Sentenza n. 195/99

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SENTENZA N. 195

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 14 dicembre 1973, n. 829 (Riforma dell'opera di previdenza a favore del personale dell'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 27 novembre 1996 dal Pretore di Gorizia sul ricorso proposto da Loviscek Ines contro le Ferrovie dello Stato s.p.a., iscritta al n. 104 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1997.

  Visto l'atto di costituzione delle Ferrovie dello Stato s.p.a.;

  udito nell'udienza pubblica del 27 aprile 1999 il giudice relatore Cesare Ruperto;

  udito l'Avvocato Giulio Prosperetti per le Ferrovie dello Stato s.p.a..

Ritenuto in fatto

  1. Nel corso di un procedimento civile - promosso dalla erede di un dipendente delle Ferrovie dello Stato s.p.a., per ottenere il pagamento della indennità di buonuscita dovuta al proprio fratello, suo dante causa, deceduto in servizio in data 5 marzo 1994 - il Pretore di Gorizia, con ordinanza emessa il 27 novembre 1996, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 14 dicembre 1973, n. 829 (Riforma dell’opera di previdenza a favore del personale dell’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato), "nella parte in cui esclude che, nell’assenza dei beneficiari ivi indicati, l’indennità di buonuscita maturata a favore del dipendente, deceduto in attività di servizio, formi oggetto di successione per testamento o, in mancanza, per legge".

  Sottolinea il rimettente che la norma impugnata - applicabile ratione temporis alla fattispecie - riconosce il diritto de quo ai congiunti solo ove questi siano, al momento del decesso, a carico del dipendente (ed, in particolare, alla sorella solo se convivente), con ciò prevedendo, in deroga ai generali principi della successione mortis causa, l’attribuzione dell’intera indennità esclusivamente in favore di determinati soggetti (coniuge, discendenti e familiari conviventi e/o a carico del de cuius), nei cui confronti si ritiene che il decesso abbia influenza sui relativi mezzi di sussistenza. Tuttavia, a giudizio del rimettente, tale disposto trova razionale fondamento nella funzione previdenziale della buonuscita; fondamento che viceversa viene meno in assenza dei soggetti tutelati, allorquando acquista rilievo la concorrente natura retributiva di detta indennità. Per il Pretore a quo, pertanto, la disposizione censurata - là dove, appunto, non prevede che essa indennità possa formare oggetto di successione per testamento o per legge, mancando i beneficiari privilegiati - si pone in contrasto: a) con l’art. 36 Cost., in quanto priva il lavoratore e i suoi aventi causa del corrispettivo della prestazione dell’attività lavorativa già entrato nel patrimonio del lavoratore stesso; b) con l’art. 3 Cost., per l’evidente disparità di trattamento tra i dipendenti delle Ferrovie dello Stato e le altre categorie di lavoratori dipendenti, nei cui confronti opera la normale trasmissibilità del trattamento di fine rapporto o di buonuscita.

  2. Si é costituita nel giudizio la Società "Ferrovie dello Stato-Società di Trasporti e Servizi per Azioni", la quale ha concluso preliminarmente chiedendo la declaratoria di inammissibilità per irrilevanza della sollevata questione nel giudizio a quo. In proposito ha dedotto che il giudice a quo non potrebbe nuovamente pronunciarsi sulla domanda, avendone già precedentemente rigettata un’altra proposta dalla stessa ricorrente (ugualmente diretta ad ottenere la corresponsione della medesima indennità) ma nella quale non era stata sottolineata dalla istante la propria qualità di erede del dipendente defunto. Secondo la deducente, il giudice a quo sarebbe infatti tenuto a dichiarare l’inammissibilità o l’improcedibilità della nuova domanda, per violazione del divieto del ne bis in idem, con ciò verificandosi un’ipotesi di evidente carenza di potere giurisdizionale del rimettente stesso.

  Nel merito, la società Ferrovie dello Stato ha concluso per la declaratoria d'infondatezza della sollevata questione, rilevando che la tendenziale equiparazione dei trattamenti di fine rapporto nei settori pubblico e privato, agli effetti della trasmissibilità iure hereditatis delle indennità, in mancanza dei soggetti diversamente individuati nelle varie normative di settore aventi titolo iure proprio, trova la sua ratio nel riconoscimento - quando la funzione strettamente previdenziale del trattamento venga meno - della sua natura di retribuzione differita, acquisibile, al pari di ogni altra erogazione d’ordine economico, al patrimonio del de cuius nel momento del decesso, in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro, con conseguente trasmissibilità agli eredi.

  Peraltro, secondo la parte, il suddetto carattere di retribuzione differita - certamente sussistente nel regime privatistico (in ragione del graduale accantonamento delle somme in corso di rapporto, commisurato alla retribuzioni via via maturate), ma già attenuato rispetto alle altre indennità nei settori pubblico e del parastato - viene del tutto meno nel sistema assistenziale dei dipendenti dell'Ente Ferrovie dello Stato, preesistente alla privatizzazione, in cui l’OPAFS (Opera di Previdenza a favore del personale dell’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato) gestiva, alimentandole con le proprie risorse, oltre le indennità de quibus, numerose altre prestazioni (quali assegni integrativi per malattia al personale in servizio; assegni previdenziali al personale esonerato dal servizio senza diritto a pensione, poichè riconosciuto inidoneo, ed ai superstiti; assegni temporanei agli orfani; sussidi scolastici; sussidi funerari; sussidi soggiorno vacanze in favore dei figli dei ferrovieri). Da ciò, la predominanza dell’aspetto specificamente mutualistico, previdenziale e assistenziale di tale sistema chiuso, caratterizzato, oltre che da specifiche modalità di finanziamento, anche dal particolare tipo di prestazione erogata e dalla insussistenza di un fondo autonomo destinato alla buonuscita dei dipendenti, nonchè dalle peculiari modalità di liquidazione della stessa.

  Tali specificità, secondo la parte privata costituita, rendono inconfigurabili i prospettati dubbi di costituzionalità, sia sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto agli altri diversi sistemi di attribuzione ai superstiti del trattamento in oggetto, sia sotto quello della tutela del diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità di lavoro prestato e comunque sufficiente ad assicurare i mezzi di sostentamento per sè ed il proprio nucleo familiare, non essendo esclusa dalla Costituzione una disciplina differenziata del trattamento di fine rapporto.

Considerato in diritto

  1. - Il Pretore di Gorizia dubita della legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 14 dicembre 1973, n. 829 (Riforma dell’opera di previdenza a favore del personale dell’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato), "nella parte in cui esclude che, nell’assenza dei beneficiari ivi indicati, l’indennità di buonuscita maturata a favore del dipendente, deceduto in attività di servizio, formi oggetto di successione per testamento o, in mancanza, per legge".

  Secondo il rimettente, la norma impugnata si pone in contrasto: a) con l’art. 36 Cost., in quanto priva il lavoratore e i suoi eredi del corrispettivo della prestazione dell’attività lavorativa già entrato nel patrimonio del lavoratore stesso; b) con l’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento tra i dipendenti dell’Ente Ferrovie dello Stato e le altre categorie di lavoratori subordinati, nei cui confronti opera invece la normale trasmissibilità ereditaria del trattamento di fine rapporto o di buonuscita.

  2. - In via preliminare, va esaminata l’eccezione di inammissibilità per irrilevanza, proposta dalla costituita parte privata sull’assunto che il Pretore rimettente (se non a costo di incorrere nella violazione del divieto del ne bis in idem) non potrebbe comunque pronunciarsi, neanche all’esito del presente incidente di costituzionalità, sulla domanda azionata nel giudizio a quo, avendone egli già precedentemente rigettata un’altra - ugualmente diretta ad ottenere la corresponsione della medesima indennità -, proposta a suo tempo dalla stessa ricorrente in qualità di sorella del de cuius.

  In proposito va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la valutazione della rilevanza spetta in via principale al giudice a quo, e può essere disattesa solo se palesemente incongrua o non plausibile, ovvero contraddetta dagli atti: non essendo dato trasferire nel giudizio di costituzionalità valutazioni che trovino, viceversa, appropriata sede nel processo principale (cfr. sentenze n. 227 del 1998, n. 340 e n. 2 del 1996). D'altronde, emerge dal contesto dell’ordinanza di rimessione, dove é evidenziato che la ricorrente agisce in qualità di erede, e dalla stessa memoria di costituzione della Società Ferrovie dello Stato, l’insussistenza, nella specie, di un’identità di domande (le quali appaiono palesemente diverse quanto a causae petendi) e, quindi, l’inconfigurabilità delle asserite eventuali ipotesi alternative di già intervenuto giudicato o di litispendenza.

  L'eccezione d'inammissibilità é pertanto da disattendere.

  3. - Nel merito, la questione é fondata.

  3.1. - Giova rammentare che, all’esito di una complessa fase di evoluzione giurisprudenziale, questa Corte é definitivamente pervenuta al superamento dell’iniziale affermazione del carattere meramente previdenziale dei vari trattamenti di fine rapporto nel settore pubblico, dei quali - così come in precedenza era avvenuto per quelli del settore privato - é stata infine esplicitamente riconosciuta l’essenziale natura di retribuzione differita, pur se legata ad una concorrente funzione previdenziale (v. sentenze n. 243 e n. 99 del 1993). Trattasi infatti di indennità che costituiscono una porzione del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corresponsione é differita - appunto in funzione previdenziale - al fine di agevolare la soluzione di eventuali difficoltà economiche che possano insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione.

  Ben si comprende, allora, perchè e come sia stato ritenuto che la corrispondente percentuale di indennità, nel caso di decesso del lavoratore in servizio, faccia già parte integrante del patrimonio del de cuius; e che qualunque forma di devoluzione di essa a quei determinati soggetti indicati dalle varie normative, in quanto anomala, possa trovare razionale fondamento e giustificazione esclusivamente nella concorrente funzione previdenziale dell'indennità medesima. Funzione che, infatti, torna ad assumere rilievo in ragione della peculiare integrazione di quei soggetti nel nucleo familiare del de cuius, dal quale essi ricevevano un sostentamento, venuto a cessare in tutto o in parte dopo la sua morte (v. sentenza n. 243 del 1997).

  Ma altrettanto evidente appare, ed é stato ritenuto, che in assenza dei soggetti stessi - a favore dei quali opera una riserva legale di destinazione - la menzionata concorrente funzione previdenziale perde codesta rilevanza tipica, espandendosi in tutta la sua portata la natura retributiva dell’indennità; con la conseguenza che la devoluzione mortis causa di questa deve rimanere soggetta alle generali regole successorie (v. la già citata sentenza n. 243 del 1997, nonchè la sentenza n. 106 del 1996, richiamata dal rimettente).

  3.2. - Riaffermata la connotazione unitaria, per natura e per funzione, di tutte le indennità di fine rapporto - la quale non risente dell’esistenza di specifiche regolamentazioni riguardanti i particolari meccanismi di provvista, i soggetti gravati dall’onere contributivo e quelli tenuti ad erogare il trattamento, nonchè le differenti modalità di erogazione (che non ne fanno venir meno la richiamata omogeneità quanto a natura e funzione) - é sufficiente in questa sede ribadire che essa comporta la generale applicabilità a qualsiasi tipo di rapporto di lavoro subordinato, dei relativi principi informatori della materia e, in particolare, delle disposizioni sulla successione ereditaria.

  E dunque, identica essendo la ratio decidendi rispetto a tutte le già intervenute pronunce d’illegittimità costituzionale delle analoghe normative disciplinanti l’attribuzione ai superstiti nella forma indiretta delle diverse indennità di fine rapporto nei settori privati e pubblici (v. sentenze n. 243 del 1997, n. 106 del 1996, n. 319 del 1991, n. 471 del 1989 e n. 8 del 1972), va dichiarata, in riferimento all’art. 3 Cost., l’illegittimità costituzionale anche del denunciato art. 16 della legge n. 829 del 1973, nella parte in cui esclude che, in assenza dei beneficiari ivi indicati, l’indennità di buonuscita maturata a favore del dipendente, deceduto in attività di servizio, formi oggetto di successione per testamento o, in mancanza, per legge.

  Restano assorbiti gli ulteriori profili legati all’altro parametro evocato dal rimettente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara l’illegittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 14 dicembre 1973, n. 829 (Riforma dell’opera di previdenza a favore del personale dell’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato), nella parte in cui esclude che, nell’assenza dei beneficiari ivi indicati, l’indennità di buonuscita formi oggetto di successione per testamento o, in mancanza, per legge.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 maggio 1999.