Sentenza n. 224 del 1996

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SENTENZA N. 224

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 384 del codice di procedura civile promosso con ordinanza emessa il 3 ottobre 1995 dal Tribunale di Bologna sul ricorso proposto da B.N.L. s.p.a. contro Fallimento Giuseppe Minganti & C. s.p.a. iscritta al n. 16 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di costituzione della B.N.L. s.p.a. e del Fallimento Giuseppe Minganti & C. s.p.a., nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 maggio 1996 il Giudice relatore Renato Granata;

uditi gli avvocati Lucio De Angelis per la B.N.L. s.p.a., Giancarlo Berti per il Fallimento Giuseppe Minganti & C. s.p.a. e l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. -- Con ordinanza del 3 ottobre 1995 il Tribunale di Bologna - in sede di giudizio di rinvio dopo la cassazione del decreto del medesimo Tribunale di rigetto del reclamo avverso la dichiarazione di esecutività, resa dal giudice delegato al fallimento della società Giuseppe Minganti & C. S.p.a., del piano di riparto dell'attivo - ha sollevato questione incidentale di costituzionalità dell'art. 384 del codice di procedura civile - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione - nella parte in cui prevede che il principio di diritto dettato dalla Corte di cassazione in sede di cassazione con rinvio sia vincolante per il giudice del rinvio anche nel caso in cui una parte non abbia potuto, senza sua colpa e contro la sua volontà, esercitare effettivamente in alcun modo il proprio diritto di difesa nella fase di legittimità. Contestualmente la questione di costituzionalità della medesima disposizione è stata anche prospettata - in riferimento agli artt. 3 e 101, secondo comma, della Costituzione - nella parte in cui impedisce al giudice di rinvio di pronunciare sentenza di improcedibilità o inammissibilità della decisione nel merito nell'ipotesi in cui una delle parti non abbia potuto, senza sua colpa e contro la sua volontà, esercitare effettivamente in alcun modo il proprio diritto di difesa nella fase di legittimità.

1.1. -- In particolare nella specie la sentenza di cassazione era stata resa - secondo la difesa del Fallimento - in palese violazione del contraddittorio perché, pur avendo il Fallimento stesso tempestivamente notificato (e successivamente depositato) il controricorso, non aveva ricevuto l'avviso di fissazione dell'udienza e quindi non aveva potuto partecipare alla discussione.

In questa situazione - argomenta il Tribunale rimettente - il Fallimento non potrebbe in realtà utilizzare il rimedio della revocazione (ex art. 391-bis del codice di procedura civile) perché non vi è stato alcun errore di percezione del giudice di legittimità rispetto agli atti che sono stati sottoposti al suo esame, ma semplicemente un errore della cancelleria che non ha trasmesso il controricorso sicché dagli atti non risultava la costituzione del Fallimento.

Non di meno - prosegue il Tribunale rimettente - c'è che l'effettività del contraddittorio costituisce un limite al potere decisorio dell'autorità giurisdizionale. La stessa Corte costituzionale ha sottolineato più volte l'essenzialità del principio del contraddittorio. Invece nel caso di specie si è di fronte a una lesione diretta e assoluta che investe non solo il giudizio di cassazione, ma anche la successiva fase di rinvio in ragione dell'assoluta "ablazione" della precedente fase di legittimità. La gravità di tale lesione del contraddittorio comporta - secondo il Tribunale rimettente - la violazione del diritto di difesa (art. 24 della Costituzione) e del principio di eguaglianza formale e sostanziale per la situazione di evidente disparità che si è così venuta a creare tra la parte che ha potuto difendersi nel giudizio di legittimità e quella che ciò non ha potuto fare. Inoltre è violato anche il principio di ragionevolezza, non apparendo razionale che il vincolo scaturito dal processo di legittimità prescinda in modo assoluto da vizi anche gravissimi, che tale processo abbiano inficiato, quale - come nella specie - l'erronea "estromissione" di una parte dal contraddittorio.

1.2. -- Vi è poi - secondo il giudice a quo - un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale dell'art. 384 del codice di procedura civile. Deve infatti considerarsi - argomenta il Tribunale rimettente - che, per come è strutturato il giudizio di rinvio, il vincolo del principio di diritto può venir meno solo in alcuni particolari casi (ius superveniens - anche sotto forma di mera legge d'interpretazione autentica - o dichiarazione di illegittimità costituzionale) riespandendosi allora la potestà di cognizione del giudice di rinvio alle dimensioni "ordinarie". Invece non rilevano gli eventuali vizi processuali verificatisi nel giudizio di cassazione. Ciò però è giustificato per gli "ordinari" errores in procedendo, che, pur comprimendo in certa misura le "ordinarie" garanzie processuali, non ne intaccano il minimum essenziale della tutela giurisdizionale. Invece questa preclusione non è giustificata (sotto il profilo costituzionale) ove sia radicalmente venuto meno il rispetto del principio del contraddittorio. Sicché la stessa funzione (e natura) giurisdizionale del giudice di rinvio risulterebbe alterata perché il vincolo del principio di diritto scaturirebbe da una precedente fase processuale viziata a tal punto da non essere riconoscibile come tale.

2. -- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Osserva l'Avvocatura che il giudizio di cassazione non può essere equiparato ai normali giudizi di merito atteso che il procedimento è dominato dall'impulso d'ufficio e non da quello di parte e che il controricorso puro e semplice ha carattere difensivo potendosi eccepire eventuali motivi di inammissibilità e di improcedibilità del ricorso e dimostrare l'infondatezza delle censure proposte dal ricorrente, ma non proporne altre che mirino ad attaccare la sentenza su altri punti non denunciati nel ricorso; sicché la posizione del controricorrente, il quale, per un disguido della cancelleria, non abbia potuto partecipare, senza sua colpa, al giudizio per cassazione, non subisce danni irreversibili al diritto di difendersi nel corso del successivo procedimento di rinvio.

Comunque la questione di costituzionalità non è nemmeno configurabile perché la presunta anomalia non risiede nella norma censurata, ma costituisce l'effetto di un mero errore della cancelleria, che ha omesso di dare avviso della udienza al controricorrente, che quindi è risultato non costituito nel giudizio di cassazione.

3. -- Si è costituita la Banca Nazionale del Lavoro (creditrice insinuata nel fallimento e ricorrente nel giudizio di cassazione) chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate.

4. -- Si è costituito il Fallimento della società Miganti aderendo alle prospettazioni del Tribunale rimettente, le cui argomentazioni ha ripercorso per dichiarare la propria adesione, e quindi ha concluso per l'incostituzionalità della disposizione denunciata.

Considerato in diritto

1. -- E' stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 384 del codice di procedura civile sotto un duplice profilo.

Per un verso si censura tale disposizione - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione - nella parte in cui prevede che il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione in sede di cassazione con rinvio sia vincolante per il giudice del rinvio anche nel caso in cui una parte non abbia potuto, senza sua colpa e contro la sua volontà, esercitare in alcun modo il proprio diritto di difesa nella fase di legittimità per: a) lesione del diritto di difesa, non avendo potuto la parte, costituita nel giudizio di legittimità, far valere le sue ragioni in tale giudizio; b) ingiustificata disparità di trattamento tra la parte che partecipò alla fase di legittimità e quella che non potè senza sua colpa partecipare; c) violazione del principio di ragionevolezza non apparendo conforme ad esso che il principio di diritto dettato dalla Corte di cassazione al giudice di rinvio spieghi in ogni caso identica efficacia vincolante a prescindere da qualunque tipo di lesione delle garanzie processuali della parte che sia intervenuta nella fase di legittimità.

Per altro verso il medesimo art. 384 del codice di procedura civile è censurato - in riferimento agli artt. 3 e 101, secondo comma, della Costituzione - nella parte in cui impedisce al giudice di rinvio di pronunciare sentenza di improcedibilità o inammissibilità nell'ipotesi in cui una delle parti non abbia potuto, senza sua colpa e contro la sua volontà, esercitare in alcun modo il proprio diritto di difesa nella fase di legittimità sotto il duplice profilo: a) che non risponde al canone di ragionevolezza l'assoluta predominanza del principio di intangibilità delle sentenze della Corte di cassazione su ogni altro principio ed ogni altra regola processuale; b) che l'assoluto e rigido vincolo del principio di diritto confligge con la natura, propria del giudice di rinvio, di organo giurisdizionale soggetto al sistema normativo nella sua interezza.

2. -- Ancorché la prospettazione della questione sia orientata, secondo l'impostazione del giudice rimettente, verso un sbocco duplice (ed apparentemente alternativo) è però nella specie possibile identificare un nucleo essenziale comune nel senso che nell'una e nell'altra formulazione della questione risulta in effetti censurata la soggezione del giudice di rinvio a decidere il merito della causa secondo il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione anche nell'ipotesi in cui una delle parti non abbia potuto, senza sua colpa e contro la sua volontà, esercitare in alcun modo il proprio diritto di difesa nella fase di legittimità. Sicché le due ulteriori specificazioni - concernenti alternativamente la possibilità per il giudice di rinvio di adottare un'interpretazione della norma da applicare in termini difformi da quelli indicati dalla Corte di cassazione ovvero quella di rendere una pronuncia in rito di inammissibilità o improcedibilità della decisione di merito - si collocano invece fuori dalla questione come appena identificata e riguardano semmai una successiva opzione che sarebbe demandata allo stesso giudice di rinvio una volta che, in ipotesi di accoglimento della censura, egli fosse affrancato dal vincolo del rispetto del principio di diritto enunciato ex art. 384 del codice di procedura civile.

3. -- Passando all'esame del merito - e muovendo pur sempre dalla premessa del giudice rimettente, secondo cui la allegata e denunciata violazione del principio del contraddittorio nel giudizio di cassazione, precedente la fase di rinvio, non sia riconducibile ad un vizio revocatorio ex art. 391-bis del codice di procedura civile (né quindi con tale mezzo emendabile), premessa che, essendo non implausibilmente motivata, la Corte non ha ragione di disattendere - la questione non è fondata.

3.1. -- Nella giurisprudenza di questa Corte (seppur con enunciazioni riguardanti essenzialmente il processo penale, ma logicamente riferibili anche al processo civile) è stato più volte affermato il principio della definitività delle sentenze della Corte di cassazione, principio che preclude - salvo i rimedi straordinari - l'ulteriore riesame di ogni questione di merito o di rito. E' infatti connaturale al sistema delle impugnazioni ordinarie che vi sia una pronuncia terminale - identificabile positivamente in quella della Corte di cassazione "per il ruolo di supremo giudice di legittimità ad essa affidato dalla stessa Costituzione (art. 111, secondo comma)" (sentenza n.21 del 1982) - che definisca, nei limiti del giudicato, ogni questione dedotta o deducibile al fine di dare certezza ai rapporti giuridici controversi e che quindi non sia suscettibile di ulteriore sindacato ad opera di un giudice diverso (sentenza n. 21 del 1982 citata); certezza questa che costituisce un valore costituzionalmente protetto in quanto direttamente ricollegabile al diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 della Costituzione), la cui effettività risulterebbe gravemente compromessa se fosse sempre (ed indefinitamente) possibile controvertere della legittimità delle pronunce di cassazione. Ed infatti questa Corte ha in passato posto in evidenza "la irrevocabilità e la incensurabilità da parte di ogni altro giudice delle decisioni della Corte di cassazione" (sentenza n.51 del 1970); ciò perché "esigenze di certezza delle situazioni giuridiche" richiedono che "ad un certo momento il processo si concluda irretrattabilmente, restando assorbiti nella definitività delle decisioni eventuali vizi in procedendo o in judicando" (sentenza n.136 del 1972). Anche più recentemente la Corte ha ribadito la regola della inoppugnabilità delle sentenze della Corte di cassazione (sentenza n.247 del 1995) che comporta la sanatoria di tutte le nullità pregresse, anche assolute; ciò "al fine di evitare la perpetuazione dei giudizi e di conseguire un accertamento definitivo" (sentenza n.294 del 1995).

Né la costante univocità di questa linea giurisprudenziale può dirsi intaccata dalla estensione del rimedio della revocazione alle sentenze della Corte di cassazione, prima conseguente a pronunce di questa Corte (sentenze nn. 17 del 1986 e 36 del 1991) e poi introdotta dal legislatore (art. 391-bis del codice di procedura civile), come è confermato dalla circostanza che il principio della irrevocabilità ed incensurabilità delle sentenze della Corte di cassazione è stato affermato anche successivamente da questa stessa Corte (sentenze nn. 247 e 294 del 1995, citate). D'altra parte la revocazione rappresenta un rimedio straordinario di impugnazione, pienamente compatibile con tale principio, che riguarda invece il sistema dei rimedi ordinari di impugnazione, senza che rilevi il fatto che ancor oggi la revocabilità delle sentenze di cassazione sia limitata alla sola ipotesi dell'errore di fatto ex art. 395, numero 4 del codice di procedura civile.

3.2. -- Dalla ribadita inoppugnabilità delle sentenze della Corte di cassazione consegue poi anche che il vincolo derivante al giudice di rinvio dall'affermazione del principio di diritto contenuto nella sentenza di cassazione non può essere rimosso a seguito di un inammissibile controllo da parte dello stesso giudice di rinvio in ordine alla sussistenza, o meno, di vizi in procedendo, nella fase del giudizio di legittimità. Oltre tutto nella specie il giudice a quo chiede in sostanza di essere affrancato dall'osservanza del principio di diritto attraverso una vera e propria disapplicazione della sentenza di cassazione a prescindere da una sua formale rimozione, cadendo così nella contraddizione di ritenere possibili la persistenza in vita della sentenza e la sua non vincolatività.

D'altra parte l'intrinseca contraddittorietà della prospettazione è resa evidente anche dal fatto che è possibile ipotizzare un'assoluta violazione del principio del contraddittorio, quale quella denunciata dal giudice rimettente, anche nel caso in cui il giudizio di cassazione si concluda senza rinvio. Sicché deve prendersi atto che lo strumento adeguato per porre rimedio al vizio denunziato - ove non causato da un errore revocatorio (così come nella specie ritiene il giudice rimettente) che già attualmente dà ingresso al rimedio della revocazione ex art. 391-bis del codice di procedura civile - potrebbe essere costituito soltanto dalla previsione di un mezzo straordinario di impugnazione e non già dalla introduzione - con effetto parziale e sbilanciato - di un'eccezionale ipotesi di esonero del giudice di rinvio dall'osservanza del principio di diritto affermato ai sensi dell'art. 384 del codice di procedura civile, che incoerentemente lascerebbe senza rimedio la sentenza di cassazione senza rinvio, in ipotesi parimenti viziata. Ma l'introduzione di un tale rimedio straordinario e la sua disciplina, quanto ai presupposti e alle modalità di esperimento dello stesso, non possono che rientrare nella discrezionalità del legislatore. In tal senso si è già espressa questa Corte, da ultimo nella citata sentenza n.294 del 1995, in cui, con riferimento ad eventuali errori contenuti nelle pronunce della Corte di cassazione, ha affermato che l'introduzione nel sistema processuale di un mezzo straordinario di impugnazione per ovviare a tali errori comporta innovazioni che, per la loro ampiezza e per la pluralità di soluzioni e modalità attuative, non possono che discendere da scelte riservate al legislatore nell'esercizio della sua sfera di discrezionalità. Analogamente questa Corte (sentenza n. 21 del 1982, citata) - con riferimento proprio alla dedotta violazione del principio del contraddittorio - ha ritenuto che, pur trattandosi di una situazione "di indubbia gravità", solo il legislatore potrebbe porvi rimedio introducendo un mezzo straordinario di impugnazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 384 del codice di procedura civile, sollevata - con riferimento agli artt. 3, 24 e 101, secondo comma, della Costituzione - dal Tribunale di Bologna con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 3 luglio 1996.