Sentenza n. 312 del 2013

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SENTENZA N. 312

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Gaetano                      SILVESTRI                           Presidente

-           Luigi                           MAZZELLA                           Giudice

-           Sabino                         CASSESE                                      "

-           Giuseppe                    TESAURO                                    "

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                             "

-           Giuseppe                    FRIGO                                           "

-           Alessandro                 CRISCUOLO                                "

-           Paolo                          GROSSI                                        "

-           Giorgio                       LATTANZI                                   "

-           Aldo                           CAROSI                                        "

-           Marta                          CARTABIA                                  "

-           Sergio                         MATTARELLA                            "

-           Mario Rosario             MORELLI                                     "

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 "

-           Giuliano                      AMATO                                        "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 25, comma 5, 28, comma 1, e 38, comma 2, della legge della Regione Marche 27 novembre 2012, n. 37 (Assestamento del bilancio 2012), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso  notificato il 31 gennaio-4 febbraio 2013, depositato in cancelleria il 5 febbraio 2013 ed iscritto al n. 14 del registro ricorsi 2013.

Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;

udito nell’udienza pubblica del 5 novembre 2013 il Giudice relatore Sergio Mattarella;

uditi l’avvocato dello Stato Maria Gabriella Mangia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.

Ritenuto in fatto

1.− Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale – spedito il 31 gennaio 2013 e ricevuto il 4 febbraio 2013 − e depositato il 5 febbraio 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni principali di legittimità costituzionale degli artt. 25, comma 5, 28, comma 1, e 38, comma 2, della legge della Regione Marche 27 novembre 2012, n. 37 (Assestamento del bilancio 2012), pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Marche 3 dicembre 2012, n. 115, supplemento n. 5, per violazione degli artt. 3, 81, quarto comma, 97, 117, terzo comma, e 120 della Costituzione.

1.1.− Il censurato comma 5 dell’art. 25 della legge reg. Marche n. 37 del 2012 stabiliva che: «L’efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici di assistente amministrativo categoria C, banditi dall’ASUR e pubblicati nel bollettino ufficiale della Regione Marche n. 59 del 18 giugno 2009, è prorogata fino al 31 dicembre 2015».

Il ricorrente deduce che il comma censurato si pone in contrasto con l’art. 1, comma 388, e con la Tabella 2, punto 24, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), i quali fissano al 30 giugno 2013 il termine di cui all’art. 1, comma 4, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 febbraio 2012, n. 14, cioè il termine di efficacia delle «graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, approvate successivamente al 30 settembre 2003».

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, «pertanto», il comma impugnato, col prevedere un termine di efficacia delle graduatorie in esso menzionate «diverso e più lungo rispetto alla normativa statale di riferimento per tutte le Pubbliche amministrazioni, viola i principi di uguaglianza, imparzialità e buon andamento di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione, nonché i principi stabiliti dall’articolo 117, terzo comma della Costituzione, nell’ottica del coordinamento della finanza pubblica, cui la Regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non può derogare».

1.2.− Il comma 1 dell’art. 28 della legge reg. Marche n. 37 del 2012 dispone l’aggiunta, dopo il comma 1 dell’art. 14 della legge della Regione Marche 15 ottobre 2001, n. 20 (Norme in materia di organizzazione e di personale della Regione) – articolo che è dedicato alla «Scuola regionale di formazione della pubblica amministrazione» – di un comma 1-bis, a norma del quale: «Per assicurare le attività di programmazione regionale ed il loro raccordo con quelle dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni nonché con quelle dell’Unione europea, può partecipare alle attività di aggiornamento e di riqualificazione del personale regionale anche il personale di soggetti diversi dalle pubbliche amministrazioni».

Ad avviso del ricorrente, tale disposizione, prevedendo la possibilità che il personale di soggetti diversi dalle pubbliche amministrazioni partecipi alle attività della Scuola, si porrebbe in contrasto con: a) l’art. 81, quarto comma, Cost., «perché introduce oneri a carico della finanza pubblica senza la previsione dei mezzi finanziari per far fronte alla spesa prevista»; b) gli artt. 3 e 97 Cost., «perché viola i principi, contenuti in tali norme, di uguaglianza, imparzialità e buon andamento»; c) l’art. 117, terzo comma, Cost., «perché viola il principio, contenuto in tale norma, del coordinamento della finanza pubblica, in forza del quale la Regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non può apportare deroghe alla previsione delle leggi statali».

1.3.− La terza disposizione impugnata, l’art. 38, comma 2, della legge reg. Marche n. 37 del 2012, dispone l’aggiunta, dopo il comma 3 dell’art. 35 della legge della Regione Marche 28 luglio 2009, n. 18 (Assestamento del bilancio 2009), oltre che di un comma 3-bis, di un comma 3-ter, a norma del quale: «Le plusvalenze derivanti dalle alienazioni successive al 1° gennaio 2012 e le somme derivanti dall’alienazione di altri beni immobili rispetto a quelli indicati al comma 1 [cioè a quelli di cui all’art. 28 della legge della Regione Marche 24 dicembre 2008, n. 37 (Disposizioni per la formazione del Bilancio annuale 2009 e pluriennale 2009/2011 della Regione – Legge finanziaria 2009) che aveva autorizzato l’alienazione di alcuni beni immobili delle strutture sanitarie regionali], non costituiscono un debito verso l’Amministrazione regionale e sono utilizzate dagli Enti del SSR previa autorizzazione della Giunta regionale».

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, tale norma, escludendo che le plusvalenze in essa indicate costituiscano un debito nei confronti dell’amministrazione regionale e disponendo che le stesse siano utilizzate dagli enti del Servizio sanitario regionale, si porrebbe in contrasto con l’art. 29, comma 1, lettera c), del d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), «il quale stabilisce che le disponibilità generate dalle dismissioni di immobilizzazioni degli enti del servizio sanitario nazionale devono essere destinate al finanziamento di nuovi investimenti, costituendo una riserva del patrimonio netto fino a quando non si realizzi la predetta finalizzazione».

Da ciò conseguirebbe – sempre ad avviso del ricorrente – che la disposizione impugnata, «in quanto determina detto contrasto», víola: a) l’art. 117, terzo comma, Cost., atteso che le disposizioni del citato art. 29, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 118 del 2011, costituiscono, a norma dell’art. 19, comma 1, dello stesso decreto legislativo, princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi di detto parametro costituzionale «e sono finalizzate alla tutela dell’unità economica della Repubblica italiana, a sensi dell’articolo 120, secondo comma, della Costituzione»; b) l’art. 120 Cost., «il quale sancisce il principio di unità economica del Paese».

2.− Si è costituita la Regione Marche, chiedendo che le questioni promosse siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.

2.1.− Quanto all’impugnazione del comma 5 dell’art. 25 della legge reg. Marche n. 37 del 2012, la Regione resistente, premesso che l’art. 1, comma 388, e la Tabella 2, punto 24, della legge n. 228 del 2012, invocati nel ricorso quale parametro interposto, sono sopravvenuti a distanza di quasi un mese dall’entrata in vigore della disposizione impugnata, deduce che sarebbe «tutt’altro che pacifico, nel silenzio della giurisprudenza di questa Corte», che lo Stato possa impugnare in via principale leggi regionali per contrasto con disposizioni legislative statali, che si pretendano costituire princípi fondamentali in materie di competenza legislativa concorrente, sopravvenute durante la pendenza del termine di impugnazione.  E ciò – sempre secondo la Regione Marche – «a tacer d’altro, quanto meno in considerazione della perdurante vigenza» dell’art. 10, primo comma, della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (Costituzione e funzionamento degli organi regionali), a norma del quale «Le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali di cui al primo comma dell’articolo precedente [cioè i princípi fondamentali delle materie di cui all’art. 117 della Costituzione, nel testo allora vigente] abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse».

Le questioni di legittimità dell’art. 25, comma 5, della legge reg. Marche n. 37 del 2012 – prosegue la Regione resistente – sarebbero «in ogni caso […] inammissibili per altri e diversi profili» e, in particolare, per la genericità delle censure avanzate dal ricorrente.

A proposito di quelle promosse in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., la resistente evidenzia che il ricorso motiva le stesse esclusivamente in ragione del fatto che la disposizione regionale impugnata prevede un termine  di efficacia delle graduatorie in essa indicate «diverso e più lungo rispetto alla normativa statale di riferimento per tutte le Pubbliche amministrazioni», senza che il ricorrente spenda parola per spiegare né perché, nella materia in considerazione, il principio di uguaglianza, anziché essere declinato in base al consueto canone che impone il trattamento uguale di situazioni uguali e un trattamento ragionevolmente differenziato di situazioni diverse, imponga invece l’identico trattamento di tutte le graduatorie dei concorsi pubblici attualmente esistenti, «a prescindere dalle diverse situazioni, contesti territoriali e professionali, tipologie di personale, cui esse si riferiscano», né perché la previsione, da parte dell’impugnata norma regionale, di detto diverso e più lungo temine di efficacia delle graduatorie violi di per sé il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione. La generica affermazione del ricorso secondo cui la previsione di un termine di efficacia delle graduatorie diverso e più lungo rispetto a quello previsto in generale dalla legislazione statale basterebbe a integrare la violazione dei princípi di uguaglianza, di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione, oltre a essere una «petizione di principio», inidonea a sostenere l’impugnazione, costituirebbe anche – sempre secondo la Regione Marche – un «assurdo logico» perché impedirebbe «in radice a qualunque legislatore regionale» di introdurre discipline differenziate rispetto alla normativa nazionale.

Quanto all’inammissibilità della questione promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., la Regione Marche sottolinea come il ricorrente lamenti che la previsione, da parte della disposizione regionale impugnata, di un termine di efficacia delle graduatorie in essa indicate «diverso e più lungo rispetto alla normativa statale di riferimento per tutte le Pubbliche amministrazioni» violerebbe «i principi stabiliti dall’articolo 117 terzo comma della Costituzione, nell’ottica del coordinamento della finanza pubblica». Ciò premesso, la parte resistente deduce che il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe promosso detta censura «erroneamente e lacunosamente» in quanto: a) «non ha correttamente individuato il parametro costituzionale asseritamente violato», atteso che l’art. 117, terzo comma, Cost., non «stabilisce» alcun principio «nell’ottica» del coordinamento della finanza pubblica ma contempla delle materie di legislazione concorrente, tra cui il «coordinamento della finanza pubblica», con riguardo alle quali al legislatore statale è riservata la determinazione dei princípi fondamentali; b) non ha né affermato né, tanto meno, argomentato la riconducibilità delle norme statali invocate quale parametro interposto alla materia del «coordinamento della finanza pubblica»; c) non ha spiegato «per quale ragione e con quale portata» dette norme statali dovrebbero costituire un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica.

Nel merito, le questioni di legittimità dell’art. 25, comma 5, della legge reg. Marche n. 37 del 2012 sarebbero comunque infondate. In proposito, la parte resistente deduce che, anche a volere accogliere la prospettiva che il ricorrente sembra, pur con gli evidenziati deficit motivazionali, fare propria – quella cioè secondo cui l’art. 1, comma 388, e la Tabella 2, punto 24, della legge n. 228 del 2012 costituirebbero un principio fondamentale della materia «coordinamento della finanza pubblica» – la norma censurata non solo non si porrebbe in contrasto con detto principio ma ne costituirebbe «coerente e più intensa attuazione». Secondo la Regione Marche, infatti, la ratio di detto principio sarebbe costituita dal risparmio di spesa che l’utilizzazione delle graduatorie di concorsi già espletati consente di conseguire a fronte del dispendio di tempo e di risorse che sarebbe invece richiesto per l’espletamento di nuove procedure concorsuali. Poiché detto principio fondamentale vincolerebbe le Regioni, appunto, come principio e non come regola di dettaglio – come avviene invece nei confronti delle amministrazioni statali – ne deriverebbe che esso dovrebbe essere considerato inderogabile nel senso del divieto per le Regioni di introdurre norme che ne riducano la portata ma non impedirebbe che le stesse Regioni, sviluppando e attuando più intensamente il principio, stabiliscano termini di efficacia delle graduatorie concorsuali esistenti più lunghi di quelli previsti dalla legge statale, conseguendo, così, maggiori risparmi di spesa.

2.2.− Quanto alle questioni di legittimità dell’art. 28, comma 1, della legge reg. Marche n. 37 del 2012, esse sarebbero anzitutto inammissibili.

Quelle promosse in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. sarebbero inammissibili per l’assoluta genericità delle censure, atteso che il ricorrente si è limitato a dedurre, in termini meramente assertivi e apodittici, la violazione dei princípi di uguaglianza, di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione.

Parimenti inammissibile per genericità sarebbe anche la questione promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla materia «coordinamento della finanza pubblica», atteso che il ricorrente ha omesso di indicare la norma di legge statale che stabilisce il principio fondamentale di detta materia che sarebbe, nella specie, violato.

Quanto all’inammissibilità della censura promossa in riferimento all’art. 81, quarto comma, Cost., la Regione Marche premette che tale disposizione costituzionale «non può essere scissa» da quella del terzo comma dello stesso art. 81 Cost. e che solo dal combinato disposto di dette due disposizioni è possibile ricavare «nel suo significato più corretto, il principio costituzionale» secondo cui se una legge comporta costi per la sua attuazione, tali oneri devono trovare adeguata copertura, alternativamente, o nella legge annuale di approvazione del bilancio preventivo, oppure – quando si tratti di spese nuove o maggiori rispetto a quelle  che hanno trovato copertura nel bilancio approvato – «in altre fonti appositamente ed espressamente individuate». Tanto chiarito, la Regione resistente afferma che la questione proposta è ipotetica in quanto sarebbe stato onere del ricorrente dimostrare sia che la norma impugnata impone dei costi aggiuntivi per la sua attuazione sia che tali aggravi di spesa non trovano copertura nelle vigenti leggi regionali di approvazione del bilancio. Sotto tale secondo aspetto, la censura sarebbe anche generica atteso che lo stesso ricorrente si è limitato a lamentare che la norma impugnata non contempla «la previsione dei mezzi finanziari per far fronte alla spesa prevista», lasciando indimostrato il presupposto per l’applicazione dell’invocato art. 81, quarto comma, Cost., cioè che detta norma impugnata importi nuove o maggiori spese rispetto alle leggi di bilancio approvate.

Nel merito, la Regione Marche afferma anzitutto che l’assoluta genericità delle questioni di legittimità promosse in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost., rende impossibile opporsi a ragioni di doglianza che dovrebbero essere addirittura da essa stessa «ipotizzate».

Quanto alla questione promossa in riferimento all’art. 81, quarto comma, Cost., la resistente sottolinea che la norma impugnata si è limitata a prevedere, come risulta dal suo tenore letterale, la mera possibilità che personale di soggetti diversi dalle pubbliche amministrazioni partecipi alle attività formative della Scuola regionale di formazione della pubblica amministrazione, con il fine di consentire che soggetti privati interessati a dette attività – quali gestori di pubblici servizi, centri accreditati per lo svolgimento di servizi sanitari pubblici, associazioni di categoria, centri di educazione ambientale, ambiti territoriali locali, associazioni ambientaliste ed altri – possano fruire dei corsi già previsti dal programma e offerti al personale delle pubbliche amministrazioni. Che la norma impugnata non introduca nuovi oneri a carico della finanza pubblica sarebbe dunque chiaro – sempre ad avviso della Regione Marche – per le seguenti due ragioni: a) perché non è tale norma a disporre la partecipazione alle attività di formazione della Scuola di soggetti estranei alle pubbliche amministrazioni, limitandosi essa a consentire che tale partecipazione sia disposta, caso per caso, dalla Scuola stessa; b) perché detta partecipazione di soggetti ulteriori a corsi o attività che già vengono svolti per il personale delle pubbliche amministrazioni non è in grado di comportare nuovi o maggiori oneri per la spesa pubblica.

2.3.− La Regione Marche deduce, infine, l’infondatezza delle questioni di legittimità dell’art. 38, comma 2, della legge reg. Marche n. 37 del 2012, in quanto non sarebbe ravvisabile alcun contrasto tra la norma regionale impugnata e quella statale invocata quale parametro interposto.

La parte resistente osserva anzitutto che con la norma impugnata il legislatore regionale ha stabilito che alcune somme derivanti dall’alienazione di beni immobili del Servizio sanitario regionale, da un lato, non costituiscono un debito verso l’amministrazione regionale, dall’altro, possono essere utilizzate dagli enti di detto Servizio sanitario regionale previa autorizzazione della Giunta regionale. La ratio di tale disposizione si comprenderebbe alla luce del comma 2 dell’art. 35 della legge reg. Marche n. 18 del 2009 il quale stabilisce, in via generale, che «Il ricavato dell’alienazione [dei beni immobili di cui al comma 1 dello stesso art. 35] è destinato alla copertura del fondo regionale per il finanziamento del servizio sanitario regionale e costituisce debito verso l’Amministrazione regionale».

Tanto precisato in ordine alla portata della norma impugnata, la difesa della Regione Marche afferma che essa non presenta difformità rispetto alla legislazione statale, nell’àmbito della quale non è rinvenibile alcuna disposizione che imponga di configurare i proventi dell’alienazione di beni immobili degli enti del Servizio sanitario regionale quale debito verso l’amministrazione regionale o che imponga un generale divieto di utilizzazione di tali risorse.

Nessun contrasto sarebbe in particolare ravvisabile tra la norma impugnata e l’art. 29, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 118 del 2011, che il ricorrente invoca quale parametro interposto. Infatti, premesso che detta norma statale individua «le modalità di rappresentazione» di alcune poste di bilancio «Al fine di soddisfare il principio generale di chiarezza e di rappresentazione veritiera e corretta, nonché di garantire l’omogeneità, la confrontabilità ed il consolidamento dei bilanci dei servizi sanitari regionali» (art. 29, comma 1), la Regione Marche, dopo averne riportato il contenuto, per la parte di esso che rileverebbe nel caso di specie – e cioè là dove la citata lettera c) dispone che «Nel caso di cessione di beni acquisiti tramite contributi in conto capitale con generazione di plusvalenza, la plusvalenza viene direttamente iscritta in una riserva del patrimonio netto, senza influenzare il risultato economico dell’esercizio. La quota di contributo residua resta iscritta nell’apposita voce di patrimonio netto ed è utilizzata, unitamente alla riserva derivante dalla plusvalenza, per sterilizzare l’ammortamento dei beni acquisiti con le disponibilità generate dalla dismissione» – afferma che l’esclusione delle somme indicate nella norma regionale impugnata dalla qualificazione quale debito verso l’amministrazione regionale e la possibilità, prevista dalla stessa norma, della loro utilizzazione previa autorizzazione della Giunta regionale non sarebbero in grado di incidere, neppure potenzialmente, sulla piena e sicura applicazione dell’art. 29, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 118 del 2011.

3.− Con memoria depositata in data 15 ottobre 2013, la Regione Marche ha ribadito gli argomenti e le conclusioni già precedentemente rassegnati nell’atto di costituzione in giudizio in punto di inammissibilità e, comunque, di infondatezza di ciascuna delle tre questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri.

La difesa regionale ha poi osservato che, nelle more del giudizio, il quadro normativo in cui dette questioni si inseriscono è in gran parte mutato.

Con riguardo a quelle aventi a oggetto il comma 5 dell’art. 25 della legge reg. Marche n. 37 del 2012, la parte resistente fa presente che, successivamente alla proposizione del ricorso: a) detto comma 5 è stato espressamente abrogato dall’art. 3, comma 1, della legge della Regione Marche  2 agosto 2013, n. 26 (Disposizioni per gli Enti del Servizio Sanitario Regionale), con effetto dal 23 agosto 2013, data dell’entrata in vigore di tale legge, il giorno successivo a quello della sua pubblicazione (art. 4, comma 1, della legge reg. Marche n. 26 del 2013); b) il termine di efficacia delle graduatorie concorsuali del 30 giugno 2013 previsto dalla norma statale invocata a parametro interposto è stato prorogato al 31 dicembre 2013 dall’art. 1, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 giugno 2013 (Proroga dei termini di scadenza e dei regimi giuridici, adottato in attuazione dell’articolo 1, comma 394, della legge 24 dicembre 2012, n. 228). Secondo la Regione Marche, tali sopravvenienze normative realizzerebbero le condizioni che, in base alla consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, comportano la cessazione della materia del contendere. Infatti, da un lato, è stata rimossa dall’ordinamento la disposizione regionale censurata con effetto dal 23 agosto 2013; dall’altro, per il periodo intercorrente tra il 1° luglio 2013 (primo giorno successivo al termine originario fissato dalla norma interposta invocata dal ricorrente) e il 22 agosto 2013 (giorno precedente alla decorrenza dell’indicato effetto abrogativo) si potrebbe senz’altro assumere che la disciplina regionale impugnata non ha trovato applicazione o, comunque, non ha potuto avere alcuna applicazione incostituzionale, dal momento che a far data dal 1° luglio 2013 deve considerarsi a tutti gli effetti applicabile il nuovo termine prorogato dal legislatore statale al 31 dicembre 2013.

Quanto alle questioni di legittimità dell’art. 38, comma 2, della legge reg. Marche n. 37 del 2012, nella parte in cui aggiunge, nell’art. 35 della legge reg. Marche n. 18 del 2009, un nuovo comma 3-ter, la difesa regionale rileva che tale comma è stato integralmente sostituito dall’art. 2, comma 1, della legge della Regione Marche 10 maggio 2013, n. 10 (Disposizioni di semplificazione e adeguamento della normativa regionale) con il seguente: «Le plusvalenze derivanti dalle alienazioni di beni immobili di cui al comma 1 successive al 1° gennaio 2012 e le somme derivanti dall’alienazione di altri beni immobili rispetto a quelli indicati allo stesso comma 1 devono essere destinate al finanziamento di investimenti e costituiscono, fino alla stessa finalizzazione, una riserva del patrimonio netto, ai sensi del comma 1 dell’articolo 29 del D.Lgs. 118/2011». Secondo la parte resistente, tale disposizione riproduce letteralmente il contenuto della norma statale invocata quale parametro interposto e risulterebbe, perciò, integralmente satisfattiva delle ragioni del ricorrente. La stessa novella avrebbe inoltre – sempre secondo la Regione resistente – efficacia sostanzialmente, pur se non formalmente retroattiva, «in considerazione della natura inequivocabilmente contabile della disciplina in questione, la quale si rivolge agli enti sanitari regionali di cui al menzionato art. 35 della legge reg. n. 18 del 2009, imponendo loro di redigere i propri bilanci in conformità alle regole ivi dettate, anche attraverso l’adozione degli eventuali provvedimenti di variazione che si rendessero necessari per assicurare – allo stato attuale – quella conformità». Anche in questo caso sussisterebbero, quindi, le condizioni per una dichiarazione di cessazione della materia del contendere.

Quanto alle questioni di legittimità dell’art. 28, comma 1, della legge reg. Marche n. 37 del 2012, la difesa regionale ha ribadito gli argomenti già addotti nell’atto di costituzione in giudizio, sia in punto di inammissibilità delle censure mosse in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost., sia in punto di infondatezza della questione promossa in riferimento all’art. 81, quarto comma, Cost., in quanto il ricorrente muoverebbe dall’errato presupposto secondo cui l’impugnata disposizione regionale introdurrebbe «oneri a carico della finanza pubblica».

La Regione Marche conclude chiedendo che, fatta salva l’eventuale parziale dichiarazione di cessazione della materia del contendere, le questioni promosse siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.

4.− Il 23 ottobre 2013, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato atto di rinuncia parziale al ricorso con riguardo all’impugnazione dell’art. 38, comma 2, della legge reg. Marche n. 37 del 2012, unitamente all’estratto della deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 luglio 2013 con la quale detta rinuncia è stata decisa, rilevando che, con l’art. 2, comma 1, della legge reg. Marche n. 10 del 2013, la Regione Marche «si è adeguata ai rilievi governativi».

Il 31 ottobre 2013, la stessa Avvocatura generale dello Stato ha depositato atto di rinuncia parziale al ricorso anche con riguardo all’impugnazione dell’art. 25, comma 5, della legge reg. Marche n. 37 del 2012, unitamente all’estratto della deliberazione del Consiglio dei ministri del 29 ottobre 2013 con la quale detta rinuncia è stata decisa, rilevando che l’art. 3, comma 1, della legge reg. Marche n. 26 del 2013, ha espressamente abrogato la disposizione impugnata con effetto dal 23 agosto 2013 e che il citato d.P.C.m. 19 giugno 2013 ha medio tempore prorogato al 31 dicembre 2013 il termine di efficacia delle graduatorie concorsuali del 30 giugno 2013 previsto dall’art. 1, comma 388, e dalla Tabella 2, punto 24, della legge n. 228 del 2012.

5.− Nel corso dell’udienza pubblica del 5 novembre 2013, la difesa della Regione Marche ha depositato copia della deliberazione n. 1517 del 4 novembre 2013 con la quale la Giunta regionale della Regione Marche ha accettato le suddette rinunce all’impugnazione degli artt. 38, comma 2, e 25, comma 5, della legge reg. Marche n. 37 del 2012.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in riferimento agli  artt. artt. 3, 81, quarto comma, 97, 117, terzo comma, e 120 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 25, comma 5, 28, comma 1, e 38, comma 2, della legge della Regione Marche 27 novembre 2012, n. 37 (Assestamento del bilancio 2012).

2.– Preliminarmente, va rilevato che, dopo la proposizione del ricorso, il ricorrente ha depositato, il 23 e il 31 ottobre 2013, atti di rinuncia all’impugnazione, rispettivamente, dell’art. 38, comma 2, e dell’art. 25, comma 5, della legge reg. Marche n. 37 del 2012, e che dette rinunce sono state accettate dalla Regione Marche il 4 novembre 2013. Con riguardo a tali questioni  oggetto di rinuncia deve, perciò, essere dichiarata l’estinzione del processo, ai sensi dell’art. 23, comma 1, secondo periodo, delle norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte.

3.− Così delimitato l’oggetto del giudizio, si deve procedere all’esame delle censure mosse nei confronti dell’art. 28, comma 1, della legge reg. Marche n. 37 del 2012.

3.1.− Tale disposizione stabilisce l’aggiunta, dopo il comma 1 dell’art. 14 della legge della Regione Marche 15 ottobre 2001, n. 20 (Norme in materia di organizzazione e di personale della Regione) –articolo che è dedicato alla «Scuola regionale di formazione della pubblica amministrazione» – di un comma 1-bis, a norma del quale: «Per assicurare le attività di programmazione regionale ed il loro raccordo con quelle dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni nonché con quelle dell’Unione europea, può partecipare alle attività di aggiornamento e di riqualificazione del personale regionale anche il personale di soggetti diversi dalle pubbliche amministrazioni».

Ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata, prevedendo la possibilità che il personale di soggetti diversi dalle pubbliche amministrazioni partecipi alle attività della Scuola, si porrebbe in contrasto con: a) gli artt. 3 e 97 Cost., «perché viola i principi, contenuti in tali norme, di uguaglianza, imparzialità e buon andamento»; b) l’art. 117, terzo comma, Cost., «perché viola il principio, contenuto in tale norma, del coordinamento della finanza pubblica, in forza del quale la Regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non può apportare deroghe alla previsione delle leggi statali»; c) l’art. 81, quarto comma, Cost., «perché introduce oneri a carico della finanza pubblica senza la previsione dei mezzi finanziari per far fronte alla spesa prevista».

3.2.− La difesa della Regione Marche ha eccepito l’inammissibilità di tutte le dette questioni per la genericità delle stesse.

Tali eccezioni sono fondate.

3.2.1.− Quanto alle censure promosse in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., il ricorrente non ha svolto alcuna argomentazione atta a suffragare la violazione di tali parametri, con conseguente inammissibilità delle questioni (ex plurimis, sentenze n. 114 del 2011, n. 186 del 2010, n. 145 del 2008).

3.2.2.− Parimenti inammissibile è la questione promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. Sul punto, infatti, il ricorso, oltre ad omettere di esplicitare le ragioni della violazione del parametro invocato, neppure lo identifica compiutamente, avendo trascurato di indicare il principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica che sarebbe violato dall’impugnata disposizione di legge regionale (sulla necessità, ai fini dell’ammissibilità della questione, della specificazione della norma interposta, ex plurimis, sentenze n. 105 del 2012, n. 227 del 2011, n. 251 e n. 250 del 2009, n. 365 e n. 246 del 2006, n. 73 del 2004; ordinanza n. 32 del 2011).

3.2.3.− Anche la censura di violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., è inammissibile. Il ricorrente si è infatti limitato ad affermare, in modo apodittico, il carattere di legge di spesa dell’art. 28, comma 1, della legge reg. Marche n. 37 del 2012, senza svolgere alcuna argomentazione sul perché tale disposizione ‒ che, limitandosi a prevedere la partecipazione di soggetti ulteriori ad attività formative già attualmente svolte (in favore del personale regionale) dall’esistente Scuola regionale di formazione della pubblica amministrazione, appare compatibile con l’invarianza della spesa ‒ comporti oneri finanziari ulteriori rispetto a quelli già in precedenza previsti per il funzionamento della Scuola.

3.3.− In conclusione, tutte le questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti dell’art. 28, comma 1, della legge reg. Marche n. 37 del 2012, devono ritenersi inammissibili per genericità.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara estinto il processo limitatamente alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 25, comma 5, e 38, comma 2, della legge della Regione Marche 27 novembre 2012, n. 37 (Assestamento del bilancio 2012), promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, della legge reg. Marche n. 37 del 2012, promosse, in riferimento agli artt. 3, 81, quarto comma, e 97 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 2013.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Sergio MATTARELLA, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 dicembre 2013.