale di Pavia, pur contestualmente richiamata, e, pertanto, non vi era stata alcuna violazione del requisito della autonoma valutazione;

che, peraltro, la Corte di cassazione aveva affermato che, in caso di rinnovazione dell’ordinanza cautelare adottata da giudice dichiaratosi incompetente, «nulla impedisce […] al giudice competente di motivare per relationem con riferimento all’ordinanza del giudice dichiaratosi incompetente» e ciò «sia in ragione dei tempi brevissimi di emissione del provvedimento da parte del giudice competente, sia in funzione della stessa natura del provvedimento emesso dal giudice incompetente, pur sempre giudice terzo rispetto alla richiesta del pubblico ministero»;

che la Corte di cassazione, richiamando pronunce di analogo tenore, emesse anche in seguito alla interpolazione del testo dell’art. 292 cod. proc. pen., aveva, pertanto, concluso che «non è affetto da nullità il provvedimento che riproduce sostanzialmente l’ordinanza emessa dal giudice territorialmente incompetente, qualora la motivazione di quest’ultimo risulti congrua rispetto all’iter logico seguito per pervenire alla decisione adottata»;

che, tuttavia, ad avviso del Tribunale rimettente, ancorché nella ordinanza adottata all’esito del procedimento di riesame fosse stata ravvisata la carenza della autonoma valutazione della motivazione adottata dal GIP del Tribunale di Bergamo in punto sia di gravi indizi di colpevolezza sia di esigenze cautelari, la Corte di cassazione aveva limitato il proprio esame esclusivamente ai gravi indizi di colpevolezza;

che la Corte di legittimità non avrebbe, dunque, delibato la questione della nullità del titolo cautelare sotto il profilo delle esigenze cautelari, in quanto gli elementi fattuali indicati come dimostrativi dell’esercizio di un ulteriore vaglio critico da parte del GIP del Tribunale di Bergamo rispetto a quello del giudice dichiaratosi incompetente attenevano esclusivamente alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza;

che, pertanto, la delibazione solo parziale da parte della Corte di cassazione della motivazione della ordinanza adottata dal GIP del Tribunale di Bergamo rendeva, secondo il Tribunale rimettente, «tuttora aperto, in fatto, il profilo della presenza o meno del requisito dell’autonoma valutazione sul ritenuto pericolo di recidiva»;

che ove, tuttavia, tale sindacato residuale sulla questione di nullità fosse stato condotto dal tribunale del riesame nel giudizio di rinvio secondo il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione in sede di annullamento e vincolante in sede di rinvio ai sensi dell’art. 627 cod. proc. pen., la conclusione necessitata sarebbe stata la declaratoria della validità del provvedimento impugnato, che avrebbe di seguito condotto all’esame del merito della regiudicanda cautelare;

che, tuttavia, secondo il Tribunale di Brescia, tale principio di diritto, sebbene consolidato in giurisprudenza, si pone in radicale contrasto con plurimi parametri costituzionali e, segnatamente, con gli artt. 13, secondo comma, 25, primo comma, e 111, sesto comma, Cost.;

che, infatti, laddove si ritenesse legittima «un’esposizione dei gravi indizi e delle esigenze cautelari integralmente riproduttiva» di quella contenuta nel provvedimento cautelare «assunto da giudice incompetente», la riserva di legge prevista dall’art. 13, secondo comma, Cost. assumerebbe una ampiezza tale da risolversi in una integrale delega all’interprete della tipizzazione dei modi di restrizione della libertà personale, che spetta, invece, solo al legislatore ordinario;

che, inoltre, il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione concreta secondo il Tribunale rimettente una violazione dell’obbligo di motivazione, sancito dagli artt. 13, secondo comma, e 111, sesto comma, Cost., in quanto la motivazione che rinvia in modo integrale ed esclusivo al contenuto dell’atto di un diverso giudice non esplicita quel percorso argomentativo adeguato, specifico e puntuale, necessario a fini di verifica dei presupposti normativi essenziali per disporre la restrizione della libertà personale;

che, da ultimo, il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio contrasterebbe anche con il combinato disposto degli art. 25, primo comma, e 111, sesto comma, Cost., in quanto vanifica anche i contenuti essenziali della funzione di garanzia del giudice naturale, che in tal caso limiterebbe il proprio compito a trasporre le valutazioni e le conclusioni adottate da un organo, pur sempre giurisdizionale, ma non competente;

che, con atto depositato in data 12 settembre 2017, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ed ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza o, comunque, infondate;

che infatti, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale rimettente, le norme censurate non dovevano più essere applicate nel giudizio di rinvio, in quanto la Corte di cassazione si era già pronunciata definitivamente in ordine alla insussistenza della carenza di autonoma valutazione, escludendo che l’ordinanza impugnata fosse viziata.

Considerato che il Tribunale ordinario di Brescia, terza sezione penale e del riesame, dubita, in riferimento agli artt. 13, secondo comma, 25, primo comma, e 111, sesto comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 27 e 292, comma 2, lettera c), del codice di procedura penale, nell’interpretazione fornita dalla sentenza di annullamento con rinvio della Corte di cassazione e, segnatamente, nella parte in cui «consentono al giudice competente di "motivare facendo rinvio alle valutazioni già espresse dal precedente giudice, dichiaratosi incompetente, su tutti i presupposti per la adozione del titolo restrittivo”»;

che, tuttavia, come esattamente rilevato dall’Avvocatura generale dello Stato, il Tribunale del riesame rimettente, quale giudice di rinvio, non deve più fare applicazione delle disposizioni censurate, avendo la Corte di cassazione ormai escluso in via definitiva la nullità dell’ordinanza cautelare per difetto dell’autonoma valutazione nella motivazione;

che, infatti, la Corte di cassazione ha risolto la questione preliminare di nullità della ordinanza cautelare sottoposta alla propria cognizione, escludendo la violazione dell’art. 292, comma 2, lettera c), cod. proc. pen., ed ha disposto la restituzione degli atti al Tribunale del riesame di Brescia, «che stavolta, tenuto conto della motivazione del primo giudice e degli atti processuali allegati, dovrà entrare nel merito della vicenda cautelare oggetto di impugnazione»;

che il riferimento espresso, operato dalla corte di legittimità, alla restituzione degli atti al Tribunale di Brescia per la trattazione del merito della regiudicanda cautelare rende, pertanto, manifesto che non residua più alcun sindacato in capo al giudice rimettente sulla violazione o meno del canone dell’autonoma motivazione della ordinanza impugnata, neppure in punto di esigenze cautelari;

che per tale ragione il Tribunale rimettente non è più chiamato a fare applicazione delle disposizioni censurate, con conseguente irrilevanza nel giudizio a quo delle questioni di legittimità costituzionale prospettate;

che, anche a non voler considerare il suddetto decisivo rilievo, le questioni sollevate dal Tribunale del riesame di Brescia si risolvono comunque nell’inammissibile richiesta alla Corte costituzionale di operare una sorta di "revisione in grado ulteriore” della sentenza della Corte di cassazione che ha dato origine al giudizio a quo, e cioè di svolgere un ruolo di giudice dell’impugnazione, che ovviamente non le compete (sentenze n. 270 del 2014 e n. 294 del 1995);

che, infatti, le censure proposte dal rimettente si risolvono, «in pratica, nella rivendicazione di un sindacato del giudice del rinvio su (presunti) errores in iudicando ed in procedendo della Corte di cassazione: sindacato da ritenere peraltro incompatibile con il sistema delle impugnazioni, anche nel suo "volto costituzionale”» (ordinanze n. 149 del 2013 e n. 501 del 2000; nello stesso senso, sentenze n. 224 del 1996, n. 294 del 1995, n. 21 del 1982, n. 50 del 1970; ordinanza n. 11 del 1999);

che, per tali ragioni, le questioni proposte risultano manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 27 e 292, comma 2, lettera c), del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 13, secondo comma, 25, primo comma, e 111, sesto comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Brescia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 ottobre 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2018.