Ordinanza n. 850 del 1988

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ORDINANZA N.850

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), in relazione agli artt. 6, ultimo comma, della legge 28 ottobre 1970, n. 775 (Modifiche ed integrazioni alla legge 18 marzo 1968, n. 249), e 99 del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (T.U. delle norme in materia di pensioni di guerra), promosso con ordinanza emessa il 3 giugno 1982 dalla Corte dei Conti - Sez. IV giurisdizionale - sul ricorso proposto da Panicali Bonaventura, iscritta al n. 1067 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 bis dell'anno 1985;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 marzo 1988 il Giudice relatore Francesco Greco.

Ritenuto che la Corte dei Conti, con ordinanza in data 3 giugno 1982, ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 76 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. l092, nella parte in cui esclude che il diritto al trattamento di quiescenza, diretto o di riversibilità, si perda per prescrizione, in relazione all'art. 6 della legge 28 ottobre 1970, n. 775 (Modifiche ed integrazioni alla legge-delega al Governo 19 marzo 1968, n. 249, per il riordinamento dell'amministrazione dello Stato, per il decentramento delle funzioni e per il riassetto delle carriere e delle retribuzioni dei dipendenti statali), nonché in relazione all'art. 99 del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra);

che, ad avviso del giudice a quo, la norma censurata eccede dai limiti imposti dalla legge di delega n. 775/1970, il cui art. 6, secondo comma, non sembrerebbe consentire l'introduzione del principio dell'imprescrittibilità del diritto a pensione, per le difficoltà a cui darebbe luogo, a distanza di tempo, l'identificazione dei presupposti richiesti per far luogo al relativo trattamento; difficoltà in contrasto con i criteri posti dal legislatore delegante al fine di conseguire una sollecita ed economica azione amministrativa;

che, inoltre, alla stessa norma il giudice remittente imputa il fatto di dettare una disciplina irrazionalmente diversa da quella prevista dall'art. 99 del d.P.R. n. 91S del 1978, che, in tema di pensioni di guerra, sancisce, invece, che il relativo diritto si prescrive nel termine di cinque anni dall'effettiva cessazione del servizio di guerra o, per i civili, dal verificarsi degli eventi;

considerato che la legge delega 18 marzo 1968, n. 249, e la successiva in data 28 ottobre 1970, n. 775, contenente modifiche ed integrazioni della prima, demandavano al Governo la disciplina dei procedimenti amministrativi nei vari settori per soddisfare alle specifiche esigenze, attraverso la semplificazione e lo snellimento delle procedure, onde rendere sollecita ed economica l'azione amministrativa, eliminando tutti quei pareri, controlli ed adempimenti non necessari per una adeguata valutazione del pubblico interesse e di quelli dei singoli;

che, in conseguenza, al legislatore delegato veniva attribuito il potere di apportare alle disposizioni in vigore le modifiche ed integrazioni necessarie per il loro coordinamento ed ammodernamento, ai fini di una migliore accessibilità e comprensibilità delle norme medesime (art. 4, legge n. 249 del 1968, e 6 della legge n. 775 del 1970);

che il susseguente testo unico n. 1092 del 1973 appare coerentemente improntato al conseguimento di tali finalità oltre che rispondente, in punto di imprescrittibilità del diritto a pensione, ai principi accolti nella precedente legislazione, i quali si impongono, anch'essi, al legislatore delegato (v. sent. n. 28/1970);

che, invero, non soltanto la precedente normativa sul trattamento di quiescenza dei dipendenti statali (T.U. 21 febbraio 1895 n. 70; legge 15 febbraio 1958 n. 46) non dettava alcuna disposizione che prevedesse la perdita del diritto a pensione per effetto della prescrizione, mentre altre ne conteneva, concernenti tale perdita per altre cause ovvero la prescrizione di singoli ratei della pensione stessa;

che, del resto, il principio dell'imprescrittibilità della pensione risponde anche al concetto che questa si pone anche in funzione dell'interesse pubblico alla sicurezza sociale, con chiara destinazione permanente ad un interesse pubblico;

che la disposizione di cui all'art. 5 del d.P.R. n. 1092 del 1973 si pone, pertanto, non solo in aderenza ad una normativa già accolta nella precedente legislazione, ma si ispira, altresì, agli stessi concetti elaborati nel tempo in ordine alla funzione del trattamento pensionistico (v. ad es. legge 22 dicembre 1962, n. 1646, in tema di trattamento di quiescenza dei dipendenti degli enti locali), ricollegato al pubblico interesse in vista della sicurezza sociale, sicché essa, col sancire l'imprescrittibilità del diritto al trattamento di quiescenza, non eccede dai limiti posti dalla legge delegante, sebbene in ottemperanza dei principi e dei criteri direttivi ivi specificati, intende superare ogni eventuale incertezza residua circa la disciplina in materia, realizzando in tal modo l'auspicata sollecitudine ed economicità dell'azione amministrativa;

che, infine, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte (v. sent. n. 125 del 1985) non é istituibile un utile raffronto fra l'ordinamento delle pensioni ordinarie e quello delle pensioni di guerra;

che, pertanto, l'esaminata questione appare manifestamente infondata;

Visti gli artt. 26, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost., dalla Corte dei Conti con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/07/88.

 

Francesco SAJA - Francesco GRECO

 

Depositata in cancelleria il 21/07/88.