Ordinanza n. 67 del 2009

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ORDINANZA N. 67

ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco          AMIRANTE                                       Presidente

- Ugo                   DE SIERVO                                         Giudice

- Paolo                 MADDALENA                                         ”

- Alfio                  FINOCCHIARO                                       ”

- Alfonso              QUARANTA                                            ”

- Franco               GALLO                                                    ”

- Luigi                  MAZZELLA                                             ”

- Gaetano             SILVESTRI                                              ”

- Sabino               CASSESE                                                ”

- Maria Rita          SAULLE                                                  ”

- Giuseppe            TESAURO                                               ”

- Paolo Maria        NAPOLITANO                                         ”

- Giuseppe            FRIGO                                                     ”

- Alessandro         CRISCUOLO                                           ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 1, comma 6, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 novembre 2004, n. 271, promosso dal Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, con ordinanza del 14 novembre 2007, iscritta al n. 182 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2008.

         Udito nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2009 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto che il Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 1, comma 6, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui prevede l’arresto obbligatorio, anziché meramente facoltativo, per il delitto di cui all’art. 14, comma 5-ter, del medesimo decreto legislativo;

che, nel giudizio principale, il rimettente deve valutare una richiesta di convalida dell’arresto di un cittadino extracomunitario, cui si contesta l’inottemperanza all’ordine impartitogli dal questore, ai sensi dell’art. 14, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, di allontanarsi entro cinque giorni dal territorio dello Stato;

che l’arrestato risulta – all’esito degli accertamenti dattiloscopici – privo di precedenti penali e giudiziali e mai segnalato alla polizia;

che il giudice a quo ha disposto la sola sospensione del procedimento di convalida, sottolineandone l’autonomia dal giudizio di merito, data la sua finalizzazione esclusiva alla verifica della legittimità della privazione di libertà intervenuta in via di urgenza (è richiamata la sentenza n. 54 del 1993 della Corte costituzionale);

che il rimettente evidenzia la maggiore ampiezza del controllo che caratterizza la verifica giudiziale sull’operato della polizia giudiziaria nei casi di arresto facoltativo rispetto a quelli di arresto obbligatorio, in quanto nei primi il vaglio si estende alla valutazione dei presupposti sostanziali della misura limitativa della libertà (gravità del fatto, pericolosità dell’agente), avuto riguardo agli elementi conosciuti e conoscibili da parte della polizia al momento del fatto (è richiamata Cassazione penale, sentenza n. 14474 del 2007);

che, inoltre, il giudice a quo osserva come l’arresto obbligatorio, in quanto caratterizzato dall’automatismo che esclude la valutazione dell’utilità «in concreto» della misura privativa della libertà personale, possa essere previsto solo entro i limiti fissati dall’art. 13, terzo comma, Cost., vale a dire «in casi eccezionali di necessità ed urgenza»;

che il rimettente procede ad una ricognizione del sistema delle misure precautelari, osservando come i limiti configurati dalla Costituzione trovino positiva specificazione nei criteri generali stabiliti nell’art. 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale;

che infatti, in applicazione del criterio quantitativo (comma 1), l’arresto obbligatorio è previsto per tutti i delitti non colposi puniti con l’ergastolo o con la reclusione non inferiore nel massimo a venti anni e nel minimo a cinque anni, mentre, in base al criterio qualitativo (comma 2), l’arresto obbligatorio in flagranza è imposto per tutelare speciali esigenze di difesa sociale della collettività, a fronte di reati, tassativamente indicati, puniti con pene inferiori a quelle previste per i reati indicati nel comma che precede;

che le disposizioni contenute nei due commi citati dell’art. 380 cod. proc. pen., secondo il giudice a quo, troverebbero l’elemento di unificazione in una presunzione assoluta di pericolosità dell’agente, desumibile dalla gravità oggettiva del fatto (comma 1), ovvero da una valutazione compiuta dal legislatore sulla base delle caratteristiche del reato (comma 2), trattandosi comunque, in questi ultimi casi, di condotte sanzionate con pene edittali elevate, notevolmente superiori a quelle fissate per il reato previsto dall’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, punito con la reclusione da uno a quattro anni;

che, pertanto, il legislatore avrebbe accomunato irragionevolmente, e con effetti discriminatori, ai fini della applicazione della misura precautelare, fattispecie non comparabili sia sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, sia sotto il diverso profilo dell’allarme sociale;

che infatti, a parere del rimettente, l’inottemperanza all’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale non produrrebbe alcuna offesa diretta ad interessi costituzionalmente rilevanti, trattandosi di un «reato ostacolo», né si potrebbe ritenere che il cittadino extracomunitario sia socialmente pericoloso in ragione dello «stato di clandestinità» o perché illegalmente presente nel territorio nazionale;

che il giudice a quo istituisce, quindi, un ulteriore raffronto tra il reato in esame ed altre fattispecie incriminatrici che presenterebbero struttura analoga ad esso, risultando peraltro direttamente o potenzialmente lesive di interessi collettivi, per le quali il legislatore ha previsto l’arresto in flagranza soltanto facoltativo;

che il rimettente richiama il reato di evasione, previsto dall’art. 385 cod. pen., che si sostanzia nella violazione di un provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria e «non di un semplice provvedimento amministrativo», da parte di un soggetto che, per il solo fatto di essere detenuto per altra causa, dovrebbe presumersi socialmente pericoloso;

che il raffronto prosegue con il richiamo al reato previsto dall’art. 9, secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), che punisce l’inosservanza agli obblighi e alle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con la reclusione da uno a cinque anni, e per il quale il comma terzo della stessa disposizione prevede l’arresto soltanto facoltativo;

che anche in questa ipotesi – evidenzia il giudice a quo – l’inosservanza riguarda un provvedimento dell’autorità giudiziaria e l’elevata pericolosità sociale dell’agente è stata già accertata giudizialmente;

che, ancora, è richiamato l’art. 8, comma 1-bis, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive), il quale prevede l’arresto facoltativo dei soggetti resisi già responsabili di fatti di violenza in occasione di manifestazioni sportive, e dunque sicuramente pericolosi;

che, infine, il rimettente sottolinea il differente trattamento riservato dal legislatore alle fattispecie delineate dagli artt. 388 e 650 del codice penale, nonché dall’art. 9, primo comma, della legge n. 1423 del 1956 e dall’art. 51 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), che sanzionano penalmente la violazione o trasgressione di provvedimenti emessi dalla pubblica autorità (amministrativa o giurisdizionale), e per le quali l’arresto non è previsto neppure in forma facoltativa;

che, dunque, all’esito della disamina così condotta emergerebbe chiaramente come il legislatore, prevedendo l’arresto obbligatorio per il reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, abbia omologato situazioni affatto difformi, violando il principio di uguaglianza che, benché riferito testualmente ai «cittadini», deve ritenersi esteso agli stranieri, in quanto norma diretta alla tutela dei diritti inviolabili dell’uomo (è richiamata la sentenza n. 104 del 1969 della Corte costituzionale);

che inoltre, in riferimento alla prospettata lesione del principio sancito dall’art. 13, terzo comma, Cost., il rimettente ribadisce che il legislatore potrebbe stabilire limitazioni provvisorie alla libertà personale, al di fuori dell’intervento dell’autorità giudiziaria, solo in «casi eccezionali di necessità e urgenza», che non ricorrerebbero nella specie;

che, infatti, l’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 delinea una fattispecie delittuosa di mera condotta, il cui elemento materiale è costituito dalla mancata osservanza dell’ordine di allontanamento disposto dal questore, là dove «la struttura del reato non prevede né la lesione né la messa in pericolo diretta e immediata di un bene costituzionalmente protetto»;

che il rimettente osserva come, a fronte di soggetti mai condannati né giudicati per altri reati, qual è l’odierno arrestato, non possa essere formulato un giudizio di pericolosità sociale (sono richiamate le sentenze n. 64 del 1977 e n. 126 del 1972 della Corte costituzionale), e del resto la permanenza clandestina dello straniero in Italia non costituirebbe di per sé reato – essendo invece la condizione che legittima l’espulsione –, né la formale assenza di un titolo legittimante l’ingresso nel territorio dello Stato potrebbe essere considerata in sé indice di specifica pericolosità del soggetto;

che, dopo aver evidenziato la carenza dei connotati di eccezionale necessità ed urgenza per il provvedimento coercitivo rimesso alla polizia giudiziaria, il rimettente si sofferma sulle conseguenze del censurato automatismo sottolineando come, in molti casi, gli organi di polizia si vedano costretti a procedere all’arresto di soggetti che non presentano alcun profilo di pericolosità sociale, talora perfino inseriti nel contesto locale, con la conseguenza che l’adozione della misura precautelare finirebbe per prescindere dalla sua utilità (non apprezzabile né dalla polizia giudiziaria in fase di esecuzione, né dall’autorità giudiziaria in fase di convalida), senza trovare giustificazione nella gravità oggettiva del fatto ovvero nella pericolosità dell’agente;

che, infine, il giudice a quo evidenzia come l’obbligatorietà dell’arresto non possa risultare oggettivamente funzionale all’intento di garantire l’ottemperanza al provvedimento di allontanamento, giacché l’effetto di deterrenza, attraverso il quale il legislatore intende assicurare l’efficacia del procedimento di espulsione dei clandestini, «può legittimamente essere rappresentato dalla sanzione penale inflitta dall’A.G. all’esito di un giusto processo», non anche da una misura precautelare alla quale la Costituzione e la legislazione penale assegnano altra funzione (è richiamata la sentenza n. 223 del 2004 della Corte costituzionale).

Considerato che il Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 1, comma 6, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui prevede l’arresto obbligatorio, anziché meramente facoltativo, per il delitto di cui all’art. 14, comma 5-ter, del medesimo decreto legislativo;

che un’identica questione è già stata esaminata e dichiarata non fondata con la sentenza n. 236 del 2008 di questa Corte, sul rilievo della non manifesta irragionevolezza della previsione censurata;

che, sotto il profilo della comparazione con fattispecie sottoposte ad identico trattamento, si è evidenziato come l’art. 380, comma 2, del codice di procedura penale preveda, in attuazione del criterio «qualitativo» enunciato dalla legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale), l’arresto obbligatorio in flagranza anche con riguardo ad ipotesi di delitto tentato per le quali, in forza della diminuzione di pena stabilita dall’art. 56 del codice penale, i valori edittali risultano molto vicini a quelli previsti dall’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998;

che si è esclusa, per altro verso, l’intrinseca contraddittorietà della norma censurata, posto che la trasformazione della fattispecie di «indebito trattenimento» da contravvenzione in delitto, punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni, attuata dalla legge n. 271 del 2004, ha reso possibile l’applicazione di misure cautelari personali nei confronti del soggetto arrestato per il reato in esame, eliminando la contraddizione riscontrata da questa Corte nella sentenza n. 223 del 2004;

che pertanto, non essendo stati dedotti ulteriori argomenti, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 1, comma 6, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 novembre 2004, n. 271, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, dal Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2009.