Sentenza n. 47/2003

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SENTENZA N. 47

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

- Paolo MADDALENA

- Alfio FINOCCHIARO        

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10, numero 3 (recte: comma 3), della legge della Regione Lombardia 7 settembre 1992, n. 28 (Norme sulle circoscrizioni comunali), e della legge della Regione Lombardia 23 novembre 2001, n. 21 (Istituzione del Comune di Baranzate in Provincia di Milano), promosso con ordinanza del 23 aprile 2002 dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, iscritta al n. 328 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2002.

  Visti gli atti di costituzione del Comitato "Uniti per Baranzate", del Comune di Bollate e della Regione Lombardia;

  udito nell’udienza pubblica del 28 gennaio 2003 il Giudice relatore Valerio Onida;

  uditi gli avvocati Mario Viviani per il Comune di Bollate, Andrea Manzi e Andrea Soncini per il Comitato "Uniti per Baranzate", e Nicolò Zanon per la Regione Lombardia.

Ritenuto in fatto

1. – Nel corso di un giudizio sui ricorsi riuniti del Comune di Bollate nonché di Gianfranco Marino Capitani ed Enrico Confalonieri per l'annullamento, previa sospensione, del decreto del Prefetto di Milano in data 1 febbraio 2002, recante la nomina del commissario prefettizio presso il neo-istituito Comune di Baranzate, e degli atti connessi e conseguenti, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con ordinanza del 23 aprile 2002, pervenuta a questa Corte il 18 giugno 2002, ha sollevato, in riferimento all’art. 133, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, numero 3 (recte: comma 3), della legge della Regione Lombardia 7 settembre 1992, n. 28 (Norme sulle circoscrizioni comunali), e dell’intera legge della Regione Lombardia 23 novembre 2001, n. 21 (Istituzione del Comune di Baranzate in Provincia di Milano).

La questione sollevata trae origine dalla vicenda dell'erezione in Comune della frazione di Baranzate mediante distacco dal Comune di Bollate, disposta con la legge della Regione Lombardia n. 21 del 2001, dopo un referendum consultivo, indetto ai sensi dell’art. 10, comma 3, della legge della Regione Lombardia n. 28 del 1992, in cui sono stati ammessi al voto, non tutti gli elettori del Comune di Bollate, ma unicamente i residenti della frazione intenzionata a distaccarsi.

L’art. 133, secondo comma, della Costituzione statuisce che "la Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni". La Costituzione, per l’istituzione di un nuovo Comune, pone il principio della necessità di una preventiva audizione delle "popolazioni interessate".

Il Tribunale amministrativo ritiene che il precetto costituzionale debba essere interpretato in senso ampio, e precisamente nel senso che alla consultazione referendaria prodromica all’istituzione di un nuovo Comune debbano partecipare tutti i cittadini del Comune da cui avviene il distacco, essendo quest’ultimo destinato a subire la contrazione della propria popolazione e del proprio territorio a favore dell’istituendo nuovo Comune.

Ad una tale interpretazione del citato art. 133, secondo comma, della Costituzione sarebbe pervenuta la giurisprudenza costituzionale. Il remittente invoca le sentenze di questa Corte n. 433 del 1995 e n. 94 del 2000, secondo cui, in linea generale, le popolazioni interessate sono tanto quelle che verrebbero a dar vita ad un nuovo Comune così come quelle che rimarrebbero nella parte, per così dire, "residua" del Comune di origine: ciò, osserva il TAR, in quanto, di regola, entrambe queste popolazioni hanno un interesse qualificato nei riguardi dell’evento in oggetto, giacché in tale evento, da un lato, "ricorre la situazione di smembramento (sia dal punto di vista della popolazione sia da quello del territorio) dell’originario unico Comune e, d'altro lato, ricorre la situazione della richiesta erezione in ente territoriale della frazione comunale e del relativo aggregato sociale". Secondo la giurisprudenza costituzionale esiste, bensì, una possibilità di deroga ad un siffatto principio, ma limitata a casi eccezionali, in cui non può dirsi sussista, in capo all’intera popolazione dell'originario Comune, un interesse qualificato al distacco della frazione dal Comune medesimo. Tali casi sono stati ricondotti alle seguenti ipotesi: a) che il gruppo il quale chiede l'autonomia abbia una sua caratterizzazione distintiva, tale da far ritenere questo gruppo già esistente come fatto sociologicamente distinto e, comunque, collegato con un'area eccentrica rispetto al capoluogo; b) che la modificazione proposta abbia limitata entità con riferimento sia al territorio sia alla popolazione, rispetto al totale.

Ad avviso del giudice a quo, nel caso al suo esame non ricorrerebbe alcuna delle ipotesi derogatorie sopra evidenziate; avendo la Regione stabilito, con l’art. 10, comma 3, della legge regionale n. 28 del 1992, che la consultazione debba riguardare la sola popolazione della frazione direttamente interessata, le disposizioni di legge regionale impugnate apparirebbero in contrasto con la norma costituzionale.

2. – Nel giudizio dinanzi alla Corte si sono costituiti la Regione Lombardia, il Comune di Bollate e il Comitato "Uniti per Baranzate".

2.1. – La Regione Lombardia ha concluso per la non fondatezza della questione. L’ordinanza di rimessione si limiterebbe a presentare una lettura del secondo comma dell’art. 133 della Costituzione basata su un’interpretazione riduttiva di quanto affermato dalla Corte costituzionale, poiché nella sentenza n. 94 del 2000 è stato escluso che l’ambito della consultazione debba necessariamente e in ogni caso coincidere con la totalità della popolazione dei Comuni coinvolti nella variazione.

In ogni caso, assume la Regione Lombardia, è il Consiglio regionale che, al fine di verificare se una consultazione generalizzata della popolazione sia o meno imposta, deve compiere, caso per caso, la valutazione degli elementi di fatto al momento di indire il referendum consultivo. Nella specie il Consiglio regionale della Lombardia avrebbe svolto un’attenta istruttoria sulle circostanze di fatto giustificanti il distacco da Bollate della frazione di Baranzate, come emergerebbe, in particolare, dai lavori preparatori della legge regionale istitutiva di quest’ultimo Comune.

Dalla sentenza n. 433 del 1995 di questa Corte scaturirebbe l’idea che ciò che conta non sono le previsioni astratte, ma gli accertamenti in concreto: indipendentemente da ciò che la legge generale sul procedimento stabilisce, ciò che rileva, si sostiene, è se il Consiglio regionale abbia valutato a quali parti della popolazione estendere la consultazione referendaria. Pertanto, anche una previsione legislativa astratta improntata ad una interpretazione restrittiva del significato della locuzione "popolazioni interessate", nel senso della consultazione dei soli aventi diritto al voto residenti nella parte di territorio che chiede di staccarsi, non sarebbe in sé incostituzionale. Difatti la Corte, nella sentenza n. 94 del 2000, afferma che possono certamente configurarsi situazioni in cui l’esistenza di un interesse, rispetto alla variazione, delle popolazioni residenti in aree diverse da quelle destinate al trasferimento è ragionevolmente da escludersi: "ma, appunto, l’esclusione deve fondarsi allora – tanto più quando sia sancita in astratto, senza riguardo alle singole proposte di variazione – su elementi sicuramente idonei a farne ritenere insussistente l’irragionevolezza". Quindi ben potrebbero darsi previsioni astratte come quelle della legge regionale lombarda che, pur non conformi alla regola generale ricordata, risultano non incostituzionali di fatto, nella loro applicazione in concreto.

In conclusione la legge regionale istitutiva del Comune di Baranzate sarebbe esente dal vizio di violazione dell’art. 133, secondo comma, della Costituzione, perché avrebbe alle spalle una valutazione in concreto delle situazioni che la Corte stessa indicò nella sentenza n. 433 del 1995. Ma, tenuto conto delle modalità concrete della sua applicazione, alla dichiarazione di incostituzionalità potrebbe sottrarsi la stessa norma regionale generale sul procedimento, ossia l’art. 10, comma 3, della legge regionale n. 28 del 1992.

2.2. – Il Comune di Bollate ha concluso per l’accoglimento della questione, riservando ogni più ampia illustrazione a successiva memoria.

2.3. – Il Comitato "Uniti per Baranzate" ha chiesto che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile, improcedibile e comunque infondata, rinviando anch’esso a separata memoria l’esposizione delle ragioni a sostegno delle rassegnate conclusioni.

3. – In prossimità dell’udienza hanno depositato memorie illustrative la Regione Lombardia, il Comitato "Uniti per Baranzate" e il Comune di Bollate.

3.1. – La Regione Lombardia ribadisce che dall’art. 133, secondo comma, della Costituzione non è possibile derivare un concetto univoco di "popolazioni interessate" nella ipotesi di istituzione di nuovi Comuni o di modifica delle circoscrizioni di Comuni esistenti, dovendosi escludere che l’ambito della consultazione debba necessariamente ed in ogni caso coincidere con la totalità della popolazione dei Comuni coinvolti nella variazione.

Ne deriva che la legge regionale in materia non è una legge a contenuto costituzionalmente vincolato quanto alla individuazione delle popolazioni interessate a partecipare alla consultazione referendaria, avendo la Corte riconosciuto, con la sentenza n. 94 del 2000, "uno spazio al legislatore regionale, oltre che, eventualmente, al legislatore statale, in sede di determinazione dei principi fondamentali".

Secondo la difesa della Regione Lombardia, la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione avrebbe toccato anche l’argomento qui in questione, dato che la materia "circoscrizioni comunali" – ricompresa nell’elenco di materie di competenza legislativa regionale concorrente nel vecchio testo dell’art. 117 Cost. – non è più citata nel nuovo testo dell’art. 117 Cost. e dovrebbe perciò appartenere alla legislazione "residuale" o esclusiva regionale. Ciò dovrebbe eliminare la necessaria interposizione di una legge statale – contenente i principi fondamentali della materia – tra la Costituzione e la legge regionale, con la conseguenza che la corretta interpretazione/attuazione del dettato costituzionale potrebbe essere fatta direttamente dalla legge regionale, alla luce dei principi derivabili dalla giurisprudenza costituzionale.

In questa prospettiva, ad avviso della Regione Lombardia, l’art. 133, secondo comma, Cost. sarebbe una norma di principio, suscettibile di essere riempita di contenuti dal legislatore regionale.

Osserva la Regione che, anche secondo la sentenza n. 94 del 2000 di questa Corte, le popolazioni residenti nelle aree territoriali destinate a passare ad un Comune diverso da quello di cui attualmente fanno parte hanno, nel procedimento che conduce alla variazione territoriale, una posizione particolarmente qualificata, tanto che la volontà da esse espressa deve in ogni caso avere autonoma evidenza nel procedimento, così che il legislatore regionale ne debba tenere conto quando adotta la propria finale determinazione. L’autonoma evidenza della volontà di quegli elettori potrebbe essere bensì salvaguardata da procedure che consentano di conteggiare separatamente il voto di costoro, ma, in tal modo, si rischierebbe di scivolare sul terreno di procedure complesse e di difficile attuazione, che aggraverebbero i procedimenti referendari e ne renderebbero di ardua lettura e interpretazione i risultati da parte del legislatore regionale. Mentre l’obbligatorio interpello dell’intera popolazione del Comune d’origine rischierebbe di porre quantitativamente nel nulla la volontà dei diretti interessati.

La questione, sostiene la Regione, andrebbe allora risolta caso per caso, con attenzione alle peculiarità della vicenda concreta portata all’attenzione del giudice costituzionale.

Ci sarebbe una differenza fra la vicenda del distacco di Boville da Marino (caso che diede origine alla questione risolta con la sentenza n. 433 del 1995) e la vicenda dell’erezione a Comune autonomo di Baranzate, per distacco da Bollate. Una cosa infatti sarebbe l’erezione a Comune autonomo di una frazione (non piccola ma neppure enorme) di un Comune che resta comunque più grande, come nel caso ora all’esame della Corte, altra cosa sarebbe invece l’erezione a Comune autonomo di una larghissima parte del territorio di un Comune preesistente, come avvenne nel caso di Marino. In quel caso, sarebbe stato assurdo non consultare tutta la popolazione di Marino, proprio perché Marino, dopo la scissione di Boville, sarebbe diventato altro da quel che era.

Proprio l’attenzione alle peculiarità del caso di Baranzate, evidenziata dai lavori preparatori della legge regionale n. 21 del 2001, dovrebbe guidare la Corte verso il rigetto della odierna questione di legittimità costituzionale. In particolare, nella memoria si sostiene che il Consiglio regionale lombardo avrebbe attentamente valutato sia la sentenza n. 433 del 1995, sia le eccezioni alla regola generale da questa fissate, ritenendo che il referendum svoltosi si potesse ex post considerare legittimo proprio in quanto tenutosi tra i soli elettori della frazione che domandava di erigersi a Comune autonomo.

Questa istruttoria non sarebbe stata compiuta dal TAR per la Lombardia. L’ordinanza del giudice a quo, infatti, si limiterebbe ad affermare che, nel caso in esame, non risulta ricorrere nessuna delle ipotesi derogatorie rispetto al principio della necessaria consultazione di tutta la popolazione del Comune originario. Ma l’affermazione sarebbe apodittica, senza una parola di dimostrazione. Tale mancanza finirebbe per determinare una irrimediabile carenza di motivazione relativamente alla non manifesta infondatezza della questione sollevata. Il dubbio di costituzionalità sarebbe pertanto manifestamente inammissibile.

In via subordinata, la Regione chiede che la questione di costituzionalità abbia un esito diverso con riguardo alla legge generale sul procedimento e a quella provvedimentale istitutiva del Comune di Baranzate.

La questione relativa alla prima legge potrebbe essere accolta, ma dovrebbe essere rigettata la questione sollevata sulla seconda.

Da una parte, potrebbe essere affermata l’incostituzionalità della previsione normativa, generale e astratta, per cui al referendum consultivo indetto per l’istituzione del nuovo Comune partecipano soltanto gli elettori della frazione che abbia chiesto di essere eretta in Comune autonomo.

Ma, dall’altra parte, questa declaratoria di incostituzionalità non necessariamente travolgerebbe anche la legge istitutiva del Comune di Baranzate, atteso che nella specie il Consiglio regionale lombardo ha effettivamente verificato di fatto e in concreto – sulla base delle condizioni che la Corte ha indicato nella sentenza n. 433 del 1995 – che sussisteva un interesse a partecipare alla consultazione di quella sola parte di popolazione che chiedeva di erigersi in Comune autonomo.

3.2. – Il Comitato "Uniti per Baranzate" fa proprie le ragioni di infondatezza della questione di legittimità costituzionale illustrate dalla Regione Lombardia.

Il Comitato ritiene inoltre la questione di costituzionalità inammissibile per varie ragioni: per inammissibilità del ricorso che ha dato avvio al giudizio a quo, avverso l’atto di nomina del commissario prefettizio, per carenza di interesse e per difetto di legittimazione attiva del Comune di Bollate; perché l’impugnazione dell’atto di indizione dei comizi elettorali sarebbe avvenuta attraverso la non consentita proposizione di motivi aggiunti, modificandosi in tal modo il petitum e ampliandosi il thema decidendum; perché anche rispetto all’impugnativa di tale ultimo atto il Comune di Bollate sarebbe privo di legittimazione attiva e di interesse; perché, infine, sarebbe inammissibile per carenza di interesse e difetto di legittimazione attiva il ricorso proposto dai cittadini elettori Capitani e Confalonieri.

Il difetto di motivazione dell’ordinanza di rimessione su queste questioni pregiudiziali si tradurrebbe in omessa motivazione sulla rilevanza della questione di costituzionalità.

Altro motivo di inammissibilità risiederebbe nel fatto che il giudice a quo non avrebbe valutato la non manifesta infondatezza della questione, avendo omesso ogni necessario riferimento al caso concreto della legge istitutiva del Comune di Baranzate. Il TAR, in particolare, non avrebbe preso in considerazione gli imprescindibili elementi di fatto geografici, ambientali, sociologici e storici che la giurisprudenza costituzionale indica ai fini dell’estensione della nozione di popolazioni interessate, ai sensi dell’art. 133, secondo comma, della Costituzione, e che il Consiglio regionale aveva invece accuratamente valutato per escludere l’estensione del referendum anche alla restante popolazione bollatese.

Secondo la difesa del Comitato, inoltre, la legge regionale n. 28 del 1992 e la legge regionale n. 21 del 2001 andrebbero scrutinate in modo autonomo, e non potrebbe risolversi la questione in termini di incostituzionalità in astratto, quanto alla prima, e di illegittimità automaticamente derivata, quanto alla seconda. Inoltre, la questione di costituzionalità della legge regionale n. 28 del 1992 sarebbe rilevante soltanto nel caso in cui, concretamente, si fosse posta la necessità costituzionale del referendum esteso all’intera popolazione del Comune originario.

Avulsa dal caso concreto, la questione di costituzionalità della legge generale sarebbe irrilevante; e sarebbe parimenti inammissibile la questione sollevata con riferimento alla legge regionale provvedimentale, giacché il giudizio di non manifesta infondatezza andava esperito e motivato in base alla situazione specifica di Baranzate rispetto a Bollate.

A dimostrazione dell’assunto che sulla legge provvedimentale istitutiva del Comune la dichiarazione di incostituzionalità non potrebbe essere automatica, la difesa del Comitato ricorda che, nel caso della sentenza n. 433 del 1995, che ha portato alla pronuncia di incostituzionalità della legge della Regione Lazio sul procedimento legislativo e della legge regionale istitutiva del Comune di Boville, la legge istitutiva del Comune di Fiumicino emerse quale ipotesi derogatoria all’estensione del referendum all’intera popolazione del Comune originario, perfettamente legittima ai sensi dell’art. 133 Cost. Pure la legge istitutiva di Fiumicino, invero, era stata adottata sulla base della medesima legge procedimentale del Lazio "a monte" della legge istitutiva del Comune di Boville, ma non per questo era dato parlarsi di incostituzionalità "derivata", considerato che le condizioni specifiche di Fiumicino erano particolari e che la consultazione di parte limitata della popolazione appariva razionale e costituzionalmente giustificata.

3.3. – Ad avviso del Comune di Bollate, l’art. 10, comma 3, della legge regionale n. 28 del 1992 viola, di per sé, l’art. 133, secondo comma, della Costituzione perché sancisce in via generale ed astratta che soltanto le popolazioni delle frazioni che intendano erigersi in Comune debbano essere sentite, a prescindere da qualsivoglia indagine in ordine alla portata ed agli effetti del distacco e, quindi, al concreto interesse dell’intera popolazione del Comune che subisce il distacco medesimo a partecipare alla consultazione.

La legge regionale precluderebbe ogni diversa valutazione, obbligando il Consiglio regionale a limitare la consultazione ai soli cittadini della frazione.

In ogni caso, nella memoria si esclude che in concreto ricorressero le condizioni in presenza delle quali soltanto può derogarsi al principio generale di estensione del referendum a tutto il Comune e non alla sola frazione. L’istituzione del Comune di Baranzate significherebbe infatti, per il Comune di Bollate, la perdita di circa un quarto della propria popolazione, così finendo con l’incidere, in modo rilevante, sulla consistenza demografica nonché sull’organizzazione e sull’attività del Comune di Bollate. Né, d’altra parte, sussisterebbe alcuna caratterizzazione sociale distintiva della frazione di Baranzate rispetto all’intero Comune.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 133, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 10, comma 3, della legge regionale della Lombardia 7 settembre 1992, n. 28 (Norme sulle circoscrizioni comunali), nonché della intera legge regionale della Lombardia 23 novembre 2001, n. 21 (Istituzione del Comune di Baranzate in Provincia di Milano).

L’art. 10 della legge regionale n. 28 del 1992, nel disciplinare l’effettuazione del referendum per la consultazione delle popolazioni interessate ai fini della istituzione di nuovi Comuni e di mutamenti delle circoscrizioni e delle denominazioni comunali, prevede, al comma 3, che "al referendum indetto per l’istituzione di nuovo Comune o per il mutamento di circoscrizione comunale partecipano soltanto gli elettori della frazione che abbia chiesto di essere eretta in Comune autonomo, o di quella frazione o borgata o porzione di territorio che verrebbe trasferita dall’uno all’altro Comune".

Secondo il remittente, tale disposizione sarebbe in contrasto con l’art. 133, secondo comma, della Costituzione, che impone di sentire, ai fini delle modificazioni territoriali dei Comuni, le "popolazioni interessate", fra le quali dovrebbe ritenersi compresa, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, anche la popolazione residente nella parte del territorio comunale diversa da quella su cui si intende costituire il nuovo Comune.

Il Tribunale ricorda che si può derogare a questo principio in casi eccezionali in cui non sussiste un interesse qualificato, in relazione alla progettata variazione territoriale, in capo all’intera popolazione del Comune originario: ma sostiene che nel caso in esame non ricorrerebbe nessuna di tali ipotesi, e che, prevedendo la norma generale di cui all’art. 10, comma 3, della legge regionale n. 28 del 1992, che la consultazione sia sempre limitata alla sola popolazione della frazione che si intende erigere in Comune autonomo, tale norma generale, nonché la legge istitutiva del Comune di Baranzate, apparirebbero in contrasto con il disposto costituzionale.

2.– Non possono accogliersi le eccezioni di inammissibilità delle questioni, che il Comitato "Uniti per Baranzate" ha sollevato sull’assunto che il Tribunale remittente avrebbe omesso di tener conto di eccezioni di carenza di interesse e di difetto di legittimazione attiva del ricorrente, di inammissibilità dei motivi aggiunti, di erroneità del rito seguito, con ciò incorrendo in un difetto di motivazione della rilevanza. Si tratta, infatti, di eccezioni preliminari sollevate nel giudizio a quo, inidonee di per sé, in presenza di una non implausibile motivazione dell’ordinanza di rimessione in ordine alla rilevanza, e in assenza di ragioni che rendano evidente la mancanza di rilevanza, a precludere alla Corte l’esame del merito (cfr., ad esempio, sentenze n. 79 del 1996 e n. 195 del 1999).

3.– Ulteriori eccezioni di inammissibilità sono state sollevate sia dal Comitato "Uniti per Baranzate", sia dalla Regione Lombardia, sull’assunto che dovrebbero tenersi distinte la legge generale e quella istitutiva del nuovo Comune; che, quanto alla prima, essa non verrebbe in considerazione – con conseguente irrilevanza, secondo il Comitato, della questione – in quanto nella specie sarebbero presenti le particolari condizioni che giustificavano la limitazione del referendum alla sola popolazione della frazione; che, quanto alla seconda, il giudice a quo avrebbe omesso di motivare adeguatamente sulla insussistenza delle predette condizioni, con conseguente difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza.

Si tratta di eccezioni in cui il profilo dell’ammissibilità è strettamente connesso al merito della controversia, e non può essere giudicato indipendentemente da una valutazione circa il rapporto fra la legge generale – e i relativi atti applicativi – e la legge particolare istitutiva del nuovo Comune.

4.– Il Comune di Baranzate è stato istituito dalla Regione Lombardia con la legge impugnata, approvata dal Consiglio il 13 novembre 2001, sulla base di una iniziativa popolare presentata il 21 maggio 1997 (progetto di legge n. 349), seguita dai pareri del Comune di Bollate e della Provincia di Milano (rispettivamente in data 18 luglio e 24 luglio 1997, entrambi sfavorevoli), dalla delibera di indizione del referendum adottata dal Consiglio regionale il 29 settembre 1998 (delibera n. VI/1010), dallo svolgimento dello stesso referendum, fra i soli elettori della frazione di Baranzate, in data 21 marzo 1999 (con la partecipazione del 64% degli elettori e il voto favorevole del 70% dei votanti), da una prima approvazione della legge intervenuta il 19 gennaio 2000, e dal rinvio di tale legge ad opera del Governo (che contestava la violazione dell’art. 133, secondo comma, della Costituzione) con atto del 18 febbraio 2000, cui il Consiglio in scadenza non diede seguito; a sua volta il Consiglio insediatosi dopo le elezioni della primavera del 2000, senza dar seguito al procedimento legislativo svoltosi nella precedente legislatura, e sfociato nel rinvio governativo, riprese tuttavia in esame la proposta di iniziativa popolare presentata nel 1997, ma non diede luogo ad un rinnovo integrale del procedimento, con nuova indizione di referendum, bensì si limitò ad approvare la legge oggi qui impugnata.

L’unica consultazione delle popolazioni interessate alla variazione territoriale, intervenuta in vista della istituzione del nuovo Comune, è dunque quella svoltasi nel 1999 in forza della deliberazione 29 settembre 1998 del Consiglio regionale. Ora, in quella deliberazione l’organo regionale non adottò alcuna determinazione, né quindi alcuna motivazione, in ordine alla individuazione delle "popolazioni interessate" da consultare. Il Consiglio si limitò a "dare atto che, ai sensi del terzo comma dell’art. 10 della l.r. 28/92, partecipano al referendum consultivo gli elettori della frazione Baranzate del Comune di Bollate" (punto 3 del deliberato, cui corrisponde, negli identici termini, un periodo delle premesse).

Non vi è dubbio, dunque, che la norma applicata ai fini della delimitazione della popolazione consultata fu quella, e solo quella, dell’art. 10, comma 3, della legge regionale n. 28 del 1992, la quale stabilisce che la consultazione debba in ogni caso riguardare la sola popolazione della frazione che chiede di essere eretta a Comune o che verrebbe trasferita ad altro Comune, sul presupposto che solo questa sia la "popolazione interessata" alla variazione territoriale; né, in quella sede, venne in alcun modo in esame il problema se altre popolazioni, in specie quella della restante parte del Comune di Bollate, avesse o non avesse un interesse qualificato tale da imporne la consultazione.

5.– Quanto si è osservato è sufficiente per ritenere che, nella specie, la questione di legittimità, sotto il profilo dell’osservanza dell’art. 133, secondo comma, della Costituzione, della legge istitutiva del nuovo Comune non possa essere risolta senza valutare, anzitutto, la legittimità costituzionale della norma generale contenuta nell’art. 10, comma 3, della legge regionale n. 28 del 1992.

La legge regionale n. 21 del 2001, infatti, è una tipica legge provvedimento, adottata sulla base di un procedimento che la legge generale disciplina accuratamente quanto alla fase che va dall’iniziativa alla trasmissione dei pareri e dei risultati del referendum alla commissione consiliare competente per l’ulteriore corso del provvedimento legislativo (cfr. il titolo III, "Norme procedurali", articoli 8-11, della legge regionale n. 28 del 1992). La legge provvedimento, che non innova e tanto meno si sovrappone alla legge generale, sostituendola pro parte, è attuativa della scelta compiuta con quest’ultima, la quale dunque non può considerarsi estranea al presente giudizio.

6.– La questione concernente l’art. 10, comma 3, della legge regionale n. 28 del 1992 è fondata.

Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che spetta alla legge regionale dare attuazione all’art. 133, secondo comma, della Costituzione, individuando le popolazioni interessate alla variazione territoriale; che è sempre costituzionalmente obbligatoria la consultazione delle popolazioni residenti nei territori che sono destinati a passare da un Comune preesistente ad uno di nuova istituzione, ovvero ad un altro Comune preesistente; che, anzi, la volontà espressa nel referendum da tali popolazioni direttamente interessate "deve in ogni caso avere autonoma evidenza nel procedimento, così che il legislatore regionale ne debba tenere conto quando adotta la propria finale determinazione, componendo nella propria conclusiva valutazione discrezionale gli interessi sottesi alle valutazioni, eventualmente contrastanti, emersi nella consultazione" (onde, si può qui aggiungere, non potrebbe meccanicamente applicarsi all’intera popolazione del Comune la previsione del quorum strutturale per la validità del referendum, di cui all’art. 17 della legge regionale della Lombardia 28 aprile 1983, n. 34, recante, tra l’altro, "Nuove norme sul referendum abrogativo della Regione Lombardia", e i risultati del referendum debbono essere distintamente raccolti e valutati con riguardo all’ambito della frazione di cui si chiede il distacco, e con riguardo al restante ambito comunale); che, in linea di principio, anche le popolazioni della restante parte del Comune che subisce la decurtazione territoriale possono essere interessate alla variazione, così che il legislatore regionale, nello stabilire i criteri per individuare l’ambito della consultazione, non può escludere tali ulteriori popolazioni se non sulla base di elementi idonei a fondare ragionevolmente una valutazione di insussistenza di un loro interesse qualificato in rapporto alla variazione territoriale proposta (sentenza n. 94 del 2000; e cfr. anche sentenza n. 433 del 1995).

La legge regionale impugnata adotta invece una regola che porta ad escludere a priori dall’ambito della consultazione – come è avvenuto nella specie – le popolazioni diverse da quelle residenti nei territori oggetto della variazione, indipendentemente da qualsiasi altro criterio di individuazione dell’interesse e da ogni valutazione in concreto circa la sussistenza di tale interesse. Essa non può dunque ritenersi conforme all’art. 133, secondo comma, della Costituzione.

7.– Il Comitato "Uniti per Baranzate" e la Regione Lombardia sostengono che la legge istitutiva del nuovo Comune è stata comunque, in concreto, rispettosa delle condizioni che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, potrebbero consentire di limitare la consultazione referendaria alla sola popolazione della frazione che chiede di erigersi in Comune autonomo, vale a dire una preesistente individualità della comunità costituente la frazione stessa e l’assenza di significativi interessi coinvolti nella variazione, facenti capo alla restante parte del Comune da cui la frazione intende distaccarsi. La presenza di tali condizioni sarebbe stata adeguatamente apprezzata dal Consiglio regionale in sede di approvazione della legge, mentre il TAR remittente l’avrebbe solo apoditticamente negata, così incorrendo in un difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, che renderebbe inammissibile la questione.

La tesi non può essere accolta. Si è già chiarito che, in occasione della indizione del referendum, il Consiglio regionale si è limitato a dare applicazione alla norma generale vigente (l’art. 10, comma 3, della legge regionale n. 28 del 1992), prevedendo la consultazione della sola popolazione della frazione, senza fare alcun apprezzamento circa l’esistenza o meno di un interesse qualificato anche in capo alla popolazione della restante parte del Comune, e dunque, coerentemente, senza motivare in merito.

In sede di approvazione della prima legge, poi rinviata dal Governo, e in seguito in sede di approvazione della legge attuale, il problema è stato bensì evocato, ma senza potere essere oggetto di specifica deliberazione consiliare, bensì nel contesto della discussione di merito circa l’esistenza delle ragioni giustificative della richiesta di istituzione del Comune, e senza che assumesse, né potesse assumere, distinto rilievo una scelta del Consiglio circa l’ambito della consultazione, d’altronde già svoltasi da lungo tempo e "riutilizzata" dal Consiglio nell’ambito della nuova procedura legislativa. Mai, dunque, vi è stata una determinazione in ordine al referendum, nell’ambito della quale, in particolare, si siano valutate ragioni che potessero portare ad escludere l’esistenza di interessi, facenti capo alla restante popolazione del Comune, tali da imporre, in conformità all’art. 133, secondo comma, della Costituzione (e in difformità dalla previsione dell’art. 10 della legge regionale n. 28 del 1992), di estendere ad essa la consultazione.

Le condizioni che possono giustificare la limitazione del referendum alla sola popolazione direttamente interessata alla variazione territoriale (cfr. sentenze n. 433 del 1995 e n. 94 del 2000) debbono essere definite dal legislatore regionale, così che se ne possa apprezzare la ragionevolezza, e comunque la loro esistenza deve essere verificata in concreto dall’organo regionale che delibera di far luogo al referendum, con decisione motivata suscettibile di essere controllata in sede giurisdizionale. Non spetta infatti né al Tribunale amministrativo, in sede di sindacato sugli atti di esecuzione della legge istitutiva del Comune, né tanto meno a questa Corte, in sede di sindacato sulla legittimità costituzionale della stessa legge istitutiva, verificare in concreto, a posteriori, la sussistenza di quelle condizioni. Al Tribunale spetterà invece il controllo giurisdizionale sulla legittimità delle determinazioni con cui quelle condizioni sono state verificate in concreto dall’organo regionale, in sede di determinazione dell’ambito del referendum; mentre a questa Corte spetta soltanto la verifica della congruità costituzionale dei criteri legislativamente stabiliti per tale determinazione, oltre che la verifica della conformità del procedimento legislativo, sfociato nella istituzione del nuovo Comune, ai requisiti costituzionalmente previsti.

8.– Da quanto si è ora osservato discende non solo l’impossibilità di accogliere la prospettazione del Comitato e della Regione circa l’asserito difetto di motivazione dell’ordinanza, ma altresì, nel merito, la conclusione che la questione di legittimità costituzionale concernente la legge regionale n. 21 del 2001 è fondata.

Infatti il relativo procedimento legislativo si è compiuto sulla base di una consultazione referendaria che è stata limitata alla sola frazione di Baranzate, non già in forza di una determinazione motivata del Consiglio regionale, adottata in conformità a criteri e a modalità legittimamente stabiliti dalla legge regionale, e sindacabile sotto questo profilo in sede giurisdizionale, bensì in pedissequa applicazione di una norma – l’art. 10, comma 3, della legge regionale n. 28 del 1992 – che limitava a priori l’ambito della consultazione, e che per questo si è già riconosciuto essere costituzionalmente illegittima.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

a.                      dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, della legge della Regione Lombardia 7 settembre 1992, n. 28 (Norme sulle circoscrizioni comunali);

b.                      dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia 23 novembre 2001, n. 21 (Istituzione del Comune di Baranzate in Provincia di Milano).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2003.