Sentenza n.283 del 1987

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SENTENZA N. 283

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Virgilio ANDRIOLI , Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale del D.M. 21 luglio 1983, in relazione all'art. 38, comma quarto, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ("Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi"), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 4 aprile 1985 dalla Commissione tributaria di primo grado di Larino sui ricorsi riuniti proposti da Soriano Mario iscritta al n. 887 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23 1a serie speciale dell'anno 1986;

2) ordinanza emessa il 19 gennaio 1984 dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano sui ricorsi riuniti proposti da Rava Luigi Roberto iscritta al n. 905 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 321 dell'anno 1984;

3) ordinanza emessa il 7 giugno 1984 dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano sui ricorsi riuniti proposti da Jacovitz Ljdia iscritta al n. 1110 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42/ bis dell'anno 1985;

4) ordinanza emessa il 9 maggio 1985 dalla Commissione tributaria di primo grado di Larino sui ricorsi riuniti proposti da Potalivo Alfredo iscritta al n. 886 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23 1a serie speciale dell'anno 1986;

5) ordinanza emessa il 27 marzo 1986 dalla Commissione tributaria di primo grado di Larino sui ricorsi riuniti proposti da Di Tecco Aldo Pasquale contro l'Ufficio II.DD. di Termoli iscritta al n. 98 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15 1a serie speciale dell'anno 1987;

6) ordinanza emessa il 27 marzo 1986 dalla Commissione tributaria di primo grado di Larino sul ricorso proposto da De Ascentis Giovanni contro l'Ufficio II.DD. di Termoli iscritta al n. 99 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15 1a serie speciale dell'anno 1987;

7) ordinanza emessa il 16 settembre 1986 dalla Commissione tributaria di primo grado di Larino sul ricorso proposto da Impicciatore Maria Carla contro l'Ufficio II.DD. di Termoli iscritta al n. 100 del registro ordinanza 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15 1a serie speciale dell'anno 1987;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 16 giugno 1987 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

Udito l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso di giudizi promossi da un contribuente che chiedeva la declaratoria di nullità di alcuni accertamenti in rettifica, effettuati dagli uffici tributari a norma dell'art. 38, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con ordinanza 19 gennaio 1984 la Commissione tributaria di primo grado di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 53 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 38, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Tale norma dispone che, se il reddito complessivo risultante dalla determinazione analitica é inferiore a quello fondatamente attribuibile al contribuente in base ad elementi e circostanze di fatto certi, l'ufficio determina sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione al contenuto induttivo di tali elementi; a tal fine possono essere stabiliti, con decreto del Ministro per le finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, indici e coefficienti presuntivi di reddito o di maggior reddito, in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva di cui all'art. 2, secondo comma, dello stesso d.P.R. (disponibilità di determinati beni).

Secondo la Commissione tributaria, tale norma violerebbe l'art. 2 Cost., in quanto "le presunzioni e quanto altro posto a base dell'accertamento sintetico", negando il diritto del cittadino di contribuire alle spese pubbliche in base all'"accertamento effettivo dei suoi redditi", violerebbero un suo diritto naturale. Essa, inoltre, contrasterebbe con l'art. 3 Cost., dando luogo a discriminazioni tra contribuenti, sotto il profilo che gli accertamenti sintetici sono soggettivi e quindi variabili. Dato, poi, che "alcuni uffici applicano, per determinati contribuenti, l'accertamento analitico e, per altri, quello sintetico, si perviene così a risultati talvolta molto dissimili a parità di reddito e di capacità contributiva. Detta norma violerebbe anche l'art. 24 Cost., giacché contro l'uso di presunzioni ed indizi per pervenire all'accertamento, la difesa sarebbe aleatoria o del tutto impossibile. Sussisterebbe infine, violazione anche dell'art. 53 Cost., poiché "l'accertamento sintetico, proprio per le presunzioni su cui poggia, non tiene conto, dell'effettiva capacità contributiva", essendo influenzato da elementi meramente indiziari e da valutazioni soggettive dell'ufficio impositore.

Davanti a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Nelle note depositate l'Avvocatura generale dello Stato sottolinea che l'Amministrazione può procedere all'accertamento sintetico solo in quanto il reddito complessivo risultante dalla determinazione analitica risulti inferiore a quello fondatamente attribuibile al contribuente in base ad elementi e a circostanze di fatto certi. Detto accertamento é operato in relazione al contenuto induttivo di essi. A tal fine, indici e coefficienti presuntivi di reddito sono stabiliti con decreto ministeriale, in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva considerati nel secondo comma dell'art. 2 dello stesso D.P. n. 600/1972. Il giudice a quo - osserva l'Avvocatura - non contesta la norma dell'art. 2, che individua gli elementi indicativi di capacità contributiva, né l'idoneità di essi (disponibilità di aeromobili da turismo, di navi e di imbarcazioni da diporto, ecc.) a rivelare detta capacità. Viceversa trascura che l'accertamento sintetico richiede la certezza della sussistenza di quegli elementi e l'inadeguatezza del reddito risultante dalla determinazione analitica rispetto ad essi, cosicché la norma che prevede l'accertamento sintetico non si pone in contrasto con l'art. 53 Cost. ma é diretta proprio a realizzarne le finalità.

Rileva inoltre l'Avvocatura dello Stato che il ricorso a presunzioni é stato già riconosciuto legittimo dalla Corte anche in materia tributaria. Né appare configurabile nella specie una limitazione al diritto di difesa del contribuente, in quanto i fatti su cui si fonda l'accertamento sintetico debbono essere concretamente dimostrati dall'Amministrazione e possono essere contestati dal contribuente. Infine, poiché la norma censurata non attribuisce all'Amministrazione un potere discrezionale di procedere o meno ad accertamento sintetico, ma impone ad essa di procedervi ove si verifichino determinati presupposti, sussiste nella previsione legislativa omogeneità di trattamento in relazione a tutte quelle situazioni in cui si verifichino i presupposti per farsi luogo a detto accertamento.

Questione analoga é stata sollevata dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano con ordinanza 7 giugno 1984.

In tale ordinanza si sostiene, in particolare, che l'art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione in quanto consente il ricorso ad accertamenti presuntivi, anche se fondati su presunzioni che non siano "gravi, precise e concordanti" e ancorché, in materia tributaria, non sia consentita la prova per testimoni contro le risultanze di esse.

Ciò darebbe luogo ad un'ingiustificata differenza normativa riguardo agli accertamenti tributari, considerato che l'art. 2729 cod. civ. ammette in via generale la prova in base a presunzioni semplici, solo ove siano "gravi, precise e concordanti" e contro le risultanze di esse sia ammissibile la prova per testimoni. L'art. 3 della Costituzione sarebbe violato, inoltre, in relazione alla possibilità che alcuni contribuenti vengano tassati in base ad accertamenti analitici ed altri, invece, in base ad accertamenti presuntivi, con conseguente diverso trattamento tributario.

L'art. 38, secondo l'ordinanza di rimessione, violerebbe anche gli artt. 2 e 53 Cost., in quanto esisterebbe "una norma fondamentale del diritto naturale" che imporrebbe "la certezza delle situazioni o elementi di fatto, da cui, analiticamente fare discendere l'obbligo e l'entità della imposizione tributaria" e giacché l'accertamento sintetico, essendo fondato su presunzioni, non garantirebbe il rispetto del principio secondo il quale gli oneri tributari debbono essere commisurati alla capacità contributiva.

Dinanzi a questa Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Nelle note depositate si richiamano le osservazioni già svolte a proposito della questione sollevata con la precedente ordinanza, aggiungendosi, quanto al richiamo alla disciplina delle presunzioni semplici dettata dall'art. 2729 cod. civ., che esso é inconferente, essendo le presunzioni alle quali fa riferimento l'art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, presunzioni legali.

In nessuno dei due giudizi vi é stata costituzione di parti private.

Con altra ordinanza, in data 9 maggio 1985 (iscritta al n. 886 R.O. 1985), emessa nel corso di procedimenti promossi da un contribuente, avverso accertamenti effettuati ricorrendo all'applicazione del D.M. 21 luglio 1983 (recante "Determinazione, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, degli indici e coefficienti presuntivi di reddito o di maggior reddito in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva di cui al secondo comma dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600"), la Commissione tributaria di primo grado di Larino ha sollevato questione di legittimità costituzionale di tale D.M., in riferimento all'art. 53, primo comma, della Costituzione.

Secondo il giudice a quo la questione di legittimità costituzionale sarebbe ammissibile poiché il D.M. impugnato, essendo richiamato esplicitamente dall'art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 formerebbe parte integrante di questo.

Quanto alla non manifesta infondatezza, nell'ordinanza di rimessione si osserva che gl'indici e i coefficienti fissati in detto decreto, per la loro rigidità, non terrebbero conto dell'effettiva capacità contributiva dei soggetti d'imposta, determinando un livellamento, nell'ambito di ciascun tipo di elemento presuntivo di reddito, senza tener conto che ciascun elemento presuntivo, in concreto, presenta nel suo ambito una gamma di fattispecie, rivelatrici di differenti capacità contributive. Poiché il D.M. 21 luglio 1973 non consente di determinare in modo flessibile il contenuto induttivo di ciascun elemento presuntivo di reddito, esso violerebbe l'art. 53, primo comma, della Costituzione.

Dinanzi a questa Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile essendo l'atto impugnato privo di forza di legge.

Questioni analoghe sono state sollevate dalla Commissione tributaria di primo grado di Larino con ordinanza del 4 aprile 1985 (iscritta al n. 887 R.O. 1985), con due ordinanze del 27 marzo 1986 (n. 98 e 99 R.O. 1987) e con ordinanza 16 settembre 1986 (n. 100 R.O. 1987).

Anche nei giudizi così promossi si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili.

Considerato in diritto

5. - Le questioni, sottoposte all'esame della Corte con le ordinanze di cui in epigrafe, riguardano la legittimità costituzionale della determinazione sintetica del reddito complessivo netto del contribuente in base ad elementi presuntivi. Pertanto, ancorché non abbiano tutte lo stesso oggetto normativo, possono essere decise con un'unica sentenza, previa riunione dei relativi giudizi.

6. - La Commissione tributaria di primo grado di Milano, con ordinanza 19 gennaio 1984 e 7 giugno 1984, ha sollevato diverse questioni di legittimità costituzionale in relazione all'art. 38, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, a norma del quale, se il reddito complessivo risultante dalla determinazione analitica é inferiore a quello fondatamente attribuibile al contribuente in base ad elementi e circostanze di fatto certi, l'ufficio determina sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e a tal fine possono essere stabiliti, con decreto del Ministro per le finanze, indici e coefficienti presuntivi di reddito. Secondo il giudice a quo tale disposizione contrasterebbe innanzitutto con l'art. 2 della Costituzione, violando il diritto (naturale) dell'individuo a contribuire alle spese pubbliche in proporzione alla misura effettiva dei suoi redditi. Essa si porrebbe in contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione, sotto un duplice profilo: per un verso in quanto darebbe luogo a discriminazioni tra contribuenti, a seconda che gli uffici facciano o meno ricorso agli accertamenti sintetici; per altro verso in quanto consentirebbe il ricorso a presunzioni fuori delle ipotesi previste dall'art. 2729 cod. civ., così derogando ingiustificatamente al principio generale ivi stabilito, secondo il quale la prova a mezzo di presunzioni semplici é ammissibile solo ove esse siano gravi, precise e concordanti e si tratti di materie in cui sia ammessa la prova per testimoni. Il disposto della norma impugnata, infine, contrasterebbe pure con l'art. 24 della Costituzione, giacché contro l'uso di presunzioni la difesa sarebbe aleatoria o impossibile, nonché con l'art. 53 della Costituzione, perché l'accertamento sintetico, essendo basato su elementi presuntivi, non sarebbe correlato alla effettiva capacità contributiva.

7. - La Commissione tributaria di primo grado di Larino, con ordinanze 4 aprile e 9 maggio 1985, 27 marzo e 16 settembre 1986, ha sollevato a sua volta questioni di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 53 della Costituzione, del D.M. emanato dal Ministro delle Finanze il 21 luglio 1983, col quale sono stati stabiliti, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, gl'indici e coefficienti presuntivi di reddito in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva menzionati nel secondo comma dell'art. 2 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Secondo il giudice a quo tale D.M., fissando indici e coefficienti presuntivi rigidi, non consentirebbe accertamenti che tengano conto dell'effettiva capacità contributiva rivelata dalla disponibilità dei beni o servizi assunti ad elemento presuntivo di reddito.

8. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, costituitosi a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito in via pregiudiziale l'inammissinilità delle questioni sollevate dalla Commissione tributaria di primo grado di Larino, deducendo che il decreto del Ministro delle Finanze impugnato é atto privo di forza di legge e, come tale, inidoneo a formare oggetto di un giudizio di legittimità costituzionale dinanzi a questa Corte.

L'eccezione é fondata. L'art. 134 della Costituzione dispone, infatti, che la Corte costituzionale giudica sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, tra i quali non sono annoverabili i decreti ministeriali, che hanno natura ed efficacia di atti amministrativi e, se emanati in contrasto con le norme della Costituzione, possono essere disapplicati o annullati, rispettivamente, dai giudici ordinari e amministrativi, ma non possono essere impugnati dinanzi alla Corte costituzionale. La questione di legittimità costituzionale del decreto del Ministro delle Finanze 21 luglio 1983, impugnato dalla Commissione tributaria di primo grado di Larino, va pertanto dichiarata inammissibile.

9. - Debbono essere, invece, esaminate nel merito le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 38, comma quarto, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che, come si é già detto, prevede la possibilità di accertamenti tributari presuntivi ai fini dell'I.R.P.E.F.

Al riguardo va premesso che gli accertamenti presuntivi, in materia tributaria, non sono stati introdotti dal d.P.R. n. 600 del 1973, ma hanno origine remota, anche in materia d'imposte sui redditi. Infatti, già l'art. 1 del R.D.L. 17 settembre 1932, n. 1261, in materia d'imposta complementare sul reddito, disponeva che ai fini della determinazione dell'imponibile, si tenesse conto anche dei redditi la cui esistenza si palesasse "per circostanze od elementi di fatto, con speciale riguardo al tenore di vita del contribuente". Con l'emanazione del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, parimenti, pur restando il metodo di accertamento analitico quello normale, all'art. 137 fu previsto che, ai fini dell'imposta complementare, il reddito determinato analiticamente dovesse essere sottoposto a verifica, tenendo conto del tenore di vita del contribuente e di altri elementi o circostanze di fatto che facessero presumere un reddito netto superiore a quello risultante dalla determinazione analitica, rettificando le risultanze di questa su basi presuntive.

Vero é che, in origine, il ricorso all'accertamento induttivo era - di regola - correlato con gravi inadempienze del contribuente, configurandosi, in tal guisa, piuttosto con profilo sanzionatorio. Ma col tempo si é fatta strada la consapevolezza che tanto gli accertamenti analitici che quelli sintetici intesi a presunzioni, di per sé, sono solo strumenti di rilevazione della capacità contributiva e che il metodo induttivo é uno strumento che può validamente integrare il metodo analitico.

10. - In linea con tale orientamento la l. 9 ottobre 1971, n. 825, nel conferire al Governo la delega per la riforma tributaria, all'art. 2, n.13, stabilì che l'accertamento tributario, ai fini dell'I.R.P.E.F., dovesse essere fatto, di regola, attraverso la determinazione analitica del reddito complessivo netto sulla base dei singoli redditi che lo compongono, "salvo il ricorso alla determinazione sintetica, quando vi siano elementi presuntivi di maggior reddito risultanti da fatti certi". In tal modo si determinava una direttiva improntata chiaramente alla concezione del metodo induttivo come integrativo - sostitutivo di quello analitico: direttiva nascente dalla scelta di quest'ultimo come metodo generale di accertamento, in quanto normalmente idoneo a rivelare la capacità contributiva del soggetto passivo d'imposta.

Il ricorso al metodo induttivo era chiamato ad operare in via sussidiaria, per l'ipotesi che il soggetto passivo d'imposta rivelasse, sulla base di indici certi, una maggior capacità contributiva rispetto a quella risultante dalla determinazione analitica.

L'art. 38, comma quarto, del d.P.R. n. 600 del 1973, in attuazione di questa direttiva, in materia di rettifica delle dichiarazioni del reddito delle persone fisiche, ha previsto il ricorso al metodo induttivo quando "il reddito complessivo risultante dalla determinazione analitica é inferiore a quello fondatamente attribuibile al contribuente in base ad elementi e a circostanze di fatto certi". In questa ipotesi "l'ufficio determina sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze".

Pertanto la nuova normativa si discosta dal riferimento al "tenore di vita del contribuente" - previsto invece dall'art. 137 del T.U. del 1958 - tenendo conto dell'elaborazione giurisprudenziale che, in via interpretativa, richiedeva che gli accertamenti sintetici fossero motivati in base ad indici sicuri di capacità contributiva, sia pure ricavabili dal tenore di vita del contribuente. L'art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 richiede infatti, espressamente, che a fondamento dell'accertamento induttivo siano posti "elementi e circostanze di fatto certi", prevedendo anche che il Ministro per le Finanze possa stabilire con proprio decreto "indici e coefficienti presuntivi di reddito o di maggior reddito in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva di cui al secondo comma dell'art. 2". Quest'ultimo identifica come elementi indicatori di capacità contributiva: 1) la disponibilità di aeromobili da turismo, di navi e imbarcazioni da diporto, di cavalli da equitazione o da corsa e di autoveicoli; 2) le residenze secondarie a disposizione permanente o temporanea, in Italia o all'estero; 3) il numero dei collaboratori familiari, precettori, governanti ed altri lavoratori addetti alla casa e alla famiglia; 4) la disponibilità di riserve di caccia.

Con il D.L. 30 dicembre 1982, n. 953, convertito nella l. 28 febbraio 1983, n. 53, la facoltà del Ministro per le Finanze di stabilire con proprio decreto gl'indici e i coefficienti presuntivi di reddito di cui al quarto comma dell'art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, é stata trasformata in obbligo, al quale si é adempiuto con il D.M. 21 luglio 1983 (sopra già menzionato), successivamente modificato con il D.M. 13 dicembre 1984.

In tutti i casi in cui sia ammissibile l'accertamento induttivo, a norma del quinto comma dell'art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, il contribuente ha facoltà di dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente é costituito, in tutto o in parte, da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta.

11. - Precisato il contenuto della normativa impugnata, vanno esaminati i singoli profili d'incostituzionalità prospettati rispetto ad essa nelle ordinanze di rimessione.

Il giudice a quo ha dedotto innanzitutto - ipotizzando l'esistenza di un diritto naturale ed inviolabile dell'individuo a contribuire alle spese pubbliche in misura proporzionale ai suoi redditi effettivi - che la previsione di accertamenti induttivi violi l'art. 2 della Costituzione.

Tale questione é infondata.

Questa Corte, con numerose decisioni, ha affermato che l'art. 2 della Costituzione, nel tutelare i diritti inviolabili dell'uomo in via generale, si riferisce a diritti garantiti specificamente in altre norme della Costituzione (Corte costituzionale 22 dicembre 1980, n. 188; 17 dicembre 1975, n. 238; 27 marzo 1962, n. 29) e che, esclusa la violazione della norma della Costituzione che tutela specificamente ogni singolo diritto inviolabile, é automaticamente esclusa anche la violazione dell'art. 2 (Corte costituzionale 25 marzo 1976, n. 57; 4 maggio 1972, n. 77). Nel caso in esame, a parte la considerazione che, come meglio si dirà appresso, l'art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 non viola alcun diritto garantito dalle altre norme di raffronto indicate nelle ordinanze di rimessione, va osservato che la violazione dell'art. 2 non é stata prospettata dal giudice a quo in relazione a diritti garantiti da quelle norme, bensì sulla base dell'asserita esistenza di un diritto naturale di ciascun individuo alla rigorosa corrispondenza tra l'imposizione tributaria su di lui gravante ed i suoi redditi effettivi. Anche a volere accettare la tesi, oggetto di vivace dibattito all'Assemblea costituente, secondo la quale l'art. 2 tutela diritti connaturati alla persona umana, preesistenti ed autonomi rispetto ad ogni organizzazione statuale, tra di essi certo non potrebbe porsi, qualificandolo diritto naturale e inviolabile, l'interesse del contribuente ad una giusta imposizione fiscale. Infatti, trovando l'imposizione fiscale la sua fonte proprio nell'ordinamento dello Stato, la pretesa ad una giusta imposizione non é logicamente configurabile come un diritto naturale, derivante da princìpi ricavabili da quella che fu definita la "realtà oggettiva universale, concretantesi nell'ordine naturale delle cose".

12. - Passando alle ulteriori censure formulate nelle ordinanze di rimessione, vanno esaminati i due profili d'incostituzionalità dell'art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 prospettati in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

In primo luogo, secondo il giudice a quo, la previsione di accertamenti induttivi, contenuta nella norma impugnata, darebbe luogo a discriminazioni tra i contribuenti, a seconda che i vari uffici finanziari vi facciano o meno ricorso. Ma la disposizione dell'art. 38, quarto comma, assicura identità di trattamento a tutti i contribuenti che si trovino in situazioni giuridicamente identiche, prevedendo l'obbligo degli uffici finanziari di procedere ad accertamento induttivo tutte le volte che il reddito complessivo risultante dalla determinazione analitica sia inferiore a quello fondatamente attribuibile al contribuente in base ad elementi e a circostanze di fatto certi. Pertanto, la disparità dedotta si palesa non come una discriminazione normativa, bensì come un'eventuale disparità di fatto, che potrebbe sorgere in sede applicativa della norma in conseguenza della maggiore o minore efficienza degli uffici finanziari, ma che non dà luogo a violazione dell'art. 3 della Costituzione, in conformità del principio affermato da questa Corte, secondo il quale le disparità di fatto che possono insorgere in sede applicativa di norme di per sé non discriminatorie, sono irrilevanti ai fini del giudizio di costituzionalità (Corte costituzionale 15 luglio 1985, n. 209; 4 febbraio 1982, n. 22; 25 marzo 1975, n. 69).

13. - Sotto un diverso aspetto il giudice a quo ha dedotto l'illegittimità costituzionale dell'art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, deducendo che esso consentirebbe il ricorso a presunzioni fuori delle ipotesi previste dall'art. 2729 cod. civ., così derogando ingiustificatamente al principio ivi stabilito, secondo il quale la prova a mezzo di presunzioni semplici é ammissibile solo ove esse siano gravi, precise e concordanti e si tratti di materie in cui sia ammessa la prova per testimoni. Peraltro, formulando un'ulteriore questione di costituzionalità che é opportuno esaminare congiuntamente, il giudice a quo ha negato anche, in radice, la legittimità degli accertamenti tributari presuntivi, deducendo che essi contrastano con l'art. 53 della Costituzione, non essendo correlati alla effettiva capacità contributiva del soggetto passivo d'imposta.

Al riguardo va considerato che l'art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, prevede due diversi metodi di accertamento induttivo.

Il primo metodo - restando l'unico fino alla emanazione del D.M. 21 luglio 1983 - é imperniato sull'acquisizione da parte degli uffici di "elementi e circostanze di fatto certi", i quali da un lato rendono inattendibile la quantificazione del reddito risultante dalla determinazione analitica e dall'altro giustificano la quantificazione, in via induttiva, del reddito in una determinata maggiore misura. Tale metodo é basato sulla prova della sussistenza degli elementi e circostanze di fatto che formano la base presuntiva della misura del maggior reddito.

Il secondo metodo - che si é concretamente affiancato al primo con l'emanazione dei decreti ministeriali 21 luglio 1983 e 13 dicembre 1984 - é imperniato sulla identificazione, da parte dello stesso d.P.R. n. 600 del 1973 (all'art. 2), di una serie di elementi (dianzi indicati al paragrafo 10), che lo stesso legislatore ha ritenuto indicativi di capacità contributiva, in relazione ai quali il Ministro delle finanze é investito del potere (ed ora anche dell'obbligo) di stabilire indici e coefficienti presuntivi di reddito. Una volta emanati i decreti ministeriali che fissano tali indici e coefficienti, l'accertamento da parte degli uffici tributari degli elementi indicati nell'art. 2 del d.P.R. n. 600 del 1973 legittima, attraverso l'applicazione degl'indici e coefficienti stabiliti da tali decreti, l'imposizione sulla base del maggior reddito.

Così precisato il contenuto della normativa impugnata, va rilevato che questa Corte ha costantemente escluso, in linea generale, la illegittimità costituzionale, del ricorso a prove legali ed a presunzioni in materia tributaria. In tal senso si era espressa già con la sentenza 26 giugno 1965, n. 50, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale, in linea di principio, di norme che prevedano un sistema di prove legali per la determinazione dell'esistenza del presupposto dell'obbligazione tributaria e della sua entità concreta. Detta conclusione é stata più di recente ribadita nella sentenza 21 aprile 1983, n. 103, nella quale é stato confermato che la configurazione di prove legali rigorose, in materia tributaria, non comporta l'attribuzione di una base fittizia all'imposizione ed é stato sottolineato che in tale materia la prova legale mira a tutelare l'interesse generale alla riscossione dei tributi contro le evasioni, affermandosi che rientra nella discrezionalità del legislatore, non sindacabile in sede di giudizio di costituzionalità, ove non trasmodi in palese arbitrarietà o irrazionalità, la scelta dei meccanismi probatori che si ritengano maggiormente idonei a conseguire tale risultato.

Più specificamente, quanto alle presunzioni tributarie, questa Corte con numerose decisioni ne ha escluso, in linea di principio, la illegittimità costituzionale, purché si fondino su indici concretamente rivelatori di ricchezza, ovvero su fatti reali, quand'anche difficilmente accertabili, idonei a conferire all'imposizione una base non fittizia (Corte costituzionale, 26 marzo 1980, n. 42). In particolare é stata sottolineata la necessità che le presunzioni, per potere essere considerate in armonia con il principio della capacità contributiva sancito dall'art. 53 della Costituzione, debbono essere confortate da elementi concreti che le giustifichino razionalmente (Corte costituzionale 28 luglio 1976, n. 200).

In proposito la Corte ha negato l'illegittimità costituzionale di alcune presunzioni iuris tantum previste da leggi tributarie, mettendo in evidenza, da un lato - caso per caso - la loro razionalità; dall'altro, la garanzia insita per il contribuente nella possibilità di dare la prova contraria a quanto presunto per legge (Corte costituzionale 3 luglio 1967, n. 77; 18 luglio 1968, n. 99). Inoltre, in materia d'imposta di successione, questa Corte ha dichiarato non fondata, in riferimento all'art. 53 della Costituzione, una questione riguardante la presunzione di esistenza nel patrimonio ereditario di gioielli, denaro e beni mobili in misura fissa e proporzionata all'asse ereditario, ritenendo inconferente che tale presunzione potesse essere assoluta, tenuto conto che essa faceva riferimento "ad un indice effettivo e concreto, quale é quello del patrimonio ereditario" (Sentenza 12 luglio 1967, n. 109).

14. - Esaminando la normativa impugnata alla stregua di tali princìpi, va rilevato come entrambi i metodi di accertamento induttivo previsti dall'art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, pur se fondano l'accertamento su presunzioni, sono rispettosi dell'art. 53 della Costituzione, in quanto ancorano l'accertamento ad elementi che debbono essere rigorosamente dimostrati e sono idonei a costituire fonte sicura di rilevamento della capacità contributiva. Infatti, l'accertamento fondato sulla prova della sussistenza di "elementi e circostanze di fatto certi", i quali dimostrino l'inattendibilità della quantificazione del reddito risultante dalla determinazione analitica e la correlativa sussistenza di un maggior reddito, si palesa come un accertamento presuntivo che, lungi dal violare il principio costituzionale della correlazione tra capacità contributiva e imposizione tributaria, ne costituisce un mezzo di attuazione, in quanto é reso ragionevole dal ricorso a indici idonei a dare fondamento reale alla corrispondenza tra imposizione e capacità contributiva. Dall'esistenza del fatto-base sorge la pretesa al tributo relativo al nuovo reddito, determinato sinteticamente, essendo quel fatto idoneo, per quanto si dirà, a produrre l'effetto collegato al fatto presunto.

Parimenti evidente é la razionalità e la coerenza con il principio fissato dall'art. 53 della Costituzione, del metodo di accertamento basato sugli elementi individuati dall'art. 2 del d.P.R. n. 630 del 1973, in relazione ai quali nei decreti ministeriali 21 luglio 1983 e 13 dicembre 1984 sono stati stabiliti indici e coefficienti presuntivi di reddito. Infatti, in base ad una massima di esperienza, la disponibilità di aeromobili da turismo, di navi e imbarcazioni da diporto, di cavalli da equitazione o da corsa, di residenze secondarie, di collaboratori familiari, di precettori, di governanti, di riserve di caccia, - lungi dal costituire "una violenza nei confronti della realtà" - sono indici sicuri di capacità contributiva: idonei, pertanto, a fondare la presunzione che, chi possegga quei beni o fruisca di quelle prestazioni, goda di un reddito proporzionato, ancorché non se ne possa individuare analiticamente la provenienza. Dimostrata l'esistenza di quei determinati fatti possessori o di fruizione di servizi, se ne deduce la esistenza dell'elemento costitutivo della fattispecie dalla quale trae titolo la pretesa tributaria, determinata sinteticamente. Ne deriva che, fatta salva la possibilità per il contribuente di dimostrare che il reddito proviene da cespiti esenti da imposta, ovvero che é già stato assoggettato a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta (art. 38, quinto comma), la presunzione stabilita dalla legge appare ancorata a dati di fatto che sono prova sicura di capacità contributiva. Quanto poi alla valutazione della legittimità (sotto l'aspetto di eventuali vizi nella formazione e nell'applicazione) degl'indici e dei coefficienti presuntivi fissati dai decreti ministeriali, essa non compete a questa Corte, essendo tali decreti - come sopra si é visto - atti amministrativi.

15. - Escluso ogni contrasto della normativa impugnata col principio stabilito dall'art. 53 della Costituzione, si rivela infondata pure la dedotta violazione dell'art. 3 prospettata sotto il profilo dell'allegata deroga, in materia tributaria, della regola generale fissata dall'art. 2729 cod. civ. Infatti, senza che sia necessario procedere all'individuazione della natura delle presunzioni previste dall'art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, va ritenuto che la materia tributaria, per la sua particolarità e per il rilievo che ha nella Costituzione l'interesse dello Stato alla percezione dei tributi, giustifica discipline differenziate, in materia di accertamento, rispetto alla disciplina generale delle presunzioni, purché - come nel caso di specie - tali discipline siano idonee ad assicurare la reale rispondenza dell'accertamento tributario alla capacità contributiva del soggetto passivo d'imposta.

Quanto, poi, alla violazione dell'art. 24, allegata sotto il profilo che contro l'uso di presunzioni per pervenire all'accertamento, la difesa sarebbe impossibile, essa va parimenti disattesa, poiché nessun limite é posto dalla normativa impugnata alla prova della insussistenza degli elementi e circostanze di fatto sui quali si basa l'accertamento induttivo.

Tutte le questioni prospettate in relazione all'art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 vanno pertanto dichiarate non fondate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale del D.M. 21 luglio 1983 ("Determinazione, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche degli indici e coefficienti presuntivi di reddito o di maggior reddito in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva di cui al secondo comma dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600"), sollevata dalla Commissione tributaria di primo grado di Larino con le ordinanze indicate in epigrafe, in riferimento all'art. 53 Cost.; dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 38, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ("Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi"), sollevata dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano, con le ordinanze indicate in epigrafe, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 53 Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1987.

 

Il Presidente: ANDRIOLI

Il Redattore: PESCATORE

Depositata in cancelleria il 23 luglio 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI