SENTENZA N. 208
ANNO 2017
Commento alla decisione di
Dario Albanese
Le sorti
del procedimento di prevenzione nel caso
per g.c.
di Diritto Penale Contemporaneo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO
”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 72, comma 2, del codice
di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Napoli, nel
procedimento penale a carico di C. B. ed altri, con ordinanza
del 29 settembre 2015, iscritta al n. 2 del registro ordinanze 2016 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie
speciale, dell’anno 2016.
Visti l’atto di costituzione di S. B., nella
qualità di tutore legale di C. B., nonché l’atto di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 giugno 2017 il Giudice relatore
Giorgio Lattanzi;
uditi l’avvocato Stefano Sorrentino per S. B., nella qualità di
tutore legale di C. B., e l’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con
ordinanza del 29 settembre 2015 (r.o. n. 2 del 2016),
il Tribunale ordinario di Napoli, sezione misure di prevenzione, ha proposto
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 72, comma 2, del codice di
procedura penale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
nella parte in cui, nel procedimento di applicazione di una misura di
prevenzione patrimoniale, non prevede la revoca dell’ordinanza di sospensione
disposta per l’infermità di mente del proposto, qualora si accerti che
l’incapacità della persona è irreversibile.
Il Tribunale rimettente
riferisce che, su proposta del Procuratore distrettuale antimafia e del
Questore, con due decreti del 21 e del 27 giugno 2011, aveva sottoposto a
sequestro «svariati beni mobili e immobili intestati a B. C. (proposto anche
per la misura di prevenzione personale cd. antimafia), alla moglie B. S. […],
alle figlie B. A. […] e B. D.».
Nel corso del procedimento è
risultato che il proposto versava in una condizione di totale e irreversibile
incapacità di partecipare consapevolmente, originata da un grave deterioramento
mentale subito in seguito a un arresto cardiorespiratorio per un’overdose di
cocaina, avvenuto nel 2003. Per questo stato mentale il proposto era stato
dichiarato interdetto dal Tribunale di Napoli e la moglie ne era stata nominata
tutore provvisorio.
Il Tribunale, facendo
applicazione dell’art. 71 cod. proc. pen., che aveva ritenuto applicabile anche al procedimento
di prevenzione, ne aveva disposto la sospensione.
In seguito a ripetuti
accertamenti, il giudice rimettente era giunto alla conclusione che
l’incapacità del proposto era divenuta irreversibile e che tale stato faceva
«venir meno in radice ogni possibilità di ritenere attuale la sua eventuale
pericolosità», sicché doveva «certamente escludersi uno dei requisiti
essenziali per l’applicazione della misura di prevenzione personale ex art. 2
L. 575/65».
Secondo la difesa del
proposto, l’incapacità irreversibile avrebbe dovuto determinare il rigetto
della «proposta tout court, anche per la parte patrimoniale, con restituzione
dei beni agli aventi diritto», ma il Tribunale ha escluso la possibilità di
adottare un provvedimento del genere. Infatti, secondo il giudice rimettente,
una volta affermata «l’operatività della sospensione dell’art. 71 c.p.p.», non
appariva «possibile alcuna analogia con la “sentenza di proscioglimento o di
non luogo a procedere”; queste, mai previste dalla legislazione in materia di
misure di prevenzione, [avrebbero] evidentemente ragione di essere solo nel
procedimento penale di cognizione ed innanzi alla contestazione di ipotesi di
reato».
L’art. 72 cod. proc. pen., conclude il
Tribunale, non è dunque in nessun modo interpretabile nel senso appena
indicato.
Ne conseguirebbe, a parere
del giudice rimettente, «il pericolo di una permanente stasi processuale»,
perché il procedimento per l’applicazione della misura reale non potrebbe
essere riavviato nei confronti dell’incapace, e nel frattempo continuerebbe ad
avere efficacia il sequestro dei beni, disposto in precedenza in attesa di una
decisione sulla confisca.
Per superare la stasi
processuale occorrerebbe una pronuncia di illegittimità costituzionale, che
secondo il giudice rimettente dovrebbe riguardare solo il procedimento relativo
all’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale.
Il giudice sarebbe solo
chiamato a stabilire se certi beni debbano essere sottratti al circuito
economico di origine per escludere i condizionamenti criminali che li connotano
ed evitare la formazione di patrimoni illeciti, considerato che, a partire
dall’entrata in vigore dell’art. 2-bis,
comma 6-bis, della legge 31 maggio
1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso,
anche straniere), introdotto dall’art.
10, comma 1, lettera c), numero 2),
del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza
pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125,
come sostituito dalla legge di conversione n. 125 del 2008, e modificato
dall’art. 2, comma 22, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in
materia di sicurezza pubblica), la confisca può essere disposta anche a
prescindere dalla concomitante applicazione della misura di prevenzione
personale e dalla perdurante pericolosità sociale del proposto, al punto che
può raggiungere anche gli eredi della persona pericolosa.
Il giudice rimettente reputa
la situazione in questione analoga a quella su cui è intervenuta la sentenza di questa
Corte n. 45 del 2015, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 159, primo comma, del codice penale, nella parte in cui non escludeva
la sospensione della prescrizione quando era stata accertata la definitiva
incapacità dell’imputato di partecipare al procedimento per una irreversibile
infermità di mente.
L’attuale assetto normativo
sarebbe lesivo del principio di uguaglianza, perché tratterebbe in modo diverso
l’imputato nel procedimento penale e il proposto nel procedimento di
applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, e sarebbe anche del
tutto irragionevole.
Inoltre sarebbe leso, sia il
diritto di difesa dell’incapace, «al quale viene preclusa ogni possibilità di
far valere le proprie ragioni attraverso il curatore speciale per dimostrare la
lecita provenienza dei beni in sequestro», sia il diritto di difesa dei terzi
intestatari di beni sequestrati nel presupposto che ne abbia la disponibilità
il proposto.
L’art. 72 cod. proc. pen. sarebbe perciò in
contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non permette di
revocare l’ordinanza di sospensione del procedimento di applicazione di una
misura di prevenzione patrimoniale, ove sia accertata la irreversibile
incapacità della persona. In caso di accoglimento delle questioni, vi sarebbe
la possibilità di decidere sulla confisca dei beni sequestrati.
2.– È
intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che le questioni
siano dichiarate inammissibili o infondate.
Le questioni sarebbero
inammissibili perché il rimettente non avrebbe esperito il tentativo di
interpretazione costituzionalmente conforme.
Nel merito, esse sarebbero
infondate in ragione della «profonda differenza intercorrente tra il
procedimento penale ed il procedimento di prevenzione».
3.– Si è costituito anche il proposto,
rappresentato, in quanto interdetto, dal proprio tutore, e ha chiesto
l’accoglimento della questioni.
Secondo il proposto anche
l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale non potrebbe
prescindere dallo «svolgimento del contraddittorio» con la parte privata, in
particolare sull’esistenza della pericolosità «al momento dell’acquisto del
bene oggetto della richiesta ablatoria».
L’incapacità processuale del
proposto, pertanto, non potrebbe consentire al Tribunale l’adozione di un
provvedimento sulla confisca del bene. Né l’incapace potrebbe essere equiparato
al deceduto, che resta estraneo al procedimento avviato nei confronti degli
eredi, e per il quale non si pone perciò un problema di violazione del diritto
di difesa, come questa Corte ha ritenuto con la sentenza n. 21 del
2012.
4.–
Nell’imminenza dell’udienza pubblica, l’Avvocatura dello Stato ha depositato
una memoria, insistendo perché le questioni siano dichiarate inammissibili e,
nel merito, non fondate.
La difesa erariale ribadisce
che il rimettente avrebbe dovuto offrire un’interpretazione costituzionalmente
orientata della disposizione impugnata, in difetto della quale sarebbe
inammissibilmente richiesto alla Corte di «avallare una tra le scelte
ermeneutiche possibili».
Nel merito, l’Avvocatura
generale insiste sulle differenze tra il procedimento penale e il procedimento
per l’applicazione della misura di prevenzione reale, con ampie citazioni
tratte dalla giurisprudenza costituzionale. Questa distinzione renderebbe non
fondate le questioni.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Napoli,
sezione misure di prevenzione, solleva questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 72, comma 2, del codice di procedura penale, in riferimento agli
artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui, nel procedimento di
applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale, non prevede la revoca
dell’ordinanza di sospensione disposta per l’infermità di mente del proposto,
qualora si accerti che l’incapacità della persona è irreversibile.
Il giudice a quo si trova a decidere su domande
congiunte di applicazione di una misura di prevenzione personale e della
confisca, nei confronti di una persona indiziata di appartenere a
un’associazione di tipo mafioso, nell’ambito di un procedimento ancora
governato ratione temporis
dalla legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni
criminali di tipo mafioso, anche straniere), e dalla legge 27 dicembre 1956, n.
1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la
sicurezza e per la pubblica moralità).
Nel corso del procedimento è
stato accertato che il proposto non era in grado di partecipare coscientemente
a causa di un’infermità mentale. Per tale ragione il Tribunale rimettente ha
adottato un’ordinanza di sospensione ai sensi dell’art. 71 cod. proc. pen.
All’esito di una nuova
perizia è risultata la natura irreversibile dell’incapacità.
Il giudice a quo reputa che la «permanente stasi
processuale», alla quale il procedimento sull’applicabilità della misura patrimoniale
sarebbe consegnato per effetto di tale situazione, generi un contrasto con gli
artt. 3 e 24 Cost.
L’attuale assetto normativo
sarebbe lesivo del principio di uguaglianza, perché tratterebbe in modo diverso
l’imputato nel procedimento penale e il proposto nel procedimento di
applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, e sarebbe anche del
tutto irragionevole.
Inoltre sarebbe leso, sia il
diritto di difesa dell’incapace, «al quale viene preclusa ogni possibilità di
far valere le proprie ragioni attraverso il curatore speciale per dimostrare la
lecita provenienza dei beni in sequestro», sia il diritto di difesa dei terzi
intestatari di beni sequestrati nel presupposto che ne abbia la disponibilità
il proposto.
2.–
L’Avvocatura dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni, perché
il rimettente non avrebbe esperito il tentativo di interpretare la norma
impugnata in senso costituzionalmente conforme, e ne ha chiesto il rigetto
facendo rilevare la differenza tra il processo penale e il procedimento di
prevenzione.
3.– L’eccezione di inammissibilità è priva di fondamento, perché il giudice
rimettente ha ritenuto che la possibilità di dare un’interpretazione della
disposizione impugnata tale da far superare il denunciato contrasto fosse
preclusa dal testo normativo, che non permetterebbe di revocare l’ordinanza di
sospensione per il caso di irreversibile incapacità del proposto (sentenza n. 42 del
2017).
4.– Le
questioni non sono fondate.
Di fronte all’incapacità del
proposto di partecipare coscientemente al procedimento di prevenzione, il
Tribunale rimettente, richiamando una giurisprudenza in tal senso, ha ritenuto
di dover fare applicazione delle disposizioni che regolano una situazione
analoga nel processo penale, e in particolare dell’art. 71 cod. proc. pen. Perciò ha sospeso il
procedimento.
L’irreversibilità
dell’incapacità avrebbe poi determinato, secondo il Tribunale, una durata
interminabile della sospensione, in quanto non si sarebbe potuta verificare nel
procedimento di prevenzione la situazione che, a norma dell’art. 72, comma 2,
cod. proc. pen., comporta
nel processo penale la revoca dell’ordinanza sospensiva; sarebbe cioè mancata
la possibilità di pronunciare una sentenza di proscioglimento o di non luogo a
procedere.
Il giudice a quo rileva che lo stato di
irreversibile incapacità del proposto nel caso di specie, anche alla luce della
natura dell’infermità mentale che lo ha colpito, «fa venir meno in radice ogni
possibilità di ritenere attuale la sua eventuale pericolosità sociale», e che
pertanto «deve certamente escludersi uno dei requisiti essenziali per
l’applicazione della misura di prevenzione personale ex art. 2 L. 575/65».
Nonostante ciò, l’ordinanza
di sospensione non potrebbe essere revocata; infatti non sarebbe «possibile
alcuna analogia con la “sentenza di proscioglimento o di non luogo a
procedere”. Queste, «mai previste dalla legislazione in materia di misure di
prevenzione, [avrebbero] evidentemente ragione di essere solo nel procedimento
penale di cognizione ed innanzi alla contestazione di ipotesi di reato».
Tale affermazione non può
essere condivisa.
È vero che nel procedimento
di prevenzione non sono previste sentenze di proscioglimento o di non luogo a
procedere, ma se fossero previste verrebbe in questione non un’applicazione
analogica dell’art. 72, comma 2, cod. proc. pen., ma un’applicazione diretta. Esclusa l’applicazione
diretta, nel caso in cui la mancanza di pericolosità del proposto comporti il
rigetto della richiesta della misura di prevenzione personale, non c’è alcuna
ragione per escludere anche l’applicazione analogica della disposizione in
questione.
In questo caso il
procedimento di prevenzione si conclude con una decisione sostanzialmente
assolutoria, come quella del processo penale, e, una volta fatta applicazione
analogica dell’art. 71 cod. proc. pen.
per disporre la sospensione del procedimento, non può
non farsi uguale applicazione anche dell’art. 72, comma 2, cod. proc. pen. per revocarla.
Deve perciò concludersi che,
dopo aver constatato la mancanza di pericolosità attuale, il Tribunale era
tenuto a revocare l’ordinanza di sospensione e a rigettare la richiesta di
applicazione della misura di prevenzione personale.
5.– Una volta chiarito ciò, occorre stabilire quale debba essere la sorte
della richiesta relativa alla confisca.
Al riguardo va anzitutto
escluso che l’incapacità irreversibile del proposto impedisca l’applicazione
della misura di prevenzione patrimoniale, dato che questa prescinde
dall’attuale pericolosità della persona, ma ha lo scopo di sottrarre
definitivamente i beni «al “circuito economico” di origine, per inserirl[i] in altro, esente dai condizionamenti criminali
che caratterizzano il primo» (sentenza n. 335 del 1996). Nel caso della
confisca non vi è perciò ragione di rigettare la domanda a causa della
infermità mentale del proposto, visto che tale stato è compatibile, sul piano
sostanziale, con l’adozione di una misura preventiva di natura patrimoniale.
È da aggiungere che, a
partire dall’entrata in vigore dell’art. 2-bis,
comma 6-bis, della legge 31 maggio
1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso,
anche straniere), introdotto dall’art. 10, comma 1, lettera c), numero 2), del decreto-legge 23
maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, come
sostituito dalla legge di conversione n. 125 del 2008, e modificato dall’art.
2, comma 22, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di
sicurezza pubblica), la confisca può essere disposta anche a prescindere dalla
concomitante applicazione della misura di prevenzione personale e dalla stessa
perdurante pericolosità sociale del proposto, al punto che può raggiungere
anche gli eredi della persona pericolosa.
Inoltre l’irreversibile
incapacità del proposto non costituisce un ostacolo alla definizione del
procedimento relativo alla misura patrimoniale.
Erra infatti il rimettente
nel ritenere che la possibilità di una tale definizione sia preclusa dalla
normativa vigente e richieda perciò di essere introdotta con una dichiarazione
di illegittimità costituzionale.
L’errore consiste nella
supposta equiparazione tra misura di prevenzione personale e misura di
prevenzione reale per quanto concerne l’applicabilità degli artt. 70 e seguenti
cod. proc. pen., in
relazione alla sospensione del procedimento per l’incapacità del proposto.
6.– Come è noto, il procedimento di prevenzione è governato dalla normativa
relativa all’applicazione delle misure di sicurezza, in quanto applicabile
(art. 4 della legge n. 1423 del 1956).
L’art. 678 cod. proc. pen., con riferimento alle misure di sicurezza e per quanto qui
interessa, rinvia a sua volta all’art. 666 cod. proc.
pen., relativo al procedimento di esecuzione.
L’art. 666, comma 8, cod. proc. pen. stabilisce che, nel
caso di infermità mentale dell’interessato, si procede nei confronti del
tutore, del curatore o del curatore provvisorio, che deve essere nominato in
assenza dei primi.
La normativa concernente il
procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza pertanto esclude che
l’incapacità della persona comporti la sospensione del procedimento e impone,
al contrario, che esso prosegua anche nei confronti del tutore o del curatore.
Compito dell’interprete è decidere se questa normativa sia o no compatibile con
la natura e la struttura del procedimento di prevenzione, e quindi se essa sia
o no per tale parte ad esso applicabile, sia quando ha ad oggetto misure
personali, sia quando ha ad oggetto misure patrimoniali. In caso di
incompatibilità troverebbero infatti spazio, in entrambi i casi, gli artt. 70 e
seguenti cod. proc. pen.
7.–
Questa Corte ha spesso rimarcato che il procedimento di prevenzione è
caratterizzato da «profonde differenze» rispetto al processo penale (ordinanza n. 275 del
1996), che consentono al legislatore un ampio spazio di diversificazione
della disciplina (sentenza
n. 321 del 2004; da ultimo, sentenza n. 106 del
2015).
Al contempo, quando viene in
gioco il bene supremo della libertà della persona, suscettibile di essere
pesantemente inciso da una misura di prevenzione personale, neppure le spiccate
peculiarità del procedimento di prevenzione consentono che esso sia sottratto
al patrimonio comune delle garanzie normative essenziali, correlate alle
diverse caratteristiche procedimentali (sentenze n. 306 del
1997, n. 77
del 1995, n.
160 del 1982 e n. 76 del 1970;
ordinanza n. 7 del
1998), se del caso anche attraverso l’applicazione delle regole relative al
processo penale (sentenza
n. 53 del 1968; in seguito, sentenza n. 306 del
1997).
È quanto deve accadere, e
nella specie è accaduto, per l’applicazione della misura di prevenzione
personale, tenuto conto che il bene sul quale essa opera ha «una propria e
particolare rilevanza costituzionale» (sentenza n. 53 del
1968; in seguito, sentenza n. 306 del
1997). È perciò necessario che l’esercizio del diritto di difesa, e di
“autodifesa”, da parte del proposto sia «consapevole e attivo» (sentenza n. 39 del
2004), cosa che non potrebbe accadere se fosse possibile procedere
nonostante lo stato di incapacità. In questo caso, l’art. 666, comma 8, cod. proc. pen. si dimostra pertanto
incompatibile con il rito di prevenzione personale, e dunque inapplicabile,
mentre adeguata, per quanto qui rileva, appare la disciplina recata dagli artt.
70 e seguenti cod. proc. pen.
8.– A una
conclusione diversa si deve invece pervenire con riferimento al procedimento
relativo alle misure di prevenzione patrimoniali, perché un conto è
l’inviolabilità della libertà personale, altro conto è «la libera disponibilità
dei beni, che la legge ben può contemperare in funzione degli interessi
collettivi che vengono ad essere coinvolti» (sentenza n. 48 del
1994; in seguito, sentenza n. 21 del
2012; ordinanza
n. 216 del 2012).
Questa Corte, in
particolare, è già stata chiamata a decidere sulla legittimità costituzionale
della scelta legislativa di prevedere che il procedimento di prevenzione per la
confisca dei beni possa essere proposto nei confronti dei successori a titolo
universale o particolare della persona deceduta. In tale occasione, si è
precisato che «l’individuazione, operata dal rimettente, della “presenza fisica
dell’interessato” (o almeno della sua “possibilità astratta di partecipare”)
quale “momento fondamentale del rapporto processuale, che condiziona la
correttezza globale del giudizio”, in cui si sostanzia il nucleo essenziale
della questione, non è giustificata con riferimento a un procedimento
finalizzato all’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della
confisca». Infatti le «profonde differenze, di procedimento e di sostanza, tra
le due sedi, penale e di prevenzione» (ordinanza n. 275 del
1996) e le peculiarità di quest’ultima, particolarmente
significative quando, come nel caso della confisca, la sede sia
funzionale all’applicazione di misure destinate ad incidere non già sulla
libertà personale della parte, ma sul suo patrimonio, in uno con la
considerazione della ratio
dell’istituto, confermano l’infondatezza della questione, incentrata
sull’assunto – valido per il processo penale – che la “presenza fisica” del
“soggetto nei confronti del quale [la confisca] potrebbe essere disposta” (o
almeno la sua “possibilità astratta di partecipare”) sia condizione ineludibile
di conformità del procedimento per l’applicazione della misura patrimoniale ai
parametri costituzionali evocati dal rimettente» (sentenza n. 21 del
2012).
Se, dunque, la natura del
procedimento per l’applicazione della confisca è tale da non comportare necessariamente
l’autodifesa da parte del proposto, al punto che esso può avviarsi nei
confronti dei terzi successori, non si vede ragione costituzionalmente
ineludibile per sospendere il procedimento in caso di incapacità del proposto
stesso.
L’esercizio del diritto di
difesa è infatti legittimamente garantito da parte del tutore o del curatore,
una volta chiarito che si può prescindere dalla partecipazione personale del
proposto. Ciò in linea con la natura di actio in rem che
la stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo attribuisce
al procedimento di confisca (da ultimo, sentenza 12 agosto 2015, Gogitidze contro Georgia).
Naturalmente tali
considerazioni attengono al solo profilo di legittimità costituzionale
prospettato dal rimettente, con riferimento alla potestà pubblica di avviare e
procedere nel giudizio di prevenzione reale nei confronti dell’incapace,
rappresentato dal suo tutore o curatore provvisorio. Indiscussa la sussistenza
di tale potestà per le ragioni appena esposte, resta impregiudicata ogni
valutazione circa la compatibilità con la Costituzione della particolare
configurazione che il legislatore ha impresso al procedimento, specie in punto
di oneri probatori e di allegazione, anche quando la persona che ha diretta
conoscenza dei fatti, e che potrebbe articolare la propria difesa in base a
ciò, non sia in grado di prendere parte coscientemente al giudizio. Si tratta,
infatti, di due profili distinti, attinenti l’uno all’an del procedimento, e l’altro al
quomodo,
dei quali il primo soltanto è oggetto del presente giudizio incidentale (sentenza n. 21 del
2012).
In conclusione, con riguardo
all’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, l’art. 666, comma 8,
cod. proc. pen. si rivela
compatibile con la struttura del procedimento e va perciò applicato anche nei
casi di incapacità del proposto, rimanendo inoperanti gli artt. 70 e seguenti
cod. proc. pen.
Le questioni sono perciò non
fondate, perché è errato ritenere che gli artt. 70 e seguenti cod. proc. pen. siano
applicabili al procedimento di prevenzione patrimoniale, in luogo dell’art.
666, comma 8, cod. proc. pen., e che solo attraverso
una declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 72, comma 2, cod. proc. pen. possa conseguirsi
l’effetto di proseguire nel giudizio relativo alla confisca.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 72, comma 2, del codice di procedura penale,
sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale
ordinario di Napoli, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2017.
F.to:
Paolo
GROSSI, Presidente
Giorgio
LATTANZI, Redattore
Filomena
PERRONE, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 17 luglio 2017.