Sentenza n. 235 del 2007

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SENTENZA N. 235

ANNO 2007

 

Commento alla decisione di

 

Annnamaria Poggi

Delibera parlamentare inibente v. delibera consigliare ininfluente? Note problematiche circa alcune recenti decisioni della Corte in materia di insindacabilità dei consiglieri regionali

 

(per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                    BILE                       Presidente

- Giovanni Maria        FLICK                    Giudice

- Francesco               AMIRANTE                 "

- Ugo                        DE SIERVO                 "

- Paolo                      MADDALENA             "

- Alfio                       FINOCCHIARO           "

- Alfonso                   QUARANTA                "

- Franco                    GALLO                        "

- Luigi                       MAZZELLA                 "

- Gaetano                  SILVESTRI                  "

- Sabino                    CASSESE                    "

- Maria Rita               SAULLE                      "

- Giuseppe                 TESAURO                   "

- Paolo Maria             NAPOLITANO             "

ha pronunciato la seguente

                                                SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito degli atti adottati dal Tribunale di Padova nel procedimento civile pendente tra il prof. Germano Grassivaro e il dott. Giancarlo Galan, Presidente della Regione Veneto, avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità civile del dott. Galan quale autore delle dichiarazioni rese nel corso della 11ª seduta pubblica del Consiglio regionale del Veneto del 30 ottobre 1995, promosso con ricorso della Regione Veneto notificato il 3 febbraio 2006 e il 23 febbraio 2007, depositato in cancelleria l’8 febbraio 2006 e il 1° marzo 2007, iscritto al n. 2 del registro conflitti tra enti 2006.

Udito nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2007 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto.

 

Ritenuto in fatto

1. – La Regione Veneto, con ricorso notificato alla Presidenza del Consiglio dei ministri in data 3 febbraio 2006 e al Tribunale di Padova in data 23 febbraio 2007, ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato con riguardo al giudizio civile, pendente di fronte al Tribunale di Padova, relativo alla pretesa risarcitoria avanzata dal prof. Germano Grassivaro nei confronti del dott. Giancarlo Galan, Presidente della Regione Veneto, in relazione a talune dichiarazioni, ritenute dall’attore lesive del suo onore e della sua reputazione, rese dal convenuto nel corso di una seduta pubblica del Consiglio regionale del Veneto.

1.1. – In fatto la ricorrente premette che:

durante la seduta pubblica del Consiglio regionale del Veneto del 30 ottobre 1995, nel corso della quale si doveva deliberare in merito all’affidamento di taluni incarichi di direzione di alcune strutture amministrative regionali, un consigliere regionale, rilevato che nella edizione di quel giorno di un diffuso quotidiano locale era stata pubblicata una intervista resa dal prof. Germano Grassivaro estremamente critica in ordine alla individuazione del destinatario di uno degli incarichi in questione, aveva chiesto alla Giunta chiarimenti;

intervenendo nel dibattito consiliare per rendere i richiesti chiarimenti, il Presidente della Regione, dott. Galan, aveva esposto le ragioni, di carattere personale, che, a suo dire, avevano motivato l’astiosa critica nei confronti della persona designata a ricoprire l’incarico conferito dalla Regione;

con riguardo a tali dichiarazioni, svolte nella seduta consiliare e premesse al voto, il prof. Grassivaro, assumendone il contenuto diffamatorio, conveniva in giudizio il dott. Galan per ottenerne la condanna al risarcimento del danno patito;

pur avendo il convenuto eccepito, nel costituirsi in giudizio, fra le altre difese, la «improponibilità della domanda ex art. 122, comma quarto, Cost.», il giudice istruttore «a più riprese evitava di pronunciarsi» su di essa, rinviando, infine, alla udienza del 18 maggio 2006, per la precisazione delle conclusioni;

informata, infine, della pendenza di detto procedimento, la Regione, con la deliberazione della Giunta n. 3730 del 6 dicembre 2005, ha autorizzato la proposizione del ricorso per conflitto di attribuzione, ritenendo che «l’attivazione del procedimento civile [avesse] inciso in via diretta sull’autonomia del Presidente della Regione e in via mediata sulla autonomia costituzionalmente garantita alla Regione, in violazione degli artt. 121-122 e 123 della Costituzione» risultando, più in generale, «compromesso il principio secondo il quale l’esercizio delle funzioni di Presidente della Regione (stante il rilievo costituzionale dell’autonomia regionale) non può essere sindacato da organi giurisdizionali».

2. – Tanto premesso, la difesa della ricorrente Regione osserva che, se nel merito è del tutto evidente la violazione dell’art. 122 della Costituzione, in quanto le dichiarazioni oggetto del giudizio civile sono state rese in una pubblica udienza consiliare, nell’esercizio di funzioni amministrative di organizzazione interna costituzionalmente assegnate alla Regione e regolate dallo Statuto (sentenze nn. 276 e 76 del 2001, n. 391 del 1999), la questione, in limine litis, presenta profili «di assoluta singolarità».

Infatti, nel caso di specie, si intende attivare la tutela che l’art. 122 della Costituzione prevede per i consiglieri regionali, a fronte non di un atto costituente esercizio della giurisdizione penale o contabile,  ma nella pendenza di un giudizio civile, ancor prima di una decisione di merito da parte del giudicante. Si tratta, pertanto, di valutare quale sia il momento in cui in un giudizio civile ci si trovi di fronte ad un atto statale invasivo della autonomia regionale.

2.1. – «Al fine di circoscrivere  l’area di incertezza» la ricorrente Regione  ritiene utile fissare, ricostruendoli sulla base di quanto desume dalla giurisprudenza di questa Corte e «con l’avallo della migliore dottrina», una serie di «punti fermi» formatisi in materia, di seguito riportati:

a) l’esonero dalla responsabilità dei componenti di un organo è funzionale alla tutela dei compiti di rappresentanza politica dell’organo stesso; b) attraverso la lesione delle prerogative di cui all’art. 122, quarto comma,  della Costituzione, sono violati anche gli artt. 121 e 123 della Costituzione, posto che i limiti alla espressione di opinioni e voti del consigliere regionale pregiudicano l’intera organizzazione del Consiglio e l’esercizio, costituzionalmente protetto, delle sue funzioni; c) gli artt. 68 e 122 della Costituzione creano «eccezionali deroghe all’attuazione della funzione giurisdizionale», poste, rispettivamente, a salvaguardia del Parlamento e delle «autonomie costituzionalmente garantite»; d) le prerogative previste da tali disposizioni soggiacciono a principi fra loro analoghi; e) l’immunità anche del consigliere regionale comporta, nei suoi confronti, «la carenza di potere giurisdizionale», di talché l’esercizio di quest’ultimo si traduce nell’alterazione dell’ordine costituzionale delle competenze; f) la immunità del consigliere regionale riguarda ogni tipo di responsabilità; g) compresa, quindi, quella civile; h) il conflitto di attribuzione fra enti, dalla originaria configurazione di tipo soggettivo, è approdato ad una configurazione oggettiva riguardante «non la spettanza della competenza, ma il modo di esercizio […] di essa»; i) il conflitto di attribuzione può originare anche da atti giurisdizionali o da atti «comunque strumentali all’esplicazione delle funzioni giurisdizionali»; l) nella progressiva estensione del concetto di atto invasivo, sono stati fatti rientrare «comportamenti concludenti, non estrinsecantisi in atti formali», atti interni,  atti preparatori e comportamenti omissivi, tanto che si è affermato che il conflitto è divenuto strumento di garanzia anticipata rispetto ad una lesione anche solo potenziale; m) nei conflitti di attribuzione non è principalmente in discussione la validità dell’atto invasivo quanto la competenza che si assume violata.

2.2. – Con riguardo alla fattispecie in esame, la ricorrente Regione, ribadito che il dott. Galan è chiamato a rispondere per dichiarazioni rese nel corso di una seduta pubblica del Consiglio regionale, più precisamente in sede di discussione preliminare ad un voto relativo alla assunzione di atti di spettanza regionale, dichiarazioni in relazione alle quali «gode dell’eccezionale guarentigia dell’irresponsabilità, ex art. 122, quarto comma, Cost.», rileva che il Tribunale di Padova, proseguendo nell’esercitare la giurisdizione, «nonostante […] il parere contrario della Regione, e […] la rituale eccezione di parte», avrebbe menomato, in carenza assoluta di potere, la «ampia libertà di valutazione e di decisione riservata ai consiglieri regionali», la cui sfera di autonomia, unitamente a quella della Regione, risulterebbe così mutilata.

La ricorrente rileva che, esaminata la casistica formatasi riguardo alla lesione delle prerogative di cui all’art. 122 della Costituzione, emerge che «ai fini della ammissibilità del giudizio davanti a questa Corte, è sufficiente il solo fatto della pretesa dell’esercizio della giurisdizione», non essendo necessario che questo si materializzi nella «forma della sentenza o di un altro atto definitivo».

Nel giudizio civile la notificazione della citazione determina la pendenza della lite e «fa sì che il giudice debba pronunciare sulla domanda», ma, trattandosi di atto di parte, pur se essa è lesiva delle prerogative del consigliere, non abilita alla proposizione del conflitto di attribuzione. Tuttavia, prosegue la ricorrente, se alla citazione segue un’attività di fronte al giudice e da parte del giudice, non ci si troverebbe più di fronte ad un «atto di iniziativa privata». Così, nel caso in esame, il giudice, avendo disposto la prosecuzione del giudizio, «ha adottato atti tipici del processo», dimostrando così la volontà di esercitare la giurisdizione al di là dei limiti a lui assegnati a garanzia delle prerogative dei consiglieri regionali.

3. – Precisato che oggetto del ricorso è la lesività dell’esercizio stesso della giurisdizione, la ricorrente osserva che la esistenza di un atto statale invasivo delle sue attribuzioni potrebbe essere dimostrata anche per altra via: cioè estendendo alla immunità dei consiglieri regionali i principi elaborati in relazione alle prerogative dei parlamentari nazionali.

In particolare, così come è attribuito, in via esclusiva, alla Camera di appartenenza del parlamentare il potere di valutare se la condotta ascritta a quello sia o meno coperta dalla insindacabilità, di talché la deliberazione assembleare in tal senso preclude l’esercizio della giurisdizione, così anche l’atto con il quale la Regione interviene a tutela del proprio consigliere avrebbe efficacia inibitoria del procedimento giurisdizionale.

Il giudice, pertanto, non potrebbe che prenderne atto, declinando la giurisdizione. Ove diversamente operasse si avrebbe illegittima invasione da parte dello Stato delle attribuzioni regionali.

3.1. – Siffatta soluzione, secondo la ricorrente, sarebbe necessitata: a) dall’identico tenore letterale dell’art. 68, primo comma, della Costituzione e del successivo art. 122, quarto comma; b) dalla portata generale del principio secondo il quale le prerogative di un organo debbono prevedere strumenti di autotutela; c) dalla pari dignità costituzionale «di tutti i soggetti della Repubblica», sancita, in particolar modo, dalla nuova formulazione dell’art. 114 della Costituzione.

3.2. – Ad identiche conclusioni, prosegue la ricorrente, si arriverebbe ove, applicandosi analogicamente ai consiglieri regionali i principi fissati per i parlamentari nazionali dalla legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), si ritenesse esistente anche per i primi la “pregiudizialità parlamentare” prevista dalla legge citata.

In favore della opportunità della applicazione analogica della legge nazionale, depone la considerazione che solo il legislatore statale può assicurare uguale protezione ai consiglieri di tutte le Regioni nell’esercizio delle stesse funzioni. Pertanto, se alla Regione «spetta il potere di dichiarare l’insindacabilità dei propri consiglieri», così inibendo l’inizio o la prosecuzione del giudizio di responsabilità a carico di questi, da ciò viene ulteriormente dimostrata la invasività dell’operato del Tribunale di Padova.

4. – Nel merito, la ricorrente rileva che le dichiarazioni per cui è processo sono state rese nel corso di una seduta pubblica del Consiglio regionale, in particolare in sede di discussione preliminare ad una votazione relativa a nomina di spettanza consiliare.

Ciò detto, la Regione Veneto osserva come la prerogativa di cui all’art. 122 della Costituzione operi a tutela di tutte le attività attraverso le quali si svolgono funzioni affidate al Consiglio regionale dalla Costituzione o da altre disposizioni cui questa rinvia. Fra tali funzioni rientra, come risulta anche dalla giurisprudenza della Corte, quella di autorganizzazione. Ad avviso della ricorrente è, altresì, indubbio (a maggior ragione a seguito delle riforme costituzionali del 1999 e del 2001) che la garanzia di cui al quarto comma dell’art. 122 della Costituzione copre anche le funzioni amministrative spettanti ai Consigli regionali.

Tenuto conto che le dichiarazioni rese dal dott. Galan sono connesse ad una tipica attività di autorganizzazione – l’approvazione cioè di una proposta della Giunta relativa al conferimento di un incarico regionale – anche sotto tale profilo, oltre a quello dell’essere state rese nel pubblico dibattito assembleare, esse sarebbero coperte dalla insindacabilità ex art. 122 della Costituzione.

4.1. – La Regione Veneto prosegue ponendo in evidenza il fatto che il consigliere regionale che ha reso le dichiarazioni oggetto del giudizio civile è anche Presidente della Regione. Afferma che non va, infatti, trascurato che alla rappresentanza della Regione e alla direzione della Giunta è connaturata la possibilità di “esternazioni politiche” e che il relativo potere va al di là delle funzioni puntualmente assegnate al Presidente della Regione.

Questi, tanto più adesso che è espressione della volontà politica manifestata col suffragio diretto dal corpo elettorale, avrebbe, ad avviso della ricorrente, quale munus publicum, una sorta di «diritto di parlare dentro e fuori le mura del Palazzo» per chiarire pubblicamente il significato delle scelte del proprio governo.

In definitiva, secondo la ricorrente, dovrebbero «considerarsi coperte dall’immunità le dichiarazioni presidenziali [per il solo fatto di essere] riferibili alla sua carica».

Alla luce delle argomentazioni che precedono, la ricorrente Regione Veneto chiede che venga dichiarato che non spetta allo Stato, e per esso al Tribunale di Padova, accertare la responsabilità civile del Presidente della Regione, dott. Giancarlo Galan, per le dichiarazioni da lui rese nel corso della seduta del Consiglio regionale del Veneto del 30 ottobre 1995, e che siano annullati tutti gli atti processuali adottati dal medesimo Tribunale nel giudizio di risarcimento danni, rubricato al r.g. n. 3705 del 2000, scaturito da tali dichiarazioni.

5. – Né lo Stato né il Tribunale di Padova  si sono costituiti in giudizio.

6. – In prossimità della udienza, la Regione Veneto ha depositato una memoria illustrativa con la quale, confermate le precedenti conclusioni, ha riferito, in relazione allo stato del giudizio dal quale trae origine il conflitto, che, all’udienza del 18 maggio 2006, il Tribunale di Padova ha invitato le parti a precisare le conclusioni e alla successiva udienza del 19 ottobre, preso atto della pendenza del presente conflitto di attribuzione, ha sospeso il processo in attesa della sua definizione.

Considerato in diritto

1. – La Regione Veneto ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato per violazione degli artt. 121, 122, quarto comma, e 123 della Costituzione, in relazione alla pendenza, di fronte al Tribunale ordinario di Padova, di un giudizio civile nel quale il Presidente della Regione Veneto, dott. Giancarlo Galan, è stato convenuto per essere condannato al risarcimento del danno derivante da talune sue dichiarazioni rese nel corso di una seduta pubblica del Consiglio regionale del Veneto.

Ritiene la ricorrente che la pendenza di tale giudizio sia lesiva della prerogativa di insindacabilità garantita ai componenti del Consiglio regionale dall'art. 122, quarto comma, della Costituzione, nonché, in via mediata, delle attribuzioni regionali in materia di organizzazione e di svolgimento delle funzioni degli organi della Regione, riconosciute dagli artt. 121 e 123 della Costituzione.

2. – Il ricorso è inammissibile.

2.1. – Oggetto del presente conflitto è la perdurante pendenza di fronte al Tribunale di Padova del giudizio avente ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni avanzata da persona che si è sentita lesa nella sua onorabilità da talune dichiarazioni rese, in corso di seduta pubblica del Consiglio regionale del Veneto, dal Presidente della Regione.

Le tesi della Regione possono essere suddivise in due filoni argomentativi: a) anche se la notifica della citazione costituisce «un mero atto di iniziativa privata», tuttavia, quando a seguito di tale atto di impulso si svolge «attività processuale davanti a un giudice e da parte di un giudice», quest’ultimo viene ad esplicare «la funzione giurisdizionale», con la conseguenza che «la violazione dell’immunità consiliare diviene ascrivibile allo Stato»; b) in ogni caso «l’immunità (parlamentare e) dei consiglieri regionali comporta “la carenza di potere giurisdizionale”: quindi, la pretesa di esercitare, [nonostante la deliberazione della Regione che solleva il conflitto deducendo l’insindacabilità, ex art. 122, quarto comma, della Costituzione, delle dichiarazioni del consigliere-presidente della Regione stessa], la funzione dello ius dicere “si traduce … in un’alterazione dell’ordine costituzionale delle competenze”, in quanto “comporta l’invasione della sfera di autonomia costituzionalmente riservata alla Regione[…], alla quale esclusivamente spetta l’esercizio delle funzioni che i magistrati hanno inteso condizionare” (sent. n. 70 del 1985)».

3. – I predetti assunti non sono condivisibili.

3.1. – Con riferimento alle argomentazioni indicate sub a), va precisato che, in realtà, nel corso del giudizio dal quale scaturisce il presente conflitto di attribuzione, non si è svolta alcuna attività a contenuto decisorio, essendosi in pratica il giudice – di fronte al quale, in assenza di qualsivoglia deliberazione del Consiglio regionale del Veneto, il convenuto ha eccepito la insindacabilità delle sue dichiarazioni – limitato a concedere, sulla concorde richiesta delle parti in causa, una serie di rinvii, finalizzati alla produzione di scritti difensivi, ed avendo, anzi, egli, una volta formalizzatosi il presente conflitto di attribuzione, sospeso il giudizio sino alla definizione del medesimo.

Va, al riguardo, osservato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, è atto idoneo ad innescare un conflitto di attribuzione quello, imputabile allo Stato o alla Regione, che «sia dotato di efficacia e rilevanza esterna» o che, se preparatorio o non definitivo, rechi già in sé dei requisiti minimi di lesività e sia rivolto «ad esprimere in modo chiaro ed inequivoco la pretesa di esercitare una data competenza, il cui svolgimento possa determinare una invasione nella altrui sfera di attribuzioni o, comunque, una menomazione altrettanto attuale delle possibilità di esercizio della medesima» (sentenza n. 771 del 1988). Nell’attuale assetto dei rapporti fra attribuzioni della autorità giudiziaria e tutela delle prorogative di cui all’art. 122, quarto comma, della Costituzione, una siffatta invasione è ipotizzabile solo in presenza di un atto, anche preliminare alla definizione del giudizio, che tali prerogative trascuri.

Deve quindi ritenersi che, allo stato, l’autorità giudiziaria non ha compiuto atti che possano in qualche modo incidere sulla più volte citata guarentigia costituzionale.

La ricorrente, come si è detto, formula un’altra serie di argomentazioni a sostegno della sua tesi circa il travalicamento che lo Stato, e per esso l’autorità giudiziaria, avrebbe compiuto a danno delle competenze che la Costituzione avrebbe posto in capo alla Regione per le questioni attinenti all’applicazione del quarto comma dell’art. 122 della Costituzione. Afferma, cioè, che «il giudice civile patavino ha in corso di esercizio la giurisdizione sull’erroneo assunto che è nella sua competenza il poter giudicare nonostante, da un lato, il parere contrario della Regione, e, dall’altro, la rituale eccezione di parte, l’uno e l’altra fondati sull’art. 122, quarto comma, Cost. ». Alla delibera della Giunta regionale che solleva il conflitto conseguirebbe l’effetto inibitorio dell’attività giurisdizionale che, nel caso in oggetto, non si sarebbe invece verificato.

La tesi non è condivisibile.

Non si può, infatti, accedere alle argomentazioni della Regione che postulano un’interpretazione estensiva o analogica della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), ritenendola applicabile anche ai consiglieri regionali.

L’interpretazione di tipo estensivo è preclusa dal preciso tenore letterale dell’intero testo legislativo, che fa esclusivo riferimento all’art. 68 della Costituzione e alla carica di parlamentare, utilizzando, quindi, riferimenti ed espressioni la cui valenza semantica non è suscettibile di ampliamento. Della legge citata, avendo questa carattere eccezionale poiché limitativa dell’esercizio della funzione giurisdizionale, neppure è, all’evidenza, consentita applicazione analogica.

E’, altresì, erroneo ipotizzare che alla decisione della Giunta di sollevare conflitto di attribuzione possa conseguire un effetto inibitorio che paralizzi l’esercizio della funzione giurisdizionale e che richieda, per essere superato, la necessità che l’autorità giudiziaria sollevi a sua volta conflitto davanti a questa Corte (si veda, al riguardo, la sentenza n. 195 del 2007). Tra l’altro, la richiesta della Regione è nel senso che l’invocato “effetto inibitorio” dovrebbe arrestare l’attività dell’autorità giudiziaria fin da un periodo addirittura precedente alla delibera che propone il conflitto.   

Alla insussistenza di un “effetto inibitorio” dello svolgimento della attività giurisdizionale immediatamente riconducibile alla proposizione del ricorso per conflitto di attribuzione ad iniziativa della Giunta regionale consegue, a fortiori, la non lesività della prosecuzione dello svolgimento del processo di fronte alla mera eccezione sollevata ex art. 122, quarto comma, della Costituzione dalla difesa del consigliere regionale la cui condotta è oggetto di sindacato giurisdizionale.

Una diversa conclusione comporterebbe, in maniera paradossale e del tutto ingiustificata, una tutela della insindacabilità delle opinioni dei consiglieri regionali più ampia di quella apprestata relativamente a quelle dei parlamentari nazionali.   

Conclusivamente, essendo l’atto oggetto di conflitto di attribuzione privo, allo stato, di qualsivoglia lesività nei confronti delle attribuzioni regionali, il ricorso col quale è stato introdotto il presente conflitto deve essere dichiarato inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso col quale la Regione ha sollevato il conflitto di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2007.