Sentenza n. 86 del 2017

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SENTENZA N. 86

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-          Paolo                           GROSSI                                            Presidente

-          Alessandro                  CRISCUOLO                                      Giudice

-          Giorgio                        LATTANZI                                               ”

-          Aldo                            CAROSI                                                    ”

-          Marta                          CARTABIA                                              ”

-          Mario Rosario             MORELLI                                                 ”

-          Giancarlo                    CORAGGIO                                              ”

-          Silvana                        SCIARRA                                                 ”

-          Daria                           de PRETIS                                                ”

-          Nicolò                         ZANON                                                    ”

-          Franco                         MODUGNO                                              ”

-          Augusto Antonio         BARBERA                                                ”

-          Giulio                          PROSPERETTI                                         ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 20, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promosso dal Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, nel procedimento vertente tra l’Associazione nazionale degli industriali delle conserve alimentari vegetali (ANICAV) ed altri e la Camera di commercio, industria, artigianato, agricoltura di Parma ed altri, con sentenza del 9 ottobre 2014, iscritta al n. 40 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visti gli atti di costituzione dell’Associazione nazionale degli industriali delle conserve alimentari vegetali (ANICAV) ed altri, della Camera di commercio, industria, artigianato, agricoltura (CCIAA) di Parma, della Stazione Sperimentale per l’industria delle conserve alimentari azienda speciale della (CCIAA) di Parma (SSICA), fuori termine, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 7 marzo 2017 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

uditi gli avvocati Angelo Clarizia per l’Associazione nazionale degli industriali delle conserve alimentari vegetali (ANICAV) ed altri, Franco Gaetano Scoca per la Camera di commercio, industria, artigianato, agricoltura di Parma e l’avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Il Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, con sentenza non definitiva del 9 ottobre 2014, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97 e 118 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 20, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui ha disposto la soppressione della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari (di seguito: SSICA) ed il trasferimento dei relativi compiti ed attribuzioni alla Camera di commercio di Parma.

2.– Nel giudizio principale, l’Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali (ANICAV) e tre società di capitali operanti nel settore delle conserve alimentari hanno impugnato davanti al TAR per l’Emilia-Romagna, sezione distaccata di Parma: la delibera della Camera di Commercio, Industria Artigianato e Agricoltura (d’ora in poi, anche CCIAA) di Parma in data 14 giugno 2010, n. 116, che, ai sensi del citato art. 7, comma 20, ha costituito l’Azienda speciale della Camera di commercio di Parma, denominata Stazione Sperimentale per l’industria delle conserve alimentari; il decreto del Ministro dello sviluppo economico, adottato di concerto con il Ministro dell’economia, del 1° aprile 2011, recante «Tempi e modalità di trasferimento dei compiti e delle attribuzioni, del personale e delle risorse strumentali e finanziarie delle soppresse Stazioni sperimentali per l’industria»; la delibera di detta Camera di commercio del 4 luglio 2011, n. 143, che ha confermato le determinazioni assunte in ordine alla costituzione della predetta azienda speciale.

Il TAR, con sentenza del 30 marzo 2012, n. 138, ha dichiarato il ricorso inammissibile, per difetto di interesse. Avverso detta pronuncia hanno proposto appello le soccombenti ed il Consiglio di Stato, con sentenza del 9 ottobre 2014: ha deciso l’impugnazione limitatamente alla censurata declaratoria di inammissibilità; ai fini della decisione di merito, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 7, comma 20, che ha sollevato, disponendo la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti a questa Corte.

2.1.– Posta questa premessa, il provvedimento di rimessione deduce che la norma censurata ha disposto la soppressione degli enti pubblici economici statali denominati Stazioni Sperimentali per l’industria, trasferendo compiti ed attribuzioni alle camere di commercio indicate nell’allegato 2 del d.l. n. 78 del 2010, individuando in quella di Parma l’ente conferitario della SSICA.

La CCIAA di Parma, con la delibera impugnata, ha costituito l’Azienda speciale, denominata Stazione sperimentale per l’industria delle conserve alimentari, prima che la legge di conversione del d.l. n. 78 del 2010 inserisse nel testo del censurato art. 7, comma 20, ultimo alinea, la previsione che ha attribuito ad un decreto ministeriale la fissazione di tempi e modalità del trasferimento dei compiti in esame.

Le ricorrenti hanno eccepito l’illegittimità di detta delibera, perché adottata prima di tale decreto ministeriale ed in relazione ad ulteriori profili, censurando anche, con motivi aggiunti, gli atti sopravvenuti (il citato d.m. del 1° aprile 2011; la delibera camerale del 4 luglio 2011, n. 143).

2.2.– Il giudice a quo, dopo avere illustrato gli argomenti a conforto della ritenuta fondatezza del primo motivo di appello e dell’esistenza dell’interesse delle parti attrici, deduce che la sollevata questione sarebbe rilevante, poiché il richiamato art. 7, comma 20, costituisce la base giuridica di tutti gli atti impugnati.

2.3.– Nel merito, il rimettente osserva che la norma in esame è collocata nel Capo II del d.l. n. 78 del 2010, il cui titolo («Riduzione del costo degli apparati politici ed amministrativi») dimostrerebbe che ratio della stessa sarebbe stata di realizzare «un significativo risparmio di spesa attraverso la soppressione di enti ritenuti costosi per l’erario e non più strategici per il perseguimento dell’interesse pubblico nazionale» e, appunto per questo, ne evidenzierebbe l’irragionevolezza.

La soppressa Stazione Sperimentale era infatti finanziata in misura preponderante con i contributi delle imprese del settore conserviero e, dunque, non sussisterebbe «la primaria finalità perseguita dal legislatore, coincidente con esigenze di risparmio della spesa pubblica».

2.3.1.– Secondo il giudice a quo, la norma violerebbe il principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione), realizzando una discriminazione tra gli operatori economici dell’industria conserviera. Quelli di essi che non hanno la propria sede nella provincia di Parma godrebbero di minore rappresentatività negli organi camerali rispetto agli imprenditori che in questa hanno la loro sede e, dunque, «potrebbero essere discriminati» nella determinazione delle politiche gestionali e nelle scelte strategiche della Azienda speciale.

2.3.2.– Il trasferimento dei compiti e delle funzioni in esame alla CCIAA di Parma si porrebbe, altresì, in contrasto con i principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), poiché essa «non ha competenze e strutture adeguate ad assicurare il corretto ed unitario esercizio delle funzioni trasferite su tutto il territorio nazionale».

Il principio di imparzialità sarebbe leso, poiché la CCIAA di Parma, per legge e per statuto, dovrebbe perseguire gli interessi dei propri iscritti e del tessuto economico della provincia; conseguentemente, «non appare ente adeguato a svolgere in modo imparziale le attribuzioni conferite in favore di tutti gli imprenditori del settore conserviero operanti a livello nazionale».

Ad avviso del rimettente, il citato art. 7, comma 20, violerebbe, dunque, i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (art. 118 Cost.). L’allocazione delle funzioni amministrative ad un livello prossimo ai destinatari delle stesse è aderente al modello di sussidiarietà verticale delineato dalla Costituzione, purché ne sia garantito il corretto ed omogeneo esercizio. Tuttavia, nella specie, la dimensione locale della camera di commercio, «non sembrerebbe prima facie compatibile con l’ottimale ed unitario esercizio di quelle funzioni in favore di tutti gli operatori della industria conserviera nazionale». L’art. 1 della legge 29 dicembre 1983, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), imprimerebbe alle stesse «un perimetro d’azione necessariamente localistico che appare inconciliabile, proprio in corretta applicazione del principio di sussidiarietà, con la proficua tutela di interessi di categoria che trascendono l’ambito strettamente locale».

Il recupero della rappresentatività degli interessi a livello nazionale neppure potrebbe avvenire «a livello di Unioncamere», la quale, in virtù delle previsioni del relativo statuto e dell’art. 7 della legge n. 580 del 1993, rappresenta gli interessi generali delle camere di commercio presenti sul territorio nazionale. Tale rappresentanza, in quanto riferita agli interessi generali del sistema camerale italiano, non inciderebbe sulla sfera di autonomia di ciascuna camera di commercio, sui compiti e sulle funzioni attribuite alle stesse, ancora più quando, come nella specie, siano state trasferite ad organismi appositamente istituiti, posti sotto la vigilanza dell’ente camerale territoriale.

3.– L’ANICAV, in persona del legale rappresentante, la Agricola Tre Valli scarl, la Doria spa, la Salvati Mario & C. spa (ognuna in persona del rispettivo legale rappresentante), appellanti nel giudizio principale, si sono costituite nel giudizio davanti a questa Corte, chiedendo che la sollevata questione sia dichiarata fondata.

Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica le parti fanno proprie le argomentazioni dell’ordinanza di rimessione in punto di rilevanza e fondatezza della questione. A loro avviso, tenuto conto delle modalità del finanziamento delle Stazioni Sperimentali, la norma sarebbe irragionevole, poiché non realizza il risparmio di spesa, che dovrebbe costituirne la finalità. L’art. 97 Cost. sarebbe leso, poiché le camere di commercio, in ragione delle competenze territorialmente e funzionalmente limitate ad esse attribuite, non garantirebbero il corretto svolgimento dei compiti in esame. Il principio di imparzialità sarebbe, inoltre, vulnerato, dato che le imprese conserviere non aventi sede nella provincia di Parma godrebbero di minore rappresentatività negli organi di amministrazione dell’azienda speciale.

Secondo le parti, l’ordinanza di rimessione avrebbe convincentemente motivato la violazione dell’art. 118 Cost. La norma censurata avrebbe attuato un «decentramento inopportuno, inadeguato rispetto all’oggetto dell’attività in questione», tenuto conto della dimensione nazionale della stessa e del carattere locale della camera di commercio.

4.– Nel giudizio si è altresì costituita la CCIAA di Parma (resistente nel giudizio principale), in persona del presidente pro tempore, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile (per la mancata verifica della possibilità di fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata) e comunque infondata.

4.1.– A suo avviso, il citato art. 7, comma 20, mira a realizzare non una mera riduzione della spesa pubblica, bensì una «stabilizzazione finanziaria», conseguibile attraverso «diversi ed autonomi meccanismi» (analiticamente indicati), riservati alla discrezionalità del legislatore, garantita anche dal mancato aumento della stessa.

Finalità della disposizione sarebbe quella di assicurare detta stabilizzazione, senza prevedere «nuove spese pubbliche», dato che le risorse delle aziende speciali sono costituite dai contributi versati dagli imprenditori di settore (art. 23 del regio decreto 31 ottobre 1923, n. 2523, recante «Riordinamento dell’istruzione industriale»; decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 540, recante «Riordino delle stazioni sperimentali per l’industria, a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59»). Inoltre, essa avrebbe realizzato un riassetto strumentale a garantire la «competitività economica» delle aziende speciali e delle camere di commercio, in coerenza con le complessive finalità del d.l. n. 78 del 2010.

4.2.– La censura riferita all’art. 3 Cost. muoverebbe poi da un’identificazione della natura, dei compiti e delle funzioni delle camere di commercio non convincente, poiché non terrebbe conto delle modifiche introdotte alla legge n. 580 del 1993 dal decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 23 (Riforma dell’ordinamento relativo alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, in attuazione dell’articolo 53 della legge 23 luglio 2009, n. 99), in particolare, ai commi 1 e 2 dell’art. 1 di detta legge.

Le camere di commercio avrebbero, infatti, una «funzione di supporto e di promozione» di interessi economici generali e nazionali, «perseguiti a livello territoriale attraverso l’istituzione di articolazioni autonome, nello specifico l’Azienda speciale». Quest’ultima non sarebbe asservita alle industrie conserviere della provincia di Parma, mentre l’art. 2, comma 4, della legge n. 580 del 1993 stabilisce che, «Per il raggiungimento dei propri scopi, le camere di commercio, promuovono, realizzano e gestiscono strutture ed infrastrutture di interesse economico generale a livello locale, regionale e nazionale, direttamente o mediante la partecipazione, secondo le norme del codice civile, con altri soggetti pubblici e privati, ad organismi anche associativi, ad enti, a consorzi e a società».

La constatazione che le ricorrenti hanno ripetutamente fruito dei servizi dell’Azienda speciale dimostrerebbe l’inesistenza della eccepita disparità di trattamento. In ogni caso, non sussisterebbe il dedotto difetto di rappresentatività, in quanto lo statuto della stessa prevede che tutte le associazioni di categoria e gli operatori non aventi sede in detta provincia, «a rotazione entrano a far parte» del consiglio di amministrazione.

4.3.– La censura riferita all’art. 97 Cost. sarebbe infondata, poiché le funzioni di supporto e di promozione di interessi generali non sarebbero «incompatibili con l’onere di gestire in sede locale una struttura che, per volontà del legislatore, presta servizi a livello nazionale». È stato, inoltre, ragionevolmente previsto che le stesse siano espletate da un’azienda speciale, costituente articolazione autonoma della CCIAA di Parma, che godrebbe di un ampio margine di indipendenza.

Non sarebbe, infine, corretta l’enfatizzazione della «dimensione locale dell’istituto camerale» e sarebbe infondata la denunciata violazione dell’art. 118 Cost. Le camere di commercio espletano, infatti, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese e, tenuto conto della natura, dell’organizzazione e dei compiti delle stesse, garantirebbero l’adeguata cura degli interessi in gioco.

5.– Nel giudizio si è costituita anche la Stazione Sperimentale per l’industria delle conserve alimentari, Azienda speciale della Camera di commercio di Parma (resistente nel processo principale), in persona del legale rappresentante, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile, ovvero manifestamente infondata.

Secondo la parte, la norma mira ad assicurare la «competitività economica» della stazione sperimentale, finalità congruamente conseguita, mediante l’attribuzione dei relativi compiti alla camera di commercio, le cui funzioni, in virtù della legge n. 580 del 1993, neppure sono limitate all’ambito esclusivamente provinciale.

6.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che, nell’atto di intervento ed in una successiva memoria, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.

6.1.– A suo avviso, finalità della norma in esame sarebbe quella di migliorare la competitività del sistema economico, conseguita mediante una misura concernente un ambito riservato all’ampia discrezionalità del legislatore. Sarebbe poi inesatta l’enfatizzazione della dimensione locale delle camere di commercio, perché queste possono espletare funzioni che trascendono l’ambito locale. Il recupero della rappresentatività degli interessi sarebbe poi garantito «a livello di Unioncamere». Il Consiglio di Stato ha, peraltro, ritenuto legittimo l’esercizio da parte dello Stato del potere regolamentare nella materia de qua («Sezione consultiva atti normativi, 10 gennaio 2005, n. 150/2001»), ricadendo le funzioni in esame nel novero delle competenze dell’art. 117, terzo comma, Cost. Il riconoscimento costituzionale degli enti di autonomia funzionale (art. 118 Cost.) permetterebbe che alcuni processi decisionali facciano capo a soggetti diversi dall’amministrazione statale.

L’Avvocatura generale ripercorre l’evoluzione della disciplina delle Stazioni Sperimentali per l’Industria e ricorda che l’art. 23, quarto comma, del regio decreto 31 ottobre 1923, n. 2523 (Riordinamento dell’istruzione industriale), nel testo modificato dall’articolo unico del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1948, n. 718 (Pagamento degli emolumenti del personale di ruolo delle Stazioni sperimentali per l’industria), ha fissato le modalità della contribuzione da parte delle imprese. Il d.lgs n. 540 del 1999 ne ha realizzato il riordino, configurandole come «enti pubblici economici» (art. 2, comma 1), muniti di potestà statutaria (art. 3); da ultimo, le stesse sono state soppresse dalla norma censurata.

Quest’ultima ha demandato ad un decreto interministeriale l’individuazione dei tempi e delle modalità di trasferimento dei compiti e delle attribuzioni in esame, stabiliti dal richiamato d.m. 1° aprile 2011. A questo si è conformata la CCIAA di Parma, con la delibera del 4 luglio 2011, n. 143, che ha dato continuità alla dimensione nazionale dell’attività svolta.

Secondo l’interveniente, l’allocazione delle funzioni in questione presso l’Azienda speciale non avrebbe alterato il rilievo nazionale delle stesse, anche «perché le Camere di commercio non sono enti locali» e possono svolgere, con ampi margini di indipendenza, compiti di interesse generale per il settore delle imprese, come è accaduto per tutte le altre Stazioni Sperimentali. La collocazione dell’Azienda speciale presso la CCIAA di Parma non ne comporterebbe l’asservimento alle industrie conserviere della provincia, tenuto conto anche dell’art. 2, comma 4, della legge n. 580 del 1993 e delle disposizioni contenute nell’art. 1 del citato d.m. 1° aprile 2011 (puntualmente riportate dall’interveniente).

Lo statuto dell’Azienda speciale ha, inoltre, previsto che tutte le associazioni di categoria (e le imprese non aventi sede nella provincia), fanno parte, a rotazione, del consiglio di amministrazione, con conseguente infondatezza della denunciata violazione del principio di eguaglianza. Le funzioni di supporto e promozione degli interessi generali delle imprese bene possono essere espletate da una struttura che, per volontà del legislatore, svolge un servizio a livello nazionale, e ciò grazie anche alla scelta di istituire un’azienda speciale, articolazione autonoma che gode di margini di indipendenza.

L’infondatezza della censura riferita all’art. 118 Cost., ad avviso dell’interveniente, sarebbe confortata dalle sentenze della Corte costituzionale n. 477 del 2000 (secondo cui le camere di commercio entrano «a pieno titolo, formandone parte costituente, nel sistema dei poteri locali secondo lo schema dell’art. 118 della Costituzione») e n. 374 del 2007 (in quanto ha sottolineato che alle camere di commercio fanno capo «funzioni d’interesse generale per il sistema delle imprese» e «funzioni di supporto e di promozione» di interessi economici generali e nazionali).

Le disposizioni del richiamato d.m. 1° aprile 2011 (esaminate in dettaglio dall’Avvocatura Generale) garantirebbero, infine, l’unitario ed efficiente esercizio delle funzioni trasferite, ragionevolmente attribuite agli enti più prossimi all’area di riferimento delle singole Stazioni Sperimentali, nell’interesse di tutte le imprese interessate. L’attribuzione al Ministero dello sviluppo economico delle funzioni di collegamento e di confronto con la camera di commercio e di approvazione dei criteri di determinazione e la misura dei contributi assicurerebbero il «mantenimento a livello centrale di decisioni di evidente interesse nazionale».

Considerato in diritto

1.– Il Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97 e 118 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 20, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui ha disposto la soppressione della Stazione Sperimentale per l’industria delle conserve alimentari (di seguito: SSICA) ed il trasferimento dei relativi compiti ed attribuzioni alla Camera di commercio di Parma.

1.1.– Secondo il rimettente, ratio della disposizione sarebbe stata quella di realizzare «un significativo risparmio di spesa attraverso la soppressione di enti ritenuti costosi per l’erario»; detta norma sarebbe dunque irragionevole, dato che la soppressa SSICA e l’Azienda speciale che ora ne espleta i compiti sono finanziate in misura preponderante con i contributi delle imprese del settore conserviero.

La norma realizzerebbe, inoltre, una discriminazione tra gli operatori economici del settore dell’industria conserviera, tenuto conto della minore rappresentatività garantita negli organi camerali dell’azienda speciale a quelli di essi che non hanno sede nella provincia di Parma.

I principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) sarebbero lesi, in quanto la Camera di commercio di Parma sarebbe priva di competenze e strutture adeguate ad assicurare il corretto ed unitario esercizio su tutto il territorio nazionale delle funzioni trasferite e, per legge e per statuto, dovrebbe curare gli interessi dei propri iscritti e del tessuto economico della provincia. Pertanto, la stessa «non appare ente adeguato a svolgere in modo imparziale le attribuzioni conferite».

La norma recherebbe, infine, vulnus all’art. 118 Cost., perché l’allocazione dei compiti in esame presso la Camera di commercio di Parma non costituirebbe soluzione adeguata, efficiente ed in grado di assicurarne il corretto ed omogeneo esercizio, dal momento che questa ha «un perimetro d’azione necessariamente localistico che appare inconciliabile, proprio in corretta applicazione del principio di sussidiarietà, con la proficua tutela di interessi di categoria che trascendono l’ambito strettamente locale».

2.– Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità della costituzione in giudizio della Stazione Sperimentale per l’industria delle conserve alimentari, Azienda speciale della Camera di commercio di Parma (parte nel giudizio a quo), avvenuta con atto pervenuto il 18 maggio 2015 (spedito il 12 maggio 2015), quindi, oltre il termine stabilito dall’art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), computato come è previsto dall’art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, essendo tale termine, per costante giurisprudenza di questa Corte, perentorio (tra le più recenti, sentenze n. 219, n. 84 e n. 57 del 2016).

3.– Sempre in linea preliminare, occorre osservare che la questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Consiglio di Stato con “sentenza”, con cui ha deciso «parzialmente e non definitivamente» l’appello, dichiarando ammissibile il ricorso di primo grado. Il giudice a quo non ha, dunque, definito il processo; a tale scopo, ha infatti ritenuto rilevante la questione di legittimità costituzionale, che ha proposto con detto provvedimento, disponendo altresì la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti a questa Corte.

L’adozione di due provvedimenti (una sentenza non definitiva ed un’ordinanza di rimessione, in relazione ai motivi di ricorso non decisi) in uno stesso contesto formale (cioè in un unico atto) non incide sulla autonomia di ciascuno e sulla idoneità di quello costituente ordinanza ad instaurare il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, dato che risulta osservato l’art. 23 della legge n. 87 del 1953 ed il giudizio principale non è stato definito (sentenza n. 94 del 2009).

3.1.– Il provvedimento di rimessione ha motivato la rilevanza della questione, osservando che «tutti gli atti in primo grado impugnati hanno assunto a base giuridica la disposizione» censurata e, quindi, l’eventuale fondatezza della stessa ne comporterebbe «l’annullamento per invalidità derivata». Si tratta di argomentazione plausibile, con conseguente ammissibilità, sotto questo profilo, della questione (per tutte, sentenze n. 203, n. 200 e n. 133 del 2016).

3.2.– Esigenze di chiarezza espositiva rendono opportuno esaminare le eccezioni di inammissibilità della Camera di commercio di Parma e dell’interveniente unitamente ai profili di merito delle censure, tenuto anche conto del contenuto delle stesse.

3.3.– Ancora in linea preliminare, va infine osservato che, in data successiva all’ordinanza di rimessione, l’art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), ha delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo per la riforma dell’organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, anche mediante la modifica della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), come modificata dal decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 23 (Riforma dell’ordinamento relativo alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, in attuazione dell’articolo 53 della legge 23 luglio 2009, n. 99).

Tale delega è stata esercitata con l’emanazione del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega di cui all’articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura).

Le norme sopravvenute non hanno tuttavia modificato il censurato art. 7, comma 20; ciò è sufficiente ad escludere che lo ius superveniens imponga la restituzione degli atti. Peraltro, benché sia indubbio che, come osservato dal Consiglio di Stato, detto decreto legislativo abbia «avvia[to] una profonda riforma dell’intero sistema» camerale (Sezione normativa, parere del 20 ottobre 2016, n. 2155/2016), lo stesso neppure ha introdotto innovazioni in grado di rendere anche solo opportuna una rivalutazione delle censure da parte del rimettente.

4.– Nel merito, la questione non è fondata, nei sensi di cui in motivazione.

4.1.– Il rimettente censura la norma in esame in riferimento all’art. 3 Cost., denunciandone, sotto un primo profilo, l’irragionevolezza intrinseca, per incoerenza rispetto alla finalità della stessa, identificata nel conseguimento di un risparmio di spesa.

Relativamente a questo profilo, va ricordato che questa Corte ha desunto dall’art. 3 Cost. un canone di “razionalità” della legge svincolato da una normativa di raffronto, rintracciato nell’esigenza di conformità dell’ordinamento a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica (sentenza n. 87 del 2012). Il principio di ragionevolezza è dunque leso quando si accerti l’esistenza di una irrazionalità intra legem, intesa come «contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata» (sentenza n. 416 del 2000). Tuttavia, «non ogni incoerenza o imprecisione di una normativa può venire in questione ai fini dello scrutinio di costituzionalità» (sentenza n. 434 del 2002), consistendo il giudizio di ragionevolezza in un «apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la “causa” normativa che la deve assistere» (sentenze n. 89 del 1996 e n. 245 del 2007) che, «quando è disgiunto dal riferimento ad un tertium comparationis, può trovare ingresso solo se l’irrazionalità o iniquità delle conseguenze della norma sia manifesta e irrefutabile» (sentenza n. 46 del 1993).

Alla luce di detti principi, l’enfatizzazione della realizzazione di un risparmio di spesa, nei termini sostenuti dal rimettente, non è corretta. Il d.l. n. 78 del 2010 reca, infatti, «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica». Quest’ultima locuzione, autonomamente valutabile, è richiamata nella premessa del decreto, nella quale è sottolineata l’esigenza di «emanare disposizioni» anche «per il rilancio della competitività economica». La soppressione di determinati enti pubblici e le modalità di allocazione delle relative funzioni sono state dunque altresì ispirate all’esigenza, espressamente enunciata, di accrescere la competitività, attraverso un’opera di razionalizzazione organizzativa.

La verifica della coerenza finalistica della norma va, inoltre, condotta avendo riguardo all’evoluzione della disciplina delle Stazioni Sperimentali per l’industria.

Queste ultime sono organizzazioni di risalente tradizione, che svolgevano, in collaborazione con i settori produttivi di riferimento, attività di sperimentazione e di ricerca industriale finalizzate al sostegno della competitività delle imprese. La SSICA fu istituita con decreto reale del 2 luglio 1922, n. 1396 (Regia Stazione sperimentale per l’industria delle Conserve Alimentari in Parma), con sede presso i locali forniti dalla Camera di commercio di Parma, all’esito di un’evoluzione che rinviene le sue radici alla fine del 1800 ed aveva visto assumere da parte delle industrie di settore del territorio parmigiano una funzione di rilievo. Anteriormente, e successivamente, sono state istituite altre Stazioni Sperimentali, tutte connotate, fin dalle origini, dalla localizzazione in base al criterio della pertinenza e rilevanza dell’industria di riferimento in relazione ad una determinata area territoriale. Il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 540 (Riordino delle stazioni sperimentali per l’industria, a norma dell’articolo 11 della Legge 15 marzo 1997, n. 59) le ha configurate quali «enti pubblici economici» sottoposti «alla vigilanza del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato» (art. 2, comma 1), senza tuttavia introdurre modificazioni sostanziali all’attività delle stesse (primariamente consistente nella «attività di ricerca industriale e attività di sviluppo precompetitiva», art. 2, comma 2, lettera a) ed al criterio di localizzazione, tenuto conto dell’inerenza dell’attività di ricerca e sperimentazione ai settori produttivi peculiarmente sviluppati in determinate aree territoriali del Paese.

La norma censurata ha, infine, disposto la soppressione delle Stazioni Sperimentali, prevedendo che la relativa attività sia svolta dalle camere di commercio nella cui circoscrizione territoriale esse avevano sede, demandando ad un decreto interministeriale l’individuazione di «tempi e concrete modalità di trasferimento dei compiti».

Nel quadro della lunga e complessa evoluzione della disciplina delle Stazioni Sperimentali, il citato art. 7, comma 20, ha realizzato una soluzione riconducibile – come dedotto dall’interveniente e dalla Camera di commercio di Parma – all’ampia discrezionalità spettante al legislatore ordinario nella scelta delle misure organizzative. Tale scelta non è stata manifestamente irragionevole, in quanto ispirata all’esigenza di razionalizzarne l’organizzazione, in vista del recupero della competitività economica, tenendo conto delle finalità, delle origini (anche storiche) delle Stazioni Sperimentali e delle ragioni della costante localizzazione delle stesse sulla scorta del criterio di inerenza dell’attività a determinate realtà produttive primariamente esistenti in dati ambiti territoriali. La norma in esame non ha appunto avuto ad oggetto soltanto la SSICA, ma ha realizzato un intervento che ha interessato tutte le Stazioni Sperimentali.

4.2.– Il secondo profilo di censura concernente l’art. 3 Cost. consiste in argomentazioni inscindibilmente connesse con quelle svolte in relazione agli art. 97 e 118 Cost. Le deduzioni inerenti a quest’ultimo parametro costituzionale sono, infatti, prive di autonomia, poiché convergono tutte nel denunciare l’ipotizzata inidoneità delle camere di commercio a svolgere compiti non connotati da dimensione localistica (tenuto conto delle competenze alle stesse spettanti e delle strutture delle quali dispongono) e, quindi, vanno esaminate congiuntamente.

4.2.1.– Anche in relazione a detto profilo, la questione non è fondata.

4.2.2.– Il contenuto delle censure impone di ricordare che le Camere di commercio, fin dalla loro istituzione (con legge 6 luglio 1862, n. 680, recante «Per l’istituzione e l’ordinamento delle camere di commercio ed arti») hanno assunto un duplice volto: da un lato organi di rappresentanza delle categorie mercantili; dall’altro strumenti per il perseguimento di politiche pubbliche, tanto da assumere successivamente (con la legge 20 marzo 1910, n. 121, recante «Riordinamento delle camere di commercio e arti del regno» e con il regolamento di attuazione approvato con regio decreto 19 febbraio 1911, n. 245) la natura di enti di diritto pubblico, dotati di personalità giuridica.

La qualificazione di ente pubblico fu mantenuta con la riforma realizzata negli anni venti del secolo scorso. Il successivo sviluppo fu caratterizzato, tra l’altro, dallo svolgimento di funzioni loro demandate quali nuovi organi periferici dello Stato, alle dipendenze del Ministro delle corporazioni (sotto forma di Consigli provinciali dell’economia corporativa, in cui erano state trasformate le Camere di commercio) e, in seguito, del Ministro dell’industria e del commercio, allorché furono ricostituite come enti, a circoscrizione provinciale, di coordinamento e rappresentanza degli interessi commerciali, industriali ed agricoli della provincia e fu avviato il ripristino della elezione degli organi da parte della categorie, attuato infine con la legge n. 580 del 1993. Le camere di commercio risultarono titolari di funzioni proprie e di funzioni delegate da parte di amministrazioni statali, come affermato da questa Corte, sottolineando appunto che «l’organizzazione delle Camere di commercio interessa anche lo Stato» (sentenza n. 15 del 1957).

Tale natura delle Camere di Commercio è stata sostanzialmente mantenuta successivamente all’entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382), fino a quando la legge n. 580 del 1993 le ha configurate quali «enti autonomi di diritto pubblico», stabilendo che «svolgono, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese curandone lo sviluppo nell’ambito delle economie locali» (art. 1, comma 1).

La legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), ha portato a più coerente svolgimento il disegno del d.P.R n. 616 del 1977, allentando i controlli statali. Nondimeno, il riferimento all’ambito locale non è stato ritenuto limitativo dell’attività svolta e non ha impedito alle camere di commercio, anche dopo le riforme realizzate con la legge n. 580 del 1993 e con il d.lgs. n. 23 del 2010, di svolgere funzioni di interesse generale, necessarie per la tutela dei consumatori e per la promozione di attività economiche.

È stato infatti previsto che le camere di commercio possono incidere sullo stato soggettivo degli operatori economici attraverso, ad esempio, la tenuta del registro delle imprese o di taluni albi professionali (art. 2, comma 2, lettera a, della legge n. 580 del 1993). Ad esse sono state attribuite le funzioni degli Uffici metrici provinciali e di taluni uffici periferici del Ministero (art. 20, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59»); presso le stesse è stato individuato un responsabile delle attività finalizzate alla tutela del consumatore e della fede pubblica, con particolare riferimento ai compiti in materia di controllo di conformità dei prodotti e strumenti di misura già svolti da detti uffici (art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998); è stato previsto che i comuni possono stipulare convenzioni con le camere di commercio, per la realizzazione dello sportello unico (art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 112 del 1998); è stata stabilita la possibilità di svolgere compiti di ausilio dello Stato nell’attività di programmazione economica e finanziaria, coordinamento e verifica degli interventi per lo sviluppo economico territoriale e settoriale e delle politiche di coesione (art. 24, comma 1, lettera c, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, recante «Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59»); è stata prevista la facoltà di «costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle controversie tra imprese e tra imprese e consumatori e utenti», di «predisposizione di contratti-tipo tra imprese, loro associazioni e associazioni di tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti» e di «promozione di forme di controllo sulla presenza di clausole inique inserite nei contratti» (art. 2, comma 2, lettere g, h, i, della legge n. 580 del 1993).

Tale quadro è stato confermato dalle leggi di attuazione della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, anche alla luce del disposto dell’art. 7, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). Peraltro, se la disciplina vigente alla data di emanazione della norma censurata stabiliva che «le camere di commercio, singolarmente o in forma associata, esercitano, inoltre, le funzioni ad esse delegate dallo Stato e dalle regioni, nonché i compiti derivanti da accordi o convenzioni internazionali, informando la loro azione al principio di sussidiarietà» (art. 2, comma 1, della legge n. 580 del 1983), le modifiche da ultimo realizzate dal d.lgs. n. 219 del 2016 neppure hanno segnato una deriva esclusivamente localistica dei compiti delle stesse (come risulta anche dall’art. 2, comma 4, della legge n. 580 del 1993, nel testo modificato da detto decreto legislativo).

È accaduto, quindi, che sino alla legge n. 580 del 1993 carattere locale degli interessi e matrice statale degli organi chiamati a rappresentarli convivevano in una figura istituzionale difficilmente definibile. Detta legge ha configurato la camera di commercio quale ente pubblico «che entra a pieno titolo, formandone parte costitutiva, nel sistema dei poteri locali secondo lo schema dell’art. 118 della Costituzione, diventando anche potenziale destinatario di deleghe dello Stato e della Regione» (sentenza n. 477 del 2000). Da ultimo, questa Corte ha affermato che l’art. 1, comma 1, della legge n. 580 del 1993 «non contempla affatto l’asserita attribuzione a dette Camere della natura di enti locali, ma sancisce che […] sono enti pubblici dotati di autonomia funzionale» (sentenza n. 29 del 2016), retti dal principio di sussidiarietà, ai quali sono attribuiti compiti che, se necessario, possono essere disciplinati in «maniera omogenea in ambito nazionale» (sentenza n. 374 del 2007).

Le modifiche da ultimo realizzate, benché pregnanti, non hanno alterato i caratteri fondamentali delle camere di commercio. È stata infatti realizzata una razionalizzazione e riduzione dei costi del sistema camerale, confermando, tra le altre: l’attribuzione dei compiti in materia di pubblicità legale e di settore mediante la tenuta del registro delle imprese; le funzioni specificatamente previste dalla legge in materia di tutela del consumatore e della fede pubblica, vigilanza e controllo sulla sicurezza e conformità dei prodotti e sugli strumenti soggetti alla disciplina della metrologia legale; le competenze in materia di rilevazione dei prezzi e delle tariffe, rafforzando la vigilanza da parte del Ministero dello sviluppo economico (vedi l’art. 2, comma 2, lettere a, c, nonché l’art. 4 della legge n. 580 del 1993, nel testo modificato dal d.lgs. n. 219 del 2016).

4.2.3.– Il quadro di riferimento nel quale è stata realizzata la scelta operata con la norma censurata (peraltro, con riguardo a tutte le Stazioni Sperimentali) dimostra che l’attribuzione dei compiti alle camere di commercio, tenuto conto della loro natura e dell’ampia e composita gamma di funzioni loro conferite, non è (e non è mai stata) imprescindibilmente correlata alla necessaria dimensione localistica dell’interesse e soltanto esige che la relativa scelta appaia giustificata in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (ex plurimis, sentenze n. 144 del 2014 e n. 232 del 2011), come è appunto accaduto.

La complessiva considerazione delle origini storiche delle Stazioni Sperimentali, del radicamento delle stesse in determinati ambiti territoriali, in correlazione con la tipologia delle attività produttive, apprezzate alla luce della natura e dei compiti svolti dalle camere di commercio, rendono dunque non manifestamente irragionevole ed ingiustificata la scelta del legislatore di attribuire a quella di Parma i compiti in passato svolti dalla soppressa Stazione Sperimentale conserviera, sulla scorta di un criterio generale, applicato a tutte le altre, pure soppresse, Stazioni sperimentali.

4.3.– La censura riferita all’art. 3 Cost., in relazione al principio di eguaglianza, non è infine fondata, poiché della norma può essere fornita un’interpretazione costituzionalmente orientata (della quale il giudice è onerato; per tutte, sentenza n. 204 del 2016).

L’art. 7, comma 20, del d.l. n. 78 del 2010 stabilisce, infatti, che con decreto interministeriale «sono individuati tempi e concrete modalità di trasferimento dei compiti e delle attribuzioni» spettanti alle Stazioni Sperimentali.

Gli ordinari criteri ermeneutici rendono possibile affermare che la formulazione della norma è tale da consentire ed imporre modalità attuative che assicurino sia la rappresentatività di tutti gli imprenditori interessati dall’attività delle Stazioni Sperimentali (nei limiti e nei modi resi necessari anche dalla specificità di quest’ultima), sia il rilievo nazionale della stessa. Eventuali discriminazioni che dovessero essere realizzate in relazione a detti profili non sarebbero dunque riconducibili alla norma e - qualora dovessero essere riscontrate - costituirebbero effetto delle modalità di attuazione stabilite con gli atti a ciò preordinati, soggetti al sindacato del giudice amministrativo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 20, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sollevata, in riferimento agli art. 3, 97 e 118 della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Carmelinda MORANO, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2017.