Sentenza n. 29 del 2016

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SENTENZA N. 29

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                  Presidente

-           Giuseppe                     FRIGO                                               Giudice

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

-           Franco                         MODUGNO                                            ”

-           Augusto Antonio       BARBERA                                              ”

-           Giulio                          PROSPERETTI                                        ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 28 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari) convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 114, promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 17 ottobre 2014, depositato in cancelleria il 23 ottobre 2014 ed iscritto al n. 80 del registro ricorsi 2014.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; 

         udito nell’udienza pubblica del 12 gennaio 2016 il Giudice relatore Paolo Grossi;

uditi l’avvocato Beatrice Fiandaca per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 17 ottobre 2014 e depositato il successivo 23 ottobre, la Regione siciliana, in persona del Presidente pro tempore, ha proposto in via principale – per violazione degli artt. 14, lettere d), o), p) e q), e 36 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana) e degli artt. 3, 81, 97 e 119 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 28 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,  della legge 11 agosto 2014, n. 114.

La norma impugnata prevede quanto segue: «1. Nelle more del riordino del sistema delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, l’importo del diritto annuale di cui all’articolo 18 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni, come determinato per l’anno 2014, è ridotto, per l’anno 2015, del 35 per cento, per l’anno 2016, del 40 per cento e, a decorrere dall’anno 2017, del 50 per cento. 2. Le tariffe e i diritti di cui all’articolo 18, comma 1, lettere b), d) ed e), della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni, sono fissati sulla base di costi standard definiti dal Ministero dello sviluppo economico, sentite la Società per gli studi di settore (SOSE) Spa e l’Unioncamere, secondo criteri di efficienza da conseguire anche attraverso l’accorpamento degli enti e degli organismi del sistema camerale e lo svolgimento delle funzioni in forma associata. 3. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».

  Rilevata l’assenza di una clausola di salvaguardia e sottolineato che la norma in esame riguarda enti che operano nell’àmbito di materie di sua competenza esclusiva, la ricorrente afferma la propria legittimazione a denunciare la norma medesima, oltre che per la lesione delle suddette competenze statutarie, anche per il pregiudizio che arreca alle attribuzioni di tali enti (al riguardo la Regione richiama le sentenze n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005, n. 196 del 2004).

  Nel merito – premesso di avere competenza legislativa esclusiva in materia di «industria e commercio», ex art. 14, lettera d), dello statuto; materia estesa all’organizzazione e funzionamento degli organismi di autogoverno degli imprenditori commerciali ed industriali quali sono le Camere di commercio (su cui ha funzioni di tutela e vigilanza, ex art. 3, del d.P.R. 5 novembre 1949, n. 1182, recante «Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana nelle materie relative all’industria ed al commercio») – la Regione osserva che l’art. 1 della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) qualifica dette Camere come enti pubblici locali dotati di autonomia funzionale che rientrano nel sistema dei poteri locali. E che esse ricadono, dunque, nell’àmbito della potestà legislativa regionale anche in materia di «regime degli enti locali» (ex art. 14, lettera o) e di «ordinamento degli uffici e degli enti regionali» (ex art. 14, lettera p), nonché di «stato giuridico ed economico» del relativo personale (ex art. 14, lettera q); e sono soggette agli obblighi di equilibrio ed autonomia finanziaria dei propri bilanci ai sensi dell’art. 119 Cost.

Orbene, la ricorrente rileva che l’intervenuta riduzione ope legis del contributo annuale si appalesa irragionevole (e lesiva dell’art. 3 Cost.), in quanto adottata a prescindere dal fabbisogno correlato ai servizi da espletare e in assenza sia di eventuale coeva riduzione delle competenze e delle funzioni di detti enti che di misure compensative a loro favore; e contesta la logica che ha portato il legislatore statale a non tener conto della peculiarità della Regione per una misura anticipatoria del successivo riordino, per il quale non potrà sicuramente prescindersi dal raccordo con la particolare competenza regionale. Inoltre, per la ricorrente, la norma impugnata decurta gravemente le disponibilità finanziarie di detti enti in quanto opera in maniera indiscriminata un taglio lineare dei contributi su tutto il territorio nazionale, senza tener conto delle realtà economiche dei diversi territori e del numero delle aziende iscritte presso ogni ente; così ponendosi in contrasto con quanto affermato dall’impugnato comma 3 (circa la neutralità dell’intervento nei confronti della finanza pubblica), giacché alla riduzione del gettito del contributo annuale dovranno far fronte le stesse Camere di commercio e, quindi, alla fine, la stessa finanza pubblica.

Di conseguenza la norma, per carenza della necessaria attestazione della copertura finanziaria, contrasta altresì con l’art. 81 Cost. e con i princìpi di corretto andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., e di garanzia delle autonomie funzionali locali sanciti dall’art. 119 Cost., in relazione, tra l’altro, alla competenza esclusiva in materia ex art. 14, lettera o), dello statuto regionale. Ed invade la competenza regionale in materia di stato giuridico ed economico del personale regionale, categoria nella quale vanno compresi anche i dipendenti degli enti pubblici regionali o soggetti a controllo e vigilanza della Regione, ex art. 14, lettera q), dello statuto, come sancito dall’art. 19 della legge regionale 4 aprile 1995, n. 29 (Norme sulle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e altre norme sul commercio), secondo il quale le Camere di commercio aventi sede nel territorio della Regione siciliana provvedono a pagare direttamente sia gli emolumenti previsti per il personale attualmente in servizio sia quelli relativi al personale in quiescenza. Sicché, la riduzione del contributo annuale disposta con la norma impugnata (che la Regione quantifica in circa 23 milioni di euro) incide negativamente ed immediatamente sulla tenuta economico-finanziaria delle Camere di commercio siciliane, e sulla loro possibilità di far fronte alle retribuzioni ed emolumenti del personale; con ciò violando come detto l’art. 97 Cost., con incidenza sulla finanza pubblica regionale e sulla autonomia finanziaria riconosciuta dall’art. 36 dello statuto.

2.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che in primo luogo eccepisce l’inammissibilità delle censure riferite agli artt. 3, 81 e 97 Cost. per mancata motivazione in ordine alla loro ridondanza sulla sfera delle competenze regionali.

Nel merito, la difesa dello Stato afferma la non fondatezza del ricorso, rilevando che la norma impugnata (che opera nelle more del riordino del sistema delle Camere di commercio) non determina alcuna violazione delle competenze della ricorrente, poiché, a norma dell’art. 18 della legge n. 580 del 1993, la misura del diritto annuale, che costituisce uno degli strumenti di finanziamento delle Camere di commercio, è già determinata annualmente dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite l’Unioncamere e le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale.

Richiamata la natura delle Camere di commercio che, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 580 del 1993 (come modificato dal d.lgs. n. 23 del 2010), sono enti pubblici dotati di autonomia funzionale che svolgono, sulla base del principio di sussidiarietà, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, il resistente rileva che detti enti svolgono le proprie funzioni e compiti sulla base di rapporti convenzionali con le Regioni (referenti per le attività a sostegno del sistema economico locale) e con lo Stato (referente per i profili ordinamentali e di regolazione del mercato). E che, pertanto, ricadono nella competenza esclusiva statale le funzioni relative al registro delle imprese, riconducibili alle materie «ordinamento civile ed anagrafi di cui all’art. 117, secondo comma lettere i) ed l)» Cost., nonché della «materia “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, prevista  alla lettera e) del medesimo comma dell’art. 117 Cost.».

Considerato in diritto

1.– La Regione siciliana impugna l’art. 28 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 114.

La norma censurata prevede quanto segue: «1. Nelle more del riordino del sistema delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, l’importo del diritto annuale di cui all’articolo 18 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni, come determinato per l’anno 2014, è ridotto, per l’anno 2015, del 35 per cento, per l’anno 2016, del 40 per cento e, a decorrere dall’anno 2017, del 50 per cento. 2. Le tariffe e i diritti di cui all’articolo 18, comma 1, lettere b), d) ed e), della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni, sono fissati sulla base di costi standard definiti dal Ministero dello sviluppo economico, sentite la Società per gli studi di settore (SOSE) Spa e l’Unioncamere, secondo criteri di efficienza da conseguire anche attraverso l’accorpamento degli enti e degli organismi del sistema camerale e lo svolgimento delle funzioni in forma associata. 3. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».

Secondo la ricorrente, la norma (nella parte in cui riduce l’importo del diritto annuale delle Camere di commercio, del 35 per cento per l’anno 2015, del 40 per cento per l’anno 2016, e, a decorrere dall’anno 2017, del 50 per cento, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica) si porrebbe in contrasto: a) con l’art. 14, lettere d), o), p) e q) del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), poiché – sulla premessa che le Camere di commercio abbiano natura di enti pubblici locali dotati di autonomia funzionale e rientranti nel sistema dei poteri locali – víola la competenza legislativa esclusiva di essa Regione in materia di «industria e commercio», estesa all’organizzazione e funzionamento degli organismi di autogoverno degli imprenditori commerciali ed industriali (art. 14, lettera d); in materia di «regime degli enti locali» (art. 14, lettera o) e di «ordinamento degli uffici e degli enti regionali» (art. 14, lettera p), nonché in materia di «stato giuridico ed economico» del relativo personale (art. 14, lettera q); b) con l’art. 119 Cost., in quanto le Camere di commercio sono soggette agli obblighi di equilibrio ed autonomia finanziaria dei propri bilanci; c) con l’art. 3 Cost., perché la riduzione ope legis dei contributo annuale è irragionevolmente adottata a prescindere (oltre che dalle realtà economiche dei diversi territori e dalla peculiarità dell’assetto competenziale regionale) dal fabbisogno correlato ai servizi da espletare ed in assenza sia di eventuale coeva riduzione delle competenze e delle funzioni di detti enti che di misure compensative a loro favore; d) con gli artt. 81 e 97 Cost., per la carenza della necessaria attestazione della copertura finanziaria e per la violazione del principio di corretto andamento della pubblica amministrazione; e) con gli artt. 14, lettera q), e 36 dello statuto, 97 e 119 Cost., poiché grava negativamente ed immediatamente sulla tenuta economico-finanziaria delle Camere di commercio siciliane, e sulla loro possibilità di far fronte alle retribuzioni ed emolumenti del personale (artt. 14, lettera q, dello statuto, e 97 Cost.); con incidenza sulla autonomia della finanza pubblica regionale (art. 36 dello statuto) e sulla garanzia delle autonomie funzionali locali (art. 119 Cost.).

2.– Preliminarmente, va rilevato che la generale previsione, senza esplicite eccezioni, della riduzione del diritto annuale camerale (nelle more del riordino del sistema delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), costituisce un insuperabile indice testuale e sistematico a riprova del fatto che la previsione oggetto di impugnazione trova applicazione nei confronti di tutte le Camere di commercio nell’intero territorio nazionale, e quindi anche nella Regione siciliana (sentenza n. 131 del 2015).

2.1.– Sempre in via preliminare – e per quanto possa rilevare – va ribadita la possibilità per la Regione di denunciare la legge statale per dedotta violazione di competenze degli enti locali. Questa Corte ha in più occasioni affermato (anche specificatamente in tema di finanza regionale e locale: sentenza n. 311 del 2012) che «le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, [pure] indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale», perché «la stretta connessione, in particolare [...] in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (ex plurimis, sentenze n. 220 del 2013, n. 298 del 2009, n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004). Tale prospettazione è dunque sufficiente a rendere ammissibile la questione, restando ovviamente riservata all’esame del merito la valutazione della sua fondatezza.

2.2.– Infine, l’Avvocatura generale dello Stato ha, in limine, eccepito l’inammissibilità delle censure riferite agli artt. 3, 81 e 97 Cost. per mancata motivazione in ordine alla loro ridondanza sulla sfera delle competenze regionali. In effetti, la Regione – nell’evocare la lesione di parametri costituzionali estranei rispetto a quelli che regolano il riparto di competenze tra Stato e Regioni – non motiva in alcun modo in ordine alla configurabilità di tale requisito. In particolare, relativamente agli artt. 81 e 97 Cost., la ricorrente (in ragione del, non altrimenti dimostrato, assunto di una loro generica lesione) si limita a richiamarne il contenuto precettivo e di principio; mentre, quanto all’art. 3 Cost., viene dedotta la irragionevolezza della riduzione ope legis del contributo annuale, in quanto operata a prescindere dalle realtà economiche dei diversi territori e dalla peculiarità dell’assetto competenziale regionale, nonché dal fabbisogno correlato ai (non meglio identificati) servizi da espletare, in assenza sia di eventuale coeva riduzione delle competenze e delle funzioni di detti enti che di misure compensative a loro favore.

Argomentando in tal modo, la ricorrente contravviene al consolidato principio affermato da questa Corte, secondo cui, nell’àmbito di un giudizio in via principale, le questioni di legittimità costituzionale prospettate da una Regione, in ordine a parametri diversi da quelli riguardanti il riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni, sono ammissibili soltanto se vi sia ridondanza delle asserite violazioni su tale riparto e il soggetto ricorrente abbia indicato le specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata lesione (ex plurimis, da ultimo, sentenze n. 251, n. 153, n. 89 e n. 13 del 2015, n. 79 e n. 44 del 2014). Le censure riguardanti gli artt. 3, 81 e 97 Cost. risultano, dunque, inammissibili.

3.– Nel merito, le rimanenti impugnazioni riferite agli altri parametri non sono fondate.

3.1.– La ricorrente muove dalla premessa secondo cui le Camere di commercio vanno qualificate come enti pubblici locali dotati di autonomia funzionale, rientranti dunque nel sistema dei poteri locali. Essa inoltre denuncia la violazione della propria competenza legislativa esclusiva in materia di «industria e commercio» estesa all’organizzazione e funzionamento degli organismi di autogoverno degli imprenditori commerciali ed industriali (ai sensi dell’art. 14, lettera d, dello statuto); in materia di «regime degli enti locali» (art. 14, lettera o) e di «ordinamento degli uffici e degli enti regionali» (art. 14, lettera p) e di «stato giuridico ed economico» del relativo personale (art. 14, lettera q); nonché in materia di incidenza sulla autonomia della finanza pubblica regionale (art. 36 dello statuto), e di garanzia delle autonomie funzionali locali (art. 119 Cost.).

A tale riguardo, va innanzitutto rilevato che l’art. 1, comma 1, della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) non contempla affatto l’asserita attribuzione a dette Camere della natura di enti locali, ma sancisce che «Le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, di seguito denominate: “camere di commercio”, sono enti pubblici dotati di autonomia funzionale che svolgono, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, sulla base del principio di sussidiarietà di cui all’articolo 118 della Costituzione, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo nell’ambito delle economie locali». Inoltre, va sottolineato che la Regione siciliana (diversamente dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, alla quale sono attribuite la competenza legislativa esclusiva in materia di «ordinamento delle camere di commercio» e la titolarità delle relative funzioni amministrative, rispettivamente ai sensi degli artt. 4, numero 8, e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige»: sentenze n. 273 del 2007 e n. 477 del 2000) non vanta statutariamente una analoga competenza esclusiva in materia di Camere di commercio.

3.2.– Soprattutto, come anche eccepito dalla difesa dello Stato, la disposizione de qua – specificamente censurata nella parte in cui prevede la riduzione percentuale, nel triennio 2015-2017, dell’importo del diritto annuale camerale (come determinato per il 2014) – non incide su alcuna delle suddette evocate materie statutarie, né lede i princípi evocati dalla ricorrente, giacché essa non disciplina il funzionamento delle Camere di commercio, concernendo viceversa la misura del diritto camerale e quindi essendo ascrivibile alla diversa materia del «sistema tributario», indicata dalla lettera e) del secondo comma dell’art. 117 Cost., di competenza esclusiva dello Stato.

Il diritto camerale in questione – anche per consolidata affermazione giurisprudenziale (sentenze Corte di cassazione, sezioni unite civili, 25 ottobre 1999, n. 742; 24 giugno 2005, n. 13549; 23 aprile 2008, n. 10469; e sezione tributaria, sentenza 6 marzo 2015, n. 4576) – ha natura di tributo, istituito e regolato per legge dello Stato (ex art. 34 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786, recante «Disposizioni in materia di finanza locale»), rispetto al quale la determinazione dell’aggiornamento, della riscossione e della ripartizione della misura è affidata (ai sensi dell’art. 18, commi 4 e seguenti, della legge n. 580 del 1993) al Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite l’Unioncamere e le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale. E poiché il diritto di cui trattasi non è riconducibile all’autonomia impositiva delle Camere di commercio, dal momento che a tali enti (estranei alla categoria degli enti locali) è attribuita soltanto la riscossione della prestazione patrimoniale, va, altresì, escluso che esso possa essere considerato “tributo locale”, non essendo frutto del potere impositivo di un ente locale (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 742 del 1999, già citata).

3.3.– Orbene, questa Corte ha in varie occasioni precisato che i tributi istituiti e regolati da una legge dello Stato (anche quando il relativo gettito sia parzialmente destinato a un ente territoriale, come appunto per la Regione siciliana, ai sensi degli artt. 36 dello statuto e 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, recante «Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria») conservano inalterata la loro natura di tributi erariali (ex multis, sentenze n. 131 del 2015, n. 26 del 2014, n. 97 del 2013, n. 123 del 2010, n. 216 del 2009, n. 397 del 2005, n. 37 del 2004, n. 296 del 2003). Conseguentemente, il legislatore statale può sempre modificarli, diminuirli o persino sopprimerli, senza che ciò comporti una violazione dell’autonomia finanziaria regionale, in quanto lo statuto di autonomia non assicura alla Regione siciliana una garanzia di “invarianza” quantitativa di entrate, con il solo limite che la riduzione delle entrate non sia, però, di entità tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni regionali nell’àmbito dei rapporti finanziari tra Stato e Regioni. Sono quindi legittime le riduzioni delle risorse, purché non siano tali da comportare uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di spesa e, in definitiva, non rendano insufficienti i mezzi finanziari dei quali la Regione dispone per l’adempimento dei propri compiti (sentenze n. 188, n. 131 e n. 89 del 2015, n. 26 e n. 23 del 2014, n. 121 e n. 97 del 2013, n. 246 e n. 241 del 2012, n. 298 del 2009, n. 145 del 2008, n. 256 del 2007 e n. 431 del 2004).

Sotto tale profilo, la Regione ricorrente (oltre ad una asserita quantificazione della riduzione di entrate per le Camere di commercio siciliane di circa 23 milioni di euro, nell’indicato triennio) non offre alcuna prova circa l’irreparabile pregiudizio paventato sulla funzionalità delle stesse (ed anche a prescindere dalla negata natura di esse quali enti locali); così eludendo la affermata necessità di una dimostrazione del denunciato squilibrio che, pur non configurando una probatio diabolica, sia almeno supportata da dati quantitativi concreti (sentenze n. 239 del 2015 e n. 26 del 2014). E ciò tanto più in quanto, come detto, il diritto camerale è solo una delle molteplici concorrenti forme di finanziamento delle Camere di commercio (previste dall’art. 18, comma 1, lettere da a ad f, della legge n. 580 del 1993), e dette Camere sono comunque destinatarie di contributi a carico del bilancio dello Stato per l’espletamento delle funzioni delegate (ai sensi del successivo comma 2 del citato art. 18).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 114, proposta – in riferimento agli artt. 3, 81 e 97 della Costituzione – dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 28 del decreto-legge n. 90 del 2014, come convertito, proposta – in riferimento agli artt. 14, lettere d), o), p) e q), e 36 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana) ed all’art. 119 Cost. – dalla Regione siciliana con lo stesso ricorso.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2016.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2016.