Ordinanza n. 297 del 2004

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ORDINANZA N. 297

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-          Gustavo            ZAGREBELSKY                 Presidente

-          Valerio              ONIDA                                  Giudice

-          Guido                NEPPI MODONA                "

-          Piero Alberto    CAPOTOSTI                         "

-          Annibale           MARINI                                "

-          Franco               BILE                                      "

-          Giovanni Maria FLICK                                   "

-          Francesco          AMIRANTE                          "

-          Ugo                   DE SIERVO                          "

-          Romano            VACCARELLA                   "

-          Paolo                 MADDALENA                     "

-          Alfio                 FINOCCHIARO                   "

-          Alfonso             QUARANTA                        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 38, quarto comma, secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come sostituito dall’art. 1 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), e ulteriormente modificato dall’art. 1 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 330 (Semplificazione di talune disposizioni in materia tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 27 luglio 1994, n. 473, promosso con ordinanza del 1° ottobre 2002 dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte sul ricorso proposto da Zanetta Franco ed altra contro l’Agenzia delle entrate di Roma, iscritta al n. 815 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2004 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto che la Commissione tributaria regionale del Piemonte, con ordinanza del 1° ottobre 2002 – in sede di appello proposto dal contribuente avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Novara con cui era stata rigettata l’impugnazione degli avvisi di accertamento i quali avevano rideterminato il reddito del contribuente per il 1989 e per il 1990 ai fini IRPEF e ILOR – ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 38, quarto comma, secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come sostituito dall’art. 1 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), comma ulteriormente modificato dall’art. 1 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 330 (Semplificazione di talune disposizioni in materia tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 27 luglio 1994, n. 473, in riferimento agli artt. 70, 76, 3 e 100, primo comma, della Costituzione e in relazione all’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri);

che secondo il giudice rimettente gli avvisi di accertamento impugnati erano fondati esclusivamente sulla pura e semplice applicazione matematica del c.d. redditometro di cui al decreto ministeriale 10 settembre 1992 e al decreto ministeriale 19 novembre 1992, non risultando neppure enunciato alcun diverso elemento di fatto;

che i suddetti decreti erano stati emanati dal Ministro delle finanze sulla base dell’art. 38, comma quarto, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera b), della legge 30 dicembre 1991, n. 413, comma ulteriormente modificato dall’art. 1, comma 1, lettera q), del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 330, convertito, con modificazioni, nella legge 27 luglio 1994, n. 473;

che l’articolo citato demanda ad una norma regolamentare subordinata l’individuazione delle modalità di determinazione del maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva da individuarsi dallo stesso decreto;

che, ad avviso del remittente, tale delega non contiene alcun criterio direttivo né in ordine all’individuazione degli elementi indicativi della capacità contributiva, demandati totalmente alla discrezionalità del Ministro, né in ordine alle modalità di deduzione da tali elementi dei parametri di confronto del reddito dedotto dalla ricorrenza di quegli elementi indicativi;

che pertanto in concreto la scelta è rimessa totalmente al Ministro delegato;

che i decreti ministeriali di approvazione del redditometro hanno natura secondaria, sottraendosi al controllo del Parlamento (Cass. 11 settembre 2000, n. 15045);

che l’assenza di direttive incide sulla determinazione della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., con il risultato che tanta discrezionalità in concreto modella il contenuto della capacità suddetta, con un’incidenza sostanziale pur se apparentemente proposta come meramente procedimentale, come ritiene la giurisprudenza (Cass. n. 15045 del 2000 citata);

che la giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato che gli strumenti di attuazione della pretesa fiscale possono ritenersi parte integrante della normativa tributaria (sentenze n. 51 del 2000, n. 37 del 1997 e n. 11 del 1995), così sottolineando la specularità fra norma sostanziale impositiva e norma di attuazione della pretesa fiscale;

che l’amministrazione finanziaria ha sempre inteso il ricorso a detto strumento come modo per determinare un reddito matematico asseritamente sottratto all’imponibile, piuttosto che come strumento per identificare un possibile evasore nei cui confronti esercitare un accertamento adeguato;

che l’emanazione dei citati decreti ministeriali ha avuto luogo al di fuori sia del controllo del Parlamento ex art. 70 Cost., sia del procedimento di delega di norme aventi forza di legge ex art. 76 Cost., applicabile a maggior ragione ad un atto di normazione secondaria;

che inoltre la norma in bianco, delegando la sua concreta determinazione contenutistica ad un d.m. e non ad un d.P.R., ha per ciò stesso reso inapplicabile il disposto dell'art. 17 della legge n. 400 del 1988, con l’effetto di sottrarre detti atti, che pure hanno natura regolamentare, al controllo del Governo nella sua collegialità ed al controllo di legittimità del Consiglio di Stato;

che detta ultima norma integra uno dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, in quanto garantisce uno dei controlli di legittimità che connota lo Stato di diritto, onde la sua disapplicazione può essere giustificata solo da evidenti ragioni di razionalità costituzionale ex art. 3 Cost., che nella specie non si rinvengono;

che "pertanto l’art. 38, quarto comma, secondo periodo citato, appare in conflitto, quanto alla fonte normativa prescelta, con il principio di formazione delle leggi di cui agli artt. 70 Cost., in quanto formato al di fuori del controllo del Parlamento; dell’art. 76 Cost., in quanto non contiene alcuna direttiva per l’autorità delegata; nonché con il principio di razionalità costituzionale di cui agli artt. 3, 100, primo comma, Cost., e 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400";

che la questione è rilevante nel giudizio a quo, perché il suo accoglimento determinerebbe l’automatica illegittimità dei decreti ministeriali suddetti, i quali, peraltro, sulla base del diritto vivente sono applicabili a tutti i rapporti tributari non definiti (c.d. retroattività), pur se riferiti ad anni antecedenti la loro entrata in vigore;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte dichiari la questione inammissibile – per avere la Commissione estromesso una parte dal processo (l’Ufficio di Borgomanero dell’Agenzia delle Entrate) con l’ordinanza con cui è stata sollevata un’eccezione di legittimità costituzionale e non con sentenza – e comunque manifestamente infondata, ribadendo tali conclusioni con una memoria illustrativa.

Considerato che la Commissione tributaria regionale del Piemonte dubita della legittimità costituzionale dell’art. 38, quarto comma, secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come sostituito dall’art. 1 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), comma ulteriormente modificato dall’art. 1 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 330, convertito, con modificazioni, nella legge 27 luglio 1994, n. 473, in riferimento agli artt. 70, 76, 3 e 100, primo comma, della Costituzione e in relazione all’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri);

che, contrariamente all’assunto della difesa erariale, l’asserito vizio dell’ordinanza di rimessione, emessa malgrado la pretesa illegittimità della estromissione dal giudizio di una delle parti, non incide sull’ammissibilità del giudizio di costituzionalità;

che la norma impugnata introduce e disciplina il c.d. redditometro, che è uno strumento che permette all’amministrazione finanziaria di determinare presuntivamente il reddito del contribuente sulla base di parametri che, alla luce di consolidate massime di esperienza, sono indici rivelatori di reddito del contribuente, e demanda ad un regolamento del Ministro delle finanze la determinazione dei parametri in base ai quali determinare presuntivamente il reddito;

che la legge stabilisce che l’ufficio delle imposte può determinare induttivamente il reddito mediante elementi e circostanze di fatto certi, quando il reddito dichiarato si discosti di almeno un quarto da quello complessivo netto accertabile e questo scostamento sia avvenuto per due o più periodi di imposta;

che nessuna violazione dell’art. 53 della Costituzione – invocato nella motivazione della ordinanza e non anche nel dispositivo – è ravvisabile nella norma impugnata, dovendosi confermare quanto già statuito da questa Corte con la sentenza n. 283 del 1987;

che in tale sentenza la Corte, nell’esaminare il testo originario della norma impugnata, molto meno garantista dell’attuale, ha affermato che i metodi di accertamento induttivo previsti dall’art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, pur se fondano l’accertamento su presunzioni – iuris tantum e non iuris et de iure (v. ordinanza n. 7 del 2001) –, sono rispettosi dell’art. 53 della Costituzione, in quanto ancorano l’accertamento ad elementi che debbono essere rigorosamente dimostrati e sono idonei a costituire fonte sicura di rilevamento della capacità contributiva: l’accertamento fondato sulla prova della esistenza di "elementi e circostanze di fatto certi", i quali dimostrino l’inattendibilità della quantificazione del reddito risultante dalla determinazione analitica e la correlativa sussistenza di un maggior reddito, si palesa quindi come "un accertamento presuntivo che, lungi dal violare il principio costituzionale della correlazione tra capacità contributiva e imposizione tributaria, ne costituisce un mezzo di attuazione, in quanto è reso ragionevole dal ricorso a indici idonei a dare fondamento reale alla corrispondenza tra imposizione e capacità contributiva" (sentenza n. 283 del 1987 citata);

che, circa l’obiezione che il legislatore avrebbe dovuto disciplinare direttamente il "redditometro" e non demandarne l’attuazione ad una fonte subordinata, è inconferente il richiamo ai parametri di cui agli artt. 70 e 76 della Costituzione, in quanto ciò che è oggetto di censura non è la violazione di uno specifico criterio direttivo, ma il merito della scelta operata dal legislatore (sentenza n. 168 del 2001);

che, comunque, anche a volere ritenere che, per il tramite del richiamo alle anzidette norme, si sia dedotta, nella sostanza, la violazione del principio della riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione, è da richiamare la costante giurisprudenza costituzionale secondo cui tale riserva va intesa in senso relativo, ponendo al legislatore l’obbligo di determinare preventivamente e sufficientemente criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa (v. sentenze n. 7 del 2001, n. 215 del 1998 e n. 111 del 1997);

che è stata rispettata la riserva di legge relativa, in quanto l’art. 38 stabilisce che il regolamento deve prendere in considerazione elementi e circostanze di fatto certi e fissa delle linee direttive a cui si deve attenere l’accertamento compiuto tramite regolamento perché lo stesso sia valido (deve scostarsi di almeno un quarto da quanto dichiarato per almeno due periodi imposta), con salvezza della prova contraria del contribuente;

che nessuna norma costituzionale o di legge stabilisce poi – per rispondere alla censura mossa dal rimettente in ordine alla non conformità dell’art. 38 al principio di "razionalità costituzionale" dell’art. 3 e alla necessità di un parere consultivo sui regolamenti ex art. 100 della Costituzione – che in materia tributaria i regolamenti debbano essere adottati con regolamento governativo ai sensi dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988, con la conseguenza che nessun vulnus costituzionale può ravvisarsi nella scelta di un regolamento del Ministro delle finanze, senza considerare che la norma da ultimo citata, nel fare un elenco delle materie che devono essere disciplinate con il regolamento, non fa menzione della materia tributaria;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, quarto comma, secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come sostituito dall’art. 1 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), comma ulteriormente modificato dall’art. 1 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 330 (Semplificazione di talune disposizioni in materia tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 27 luglio 1994, n. 473, sollevata, in riferimento agli artt. 70, 76, 3 e 100, primo comma, della Costituzione e in relazione all’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 luglio 2004.