Ordinanza n. 106 del 2008

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ORDINANZA N. 106

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

- Franco                                                  BILE                                                Presidente

- Giovanni Maria                                FLICK                                                Giudice

- Francesco                                           AMIRANTE                                           "

- Ugo                                                        DE SIERVO                                            "

- Paolo                                                     MADDALENA                                      "

- Alfio                                                      FINOCCHIARO                                   "

- Alfonso                                                QUARANTA                                          "

- Franco                                                  GALLO                                                     "

- Luigi                                                     MAZZELLA                                           "

- Gaetano                                               SILVESTRI                                             "

- Sabino                                                   CASSESE                                                  "

- Maria Rita                                          SAULLE                                                    "

- Giuseppe                                             TESAURO                                                "

- Paolo Maria                                       NAPOLITANO                                      "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 99, secondo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra), promosso con ordinanza del 9 ottobre 2006 dal Giudice unico delle pensioni della Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia della Corte dei conti, sul ricorso proposto da S. R. contro la Direzione provinciale del Tesoro di Bari, iscritta al n. 538 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 febbraio 2008 il Giudice relatore Paolo Maddalena.

Ritenuto che, con ordinanza del 9 ottobre 2006, il Giudice unico delle pensioni della Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia della Corte dei conti ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, secondo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra), nella parte in cui «prevede il termine quinquennale di prescrizione per la richiesta del trattamento pensionistico di guerra limitatamente alla ipotesi in cui l’invalidità o la morte derivino da lesioni di arma da fuoco di origine bellica o da esplosione di un ordigno bellico provocata da un minorenne»;

che il rimettente riferisce che nel giudizio a quo si controverte su una domanda di trattamento pensionistico di guerra presentata il 21 gennaio 1988 e respinta con decreto del Ministro del tesoro 9 luglio 1993 «in quanto pervenuta dopo la scadenza dei termini stabiliti dagli artt. 99 e 127 del D.p.r. n. 915/1978»;

che, in particolare, nell’impugnare tale provvedimento di rigetto, il ricorrente, nato il 29 dicembre 1945, ha dedotto che «in data 30 aprile 1956 fu ferito agli arti inferiori a seguito dello scoppio di un residuato bellico, siccome comprovato dal referto rilasciato dall’Ospedale civile “Vito Fazzi” di Lecce» e da dichiarazioni testimoniali, precisando altresì che «fino all’anno 1988 non ha mai avuto conoscenza dell’accaduto in quanto tenuto all’oscuro dai suoi genitori, secondo quanto risulta dalla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà della madre»;

che il giudice a quo sostiene, quindi, che l’art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 915 del 1978, «nella parte in cui stabilisce il termine quinquennale di prescrizione, con decorrenza dal verificarsi dell’evento lesivo, in relazione alle lesioni da arma da fuoco di origine bellica o allo scoppio di un ordigno bellico provocato da un minore», contrasterebbe con l’art. 3 della Costituzione, giacché  la prevista «prescrizione (rectius: decadenza) del diritto a chiedere il trattamento pensionistico di guerra» violerebbe il principio di uguaglianza «rispetto alla disciplina delle pensioni ordinarie per le quali il diritto non si perde per prescrizione», secondo quanto disposto dall’art. 5 del d.P.R 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato);

che il rimettente rammenta che, in forza della sentenza n. 97 del 1980 della Corte costituzionale, le ragioni che giustificherebbero la disciplina del censurato art. 99 del d.P.R. n. 915 del 1978 andrebbero ravvisate nella ovvia «esigenza di un tempestivo accertamento della dipendenza della morte o invalidità da causa di servizio o fatto di guerra ad opera delle competenti autorità amministrative o sanitarie»;

che, tuttavia, dette particolari ragioni non sussisterebbero nella fattispecie, poiché, ai sensi dell’art. 8, quarto comma, del d.P.R. n. 915 del 1978, «è sempre presunta la dipendenza da fatto di guerra quando l’invalidità o la morte derivino da lesione da arma da fuoco di origine bellica o da esplosione di un ordigno bellico provocata da un minorenne», né potrebbero sussistere ove «poste a raffronto con la disciplina delle pensioni privilegiate ordinarie e, in particolare, con la norma dell’art. 169 D.p.r. 1092/1973, in quanto anche tale norma si fonda sulla esigenza di un tempestivo accertamento della dipendenza della infermità o delle lesioni contratte a causa del servizio»;

che, ad avviso del giudice a quo, la sollevata questione «si presenta, quindi, non manifestamente infondata e, ancor prima, rilevante nel presente giudizio, in quanto dall’accoglimento della medesima dipende la definizione del medesimo in senso favorevole all’interessato»;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’infondatezza della proposta questione;

che la difesa erariale ricorda che, con la sentenza n. 97 del 1980, richiamata pure dal giudice a quo, la Corte costituzionale, oltre ad indicare le ragioni particolari che fondano la previsione dell’art. 99 del d.P.R. n. 915 del 1978, avrebbe affermato anche che «il giusto tertium comparationis va ricercato nella disciplina dei trattamenti ordinari per fattispecie di analoga natura» e, segnatamente, nell’àmbito del trattamento privilegiato, ponendo in risalto che l’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973 stabilisce l’inammissibilità della domanda di liquidazione ove «il dipendente abbia lasciato decorrere cinque anni dalla cessazione del servizio senza chiedere l’accertamento della dipendenza delle infermità o delle lesioni contratte»;

che, pertanto, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, quanto evidenziato comproverebbe che il «processo di omogeneizzazione nella tutela delle pretese pensionistiche, sia per i trattamenti ordinari che di guerra», invocato dal rimettente, «appare razionalmente e incontrovertibilmente garantito nel diritto positivo vigente».

Considerato che viene denunciato l’art. 99, secondo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra) nella parte in cui «prevede il termine quinquennale di prescrizione per la richiesta del trattamento pensionistico di guerra limitatamente alla ipotesi in cui l’invalidità o la morte derivino da lesioni di arma da fuoco di origine bellica o da esplosione di un ordigno bellico provocata da un minorenne»;

che, ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe l’art. 3, primo comma, Cost., giacché la prevista «prescrizione (rectius: decadenza) del diritto a chiedere il trattamento pensionistico di guerra» violerebbe il principio di uguaglianza «rispetto alla disciplina delle pensioni ordinarie per le quali il diritto non si perde per prescrizione», secondo quanto disposto dall’art. 5 del d.P.R 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato);

che, questa Corte, oltre a porre più volte in risalto la differenza ontologica tra pensioni ordinarie e pensioni di guerra, al fine di escludere la disparità di trattamento di queste ultime rispetto alle prime in punto di disciplina dei termini di prescrizione (tra le altre, ordinanze n. 905 e n. 850 del 1988), con la sentenza n. 125 del 1985, ha già dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, secondo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui, appunto, prevede un termine quinquennale di prescrizione per la richiesta della pensione di guerra;

che, in detta occasione, nel rammentare la propria precedente sentenza n. 97 del 1980 sulle ragioni fondanti la previsione del denunciato art. 99 – da ravvisarsi nella ovvia «esigenza di un tempestivo accertamento della dipendenza della morte o invalidità da causa di servizio o fatto di guerra ad opera delle competenti autorità amministrative o sanitarie» – la Corte ritenne che non fosse correttamente evocato come tertium comparationis l’art. 5 del d.P.R. n. 1092 del 1973, giacché disciplinante fattispecie non omologa – quale quella delle pensioni ordinarie, la cui insorgenza è correlata, essenzialmente, allo scorrere temporale dell’attività di servizio –, dovendosi invece avere riguardo a situazione nella quale venissero «positivamente esaltate le correlazioni e i nessi, concernenti gli altrettanto indispensabili accertamenti medico-legali dell’occorso evento»;

che, pertanto, il raffronto si reputò possibile con la disciplina del trattamento pensionistico privilegiato, là dove, però, l’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973 stabilisce proprio l’inammissibilità della domanda di liquidazione ove «il dipendente abbia lasciato decorrere cinque anni dalla cessazione del servizio senza chiedere l’accertamento della dipendenza delle infermità o delle lesioni contratte» (termine elevato ad anni dieci per invalidità derivata da parkinsonismo);

che, nel presente giudizio, il rimettente insiste nel porre a raffronto la disciplina della prescrizione dettata dall’art. 99 denunciato con quella di cui all’art. 5 del d.P.R. n. 1092 del 1973 sulla imprescrittibilità delle pensioni ordinarie, adducendo come elemento differenziale – che non consentirebbe di fare riferimento all’art. 169 dello stesso testo unico – il fatto che, nella fattispecie, rileverebbe la presunzione legale, di cui all’art. 8, quarto comma, del d.P.R. n. 915 del 1978, sulla dipendenza da fatto di guerra dell’invalidità o della morte derivate «da lesione da arma da fuoco di origine bellica o da esplosione di un ordigno bellico provocata da un minorenne»;

che a siffatta presunzione, secondo il giudice a quo, non si attaglierebbero le ragioni giustificatrici del denunciato art. 99, le quali andrebbero ravvisate nella ovvia «esigenza di un tempestivo accertamento della dipendenza della morte o invalidità da causa di servizio o fatto di guerra ad opera delle competenti autorità amministrative o sanitarie»;

che, contrariamente a quanto opina il rimettente, la presunzione di cui al citato art. 8 riguarda esclusivamente «la dipendenza da fatto di guerra» per la liquidazione della relativa pensione (o assegno o indennità) in favore dei soggetti civili, e cioè quella causa violenta descritta dallo stesso art. 8, nei commi dal primo al terzo, mentre la medesima presunzione non opera quanto all’accertamento dei fatti che hanno determinato l’evento stesso, né rispetto alla consistenza oggettiva di quest’ultimo;

che, dunque, rimangono intatte le esigenze che giustificano la disciplina del denunciato art. 99, le quali, peraltro, non si esauriscono in quelle accennate dalla sentenza n. 97 del 1980, dovendo invece trovare puntualizzazione, secondo la successiva sentenza n. 125 del 1985, nelle «correlazioni e i nessi, concernenti gli altrettanto indispensabili accertamenti medico-legali dell’occorso evento»;

che, del resto, occorre pure rilevare che, in situazione per taluni profili analoga a quella in esame, l’esigenza di accertamento dei fatti determinanti l’invalidità o la malattia professionale concorre a fondare la ragione giustificativa della prescrizione triennale della rendita INAIL ai sensi dell’art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), come più volte affermato dalla Corte costituzionale (da ultimo, sentenza n. 297 del 1999; ordinanza n. 356 del 2000) nel dichiarare non fondati i dubbi di costituzionalità prospettati avverso la predetta norma, anche sulla base del raffronto con la disciplina dell’imprescrittibilità del diritto a pensione;

che la questione deve, pertanto, essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, secondo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra), sollevata, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, dal Giudice unico delle pensioni della Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia della Corte dei conti, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2008.