Ordinanza n. 438/98

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ORDINANZA N.438

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 1, quarto comma, e 2, sesto e settimo comma, della legge 27 maggio 1959, n. 324 (Miglioramenti economici al personale statale in attività ed in quiescenza), promossi con n. 2 ordinanze emesse il 5 marzo ed il 25 settembre 1997 dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana sui ricorsi proposti da Borgese Antonino e da Gulisano Santo contro la Direzione provinciale del Tesoro di Palermo iscritte al n. 470 del registro ordinanze 1997 ed al n. 86 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell’anno 1997 e n. 9, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Visti gli atti di costituzione di Borgese Antonino, di Gulisano Santo nonchè gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 novembre 1998 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

uditi l’avvocato Paolo Guerra per Gulisano Santo e l’Avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che nel corso del giudizio in materia pensionistica promosso da Borgese Antonio avverso il provvedimento di revoca dell’indennità integrativa speciale e della tredicesima mensilità emesso dalla Direzione provinciale del Tesoro di Palermo la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, quarto comma, e 2, sesto comma, della legge 27 maggio 1959, n. 324 (Miglioramenti economici al personale statale in attività ed in quiescenza), in riferimento agli artt. 36 e 136 della Costituzione;

che il giudice a quo ha premesso che nei confronti del ricorrente, già appuntato dei Carabinieri in pensione, é stata disposta la revoca dell’indennità integrativa speciale e della tredicesima mensilità (con contestuale recupero delle somme indebitamente percepite) in relazione ai periodi per i quali era stato accertato lo svolgimento di altra attività lavorativa retribuita presso una diversa amministrazione statale;

che tanto la legge n. 324 del 1959 quanto il successivo d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, prevedevano che l’indennità integrativa speciale potesse essere percepita una volta sola, e ciò sia per i pensionati che svolgono un’altra attività, sia per i percettori di due o più pensioni;

che il divieto di cumulo di due o più indennità integrative speciali deve però ritenersi venuto meno in forza delle sentenze n. 566 del 1989 e n. 232 del 1992 di questa Corte, le quali hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale del divieto generalizzato di cumulo dell’indennità in questione con altra indennità analoga e con la tredicesima mensilità nella parte in cui le norme allora impugnate non fissavano un limite al di sotto del quale tale divieto non può essere operante;

che, perdurando l’inerzia del legislatore, al quale spettava l’individuazione concreta di tale limite, le Sezioni riunite della Corte dei conti, con sentenza 13 luglio 1994, n. 100/C, hanno ritenuto di poter colmare la lacuna mediante l’applicazione analogica degli artt. 1 e 2 della legge n. 324 del 1959 e dell’art. 130 del d.P.R. n. 1092 del 1973, riconoscendo che fino all’intervento (futuro) del legislatore, espressamente previsto dalla Corte costituzionale nelle sentenze sopra menzionate, deve ritenersi ancora sussistente il divieto di doppia percezione dell’indennità in questione;

che siffatto orientamento giurisprudenziale appare alla Sezione rimettente in palese contrasto con le citate sentenze di questa Corte (cui vanno aggiunte le sentenze nn. 204 e 494 del 1993), in quanto idoneo a far rivivere, in pratica, le norme già dichiarate costituzionalmente illegittime;

che, a parere del giudice a quo, questa Corte ha il potere di sindacare un’interpretazione giurisprudenziale che abbia assunto i caratteri del diritto vivente, se la medesima si risolve in una sostanziale lesione del giudicato costituzionale;

che nel giudizio davanti a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, evidenziando l’insufficiente motivazione dell’ordinanza di rimessione;

che nel corso di altro giudizio in materia pensionistica promosso da Gulisano Santo avverso il provvedimento di revoca dell’indennità integrativa speciale emesso dalla Direzione provinciale del Tesoro di Catania, la medesima Sezione giurisdizionale della Corte dei conti ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, settimo comma, della legge 27 maggio 1959, n. 324, in riferimento all’art. 36, primo comma, della Costituzione;

che le medesime Sezioni riunite della Corte dei conti, con successiva sentenza 16 luglio 1997, n. 39/40, hanno sostanzialmente mantenuto l’indirizzo di cui sopra, dimostrando di seguire un’interpretazione ugualmente censurabile dal punto di vista della legittimità costituzionale;

che sulla base di questo dato giurisprudenziale, assunto in termini di diritto vivente, il giudice a quo ritiene che la presunta vigenza dell’art. 2, settimo comma, della legge n. 324 del 1959 sia in contrasto con il richiamato parametro costituzionale;

che anche in questo giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la sollevata questione venga dichiarata inammissibile o comunque infondata;

che davanti a questa Corte si é costituito Gulisano Santo, con apposita memoria, sollecitando l’accoglimento della prospettata questione ovvero l’emissione di una pronuncia che riconosca come le norme oggi impugnate siano da considerarsi già colpite dalle precedenti declaratorie di illegittimità costituzionale.

Considerato che i giudizi, vertendo su questioni sostanzialmente identiche, possono essere riuniti per una decisione contestuale;

che – in base a quanto affermato in altre occasioni (sentenza n. 295 del 1991 e ordinanza n. 524 del 1990) – non é consentito a questa Corte fornire l’interpretazione autentica o l’eventuale correzione delle proprie precedenti decisioni (nel presente caso si fa riferimento alle sentenze n. 376 del 1994, n. 494 del 1993, n. 232 del 1992, n. 204 del 1992 e n. 566 del 1989);

che l’art. 254 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, ha espressamente abrogato tutte le norme "relative al trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, vigenti alla data del 21 dicembre 1973", con eccezione di quelle richiamate nel medesimo testo unico;

che nella specie l’art. 2, sesto e settimo comma, della legge 27 maggio 1959, n. 324, attualmente sottoposto a scrutinio é da ritenersi espunto dal sistema, siccome sostanzialmente trasfuso in altra norma, la quale é già stata colpita da declaratoria di illegittimità costituzionale in parte qua (v. l’art. 99, secondo e quinto comma, d.P.R. n. 1092 del 1973, dichiarato costituzionalmente illegittimo con le sentenze n. 566 del 1989 e n. 494 del 1993); nè é ammissibile l’esame degli evocati artt. 1, quarto comma, della legge 27 maggio 1959, n. 324, cit., e 130 del medesimo d.P.R. n. 1092 del 1973, relativi a fattispecie diverse, dal momento che, rispettivamente, il giudizio a quo non concerne l’ipotesi di cumulo di impieghi, e l’indennità integrativa speciale non ha più la caratteristica di effettiva accessorietà (v. le sentenze n. 243 del 1993 e n. 115 del 1990);

che pertanto le questioni sollevate, riguardando norme inesistenti o comunque irrilevanti, debbono ritenersi manifestamente inammissibili.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, quarto comma, e 2, sesto e settimo comma, della legge 27 maggio 1959, n. 324 (Miglioramenti economici al personale statale in attività ed in quiescenza) sollevate, in riferimento agli artt. 36 e 136 della Costituzione, dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, con le ordinanze di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Fernando SANTOSUOSSO

Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1998.