Sentenza n.232 del 1992

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SENTENZA N.232

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

-      Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-      Prof. Giuseppe BORZELLINO

-      Dott. Francesco GRECO

-      Prof. Gabriele PESCATORE

-      Avv. Ugo SPAGNOLI

-      Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-      Prof. Antonio BALDASSARRE

-      Avv. Mauro FERRI

-      Prof. Luigi MENGONI

-      Prof. Enzo CHELI

-      Dott. Renato GRANATA

-      Prof. Francesco GUIZZI

-      Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 97, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) promosso con ordinanza emessa l'8 febbraio 1991 dalla Corte dei conti - Sezione terza giurisdizionale - sul ricorso proposto da Della Gatta Maria, iscritta al n. 733 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 1° aprile 1992 il Giudice relatore Gabriele Pescatore.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza dell'8 febbraio 1991, la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale - ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 97, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui dispone che al titolare di pensione o di assegno rinnovabile, che presta opera retribuita alle dipendenze dello Stato, di amministrazioni pubbliche o di enti pubblici, non compete la tredicesima mensilità per il periodo in cui ha prestato detta opera retribuita.

La Corte dei conti dubita della legittimità costituzionale della norma sulla base dei seguenti argomenti:

a) la tredicesima mensilità ha natura retributiva, attenendo strettamente allo stipendio;

b) in quanto tale, essa non Potrebbe non essere trasfusa nella pensione (o nelle più pensioni godute dal medesimo titolare);

c) il mancato computo comporterebbe il vulnus degli artt. 3 e 36 della Costituzione, rispettivamente per disparità di trattamento fra dipendenti in servizio ed in quiescenza, con riguardo alla medesima voce pensionabile, e per mancata proporzionalità della pensione, in quanto retribuzione differita, alla quantìtà-qualità del lavoro prestato.

L'ordinanza é stata ritualmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.

La determinazione del quantum del trattamento di quiescenza - osserva l'Avvocatura - é problema di politica legislativa, censurabile solo se inficiata da un manifesto difetto di criteri di ragionevolezza.

Non sembra irragionevole, peraltro, il trattamento differenziato tra il pensionato statale, che, non svolgendo altre attività lavorative alle dipendenze dello Stato, percepisce la tredicesima mensilità sul trattamento pensionistico e il pensionato statale che, pur essendo collocato a riposo, presta la propria attività lavorativa come dipendente pubblico e non percepisce la tredicesima mensilità sulla pensione, percependola invece sul trattamento retributivo in atto.

La diversa situazione nelle due fattispecie giustifica il trattamento differenziato, che, del resto, appare del tutto ragionevole anche in considerazione della ratio della norma, che é quella di limitare gli esborsi dello Stato, di amministrazioni pubbliche o di enti pubblici, in relazione ad una prestazione che non trova giustificazione nel fine previdenziale cui é destinata.

Altrettanto inconsistente sarebbe la pretesa violazione dell'art.36 Cost.

L'adeguatezza della retribuzione va valutata infatti con riferimento all'intero trattamento economico e non alle singole fonti o alle prestazioni accessorie. Non può dunque ritenersi pensionistico, pur decurtato del tredicesimo rateo ed in presenza di una ulteriore retribuzione in atto, sempre a carico dello Stato o di altra pubblica amministrazione, non sia adeguato alle prescrizioni del primo comma dell'art. 36 Cost.

Considerato in diritto

l. -L'art. 97, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, è stato impugnato nella parte in cui dispone che al titolare di pensione o di assegno rinnovabile, che presta opera retribuita alle dipendenze dello Stato, di amministrazioni pubbliche o di enti pubblici non compete la tredicesima mensilità per il periodo in cui ha prestato detta opera retribuita.

La previsione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 36 della Costituzione, rispettivamente per disparità di trattamento fra dipendenti in servizio ed in quiescenza, con riguardo alla medesima base pensionabile, e per mancata proporzionalità della pensione alla quantità e qualità del lavoro prestato.

La questione si è posta nel corso del giudizio promosso avverso il provvedimento di recupero di un credito erariale relativo a somme indebitamente erogate a titolo di indennità integrativa speciale e tredicesima mensilità. II giudice remittente, sulla base di quanto statuito da questa Corte con sentenza n. 566 del 1989, disponeva istruttoria con riferimento alla effettiva percezione dell'indennità integrativa speciale; sollevava invece incidente di costituzionalità per quanto concerne la tredicesima mensilità.

2. - La questione è fondata.

Con la sentenza n. 566 del 1989, questa Corte ha affermato che, in caso di concorso della pensione con altra prestazione retribuita, è ragionevole che il legislatore tenga conto della maggiorazione di compenso derivante al pensionato a seguito della nuova attività e, dunque, non è di per sè illegittima l'eventuale riduzione del trattamento pensionistico complessivo.

Tuttavia, tale riduzione può essere giustificata e risultare quindi compatibile col principio stabilito dall'art. 36, primo comma, della Costituzione, soltanto se è correlata ad una retribuzione della nuova attività, tale che ne giustifichi la misura.

Di conseguenza, sono illegittime le norme che <implicano una sostanziale decurtazione del complessivo trattamento pensionistico, senza stabilire il limite minimo dell'emolumento dell'attività esplicata, in relazione alla quale tale decurtazione diventa operante>.

Analoghe enunciazioni sono state poste a fondamento della sentenza n. 204 del 1992, con cui questa Corte ha dichiarato l'illegittimità degli artt.17, primo comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 843 e 15 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n.663, nella parte in cui non determinano la misura della retribuzione, oltre la quale diventano operanti l'esclusione e il congelamento dell'indennità integrativa speciale.

La questione ora all'esame non si sottrae alle stesse rationes decidendi.

Mentre è ragionevole infatti che il legislatore tenga conto del maggior introito percepito dalla persona titolare di pensione che presti opera retribuita, la decurtazione del trattamento pensionistico complessivo non può essere disposta, senza stabilire il limite minimo dell'emolumento dell'attività esplicata, oltre il quale la decurtazione diventa operante.

La determinazione del limite e delle connesse statuizioni, ivi compresa quella concernente la decorrenza, spetta al legislatore e deve attuarsi in modo da salvaguardare il precetto dall'art. 36, primo comma, della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 97, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui non determina la misura della retribuzione, oltre la quale non compete la tredicesima mensilità.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/05/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Gabriele Pescatore, Redattore

Depositata in cancelleria il 27/05/92.