Sentenza n. 20 del 2016

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SENTENZA N. 20

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                 CRISCUOLO                        Presidente

-           Giuseppe                    FRIGO                                     Giudice

-           Paolo                          GROSSI                                        ”

-           Giorgio                       LATTANZI                                   ”

-           Aldo                           CAROSI                                        ”

-           Marta                          CARTABIA                                  ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                     ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

-           Silvana                        SCIARRA                                     ”

-           Daria                           de PRETIS                                     ”

-           Nicolò                         ZANON                                         ”

-           Franco                         MODUGNO                                  ”

-           Augusto Antonio       BARBERA                                    ”

-           Giulio                         PROSPERETTI                             ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, e 2, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 12 agosto 2005, n. 27 (Nuove norme sulle nomine di competenza degli organi di direzione politica della Regione Abruzzo), promosso dalla Corte di cassazione nel procedimento vertente tra G.F. e la Regione Abruzzo, con ordinanza del 10 giugno 2014, iscritta al n. 217 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di costituzione della Regione Abruzzo;

udito nell’udienza pubblica del 12 gennaio 2016 il Giudice relatore Marta Cartabia;

udito l’avvocato dello Stato Tito Varrone per la Regione Abruzzo.

Ritenuto in fatto

1.‒ La Corte di cassazione, sezione lavoro, con ordinanza del 10 giugno 2014 (reg. ord. n. 217 del 2014) ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, e 2, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 12 agosto 2005, n. 27 (Nuove norme sulle nomine di competenza degli organi di direzione politica della Regione Abruzzo), per violazione dell’art. 97 della Costituzione.

1.1.‒ La Corte rimettente riferisce che la Corte d’appello dell’Aquila, confermando la sentenza di prime cure, ha rigettato la domanda di G.F. – nominato con delibera della Giunta regionale dell’Abruzzo direttore generale dell’ente strumentale regionale «Abruzzo Lavoro» per cinque anni, ma dichiarato decaduto anzitempo con delibera della Giunta regionale dell’11 novembre 2005 – volta a ottenere i compensi che l’interessato avrebbe percepito se il contratto fosse giunto alla scadenza naturale. La Corte d’appello ha rilevato che l’incarico rientrava tra quelli di cui all’art. 1, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 27 del 2005, a norma del quale le nomine degli organi di vertice di amministrazione e di controllo degli enti dipendenti dalla Regione hanno una durata massima effettiva pari a quella della legislatura regionale e decadono all’insediamento del Consiglio regionale rinnovato dopo le elezioni, salvo conferma nei successivi quarantacinque giorni; che, a norma del successivo art. 2, comma 1, della stessa legge, all’entrata in vigore della legge n. 27 del 2005, le nomine di cui all’art. 1, comma 2, decadevano, salvo conferma; che, con sentenza n. 233 del 2006, la Corte costituzionale aveva dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti dell’art. 1, comma 2, per violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., nonché quelle sollevate nei confronti dell’art. 2, comma 1, per violazione degli artt. 2, 51 e 97 Cost.

Adita dal ricorrente G.F. per la cassazione della sentenza d’appello, la Corte della nomofilachia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dei citati artt. 1, comma 2, e 2, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 27 del 2005, per violazione dell’art. 97 Cost., segnatamente per violazione dei principi di continuità e buon andamento dell’azione amministrativa, in quanto le anzidette disposizioni regionali determinerebbero automaticamente un’interruzione anticipata del rapporto, in difetto di garanzie procedimentali a favore del dirigente e a prescindere da qualsiasi valutazione del suo operato.

1.2.‒ La questione sarebbe rilevante, perché le norme sospette inciderebbero sulla decisione in merito al «provvedimento di revoca» dall’incarico, disposto in applicazione del censurato art. 2, comma 1, e impedirebbero di accogliere la domanda di risarcimento del danno causato dalla risoluzione anticipata del contratto. Data la necessaria applicazione al caso dell’art. 2, comma 1, la domanda non potrebbe essere accolta nemmeno «in applicazione della disciplina contrattuale sull’impossibilità sopravvenuta ritenuta dal ricorrente imputabile alla Regione Abruzzo».

1.3.‒ In punto di non manifesta infondatezza, la Corte di cassazione – dopo avere riportato il contenuto delle disposizioni censurate, il cui tenore impedirebbe qualsiasi interpretazione adeguatrice – richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 233 del 2006, la quale ha negato la fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, in riferimento all’art. 97 Cost., sul citato art. 1, in quanto esso si riferisce a nomine effettuate dagli organi di direzione politica della Regione sulla base di valutazioni personali, in relazione alle quali non si addice, né è costituzionalmente necessaria, la previsione di meccanismi di valutazione tecnica della professionalità e competenza dei nominati. La stessa sentenza ha altresì escluso la fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’art. 2 della legge reg. Abruzzo n. 27 del 2005, in riferimento agli artt. 2, 51 e 97 Cost., rilevando che l’intento del legislatore era di rendere immediatamente operante la nuova disciplina, per evitare che nomine effettuate nella legislatura precedente, specie alla fine, pregiudicassero il buon andamento dell’amministrazione.

Tuttavia, prosegue l’ordinanza di rimessione, la giurisprudenza costituzionale successiva ha più volte affermato l’illegittimità costituzionale di normative analoghe a quella in esame: vale a dire, di meccanismi di spoils system riferiti a incarichi dirigenziali che comportano l’esercizio di funzioni amministrative di esecuzione dell’indirizzo politico; mentre sarebbero andati esenti dalle censure della Corte costituzionale quelle disposizioni che prevedono meccanismi simili solo nei confronti delle figure apicali che svolgono compiti di indirizzo politico-amministrativo. L’ordinanza di rimessione richiama, in proposito, soprattutto le sentenze della Corte costituzionale n. 104 del 2007 e n. 81 del 2010, nonché le sentenze n. 246 e n. 124 del 2011, la sentenza n. 103 del 2007 e, più in generale, anche le sentenze n. 224 e n. 34 del 2010, n. 390 e n. 351 del 2008. In applicazione dei principi affermati da tale giurisprudenza, la Corte rimettente osserva che le norme sospette assoggettano allo spoils system dirigenti che, seppur posti a capo di un ente dipendente della Regione, hanno compiti amministrativi o tecnici, non di diretta collaborazione con l’organo politico.

A maggior ragione contrasterebbe con i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale la decadenza di cui al censurato art. 2, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 27 del 2005, collegata all’entrata in vigore della legge stessa. Come ritenuto dalla sentenza n. 104 del 2007 per le posizioni in quel caso rilevanti, i dirigenti assoggettati a una decadenza siffatta vedrebbero cessare il proprio rapporto di ufficio e di lavoro per una causa estranea alle vicende del rapporto stesso, anziché – come dovrebbe accadere - sulla base di una valutazione attinente ai risultati conseguiti, rispettosa del principio del giusto procedimento e immune da ogni considerazione per gli orientamenti politici.

2.‒ Con atto depositato il 23 dicembre 2014, è intervenuto nel giudizio il Presidente della Regione Abruzzo, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che siano restituiti gli atti al giudice a quo, per una nuova valutazione della rilevanza in seguito all’abrogazione del censurato art. 2 della legge reg. Abruzzo n. 27 del 2005; in subordine, la Regione interveniente chiede che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza; in ulteriore subordine, che la questione sia dichiarata infondata.

2.1.‒ Premessa una ricostruzione dei fatti oggetto di causa e dei vari gradi del giudizio, il Presidente della Regione rileva, anzitutto, che l’art. 2, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 27 del 2005 è stato abrogato dall’art. 3, comma 1, della successiva legge della Regione Abruzzo 9 novembre 2009, n. 25 (Modifica della legge regionale n. 27, del 12 agosto 2005, recante: Nuove norme sulle nomine di competenza degli organi di direzione politica della Regione Abruzzo – legge sullo spoil system), con effetto dal giorno successivo alla pubblicazione di tale ultima legge, quindi dal 14 novembre 2009 (art. 5, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 25 del 2009). Poiché l’abrogazione, seppure non retroattiva, è sopraggiunta quando la controversia era stata appena avviata e prima che scadesse l’originario termine di durata del rapporto di lavoro (24 marzo 2010), al fine di dimostrare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata nel presente giudizio, il giudice a quo avrebbe dovuto spiegare perché, nonostante l’intervenuta abrogazione, le disposizioni impugnate continuavano ad essere applicabili nel giudizio a quo e, pertanto, doveva considerarsi radicalmente impossibile l’accoglimento delle domande del ricorrente. Considerata la sopravvenuta abrogazione, ritiene la Regione che gli atti dovrebbero essere restituiti al giudice per una nuova valutazione della rilevanza.

2.2.‒ Sull’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale, il Presidente della Regione osserva poi che nemmeno l’accoglimento della questione comporterebbe una condanna della Regione al risarcimento del danno lamentato dal ricorrente. Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, nel campo dell’illecito civile, contrattuale ed extracontrattuale, l’accoglimento di una questione di legittimità costituzionale sollevata sulla norma applicata da una delle parti può determinare retroattivamente l’antigiuridicità della condotta applicativa, ma non la colpevolezza del suo autore, considerato che la condotta stessa era autorizzata o imposta da una norma vigente ed efficace, ancorché invalida. Ciò è stato affermato anche in giudizi analoghi a quello a quo, riguardanti pretese risarcitorie conseguenti all’applicazione di norme costituzionalmente illegittime sulla cessazione di incarichi dirigenziali. La medesima conclusione, a maggior ragione, si imporrebbe quando è la stessa norma, poi dichiarata costituzionalmente illegittima, a determinare in via diretta e automatica la cessazione del rapporto di lavoro, indipendentemente da qualsivoglia iniziativa del datore di lavoro. Inoltre, essendo ormai trascorso l’originario termine di durata dell’incarico, giammai il ricorrente potrebbe ottenerne il ripristino.

Il Presidente della Regione dà altresì atto che – a suo avviso, contraddittoriamente – l’ordinanza di rimessione ritiene la questione rilevante pure ai fini del giudizio sulla legittimità del provvedimento di revoca, adottato nei confronti del ricorrente. Tuttavia, l’ordinanza non identificherebbe gli estremi del provvedimento; trascurerebbe che lo stesso ricorrente non aveva sostenuto che la Regione dovesse rispondere della cessazione anticipata dell’incarico revocato; non chiarirebbe che la revoca, qualora esistente, sarebbe da considerare conseguenza diretta e necessitata delle norme in questione.

2.3.‒ Ancora in punto di ammissibilità, il Presidente della Regione ribadisce, tra l’altro, che la decadenza era stata conseguenza diretta delle norme in questione: infatti, non era stato adottato alcun provvedimento di revoca da parte della Giunta regionale, ma solo una dichiarazione dell’avvenuta decadenza a norma di legge. A fronte di ciò, l’interessato aveva atteso più di tre anni, avviando il contenzioso solo che la Corte costituzionale aveva mostrato un orientamento più severo rispetto a quello espresso nella sentenza n. 233 del 2006. Tuttavia, osserva la Regione: se il titolo delle pretese risarcitorie è la mancata conferma dell’incarico dirigenziale e se la mancata conferma è mera conseguenza delle norme in questione e, anzi, ne presuppone l’efficacia, allora, la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme priverebbe di ogni rilievo la mancata conferma, facendo venir meno la stessa, presupposta, decadenza. Perciò, in conclusione, l’accoglimento della questione sollevata impedirebbe l’accoglimento della domanda risarcitoria: il che dimostrerebbe l’irrilevanza della questione stessa nel giudizio a quo.

2.4.‒ Nel merito – dopo avere lamentato l’evasività dell’ordinanza di rimessione a proposito del contenuto delle funzioni cui era stato preposto il ricorrente e di quelle, in ipotesi distinte, di diretta collaborazione con gli organi politici – il Presidente della Regione richiama l’art. 8 della legge della Regione Abruzzo 16 settembre 1998, n. 76 (Disciplina dell’organizzazione del sistema regionale integrato dei servizi all’impiego), il quale disciplina la nomina, il ruolo e le funzioni del Direttore di «Abruzzo-Lavoro, osservando che al Direttore (unico organo dell’ente, a parte il Collegio dei Revisori dei Conti) era demandata non la mera adozione di atti e provvedimenti amministrativi, bensì la determinazione dell’indirizzo politico-amministrativo dell’ente, nonché la funzione di «anello di congiunzione» con l’autorità politica regionale. Che il rapporto con quest’ultima avesse carattere fiduciario, sarebbe evidente anche dal procedimento di nomina: incentrato su di una scelta discrezionale, appunto, dell’autorità politica tra i soggetti in possesso di determinati requisiti, senza l’espletamento di un pubblico concorso. Ciò risulterebbe coerente con la sentenza della Corte costituzionale n. 233 del 2006, nonché con le successive n. 104 del 2007, n. 224 e n. 304 del 2010, le quali hanno anch’esse sottolineato il rilievo decisivo dell’intuitus personae nel procedimento di nomina.

3.‒ Con memoria depositata il 17 dicembre 2015, la Regione ha reiterato i propri argomenti, con ulteriori riferimenti giurisprudenziali, segnatamente in merito all’irrilevanza per intervenuta abrogazione del censurato art. 2, comma 1; all’impossibilità che una sentenza di accoglimento determini l’antigiuridicità del comportamento tenuto in conformità alla norma, prima che essa fosse dichiarata costituzionalmente illegittima; alla conseguente irrilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, che siano sollevate in un giudizio avente ad oggetto domande risarcitorie relative a un comportamento che era conforme alla norma impugnata, allorché fu compiuto.

Considerato in diritto

1.‒ La Corte di cassazione, sezione lavoro, con ordinanza del 10 giugno 2014 (reg. ord. n. 217 del 2014) ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, e 2, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 12 agosto 2005, n. 27 (Nuove norme sulle nomine di competenza degli organi di direzione politica della Regione Abruzzo), per violazione dell’art. 97 della Costituzione.

Nella versione originaria, oggetto del presente giudizio, l’art. 1, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 27 del 2005, stabiliva che le nomine degli organi di vertice di amministrazione e di controllo degli enti dipendenti dalla Regione «hanno una durata massima effettiva pari a quella della legislatura regionale e decadono all’atto di insediamento del nuovo Consiglio regionale, salvo conferma nei successivi quarntacinque giorni». Inoltre, a norma del successivo art. 2, comma 1, all’entrata in vigore della stessa legge regionale le nomine di cui all’art. 1, comma 2, sono decadute, salvo quelle esplicitamente confermate. Le disposizioni in questione, ad avviso della Corte rimettente, avrebbero determinato un’interruzione automatica anticipata degli incarichi direttivi ivi contemplati, in difetto di garanzie procedimentali a favore dei titolari degli incarichi stessi e a prescindere da qualsiasi valutazione del loro operato, e, così facendo, avrebbero violato i principi di continuità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.

2.‒ Deve essere preliminarmente dichiarata l’inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione di legittimità costituzionale sollevata sul censurato art. 1, comma 2, nel testo originario (anteriore alle modifiche apportate dall’art. 1, commi 1 e 2, della legge della Regione Abruzzo 4 marzo 2009, n. 3, recante «Disposizioni urgenti di modifica della L.R. 12 agosto 2005 n. 27 “Nuove norme sulle nomine di competenza degli organi di direzione politica della Regione Abruzzo”», nonché alla novella di cui all’art. 1, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 9 novembre 2009, n. 25, recante «Modifica della legge regionale n. 27, del 12 agosto 2005, recante: Nuove norme sulle nomine di competenza degli organi di direzione politica della Regione Abruzzo – legge sullo spoil system»).

La decadenza di cui si discute nel giudizio a quo si è verificata esclusivamente per effetto dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 27 del 2005, sicché è solo di tale disposizione che il giudice rimettente è chiamato fare applicazione (si veda, in fattispecie analoga, la sentenza n. 161 del 2008), benché l’art. 2, comma 1, contenga un richiamo all’art. 1, comma 2, al solo fine di individuare gli organi le cui figure apicali sono colpite da decadenza per effetto della entrata in vigore della legge.

3.‒ Non possono trovare accoglimento, per contro, le eccezioni processuali dell’Avvocatura generale dello Stato.

3.1.‒ La difesa erariale fa riferimento, anzitutto, all’abrogazione dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 27 del 2005, disposta dall’art. 3, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 25 del 2009, e afferma che il giudice a quo avrebbe dovuto tenerne conto nella valutazione della rilevanza della questione sollevata.

L’eccezione non può essere accolta.

Nel complesso, l’ordinanza afferma, con sufficientemente chiarezza, che il censurato art. 2, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 27 del 2005 ha direttamente determinato, all’entrata in vigore della legge stessa, la decadenza delle nomine ivi considerate e, di conseguenza, l’interruzione automatica dei relativi rapporti di lavoro. I fatti posti dal ricorrente a fondamento delle proprie domande, come descritti dall’atto introduttivo del presente giudizio, risultano essere mera conseguenza dell’applicazione delle norme stesse e sono perciò queste ultime, in conclusione, a impedire l’accoglimento delle domande avanzate nel giudizio principale.

Pertanto, i fatti di causa sono adeguatamente descritti, anche nella loro collocazione temporale, e le norme in questione sono considerate nel tenore letterale che avevano al momento dei fatti medesimi.

In proposito, l’ordinanza assume che nel caso di specie debbano trovare applicazione le norme censurate nella loro versione originaria, dato che l’«interruzione automatica del rapporto» si è determinata in virtù della decadenza disposta dal censurato art. 2, comma 1, allorché quest’ultimo entrò in vigore.

Del resto, non è chiaro quale possa essere l’effetto dell’abrogazione disposta dall’art. 3, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 25 del 2009, considerato che la norma abrogata – l’art. 2, comma 1, impugnato – ha compiutamente prodotto i propri effetti con l’applicazione istantanea una tantum al momento della sua entrata in vigore; d’altra parte, la stessa Regione – la cui difesa è stata esplicitamente interpellata, sul punto, in udienza – non sembra aver tratto dall’anzidetta abrogazione alcuna conseguenza in merito al rapporto con la controparte o ad altri analoghi rapporti pregressi. Pertanto, non può considerarsi implausibile che, come ritenuto dalla Corte rimettente, la norma censurata, nella versione originaria, continui a regolare le fattispecie di decadenza verificatesi nel periodo della sua vigenza (si veda, mutatis mutandis, sentenza n. 391 del 2008) e che quindi su tale disposizione – benché ormai abrogata – debba vertere il giudizio di questa Corte.

3.2.‒ Neanche può condividersi l’assunto secondo cui la questione sarebbe irrilevante, perché il suo eventuale accoglimento, pur comportando retroattivamente l’illegittimità della condotta della Regione in senso oggettivo, non potrebbe determinare la colpevolezza della stessa Regione in senso soggettivo e, dunque, non influirebbe sull’esito della controversia in merito al risarcimento del danno, oggetto del giudizio a quo, il quale sarebbe comunque destinato a concludersi con il rigetto delle pretese risarcitorie del ricorrente.

In contrario, si deve ribadire, come più volte affermato nella giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 46 e n. 5 del 2014), che a rendere ammissibili le questioni incidentali è sufficiente che la norma impugnata sia applicabile nel giudizio a quo, senza che rilevino gli effetti che una eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale possa produrre per le parti in causa (sentenza n. 294 del 2011). Con riguardo all’odierno giudizio, anche qualora si condividesse la premessa dell’eccezione regionale, secondo cui la colpevolezza della condotta non può conseguire retroattivamente, ora per allora, a una pronuncia di accoglimento, dovrebbe comunque concludersi che tale pronuncia influirebbe sull’esercizio della funzione giurisdizionale, quantomeno sotto il profilo del percorso argomentativo che sostiene la decisione del processo principale (tra le molte, sentenza n. 28 del 2010). Diversamente, si creerebbero nell’ordinamento giuridico aree poste al riparo del giudizio di questa Corte, a scapito del diritto di agire e difendersi in giudizio garantito dall’art. 24 Cost.

In conclusione, occorre confermare quanto questa Corte ha già osservato in una fattispecie analoga all’odierna: la questione è ammissibile, perché soltanto l’accertamento dell’illegittimità costituzionale della norma che ha previsto la cessazione automatica del rapporto può permettere al giudice a quo di valutare, come è suo compito, la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della pretesa risarcitoria azionata (sentenza n. 224 del 2010), anche di carattere soggettivo.

4.‒ Nel merito, la questione relativa all’art. 2, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 27 del 2005 è fondata.

4.1.‒ Occorre anzitutto ribadire che la sentenza n. 233 del 2006 – conformemente all’impostazione del ricorso allora in esame – ha potuto esaminare la legittimità costituzionale della disposizione oggetto del presente giudizio solo “in astratto”, nell’ambito di un giudizio in via principale, attinente al complesso delle diverse figure apicali alle quali le disposizioni della legge reg. Abruzzo n. 27 del 2005 allora impugnate, nella loro ampia portata, risultavano applicabili (sentenze n. 228 del 2011 e n. 34 del 2010).

Diversamente, la valutazione oggi richiesta a questa Corte riguarda specificamente l’applicabilità della decadenza disposta dall’art. 2, comma 1, della legge impugnata alla figura del Direttore di «Abruzzo-Lavoro», ente istituito e disciplinato dagli articoli da 5 a 9 della legge della Regione Abruzzo 16 settembre 1998, n. 76 (Disciplina dell’organizzazione del sistema regionale integrato dei servizi all’impiego). Già in casi analoghi (si veda, ad esempio, la sentenza n. 34 del 2010), la Corte costituzionale è stata chiamata a riesaminare in via incidentale, in riferimento a specifiche categorie di soggetti, norme che, considerate nel loro insieme, erano già state valutate proprio dalla medesima sentenza n. 233 del 2006 sopra richiamata, addivenendo talora a pronunce di accoglimento e talaltra di non fondatezza, secondo le specifiche caratteristiche di ciascuna figura esaminata.

È appena il caso di osservare che, ai fini del presente giudizio, non rileva il fatto che di tale ente è stata disposta la soppressione, con la legge della Regione Abruzzo 23 agosto 2011, n. 32 (Soppressione dell’Ente Strumentale Regionale Abruzzo Lavoro), il cui art. 6, comma 1, lettera b), ha altresì abrogato i citati articoli da 5 a 9 della legge reg. Abruzzo n. 76 del 1998.

Anche in riferimento al Direttore di «Abruzzo Lavoro», occorre dunque entrare nel merito e valutare le specificità che lo contraddistinguevano.

4.2.‒ A proposito di questa figura di vertice, l’ordinanza di rimessione sottolinea che al Direttore di «Abruzzo-Lavoro» la legge affida(va) compiti amministrativi o tecnici, non riconducibili a quelli di diretta collaborazione con organi politici.

Questa Corte ha più volte affermato (sentenze n. 228 del 2011; n. 224 del 2010; n. 390 e n. 352 del 2008; n. 104 e n. 103 del 2007) l’incompatibilità con l’art. 97 Cost. di meccanismi di decadenza automatica, o del tutto discrezionale, dovuta a cause estranee alle vicende del rapporto d’ufficio e sganciata da qualsiasi valutazione concernente i risultati conseguiti, qualora tali meccanismi siano riferiti – non già al personale addetto ad uffici di diretta collaborazione con l’organo di governo (sentenza n. 304 del 2010) o a figure apicali, per le quali risulti decisiva la personale adesione agli orientamenti politici di chi le abbia nominate (sentenza n. 34 del 2010) – bensì ai titolari di incarichi dirigenziali che comportino l’esercizio di funzioni amministrative di esecuzione dell’indirizzo politico (sentenza n. 124 del 2011), anche quando tali incarichi siano conferiti a soggetti esterni (sentenze n. 246 del 2011, n. 81 del 2010 e n. 161 del 2008).

In applicazione di tali principi, è stata ripetutamente affermata, ad esempio, l’illegittimità costituzionale di norme regionali che prevedevano la decadenza automatica di figure quali i direttori generali delle aziende sanitarie locali (sentenze n. 27 del 2014; n. 152 del 2013; n. 228 del 2011; n. 104 del 2007), o anche di altri enti regionali (sentenza n. 34 del 2010), considerato che essi costituiscono figure tecnico-professionali, incaricate non di collaborare direttamente al processo di formazione dell’indirizzo politico, ma di perseguire gli obiettivi definiti dagli atti di pianificazione e indirizzo degli organi di governo della Regione. Nel giudicare illegittima la decadenza automatica di tali figure apicali all’avvicendarsi degli organi politici, la Corte ha dato rilievo al fatto che le relative nomine richiedano il rispetto di specifici requisiti di professionalità, che le loro funzioni abbiano in prevalenza carattere tecnico-gestionale, e che i loro rapporti istituzionali con gli organi politici della Regione non siano diretti, bensì mediati da una molteplicità di livelli intermedi.

4.3.‒ Considerazioni analoghe valgono per la posizione del Direttore di «Abruzzo-Lavoro», per come essa era disciplinata dagli abrogati articoli da 5 a 8 della legge reg. Abruzzo n. 76 del 1998.

L’ente in questione, dotato di autonomia amministrativa, patrimoniale, contabile e tecnica, era principalmente titolare del compito di erogare servizi di assistenza tecnica alla Regione e alle Province, nonché di funzioni di monitoraggio del mercato del lavoro (art. 5, comma 1).

Il Direttore, oltre a rappresentare l’ente, esercitava poteri di organizzazione e gestione (art. 8, comma 1). La sua nomina (art. 8, comma 2) avveniva – con provvedimento del Presidente della Regione, su conforme deliberazione della Giunta, proposta dall’Assessore al lavoro – a seguito di avviso pubblico, previo esame di curricula, e poteva essere conferita solo a soggetti in possesso dei requisiti di accesso alla dirigenza regionale, che non avessero superato il sessantacinquesimo anno di età, dotati di elevata preparazione specifica nelle materie di competenza dell’ente, con esperienza significativa nella direzione di organizzazioni complesse.

Il Direttore era responsabile dei risultati di gestione (efficacia, efficienza, qualità e regolarità dell’attività dell’ente: art. 8, comma 1) e la sua revoca poteva avvenire (art. 8, comma 4), «previo contraddittorio, prima della scadenza naturale del rapporto [in casi] riconducibili alle fattispecie di cui all’art. 21 del D.Lgs. n. 29 del 1993, così come modificato dall’art. 14 del D.Lgs. n. 80 del 1998: inosservanza dell’obbligo del pareggio di bilancio; inosservanza del termine per la formulazione delle proposte di dotazione organica e/o del termine massimo […] per il completamento delle procedure di reclutamento; mancato assolvimento di funzioni obbligatorie […]; condanna per reati commessi nell’esercizio delle funzioni direzionali»; nonché «in caso di assenza od impedimento protratti oltre 6 mesi» (art. 8, comma 5).

Anche i rapporti tra la Regione e l’ente erano oggetto di disciplina puntuale, nella quale, tra l’altro, si prevedeva che: a) il Consiglio regionale impartiva all’ente indirizzi triennali, specificati da direttive annuali della Giunta regionale (art. 5, comma 6); b) il piano annuale di attività, proposto dal Direttore (art. 5, comma 6), era oggetto di parere da parte di organismi regionali, deputati al coordinamento con altre amministrazioni e parti sociali, ed era approvato dalla Giunta (art. 7, comma 3); c) anche gli altri atti principali dell’ente (quali statuto, regolamenti, bilanci, dotazioni organiche, relazione di fine esercizio) erano sottoposti a controllo e approvazione da parte degli organi regionali (art. 7); d) in linea generale, l’ente era sottoposto a vigilanza e controllo da parte della Giunta, che la esercitava attraverso i competenti settori (art. 5, comma 6).

4.4.‒ In conclusione, il Direttore di «Abruzzo-Lavoro» era figura tecnico-professionale, titolare di funzioni prevalentemente organizzative e gestionali, responsabile del perseguimento di obiettivi definiti in appositi atti di pianificazione e indirizzo, deliberati dagli organi di governo della Regione; non era collegato a tali organi da relazioni istituzionali così immediate da rendere determinante la sua consonanza agli orientamenti politici degli stessi. Pertanto, tale figura non rientrava tra quelle alle quali potessero, o possano, alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, applicarsi meccanismi di decadenza automatica, senza violare i principi di cui all’art. 97 Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 12 agosto 2005, n. 27 (Nuove norme sulle nomine di competenza degli organi di direzione politica della Regione Abruzzo), nella parte in cui si applicava al Direttore dell’ente «Abruzzo-Lavoro»;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art 1, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 27 del 2005, sollevata, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2016.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2016.