Sentenza n. 234 del 2009

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SENTENZA N. 234

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Francesco        AMIRANTE                                       Presidente

-      Ugo                 DE SIERVO                                         Giudice

-      Paolo               MADDALENA                                         ”

-      Alfio               FINOCCHIARO                                       ”

-      Alfonso           QUARANTA                                             ”

-      Franco             GALLO                                                      ”

-      Luigi               MAZZELLA                                              ”

-      Gaetano          SILVESTRI                                               ”

-      Sabino             CASSESE                                                  ”

-      Maria Rita       SAULLE                                                    ”

-      Giuseppe         TESAURO                                                 ”

-      Paolo Maria     NAPOLITANO                                         ”

-      Giuseppe         FRIGO                                                       ”

-      Alessandro      CRISCUOLO                                            ”

-      Paolo               GROSSI                                                     ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 23, in relazione all’Allegato III alla parte seconda, 23, comma 4, 24, comma 1, lettera b), 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 39, 42, commi 1, 2 e 3, 43, 44, 45, 46, 47, 50, 51, commi 1, 3 e 5, nonché l’Allegato V alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), promossi dalle Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Umbria, Emilia-Romagna, Puglia e Marche, con ricorsi notificati l’8, il 9, il 13, il 12-21 ed 12-27 giugno 2006, depositati in cancelleria il 10, il 14, il 15, il 16, il 20 ed il 21 giugno 2006, ed iscritti  rispettivamente ai nn. 68, 69, 70, 71, 72, 73, 76 e 79 del registro ricorsi 2006.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli atti di intervento dell’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, e della Biomasse Italia s.p.a. ed altre;

udito nell’udienza pubblica del 5 maggio 2009 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

uditi gli avvocati Maria Grazia Bottari Gentile per la Regione Calabria, Lucia Bora e Guido Meloni per la Regione Toscana, Luigi Manzi per la Regione Piemonte, Giampaolo Parodi per la Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Regione Umbria, Giandomenico Falcon, Franco Mastragostino e Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna, Fabrizio Lofoco per la Regione Puglia, Gustavo Visentini per la Regione Marche, Alessandro Giadrossi per l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, e l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— Le Regioni Calabria (ric. n. 68 del 2006), Toscana (ric. n. 69 del 2006), Piemonte (ric. n. 70 del 2006), Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (ric. n. 71 del 2006), Umbria (ric. n. 72 del 2006), Emilia-Romagna (ric. n. 73 del 2006), Puglia (ric. n. 76 del 2006) e Marche (ric. n. 79 del 2006) hanno impugnato, tra gli altri, gli artt. 23, in relazione all’Allegato III alla parte seconda, 23, comma 4, 24, comma 1, lettera b), 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 39, 42, commi 1, 2 e 3, 43, 44, 45, 46, 47, 50, 51, commi 1, 3 e 5, nonché l’Allegato V alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), per violazione degli artt. 5, 11, 76, 77, primo comma, 117 e 118 della Costituzione, nonché dei principi di leale collaborazione e di legalità.

2.— La Regione Calabria (ric. n. 68 del 2006), con ricorso notificato l’8 giugno 2006 e depositato il successivo giorno 10, ha impugnato, tra l’altro, gli articoli da 26 a 34, 39, 42, comma 2, da 43 a 47, 50 e 51, comma 1, nonché l’Allegato V alla parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006.

2.1.— In particolare, si assume che il procedimento di valutazione di impatto ambientale (VIA) tende a tutelare, come espressamente sancito dall’art. 24, comma 1, lettera b), l’uomo nonché il suolo, le acque, il paesaggio. In relazione al primo aspetto verrebbe in rilievo la materia della tutela della salute; con riferimento agli altri profili sopra indicati verrebbe in rilievo la materia del governo del territorio. In questo contesto la tutela dell’ambiente, «strettamente intesa», compare soltanto «all’ultimo posto della lista».

Da quanto esposto conseguirebbe che, in presenza della descritta «concorrenza di competenze», dovrebbero prevalere le competenze regionali suindicate.

Ne discenderebbe «la illegittimità costituzionale degli articoli da 26 a 34, che dettano disposizioni procedimentali comuni in materia di VIA, e la correlata illegittimità costituzionale dell’art. 43, che impone alle Regioni il rispetto dei sopra citati articoli».

In questa prospettiva, «a fortiori illegittimi sono da considerarsi gli artt. da 43 a 47, con i quali è lo Stato a disciplinare direttamente procedimenti dichiaratamente di competenza regionale, in palese contrasto con le esigenze di funzionalità e con la logica del sistema che ispira il Titolo V della Parte II della Costituzione». Si aggiunge che «le stesse previsioni contenute negli articoli ora censurati evidenziano una profonda discrasia rispetto al ruolo che il legislatore statale può legittimamente svolgere, e che certo non può tradursi, ad esempio, nella disciplina delle condizioni in presenza delle quali si sospendono i lavori (art. 43, comma 5), nella determinazione della durata della proroga dei termini per la conclusione della procedura (art. 44), nella individuazione di esoneri dalla procedura ordinaria (art. 46)».

2.2.— Qualora, «l’impostazione che si è fatta propria non dovesse venire accolta», sarebbero comunque affette da illegittimità costituzionale le seguenti disposizioni:

– l’art. 26, commi 2, 3 e 4, «con cui viene disciplinata in estremo dettaglio la fase introduttiva del procedimento, specificando le modalità di trasmissione della domanda alle autorità interessate, i termini per i pareri di queste e gli effetti dei pareri»;

– l’art. 27, commi da 2 a 7, «che puntualizza i contenuti dello studio di impatto ambientale e che disciplina una eventuale fase preliminare nel procedimento autorizzativo»;

– «l’allegato V alla parte seconda del decreto legislativo impugnato, oggetto di rinvio da parte dell’art. 27, comma 2, che specifica ulteriormente le informazioni da inserire nello studio di impatto ambientale»;

– l’art. 28, comma 2, che si sofferma dettagliatamente sulle misure di pubblicità a carico del committente o del proponente; la stessa disposizione contrasterebbe anche con l’art. 117, sesto comma, Cost., nella parte in cui, dopo avere stabilito che le modalità dell’annuncio dell’avvenuto deposito della presentazione della domanda sono stabilite con regolamento dell’autorità competente (lettera b, primo periodo), precisa che il regolamento stesso è «emanato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio» (lettera b, terzo periodo), lasciando intendere che soltanto quest’ultimo – e non qualunque «autorità competente» – «è titolare della potestà regolamentare in materia; una potestà che sarebbe peraltro esclusa dalla disposizione costituzionale citata»;

– gli artt. 29, comma 1, primo periodo, 31, comma 1, e 43, comma 4, la cui illegittimità sarebbe conseguenza necessaria della illegittimità del citato art. 28, comma 2, lettera b);

– l’art. 29, commi da 2 a 5, «che dispone in maniera estremamente analitica le modalità attraverso le quali rendere il procedimento che conduce alla VIA partecipato da parte dei soggetti in vario modo ed in varia misura interessati»; tali disposizioni, non potendosi considerare principi fondamentali, avrebbero dovuto rispettare «l’istanza cooperativa»;

– l’art. 31, commi da 2 a 4, «il quale si sofferma in maniera assai dettagliata (ed ultronea rispetto all’obiettivo di dare una normativa quadro) sulle modalità mediante le quali operare il giudizio di compatibilità ambientale»;

– l’art. 32, comma 3, «che stabilisce termini e modalità specifici mediante cui procedere alla verifica dell’impatto ambientale delle opere»;

– l’art. 34, comma 2, «il quale individua in maniera minuziosa ciò che è tenuto a fare il proponente che manifesti la volontà di ottenere che la procedura di VIA sia integrata nel procedimento per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale»;

– l’art. 42, comma 2, «che fissa criteri eccessivamente rigidi entro i quali le Regioni e le Province autonome possono definire, per determinate tipologie progettuali e/o aree predeterminate, un incremento delle soglie al di sotto delle quali la VIA non è richiesta; tale rigidità è testimoniata, tra l’altro, dal limite del 20 per cento posto alla variabilità rispetto ai dati contenuti nell’Allegato III della parte seconda», limite che, ai termini del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996 (Atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione dell’art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale), era del 30 per cento;

– l’art. 43, comma 5, «che disciplina i casi e le modalità di sospensione dei lavori in corso ai fini del ripristino delle condizioni di compatibilità ambientale»;

– l’art. 44, che determina la durata massima della proroga dei termini per la conclusione della procedura di VIA;

– l’art. 46, nella parte in cui limita eccessivamente l’individuazione, ad opera delle Regioni e delle Province autonome, delle ipotesi di esonero dalla procedura ordinaria e la possibilità di promuovere procedure semplificate.

Si conclude sul punto, rilevando come le predette norme «possono essere tutte ricondotte alla regolamentazione di aspetti di dettaglio».

2.3.— La stessa Regione Calabria ha impugnato, nel loro complesso, gli artt. 28, 31, comma 4, e 39, per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost.; in particolare si lamenta il fatto che la legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione) non ha incluso la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 maggio del 2003, n. 2003/35/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che prevede la partecipazione del pubblico nell'elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all'accesso alla giustizia) tra quelle la cui attuazione veniva delegata al Governo. Si osserva, inoltre, come in ogni caso la legge delega sarebbe stata modificata ad opera della legge n. 62 del 2005, che prevede un procedimento di formazione diverso da quello seguito nell’emanazione del d.lgs. n. 152 del 2006.

2.4.— Ulteriori censure sono state indirizzate anche nei confronti dell’art. 50 relativo all’«adeguamento delle disposizioni regionali e provinciali». L’illegittimità di tale norma sarebbe conseguenza della illegittimità delle altre disposizioni impugnate.

2.5.— Infine, la Regione Calabria ha impugnato l’art. 51, comma 1, che prevede l’adozione di regolamenti di semplificazione relativi alle procedure di valutazione ambientale strategica e di valutazione di impatto ambientale. Nella prospettiva della ricorrente, tale norma violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto lo Stato «può delegificare solo materie di sua competenza esclusiva e non già materie attribuite alla competenza concorrente regionale».

3.— La Regione Toscana (ric. n. 69 del 2006), con ricorso notificato il 12 giugno 2006 e depositato il successivo giorno 14, ha impugnato gli artt. 25, 35, comma 1, lettera b), 42, commi 1 e 3, 51, comma 3, del predetto d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione.

3.1.— In particolare, si censura, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., l’art. 25, comma 1, lettera a), nella parte in cui prevede che sono sottoposti a VIA in sede statale anche i progetti aventi impatto interregionale; tale previsione sarebbe stata ribadita anche dall’art. 35, comma 1, lettera b), «il quale conferma la competenza statale per le opere o gli interventi localizzati sul territorio di più Regioni e/o comunque che possano avere impatti rilevanti su più Regioni»; e dall’art. 42, commi 1 e 3, «ove viene descritto il procedimento attraverso il quale la Regione, nel caso di opere a valenza interregionale, deve dichiararsi incompetente».

Si sottolinea – da parte della ricorrente – come prima dell’emanazione di tali disposizioni gli interventi interregionali fossero sottoposti a forme di codecisione tra le Regioni coinvolte mediante l’acquisizione dell’intesa tra tutte le Regioni interessate.

La normativa censurata prevede un mero parere, nonostante la stessa riguardi non soltanto la materia della tutela dell’ambiente, ma anche l’utilizzo del territorio, la tutela della salute e la valorizzazione dei beni ambientali.

Non potrebbe, pertanto, si conclude sul punto, essere negata la previsione di adeguate forme di partecipazione delle Regioni secondo i principi sanciti dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del 2003 (si cita anche la sentenza n. 62 del 2005).

3.2.— La ricorrente ha impugnato, inoltre, l’art. 25, comma 1, lettera b), nella parte in cui prevede che la Regione, nell’individuare l’autorità competente per la VIA regionale, debba tener conto «delle attribuzioni della competenza al rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione delle varie opere ed interventi e secondo le procedure dalla stessa stabilite sulla base dei criteri direttivi di cui al capo III del presente titolo, ferme restando le disposizioni comuni di cui al presente capo I».

Se il significato di tale norma, si osserva, fosse quello di dare delle mere indicazioni alle Regioni circa la scelta dell’ente in capo al quale allocare il procedimento di valutazione di impatto ambientale, il rispetto delle competenze regionali sarebbe garantito. Ove, invece, tale norma dovesse essere intesa nel senso che il legislatore statale abbia voluto obbligare le Regioni ad attribuire il procedimento di VIA all’ente titolare del potere autorizzatorio, la stessa violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., determinando una diretta ingerenza nelle potestà delle Regioni di allocare le funzioni.

Si sottolinea, inoltre, come porre in capo al medesimo ente il potere autorizzatorio dell’opera o del progetto e contemporaneamente affidargli la competenza alla valutazione dell’impatto sull’ambiente di tale opera si porrebbe in contrasto con la direttiva del 27 giugno 1985, n. 85/337/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati), la quale impone che «gli effetti di un progetto sull’ambiente debbano essere valutati per proteggere la salute umana, contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento della varietà delle specie e conservare la capacità della riproduzione dell’ecosistema in quanto risorsa essenziale di vita» (undicesimo considerando). L’art. 3 della citata direttiva prevede poi espressamente che la valutazione dell’impatto ambientale individua, descrive e valuta, in modo appropriato, per ciascun caso particolare e a norma degli articoli da 4 e 11, gli effetti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori: l’uomo, la fauna e la flora; il suolo, l’acqua, l’aria, il clima e il paesaggio; i beni materiali ed il patrimonio culturale; l’interazione tra i suindicati fattori.

In conformità a quanto previsto a livello comunitario, si sottolinea come oggi «la maggior parte delle autorizzazioni sono rilasciate dagli enti locali, Comuni e Province, mentre la valutazione dell’incidenza sull’ambiente di dette opere spetta alla Regione»; ciò a maggiore garanzia delle esigenze ambientali che hanno implicazioni sovra comunali e/o sovra provinciali.

Da qui l’asserita violazione degli artt. 11 e 76 Cost., per inosservanza dei criteri contenuti nella legge di delega che impongono il rispetto della normativa comunitaria in materia ambientale (art. 1, comma 8, lettere e ed f, della legge n. 308 del 2004).

3.3.— È stato anche censurato l’art. 51, comma 3, nella parte in cui stabilisce che le norme tecniche integrative della disciplina sulla VIA siano adottate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri competenti, e «solo» sentita la Commissione di cui all’art. 6 del medesimo decreto, cui, peraltro, la Regione partecipa in via eventuale attraverso la figura dell’esperto.

Lo Stato avrebbe, pertanto, dettato una disciplina che andrebbe ad incidere non soltanto sulla materia della tutela dell’ambiente ma anche su materie regionali, quali il governo del territorio, la tutela della salute, la valorizzazione dei beni ambientali, senza prevedere adeguati meccanismi di concertazione con le Regioni, attraverso l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

Si osserva come «dato il complesso intreccio di materie, anche di competenza regionale, che vengono in rilievo nella determinazione di dette norme tecniche, l’intervento dello Stato è ammissibile solo alle condizioni individuate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del 2003» e cioè prevedendo la necessaria intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

L’omessa previsione dell’intesa violerebbe, pertanto, gli artt. 117 e 118 della Costituzione e il principio di leale collaborazione.

3.4.— È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale, in relazione all’asserito contrasto degli artt. 25, comma 1, lettera a), 35, comma 1, lettera b), e 42, commi 1 e 3, con gli artt. 117 e 118 Cost., rileva che «la tesi di rimettere tutte le fasi conoscitive della VIA ad una necessaria decisione contrattata tra i soggetti interessati mostri i suoi limiti nella misura in cui – indipendentemente da una consapevole pubblica istruttoria – i progetti tendono ad insabbiarsi ancora prima di dare corso alla VIA nella ricerca di una preventiva (astratta) intesa».

Con riferimento alle censure rivolte specificamente nei confronti dell’art. 25, comma 1, lettera b), si rileva come «la scelta di affidare i procedimenti di VIA di propria competenza ad autorità costituita presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio non costituisce scelta di principio, ma è derogabile dalla Regione proprio in relazione alle scelte organizzative e funzionali che la stessa intende condurre».

Infine, con riguardo all’impugnazione dell’art. 51, comma 3, si rileva come la presenza di una competenza legislativa esclusiva statale giustifichi il potere regolamentare che è «strettamente funzionale alla fissazione (e modificazione) di standard omogenei su tutto il territorio nazionale».

3.5.— È intervenuta nel giudizio l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, la quale premette che la stessa è «titolare di un interesse alla tutela dell’ambiente», riconosciuto ai sensi della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale) «e anche dalla stessa legge di delega n. 308 del 2004, nella parte in cui la richiama per affidarle uno specifico ruolo consultivo nell’iter di formazione del decreto». Si aggiunge, infatti, che «l’eventuale pronuncia di accoglimento o di rigetto del ricorso proposto dalla Regione Toscana, eserciterebbe una influenza diretta con effetti rilevanti sulla posizione soggettiva dell’Associazione».

Chiarito ciò, per quanto rileva in questa sede, tale ente ha chiesto che venga dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 25, comma 1, lettera b), sopra riportato, per violazione degli artt. 11 e 76 della Costituzione, in quanto «la tutela dell’ecosistema e la conservazione delle specie con le note implicazioni sovracomunali e/o sovraprovinciali, devono essere attribuite ad enti ed organi specializzati, ben distinti da quelli competenti al rilascio delle autorizzazioni».

4.— La Regione Piemonte (ric. n. 70 del 2006), con ricorso notificato il 12 giugno 2006 e depositato il successivo giorno 15, ha impugnato gli artt. 23, in relazione all’Allegato III alla parte seconda, 25, comma 1, lettera a), 42, comma 2, 43, 51, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006.

4.1.— In particolare, è stato censurato l’art. 23, in quanto tale norma non conterrebbe il completo ed esatto recepimento delle categorie progettuali sottoposte a valutazione di impatto ambientale dalla direttiva comunitaria n. 85/337/CEE.

Sul punto, si osserva come «la mancata o incompleta attuazione delle norme comunitarie in cui incorre il decreto legislativo si ripercuote sull’ambito di competenza regionale, essendo le Regioni tenute per espressa formulazione dell’art. 117, primo e quinto comma, Cost., all’attuazione diretta delle norme comunitarie».

4.2.— La medesima Regione ha, inoltre, impugnato l’art. 25, comma 1, lettera a), il quale attribuisce la competenza a compiere la valutazione di impatto ambientale al Ministero dell’ambiente per i progetti di opere ed interventi «genericamente individuati come “sottoposti ad autorizzazione statale”, il che può ampliare il campo applicativo ad opere di rilievo regionale o locale per cui intervenga anche un qualche provvedimento autorizzativo statale, e per i progetti di opere ed interventi aventi impatto ambientale interregionale, per i quali può (…) attuarsi invece valutazione d’intesa fra le Regioni interessate».

Tale disposizione si porrebbe in contrasto con il principio di sussidiarietà e con i criteri direttivi della legge delega, «alterando l’assetto di competenze amministrative già esistente in materia».

4.3.— Oggetto di censure è stato anche l’art. 42, comma 2, il quale prevede la possibilità di variare le “soglie” sulla cui base è costruito il sistema delle categorie sottoposte alla valutazione di impatto ambientale, nel solo incremento del venti per cento. La ricorrente deduce come l’atto di indirizzo e coordinamento di cui al d.P.R. 12 aprile 1996, sulla cui base sono state emanate le norme regionali in materia, demandava alle Regioni di fissare le “soglie” con possibilità sia di incremento sia di decremento e nella misura massima del trenta per cento, in ragione della disomogeneità del territorio che presenta forti differenziazioni e peculiarità ambientali nelle diverse Regioni.

Tale innovazione «comporta il rivolgimento di quanto già efficacemente attuato nell’ambito regionale».

4.4.— La ricorrente ha impugnato ancora l’art. 43 il quale vincola, con norme di dettaglio, la disciplina da parte delle Regioni delle procedure di valutazione di impatto ambientale per i progetti di loro competenza, senza che sussistano «esigenze di uniformità o standard di tutela».

4.5.— Infine, è stato censurato l’art. 51, comma 3, che, affidando unicamente agli organi ministeriali l’emanazione delle norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione dei giudizi di compatibilità per ciascuna categoria di opera, violerebbe il principio di leale collaborazione non prevedendo «alcuna partecipazione delle Regioni e degli enti locali, quanto meno con il parere della Conferenza Stato-Regioni».

4.6.— Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso venga dichiarato «inammissibile ed infondato», con riserva di depositare una o più memorie illustrative della posizione dello Stato nel presente giudizio.

4.7.— È intervenuta anche in questo giudizio l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, la quale, dopo avere dedotto di avere «interesse» al ricorso per le ragioni già illustrate (punto 3.5.), ha chiesto che venga dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 23, in relazione all’allegato III, per gli analoghi motivi indicati nel ricorso.

4.8.— Sono intervenute anche la Biomasse Italia s.p.a., la Società italiana centrali termoelettriche-Sicet s.r.l., la Ital Green Energy s.r.l., la E.T.A. Energie Tecnologie Ambiente s.p.a per opporsi all’accoglimento del ricorso della Regione Piemonte.

5.— La Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (ric. n. 71 del 2006), con ricorso notificato il 9 giugno 2006 e depositato il successivo giorno 15, ha impugnato gli artt. 23, comma 4, 25, comma 1, lettera a), 31, commi 1 e 2 e 33 del d.lgs. n. 152 del 2006.

5.1.— Innanzitutto, è stato censurato l’art. 23, comma 4, nella parte in cui esclude dalla VIA, tra l’altro, i progetti relativi ad opere ed interventi destinati a scopi di protezione civile o disposti in via d’urgenza, come pure i progetti relativi ad opere di carattere temporaneo. Tale norma, nella prospettiva regionale, da un lato, violerebbe il diritto comunitario – e, in particolare, l’art. 1, comma 4, della direttiva n. 85/337/CEE del 1985 – che prevede l’esclusione solo per i progetti relativi ad opere ed interventi destinati a scopi di difesa nazionale. In secondo luogo, sarebbe violato l’art. 1, comma 8, lettera e), della legge delega n. 308 del 2004, in base al quale il Governo è tenuto a dare piena e coerente attuazione alle direttive comunitarie, «nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie».

5.2.— In secondo luogo, si è assunta la illegittimità dell’art. 25, comma 1, lettera a), nella parte in cui attribuisce allo Stato anche la VIA dei progetti di opere aventi impatto interregionale, in quanto eliminerebbe «qualsiasi procedura di coordinamento tra VIA regionali (…) attribuendo allo Stato competenze non necessarie in relazione alla realizzazione dell’opera, per il solo fatto che questa interessa il territorio di più Regioni». Inoltre, sarebbe violato l’art. 1, comma 8, della legge delega n. 308 del 2004, in base al quale il Governo è tenuto a rispettare le competenze regionali, nonché il principio di sussidiarietà.

5.3.— In terzo luogo, si è dedotta la illegittimità costituzionale dell’art. 31, commi 1 e 2, che, prevedendo un intervento sostitutivo del Consiglio dei ministri in caso di inerzia dell’autorità competente superiore a novanta giorni, sarebbe in contrasto «con il coordinamento delle procedure autorizzative da parte delle Regioni: (…) infatti, la maggior parte delle Regioni ad oggi hanno adottato procedure di VIA di durata compresa tra i 120 ed i 150 giorni, con il risultato che, pur attivando correttamente la procedura secondo i tempi previsti dall’attuale normativa, le Regioni si vedrebbero scavalcate dall’esercizio del potere sostitutivo statale».

5.4.— Infine, è dedotta la illegittimità costituzionale dell’art. 33 che, stabilendo che vengono acquisiti alla procedura di VIA tutti gli elementi «positivamente valutati» in sede di VAS, violerebbe le disposizioni dell’art. 11 della direttiva del 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente), che «lascia impregiudicate le disposizioni della direttiva 85/337/CEE».

Inoltre, tale norma sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, quinto comma, Cost., in quanto si limiterebbe «la discrezionalità del legislatore regionale, competente anche in sede di attuazione delle citate direttive comunitarie» a norma della menzionata disposizione costituzionale.

5.5.— È intervenuta l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, la quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

6.— La Regione Umbria (ric. n. 72 del 2006), con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo giorno 16, ha impugnato gli artt. 25, comma 1, lettera a), 35, comma 1, lettere a) e b), 42, commi 1 e 3.

6.1.— In particolare, l’art. 25, comma 1, lettera a), riserva al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio la competenza in materia di VIA «per i progetti di opere ed interventi sottoposti ad autorizzazione statale e per quelli aventi impatto ambientale interregionale o internazionale»; l’art. 35, comma 1, lettere a) e b), dispone che «compete al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio (…) la valutazione di impatto ambientale dei progetti di opere ed interventi rientranti nelle categorie di cui all’articolo 23 nel caso in cui si tratti: a) di opere o interventi sottoposti ad autorizzazione alla costruzione o all’esercizio da parte di organi dello Stato; b) di opere o interventi localizzati sul territorio di più Regioni o che comunque possono avere impatti rilevanti su più Regioni»; l’art. 42, relativo ai progetti sottoposti a VIA in sede regionale o provinciale, stabilisce, al comma 1, che «sono sottoposti a valutazione di impatto ambientale in sede regionale o provinciale i progetti di opere ed interventi rientranti nelle categorie di cui all’articolo 23, salvo si tratti di opere o interventi sottoposti ad autorizzazione statale o aventi impatto ambientale interregionale o internazionale ai sensi dell’art. 35».

La Regione rileva come il decreto abbia assegnato alla competenza statale non solo la VIA per le opere e gli interventi soggetti ad autorizzazione statale, ma anche quella relativa ad opere ed interventi che abbiano semplicemente un rilievo per più di una Regione.

Si assume, pertanto, che per tale tipologia di opere e interventi la competenza non può che spettare alle Regioni «anche se si tratti di opere che interessano più Regioni o che comunque recano un impatto su più territori regionali».

Sul punto, si osserva che se è vero che anche il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) «aveva mantenuto allo Stato la competenza alla VIA per “le opere e gli impianti il cui impatto ambientale investe più Regioni”» (art. 71, comma 1, lettera a), è anche vero che il comma 2 precisava che con atto di indirizzo e coordinamento sarebbero state «individuate le specifiche categorie di opere, interventi e attività attualmente sottoposti a valutazione di impatto ambientale da trasferire alla competenza delle Regioni», a condizione, precisava il comma 3, della «vigenza della legge regionale della VIA». Ed, infatti, si aggiunge, il precedente atto di indirizzo e coordinamento, di cui al d.P.R. 12 aprile 1996, prevedeva che le Regioni assicurassero «la definizione delle modalità di partecipazione alla procedura di valutazione di impatto ambientale delle Regioni confinanti nel caso di progetti che possono avere impatti rilevanti anche sul loro territorio ovvero di progetti localizzati sul territorio di più Regioni»; ciò «presupponendo la perdurante competenza regionale in relazione all’impatto ambientale dell’opera o dell’intervento».

Nel nuovo quadro costituzionale lo stesso principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, primo comma, Cost. impone di non spostare la competenza a livello statale «se non nei casi in cui il carattere infrazionabile ed intrinsecamente unitario delle competenze lo imponga».

Si sottolinea, inoltre, come il rispetto del principio di sussidiarietà era, tra l’altro, specificamente previsto dall’art. 8, comma 1, della legge delega n. 308 del 2004.

Infine, si deduce come la competenza regionale in materia di VIA «non è una graziosa concessione del legislatore statale, ma una precisa conseguenza sia della competenza regionale in relazione alle opere e interventi di cui si tratti, sia della competenza regionale nelle materie connesse all’ambiente o addirittura parti di esso, quali la tutela della salute ed il governo del territorio, sia della stessa competenza in materia ambientale, in quanto la competenza esclusiva statale si riferisce (…) alla fissazione degli standard minimi di tutela».

6.2.— La stessa Regione ha impugnato anche l’art. 42, comma 3, il quale, disciplinando i «progetti sottoposti a VIA in sede regionale o provinciale», stabilisce che «qualora dall’istruttoria esperita in sede regionale o provinciale emerga che l’opera o intervento progettato può avere impatti rilevanti anche sul territorio di altre Regioni o Province autonome o di altri Stati membri dell’Unione europea, l’autorità competente con proprio provvedimento motivato si dichiara incompetente e rimette gli atti alla Commissione tecnico-consultiva di cui all’articolo 6 per il loro eventuale utilizzo nel procedimento riaperto in sede statale».

Tale norma lederebbe le competenze regionali per le ragioni indicate al punto precedente.

6.3.— È intervenuta nel giudizio l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, la quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

7.— La Regione Emilia-Romagna (ric. n. 73 del 2006), con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo giorno 16, ha impugnato gli artt. 23, comma 4, 24, comma 1, lettera b), 25, comma 1, lettera a), 26, comma 3, 28, comma 2, lettera b), 33, 35, comma 1, lettere a) e b), 42, comma 1, 51, commi 1, 3 e 5.

7.1.— In particolare, è stato censurato l’art. 23, comma 4, per violazione del diritto comunitario per ragioni analoghe a quelle prospettate dalla Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste.

7.2.— È impugnato, altresì, l’art. 24, comma 1, lettera b), nella parte in cui disciplina le “Finalità della VIA” stabilendo che «la procedura di valutazione di impatto ambientale deve assicurare che: (…) b) per ciascun progetto siano valutati gli effetti diretti ed indiretti della sua realizzazione sull’uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle acque di superficie e sotterranee, sull’aria, sul clima, sul paesaggio e sull’interazione tra detti fattori, sui beni materiali e sul patrimonio culturale ed ambientale».

La predetta disposizione violerebbe il diritto comunitario – e in particolare l’art. 3, comma 1, della direttiva n. 85/337/CEE del 1985, secondo cui la valutazione dell’interazione deve essere estesa ai «fattori beni materiali» e «patrimonio culturale e ambientale» – «e nella parte in cui si riferisce alle procedure regionali e pretende di vincolare il legislatore regionale (…) risulta anch’essa lesiva delle garanzie costituzionali delle Regioni».

7.3.— Sono, inoltre, impugnati, gli artt. 25, comma 1, lettera a), 35, comma 1, lettera b), 42, comma 1, nella parte in cui prevedono che siano sottoposti a VIA in sede statale anche i progetti «che abbiano semplicemente un rilievo per più di una Regione», atteso che, dopo la riforma della parte Seconda del Titolo V della Costituzione, «la competenza per le opere e gli interventi non soggetti ad autorizzazione statale non può che spettare alle Regioni, anche se si tratti di opere che interessano più Regioni o che comunque recano un impatto su più territori regionali».

Sul punto si svolgono argomentazioni analoghe a quelle svolte dalla Regione Umbria.

7.4.— Inoltre, si rileva la illegittimità costituzionale degli artt. 25, comma 1, lettera a), e 35, comma 1, lettera a), nella parte in cui dette disposizioni prevedono la VIA per opere soggette ad autorizzazione dello Stato, per l’ipotesi in cui esse includessero «non soltanto le autorizzazioni statali che direttamente si riferiscono al progetto dell’opera o intervento, ma anche ad eventuali autorizzazioni (…) che semplicemente “incidano” nel procedimento approvativo di progetti sottoposti ad approvazione regionale o locale».

Secondo la ricorrente, le due suindicate disposizioni violerebbero gli artt. 117 e 118 Cost. «non essendoci alcuna ragione di “spostare” la competenza in sede statale, dal momento che gli interessi statali sono tutelati dall’autorizzazione stessa».

7.5.— È, inoltre, impugnato l’art. 26, comma 3, il quale prevede che «in ragione delle specifiche caratteristiche dimensionali e funzionali dell’opera o intervento progettato, ovvero in ragione del numero degli enti locali potenzialmente interessati e della dimensione documentale del progetto e del relativo studio di impatto ambientale, il committente o proponente, attivando a tale fine una specifica fase preliminare, può chiedere di essere in tutto o in parte esonerato dagli adempimenti di cui al comma 2, ovvero di essere autorizzato ad adottare altri sistemi di divulgazione appropriati».

Tale norma violerebbe direttamente le competenze della Regione e degli enti locali, e si porrebbe «in contrasto con la direttiva 85/337/CEE (…) che, all’art. 6, comma 1, dispone che “gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le autorità che possono essere interessate al progetto, per la loro specifica responsabilità in materia di ambiente, abbiano la possibilità di esprimere il loro parere sulle informazioni fornite dal committente e sulla domanda di autorizzazione” e che tali autorità “ricevono le informazioni raccolte a norma dell’articolo 5”».

7.6.— L’art. 28, comma 2, lettera b), viene impugnato nella parte in cui stabilisce quanto segue: «contestualmente alla presentazione della domanda di cui all’articolo 26, il committente o proponente provvede a proprie spese: (…) b) alla diffusione di un annuncio dell’avvenuto deposito a mezzo stampa, secondo le modalità stabilite dall’autorità competente con apposito regolamento che assicuri criteri uniformi di pubblicità per tutti i progetti sottoposti a valutazione d’impatto ambientale, garantendo che il pubblico interessato venga in tutti i casi adeguatamente informato. Il medesimo regolamento stabilisce i casi e le modalità per la contemporanea pubblicazione totale o parziale in internet del progetto. Il regolamento deve essere emanato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte seconda del presente decreto. Fino all’entrata in vigore del regolamento le pubblicazioni vanno eseguite a cura e spese dell’interessato in un quotidiano a diffusione nazionale ed in un quotidiano a diffusione regionale per ciascuna regione direttamente interessata».

Tale norma violerebbe l’art. 117, sesto comma, Cost., atteso che, «in relazione alle VIA regionali, una disciplina regolamentare statale delle modalità di avviso degli avvenuti depositi non è ammissibile» ai sensi della suindicata disposizione costituzionale.

Si rileva, inoltre, «in via subordinata», che, qualora potesse rinvenirsi una esigenza unitaria, l’esercizio del potere regolamentare sarebbe dovuto avvenire previa «intesa» con la Conferenza Stato-Regioni.

7.7.— A proposito dell’art. 33, si rileva che esso stabilisce che: «per progetti di opere ed interventi da realizzarsi in attuazione di piani o programmi già sottoposti a valutazione ambientale strategica, e che rientrino tra le categorie per le quali è prescritta la valutazione di impatto ambientale, in sede di esperimento di quest’ultima costituiscono dati acquisiti tutti gli elementi positivamente valutati in sede di valutazione di impatto strategico o comunque decisi in sede di approvazione del piano o programma».

Tale norma violerebbe l’art. 11 della direttiva 2001/42/CE, secondo cui la valutazione ambientale dei piani e programmi «lascia impregiudicate le disposizioni della direttiva 85/337/CEE e qualsiasi altra disposizione della normativa comunitaria», e la stessa direttiva n. 85/337/CEE del 1985, che nel disciplinare la VIA non prevede affatto in essa una possibile pregiudiziale valutazione di elementi rilevanti per la decisione.

7.8.— Infine, è impugnato l’art. 51, commi 1, 3 e 5. Il primo comma di tale norma stabilisce che «al fine di semplificare le procedure di valutazione ambientale strategica e valutazione di impatto ambientale, con appositi regolamenti», emanati ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), possono essere adottate norme puntuali per una migliore integrazione di dette valutazioni negli specifici procedimenti amministrativi vigenti di approvazione o autorizzazione dei piani o programmi e delle opere o interventi sottoposti a valutazione».

La riportata disposizione violerebbe: a) il principio di legalità del potere regolamentare «dato che la sola precisione che la legge contiene – oltre al fine – è che tali regolamenti contengano norme puntuali»; b) l’art. 117, sesto comma, Cost., nella parte in cui dette norme si riferiscono a procedure di VAS e VIA regionale, che rientrano nell’ambito della competenza regionale; c) «in via subordinata», qualora si ritenessero sussistenti esigenze di unitarietà, il principio della leale collaborazione, non essendo stata prevista l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

Sul punto, si aggiunge, «il vizio non vi sarebbe (…) qualora i regolamenti in questione non fossero destinati a disciplinare procedimenti ambientali o di programmazione già disciplinati nell’esercizio della potestà legislativa regionale» (si cita la sentenza n. 376 del 2002 della Corte costituzionale).

Il terzo comma della medesima disposizione stabilisce che «le norme tecniche integrative della disciplina di cui al titolo III della parte seconda del presente decreto, concernenti la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione dei giudizi di compatibilità in relazione a ciascuna categoria di opere, sono emanate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri competenti per materia e sentita la Commissione di cui all’articolo 6».

Anche tale disposizione violerebbe le competenze regionali, con la puntualizzazione che il «vizio non vi sarebbe se si dovesse intendere che tali norme tecniche integrative non riguardano le procedure regionali».

Infine, si impugna il comma 5 della predetta disposizione, il quale stabilisce che «con successivo decreto, adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro delle attività produttive, si provvederà ad accorpare in un unico provvedimento, indicando l’autorità unica competente, le diverse autorizzazioni ambientali nel caso di impianti non rientranti nel campo di applicazione del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, ma sottoposti a più di una autorizzazione ambientale di settore».

La ricorrente si duole del fatto che anche per tale decreto non sarebbe stata prevista alcuna procedura di collaborazione con le Regioni.

7.9.— È intervenuta anche in questo giudizio l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, la quale ha chiesto che vengano accolte le doglianze regionali formulate nei confronti degli artt. 23, in relazione all’allegato III, 24, comma 1, lettera b), e 26, comma 3, per ragioni analoghe a quelle contenute nel ricorso.

8.— La Regione Puglia (ric. n. 76 del 2006), con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo giorno 20, ha impugnato gli artt. 25, comma 1, lettera a), 26, comma 3, 42, comma 3.

8.1.— In particolare, si censura l’art. 25, comma 1, lettera a), sopra riportato, in quanto nonostante la «(notevole) incidenza» dei progetti previsti da tale norma sul territorio di più Regioni, «queste risultano del tutto pretermesse dalla procedura di valutazione di impatto ambientale, che viene affidata interamente al potere statale».

8.2.— La medesima Regione ha censurato l’art. 26, comma 3, relativo alla “Fase introduttiva del procedimento” di VIA che, pur prescrivendo la trasmissione dell’apposita domanda e dello studio di impatto ambientale alle Regioni e agli enti locali interessati, nonché in caso di aree naturali protette, agli enti di gestione, che devono esprimere il loro parere entro sessanta giorni, tuttavia, al terzo comma, stabilisce che: «in ragione delle specifiche caratteristiche dimensionali e funzionali dell’opera o intervento progettato, ovvero in ragione del numero degli enti locali potenzialmente interessati e della dimensione documentale del progetto e del relativo studio di impatto ambientale, il committente o proponente, attivando a tale fine una specifica fase preliminare, può chiedere di essere in tutto o in parte esonerato dagli adempimenti di cui al comma 2, ovvero di essere autorizzato ad adottare altri sistemi di divulgazione appropriati».

La ricorrente sottolinea come diviene così possibile, in considerazione delle «dimensioni» del progetto, «eludere del tutto l’obbligo (anche solo) di informare gli enti locali direttamente coinvolti dal progetto medesimo, e perfino degli enti di gestione delle aree naturali protette». Tale previsione sarebbe «contraddittoria», atteso che un progetto che coinvolge più Regioni dovrebbe essere il risultato di concertazione e coordinamento.

8.3.— È stato impugnato anche l’art. 42, comma 3, il quale prevede quanto segue: «Qualora dall’istruttoria esperita in sede regionale o provinciale emerga che l’opera o intervento progettato può avere impatti rilevanti anche sul territorio di altre Regioni o Province autonome o di altri Stati membri dell’Unione europea, l’autorità competente con proprio provvedimento motivato si dichiara incompetente e rimette gli atti alla Commissione tecnico-consultiva di cui all’articolo 6 per il loro eventuale utilizzo nel procedimento riaperto in sede statale. In tale ipotesi è facoltà del committente o proponente chiedere, ai sensi dell’articolo 36, comma 3, la definizione in via preliminare delle modalità per il rinnovo parziale o totale della fase di apertura del procedimento».

Con tale norma il legislatore avrebbe previsto una sostituzione piena dello Stato agli organi regionali, con «la rimessione coattiva alla Commissione ministeriale degli atti relativi a progetti di competenza regionale o provinciale, che è da ritenere del tutto ingiustificata, dal momento che, in alternativa, si può comunque ricorrere, in caso di interventi riguardanti il territorio di diverse Regioni, alla conclusione di accordi diretti tra queste ultime». Ciò in contrasto con «il decentramento amministrativo e con il principio di sussidiarietà».

Da qui la violazione: a) degli artt. 5 e 76 Cost., in ragione della mancata previsione di qualsiasi forma di partecipazione delle Regioni al procedimento in questione, ed alla mancata valorizzazione del ruolo di queste ultime, che costituiva uno dei principi direttivi della legge delega n. 308 del 2004; b) dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazione.

Si adduce, inoltre, la violazione dell’art. 117 Cost., in quanto lo Stato, nel disciplinare una materia che può ricondursi a quelle del governo del territorio e della valorizzazione dei beni ambientali, di competenza concorrente, non si sarebbe limitato a dettare esclusivamente principi fondamentali.

Infine, si sottolinea come la norma impugnata non potrebbe giustificarsi alla luce dei principi di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., avuto riguardo ai presupposti per la chiamata in sussidiarietà stabiliti con la sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale.

8.4.— È intervenuta anche in questo giudizio l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, la quale ha chiesto che vengano accolte le doglianze prospettate dalla Regione.

9.— La Regione Marche (ric. n. 79 del 2006), con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo giorno 21, ha impugnato gli artt. 25, comma 1, lettere a) e b), 35, comma 1, lettera b), 42, commi 1 e 3, 51, comma 3.

9.1.— In particolare, si censurano gli artt. 25, comma 1, lettera a), 35, comma 1, lettera b), 42, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui prevedono che siano sottoposti a VIA in sede statale anche i progetti aventi impatto sul territorio della Regione e/o che comunque possano avere impatto rilevante su più Regioni.

Prima dell’emanazione di tali disposizioni, si sottolinea come gli interventi interregionali fossero sottoposti ad un procedimento di valutazione di impatto ambientale di intesa tra tutte le Regioni interessate. Con la nuova normativa si assiste ad un indebito accentramento di funzioni.

Per le ragioni esposte, si assume la violazione: a) dell’art. 76 Cost., atteso che le disposizioni sopra citate si porrebbero in contrasto con i princípi e criteri direttivi della legge n. 308 del 2004, ed in particolare con l’art. 1, comma 8, il quale prevedeva che il legislatore delegato avrebbe dovuto rispettare il principio di sussidiarietà e le competenze regionali come delineate dal d.lgs. n. 112 del 1998; b) degli artt. 117 e 118 Cost., atteso che verrebbero lese le prerogative riconosciute alle Regioni in materia di governo del territorio e di tutela della salute.

9.2.— La Regione Marche ha impugnato, altresì, l’art. 25, comma 1, lettera b), nella parte in cui prevede che la Regione, nell’individuare l’autorità competente per la VIA regionale, debba tener conto «delle attribuzioni della competenza al rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione delle varie opere ed interventi e secondo le procedure dalla stessa stabilite sulla base dei criteri direttivi di cui al capo III del presente titolo, ferme restando le disposizioni comuni di cui al presente capo I».

Ove tale norma potesse essere intesa nel senso che il legislatore statale abbia voluto obbligare le Regioni ad attribuire il procedimento di VIA all’ente titolare del potere autorizzatorio, la stessa violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., determinando una diretta ingerenza nelle potestà delle Regioni di allocare le funzioni.