Ordinanza n. 517/2000

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ORDINANZA N. 517

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, settimo comma, della legge 27 maggio 1959, n. 324 (Miglioramenti economici al personale statale in attività ed in quiescenza) e dell'art. 130, ultimo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 3 dicembre 1998 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, sul ricorso proposto da Fontana Gaetano contro la Direzione provinciale del tesoro di Lecce, iscritta al n. 286 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1999.

Visto l'atto di intervento di Pellitteri Domenico, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 27 settembre 2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, con ordinanza del 3 dicembre 1998 (r.o. n. 286 del 1999) ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 2, settimo comma, della legge 27 maggio 1959, n. 324 (Miglioramenti economici al personale statale in attività ed in quiescenza) e 130, ultimo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), con riferimento all'art. 36 della Costituzione;

che il giudice a quo, dopo una breve rassegna delle sentenze già pronunciate in materia dalla Corte dei conti, anche in Sezioni riunite, conclude che, in forza di varie disposizioni vigenti, sarebbe da ritenere sussistente, tuttora, nell'ordinamento, il divieto di cumulo in presenza di due o più retribuzioni o di due o più trattamenti di quiescenza ovvero di retribuzione e pensione (art. 1, quarto comma, della legge n. 324 del 1959; art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973; art. 2, settimo comma, della legge n. 324 del 1959; art. 17 della legge n. 843 del 1978 ed art. 15 del d.l. n. 663 del 1979, convertito in legge n. 33 del 1980);

che - sottolinea il giudice rimettente - l'orientamento giurisprudenziale delle Sezioni riunite della stessa Corte dei conti, favorevole al riconoscimento della esistenza nell'ordinamento del divieto di cumulo di due o plurime indennità integrative su pensione e retribuzione, costituisce il "diritto vivente" e ne chiede, quindi, la verifica sul piano costituzionale;

che, sempre secondo il giudice rimettente, perdurando l'inerzia del legislatore, al quale spettava l'individuazione concreta del limite al di sotto del quale tale divieto non può essere operante, riprenderebbe vigore l'art. 2, settimo comma, della legge n. 324 del 1959, che pone, in termini generali, il divieto di cumulo delle indennità integrative speciali; ne deriverebbe violazione dell'art. 36 della Costituzione, in quanto l'indennità integrativa costituirebbe l'ammontare minimo necessario per far fronte alle normali esigenze di vita, cosicchè non potrebbe essere legittimamente negata o sospesa;

che in punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che dall'accoglimento della presente questione deriverebbe il buon esito del giudizio principale;

che nel giudizio introdotto con l'ordinanza sopra richiamata é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha eccepito la inammissibilità della questione ed ha concluso per la infondatezza della stessa;

che nel giudizio di legittimità costituzionale é intervenuto Pellitteri Domenico, il quale ha giustificato il proprio intervento con il fatto che ha pendente analogo ricorso al fine di ottenere le indennità in questione nel periodo in cui ha prestato opera retribuita alle dipendenze di un istituto pubblico, concludendo, nella ipotesi in cui la normativa di cui sopra dovesse ritenersi ancora attuale, per la fondatezza della questione;

che nell'imminenza della data fissata per la camera di consiglio, l'interveniente Pellitteri Domenico ha depositato una memoria, con la quale ribadisce le proprie conclusioni.

Considerato che con atto depositato in data 11 giugno 1999 Pellitteri Domenico ha dichiarato di voler intervenire nel giudizio per il quale é stata fissata la camera di consiglio del 27 settembre 2000;

che il predetto interveniente non é stato parte in causa nel giudizio a quo, e conseguentemente, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte, deve essere riaffermata la inammissibilità nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale di intervento di soggetti che non siano parte in causa nel giudizio a quo, a nulla rilevando l'eventuale partecipazione ad altri giudizi di identico o analogo oggetto (v., da ultimo, sentenza n. 300 del 2000);

che il giudice rimettente muove da un erroneo presupposto secondo cui persisterebbe, nell’ordinamento vigente, un divieto generale di cumulo tra due indennità integrative speciali su pensioni o retribuzioni, secondo un asserito diritto vivente discendente da sentenze delle Sezioni riunite della Corte dei conti risalenti al 1994 e al 1997, laddove, invece, una tale interpretazione doveva e deve ancora oggi - nonostante la sopravvenuta sentenza delle Sezioni riunite della stessa Corte 3 gennaio 2000, peraltro non seguita da numerose e più recenti sentenze nelle diverse sedi regionali e centrali - ritenersi tutt’altro che maggioritaria o prevalente. Ne consegue che tra le diverse interpretazioni sulla persistenza del divieto, il giudice poteva scegliere una interpretazione diversa, da quella che lo stesso giudice dimostra di ritenere incostituzionale;

che il giudice a quo non tiene conto delle conseguenze ricollegabili alla cessazione di efficacia - a seguito delle sentenze n. 566 del 1989 e n. 232 del 1992 di questa Corte - del divieto generalizzato di cumulo dell’indennità in questione con altra indennità identica o analoga contenuto nelle norme statali che prevedevano tale divieto, ma non fissavano un limite al di sotto del quale tale divieto non poteva essere operante;

che il legislatore - giova sottolineare - non é affatto tenuto, sul piano della costituzionalità, a seguire la via obbligata del divieto di cumulo tra indennità integrative speciali derivanti da trattamenti di pensione o da prestazioni lavorative, essendogli consentita una serie di soluzioni diverse, ferma l'esigenza di un equilibrio finanziario del sistema retributivo-pensionistico;

che un divieto di cumulo ormai caducato non può rivivere, sotto forma di interpretazione, senza un intervento del legislatore, cui deve restare la discrezionalità della scelta tra le diverse soluzioni, anche con differenziazioni temporali collegate alla diversa nuova natura dell’indennità anzidetta, in relazione al conglobamento pensionistico e alla diminuita incidenza del problema a partire dal 1994 (legge 23 dicembre 1994, n. 724);

che dalla giurisprudenza della Corte emerge il principio che la soluzione esclusa sul piano della legittimità costituzionale é solo quella del divieto generalizzato di cumulo di indennità integrativa speciale non accompagnato da una previsione legislativa di un limite al di sotto del quale sia preclusa l’operatività del divieto;

che, per altro riguardo, a seguito del d.P.R. 29 dicembre 1073, n. 1092, la disposizione sul cumulo della indennità contenuta nell'art. 2, settimo comma, della legge 27 maggio 1959, n. 324 (sostituito dall’art. 4 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1081) é da ritenersi espunta dal sistema per abrogazione (ordinanza n. 438 del 1998), in base alla clausola abrogativa generale contenuta nell’art. 254 dell’anzidetto d.P.R n. 1092 del 1973, nonchè a seguito di sostanziale trasfusione in altra norma (art. 99, commi secondo e quinto, dello stesso d.P.R.), contenente disciplina completa riguardo all'anzidetto cumulo, dichiarata poi costituzionalmente illegittima con le citate sentenze n. 566 del 1989 e n. 494 del 1993 ;

che l’altra disposizione denunciata, ossia l'art. 130, ultimo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, non ha un contenuto autonomo e presuppone l’esistenza di un divieto di cumulo valido ed operante e non può riguardare ormai l’indennità integrativa speciale, per cui non ha un legame attuale con il preteso divieto di cumulo della stessa indennità, ed é quindi irrilevante ai fini della questione prospettata;

che pertanto la questione sollevata deve ritenersi, sotto ogni profilo, manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, settimo comma, della legge 27 maggio 1959, n. 324 (Miglioramenti economici al personale statale in attività ed in quiescenza) e 130, ultimo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevata, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 novembre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 21 novembre 2000.