Ordinanza n. 335/2003

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ORDINANZA N.335

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

- Francesco AMIRANTE                   

- Ugo DE SIERVO                 

- Romano VACCARELLA                

- Paolo MADDALENA                     

- Alfio FINOCCHIARO                    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 303, comma 2, e 304, comma 6, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze del 21 agosto 2002 dalla Corte di cassazione, dell’11 dicembre 2002 e del 10 gennaio 2003 dal Tribunale - sezione per il riesame di Milano, rispettivamente iscritte al numero 570 del registro ordinanze 2002 ed ai numeri 100 e 253 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 3, 11 e 19, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nelle camere di consiglio del 24 settembre 2003 e 16 ottobre 2003 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto che, con ordinanza in data 21 agosto 2002, la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 13 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 303, comma 2, e 304, comma 6, del codice di procedura penale, nella parte in cui impedisce di computare, ai fini dei termini di durata massima della custodia cautelare, determinati dall’art. 304, comma 6, i periodi di detenzione sofferti in una fase o grado diversi da quelli in cui il procedimento è regredito;

che il remittente, dopo aver rilevato che i giudici del gravame, conformemente alla sentenza Musitano delle sezioni unite, avevano interpretato il combinato disposto degli artt. 303, comma 2, e 304, comma 6, cod. proc. pen., nel senso della computabilità, ai fini della determinazione del termine massimo di fase in caso di regressione del procedimento, dei soli periodi di custodia cautelare relativi alla medesima fase o grado, ricorda che, con ordinanza del 25 luglio 2002, le stesse sezioni unite, intervenute a seguito della ordinanza n. 529 del 2000 della Corte costituzionale, contrastante con il suindicato orientamento, hanno sollevato nuovamente questione di legittimità costituzionale dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen., ove interpretato, alla stregua di quanto affermato nella citata sentenza Musitano, nel senso della esclusione dal computo, ai fini della determinazione del termine massimo di fase di cui al successivo art. 304, comma 6, dei periodi di custodia sofferti in fase o grado diversi da quelli in cui il procedimento regredisca (ordinanza n. 28 del 2002 in causa D’Agostino);

che il giudice a quo, dichiarando di non volersi discostare dall’indirizzo giurisprudenziale segnato dall’intervento delle sezioni unite, ritiene di dover anch’egli sollevare analoga questione di legittimità costituzionale nei termini sopra precisati;

che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, il remittente ritiene "sufficiente rinviare a quanto già osservato dalle sezioni unite nella citata ordinanza di rimessione in causa D’Agostino (allegata in copia come parte integrante del presente provvedimento)";

che il giudice a quo afferma sussistere la rilevanza della questione poiché, ove il denunciato combinato disposto venisse dichiarato costituzionalmente illegittimo, andrebbero computati anche i periodi di custodia cautelare inerenti a fasi o gradi non omogenei, con conseguente diritto dell’imputato ad essere scarcerato per sopravvenuta inefficacia della misura disposta nei suoi confronti per decorrenza dei termini massimi;

che, con ordinanza in data 11 dicembre 2002, il Tribunale – sezione per il riesame di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 302 (recte: 303), comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui impedisce di computare, ai fini dei termini massimi di fase determinati dall’art. 304, comma 6, i periodi di detenzione sofferti in una fase o grado diversi da quelli in cui il procedimento è regredito;

che anche il Tribunale di Milano ritiene di doversi adeguare all’orientamento interpretativo che le sezioni unite della Corte di cassazione nell’ordinanza di rimessione n. 28 del 2002 hanno posto a base dell’analoga questione di legittimità costituzionale dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen., secondo il quale, ai fini della determinazione del termine massimo di custodia cautelare, in caso di regressione del procedimento, sarebbero computabili soltanto i periodi di detenzione sofferti in fasi o gradi omogenei;

che, ad avviso del remittente, la questione di legittimità costituzionale sarebbe non manifestamente infondata, "secondo quanto anche ritenuto dalla Corte di cassazione a sezioni unite nella sentenza (recte: ordinanza) n. 28 del 2002, il cui iter argomentativo si richiama e si fa proprio";

che la questione sarebbe altresì rilevante, poiché se anche i periodi di custodia cautelare sofferti in fasi non omogenee dovessero essere calcolati, l’imputato, nella specie, dovrebbe essere scarcerato per decorrenza del termine massimo;

che, con altra ordinanza in data 10 gennaio 2003, il Tribunale - sezione per il riesame di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui impedisce di computare, ai fini dei termini massimi di fase determinati dall’art. 304, comma 6, i periodi di detenzione sofferti in una fase o grado diversi da quelli in cui il procedimento è regredito;

che, nel motivare la non manifesta infondatezza, il remittente richiama la questione di legittimità costituzionale sollevata dalle sezioni unite della Corte di cassazione con la citata ordinanza n. 28 del 2002 ed afferma che il metodo di calcolo proposto con la sentenza Musitano, e ribadito in quest’ultima ordinanza, oltre a risultare coerente con la lettera dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen. e con la concezione definita monofasica o endofasica dell’impianto codicistico, rispetterebbe sia il principio di proporzionalità della custodia cautelare, che dovrebbe essere ancorato anche alla ragionevole durata delle attività previste nella singola fase, sia il principio del minor sacrificio della libertà personale, avendo l’esperienza dimostrato che il diverso sistema di calcolo, che tenga conto di tutti i periodi di custodia cautelare sofferti nelle varie fasi, non sempre porterebbe ad un risultato più favorevole per l’imputato;

che, ad avviso del giudice a quo, la questione sarebbe altresì rilevante sulla base del rilievo che la decisione nel giudizio principale non può prescindere dalla risoluzione della questione stessa, avendo il ricorrente invocato l’applicazione dei principî affermati da questa Corte nella sentenza n. 292 del 1998, ulteriormente chiariti nell’ordinanza n. 529 del 2000, con conseguente computo di tutti i periodi di custodia cautelare sofferta, anche in fasi diverse;

che è intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato ed ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile e in subordine infondata.

Considerato che le ordinanze di rimessione, anche se hanno ad oggetto disposizioni non del tutto coincidenti, pongono la medesima questione, sicché i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica pronuncia;

che infatti, la Corte di cassazione dubita, in riferimento agli articoli 3 e 13 della Costituzione, della legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 303, comma 2, e 304, comma 6, del codice di procedura penale, nella parte in cui impedisce di computare, ai fini dei termini massimi di fase determinati dall’art. 304, comma 6, i periodi di detenzione sofferti in una fase o grado diversi da quelli in cui il procedimento è regredito (ordinanza n. 570 del 2002), mentre il Tribunale - sezione per il riesame di Milano, con entrambe le ordinanze, solleva, sempre in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen. (la indicazione nell’ordinanza n. 100 del 2003, dell’art. 302, comma 2, cod. proc. pen. deve intendersi frutto di mero errore materiale), "nella parte in cui impedisce di computare, ai fini dei termini massimi di fase determinati dal successivo art. 304, comma 6, i periodi di detenzione sofferti in una fase o in un grado diversi da quelli in cui il procedimento è regredito" (ordinanze n. 100 e n. 253 del 2003);

che l’ordinanza della Corte di cassazione e la prima di quelle emesse dal Tribunale di Milano, nel motivare la non manifesta infondatezza della questione, si limitano a fare rinvio alle argomentazioni svolte dalle sezioni unite nella ordinanza n. 28 del 2002, che dichiarano di condividere e di fare proprie;

che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la motivazione dell’ordinanza di rimessione deve essere invece autosufficiente, non potendosi il giudice a quo limitare a richiamare per relationem il contenuto di altri atti o provvedimenti, anche se, in ipotesi, acquisiti agli atti del procedimento principale (ordinanze n. 60 del 2003 e n. 8 del 2002);

che anche a prescindere dal suddetto rilievo, la questione sollevata con le ordinanze richiamate è stata dichiarata manifestamente inammissibile da questa Corte con ordinanza n. 243 del 2003, proprio in ragione delle argomentazioni in essa contenute, che i giudici a quibus dichiarano di fare proprie;

che tale soluzione non può non riguardare anche la questione sollevata con la seconda ordinanza del Tribunale di Milano, di contenuto identico a quella già scrutinata da questa Corte nel senso della manifesta inammissibilità con la citata pronuncia n. 243 del 2003.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 303, comma 2, e 304, comma 6, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 13 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 303, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 13 della Costituzione, dal Tribunale - sezione per il riesame di Milano, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 ottobre 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2003.