Sentenza n. 420/2000

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 420

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Francesco GUIZZI, Presidente

- Cesare MIRABELLI

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera del 16 dicembre 1998 della Camera dei deputati relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall'on. Vittorio Sgarbi nei confronti di Stefania Ariosto, promosso con ricorso del Tribunale di Como, sezione penale, notificato il 26 luglio 1999, depositato in cancelleria il 5 agosto 1999 ed iscritto al n. 27 del registro conflitti 1999.

Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;

udito nell'udienza pubblica del 22 febbraio 2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

udito l'avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1.- Il Tribunale di Como, nel corso di un procedimento penale a carico del deputato del Parlamento Vittorio Sgarbi per il reato di diffamazione, ha sollevato, con ordinanza in data 20 gennaio 1999, conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla deliberazione del 16 dicembre 1998, con la quale è stato dichiarato che i fatti per i quali è in corso detto procedimento riguardano opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari, e, come tali, insindacabili, a norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il collegio ricorrente ha premesso che il deputato Sgarbi era stato tratto a giudizio con decreto del Giudice per l'udienza preliminare 29 gennaio 1997, per rispondere del reato di cui agli artt. 595 codice penale e 30, commi 4 e 5, della legge 6 agosto 1990, n. 223, a seguito di talune dichiarazioni rese nel corso del programma televisivo Sgarbi quotidiani, trasmesso dalla rete televisiva Canale 5, nei giorni 28 maggio, 10 e 11 giugno 1996, con le quali aveva offeso la reputazione di Stefania Ariosto, attribuendole una serie di fatti determinati, in particolare accusandola "di avere vissuto in maniera parassitaria, per molti anni, alla corte di uomini ricchi e potenti e di aver tratto in tal modo i mezzi per vivere senza lavorare; di aver svolto la professione di antiquario con scarse competenze, scorrettamente ed affermando il falso in relazione al valore di due inginocchiatoi, di una statua romana e di un libro d'ore; di essere piena di debiti e di giocare in tutti i Casinò del mondo avendo rapporti con gli usurai; di avere rapporti sconvenienti con la televisione avendo beneficiato di una intervista definita marchetta del TG1"; definendola inoltre con disprezzo con il termine pentita in relazione alla qualità di testimone assunta in un procedimento penale ed accusandola di avere, in quella sede, dichiarato il falso; apostrofandola, inoltre, con tono arrogante e violento accompagnato ripetutamente da frasi volgari.

Nel corso del dibattimento, il deputato Sgarbi, dopo aver reso spontanee dichiarazioni contestando nel merito l’accusa formulata nei suoi confronti, aveva sostenuto che le opinioni da lui espresse nel corso delle trasmissioni televisive di cui si trattava dovevano considerarsi manifestazione della sua attività di parlamentare lato sensu considerata, con la conseguenza che l’autorità giudiziaria non avrebbe potuto procedere nei suoi confronti in relazione ad esse, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione. Con ordinanza del 21 novembre 1997, il Tribunale, che non condivideva l’assunto difensivo, aveva disposto la trasmissione degli atti alla Camera dei deputati, affinché la stessa valutasse la sussistenza della insindacabilità delle espressioni per le quali si procedeva, sulla base della procedura prevista dall’art. 2, comma 11, del decreto-legge 10 maggio 1996, n. 253, in vigore all’epoca dei fatti, e da ritenersi applicabile nonostante la mancata conversione in legge, attenendo la valutazione sulla esistenza di una causa di non punibilità al diritto sostanziale. Contestualmente, lo stesso Tribunale aveva disposto la sospensione del dibattimento, in attesa della decisione della Camera, che avrebbe dovuto deliberare entro novanta giorni: peraltro, non essendo intervenuta entro detto termine la deliberazione, il procedimento era stato ripreso alle udienze del 20 ottobre 1998 e del 17 dicembre 1998. All’inizio di quest’ultima udienza, era pervenuta la comunicazione della delibera parlamentare del 16 dicembre 1998, che, respingendo la motivata, contraria proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, aveva dichiarato la insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi.

Il Tribunale di Como ritiene che la propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, sia stata illegittimamente menomata dalla predetta decisione della Camera dei deputati. Al riguardo, il Collegio ribadisce che le affermazioni contestate al deputato Sgarbi sembrano non avere contenuto politico, ma piuttosto trascendere su di un piano di mero dileggio e di insulto personale nei confronti della Ariosto, ed essere del tutto svincolate sia da considerazioni di carattere politico, sia da connessioni con il dibattito parlamentare, anche ove si voglia ritenere che le vicende in cui è stata coinvolta la signora Ariosto abbiano avuto una notevole rilevanza pubblica. Infine, ad avviso dei giudici, le modalità di estrinsecazione delle opinioni del deputato Sgarbi ed i termini da lui adoperati sarebbero assolutamente estranei all’esercizio delle funzioni parlamentari, sia pure latamente intese.

Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale di Como ha proposto "ricorso per conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato in relazione alla più volte citata delibera 16 dicembre 1998 della Camera", che aveva affermato la insindacabilità delle opinioni espresse da Vittorio Sgarbi, con implicita richiesta che la Corte risolva il conflitto ed emetta le pronunce consequenziali di dichiarazione del potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione e di eventuale annullamento.

2.- La Corte, con ordinanza n. 362 del 1999, depositata il 22 luglio 1999, ha dichiarato ammissibile il conflitto di attribuzione sollevato dal Tribunale di Como.

3.- L'atto introduttivo del conflitto e l'ordinanza della Corte sono stati successivamente, nei termini assegnati, notificati alla Camera dei deputati e depositati con la prova dell'avvenuta notifica.

4.- Si è costituita nel presente giudizio la Camera dei deputati, eccependo, preliminarmente, la irricevibilità del conflitto per inidoneità dell'atto introduttivo, autoqualificantesi nel contempo ricorso e ordinanza, e la cui natura giuridica sarebbe di difficile qualificazione, costituendo lo stesso un ibrido tra il ricorso e l'ordinanza.

Al riguardo, nella memoria si contesta che il conflitto di attribuzione di cui si tratta possa essere promosso nella forma dell'ordinanza.

Al riguardo, la difesa della Camera si fa carico della giurisprudenza della Corte che ha considerato ammissibile il conflitto sollevato da autorità giudiziaria mediante ordinanza, ma prospetta argomentazioni intese a dimostrare la infondatezza di tale assunto, in particolare sostenendo la infungibilità del ricorso e della ordinanza, per essere quest'ultima un provvedimento giurisdizionale emesso "in nome del popolo italiano" e soggetto all'obbligo di motivazione, il primo, invece, un atto di parte. Inoltre, la forma dell'ordinanza renderebbe difficile applicare la normativa sulla rinuncia al ricorso e sulla sua accettazione, e sarebbe inidonea a formalizzare il rapporto tra l'organo collegiale e il suo Presidente.

Il Tribunale avrebbe sovrapposto la logica del giudizio costituzionale incidentale a quella del conflitto di attribuzioni, come dimostrerebbe anche la circostanza della avvenuta trasmissione alla Corte degli atti del processo che, invece, essendo documenti del ricorrente, dovrebbero essere depositati presso la Corte nel numero di copie prescritto dall'art. 6 delle norme integrative, disposizione che sarebbe stata aggirata dall'autorità giurisdizionale, con violazione del principio di parità tra le parti del giudizio.

Il conflitto sarebbe, inoltre, irricevibile per mancanza, nel dispositivo dell'atto introduttivo dello stesso, dell'ordine di notificazione alla Camera dei deputati, a nulla rilevando la circostanza che comunque la notificazione sia intervenuta.

Nella memoria si eccepisce altresì la inammissibilità del ricorso per mancata esposizione o per mancata indicazione delle norme costituzionali che costituiscono il fondamento delle attribuzioni la cui menomazione si lamenta.

Nel merito, si chiede che la Corte affermi che spettava alla Camera dei deputati dichiarare l'insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi. Ed infatti la vastità dell'ambito funzionale coperto dal mandato parlamentare imporrebbe di negare la riconducibilità ad esso delle sole attività del singolo membro delle Camere che siano manifestamente estranee alla funzione. In tale campo, la Corte costituzionale non potrebbe che limitarsi ad un controllo "esterno", attinente alla "manifesta" inattendibilità degli apprezzamenti compiuti dagli organi autori degli atti controllati. In particolare, nella fattispecie sottoposta al giudizio del Tribunale di Como sussisterebbe una specifica connessione tra le opinioni espresse dal parlamentare di cui si tratta e le relative funzioni, avuto riguardo al carattere squisitamente parlamentare della valutazione politica delle vicende giudiziarie dalle quali era interessata la Signora Ariosto. Su tali vicende, si rileva nella memoria, si sono avute numerose prese di posizione in sede parlamentare, e molti sono stati gli episodi di esercizio della funzione di sindacato ispettivo. In proposito, si ricordano le interrogazioni aventi ad oggetto il trattamento riservato alle testimonianze della Signora Ariosto, a dimostrazione che le dichiarazioni del deputato Sgarbi per il quale procede il Tribunale di Como sarebbero strettamente legate a tale dibattito parlamentare e pertanto, costituirebbero esercizio della stessa funzione parlamentare, ancorché extra moenia. Del resto, si sottolinea nella memoria, la Camera ha respinto le conclusioni della Giunta per le autorizzazioni a procedere, favorevoli alla sindacabilità delle opinioni espresse, solo a seguito della discussione parlamentare nella quale il deputato Sgarbi aveva chiarito la valenza politico-parlamentare delle proprie dichiarazioni.

5.- Nell'imminenza della data fissata per l'udienza pubblica, la difesa della Camera dei deputati ha depositato una memoria con la quale insiste nelle conclusioni già rassegnate nell'atto di costituzione.

In particolare, quanto alla eccezione di irricevibilità dell'atto introduttivo del giudizio, preso atto delle affermazioni contenute al riguardo nelle recenti sentenze della Corte costituzionale nn. 10 e 11 del 2000, si osserva che in quelle pronunce è contenuta la precisazione che la fungibilità dell'ordinanza e del ricorso vale solo a condizione che la prima contenga tutti i requisiti specificamente prescritti, laddove nel caso in esame, si rileva, manca la benché minima indicazione delle norme costituzionali che regolano la materia, oltre ad una espressa richiesta di una pronuncia della Corte che statuisca sull'ordine delle competenze e annulli l'atto impugnato.

La irricevibilità deriverebbe inoltre dalla mancata previsione nell'atto introduttivo della notificazione dello stesso alla Camera a seguito della eventuale declaratoria di ammissibilità in limine.

Nel merito, si rileva nella memoria che il ruolo della Signora Ariosto in alcuni processi di grande rilevanza politica è stato ampiamente discusso in sede parlamentare, e che pertanto le dichiarazioni del deputato Sgarbi dalle quali ha avuto origine il presente conflitto si inseriscono in un complessivo contesto di politica parlamentare, pur se manifestate extra moenia, e debbono godere della copertura assicurata dall'art. 68, primo comma, della Costituzione.

Del resto, le opinioni manifestate dal deputato Sgarbi troverebbero sostanziale corrispondenza nei contenuti di una serie di interrogazioni presentate da altri parlamentari in riferimento alla Signora Ariosto.

Considerato in diritto

1.- Il presente conflitto di attribuzione è stato promosso dal Tribunale di Como in relazione alla delibera della Camera dei deputati del 16 dicembre 1998 con la quale si è affermata l’insindacabilità - alla stregua dell’art. 68, primo comma, della Costituzione - delle dichiarazioni rese dal deputato al Parlamento Vittorio Sgarbi nel corso del programma televisivo Sgarbi quotidiani, trasmesso dalla rete televisiva Canale 5, nei giorni 28 maggio, 10 e 11 giugno 1996, dichiarazioni per le quali, come riferito nell'esposizione dei fatti di causa, è in corso, contro lo stesso Sgarbi, un procedimento penale in ordine al reato di cui agli artt. 595 cod. pen. e 30, commi 4 e 5, della legge 6 agosto 1990, n. 223, pendente presso il predetto ufficio giudiziario. Ritiene il Tribunale ricorrente che con la deliberazione impugnata la Camera dei deputati abbia menomato la propria sfera di attribuzioni, dichiarando che i fatti oggetto del procedimento penale a carico dell’on. Vittorio Sgarbi concernerebbero opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, laddove invece le affermazioni contestate sembrano non avere contenuto "politico", ma piuttosto trascendere sul piano del mero dileggio ed insulto personale nei confronti di Stefania Ariosto, in quanto del tutto svincolate sia da considerazioni di carattere politico, sia da connessioni con il dibattito parlamentare.

Sulla base di tali premesse il Tribunale di Como ha proposto "ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in relazione alla citata delibera 16 dicembre 1998 della Camera dei deputati", con richiamo all’art. 68 della Costituzione e con implicita richiesta che la Corte risolva il conflitto con le consequenziali dichiarazioni del potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione, e di eventuale annullamento della delibera impugnata.

2.- Le eccezioni preliminari, proposte dalla difesa della Camera dei deputati sotto il profilo della irricevibilità, per inidoneità dell’atto introduttivo, e della inammissibilità, per mancata indicazione delle norme costituzionali che costituiscono il fondamento delle attribuzioni di cui si lamenta la menomazione, non sono fondate.

Sulla prima eccezione è sufficiente richiamare gli argomenti con i quali questa Corte ha ritenuto, per l’ipotesi di conflitto promosso dall’autorità giudiziaria, che l’atto introduttivo sia idoneo a promuovere il giudizio per conflitto di attribuzione tutte le volte in cui esso corrisponda, nel contenuto, al ricorso quale disciplinato dalla legge (per tutte, sentenza n. 10 del 2000 e, da ultimo, sentenze nn. 320 e 321 del 2000). Nella specie, tale corrispondenza non è contestabile, riscontrandosi tutti gli elementi essenziali per il ricorso.

Quanto alla seconda eccezione (d’inammissibilità), basta rilevare che il richiamo all’art. 68, primo comma, della Costituzione, quando comporti, in ipotesi, un’estensione abusiva della garanzia al di là dei casi ai quali si riferisce, si traduce di per sé in una violazione delle attribuzioni dell’autorità giudiziaria, quali determinate dalla Costituzione. Segnando l'art. 68, primo comma, della Costituzione il confine tra immunità e giurisdizione, ogni estensione non consentita dell'una ridonda automaticamente in lesione della sfera dell'altra e viceversa, con la conseguenza che l'indicazione dell'art. 68, primo comma, della Costituzione è sufficiente a ritenere adempiuto l'onere di indicare la norma costituzionale che regola la materia, delimitando le attribuzioni costituzionali in discussione nel presente giudizio, secondo la previsione dell'art. 26 delle norme integrative e dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953 (sentenze nn. 320 e 321 del 2000 citate).

3.- Nel merito, il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal Tribunale di Como è fondato.

Esso si incentra su alcune dichiarazioni, rese dal deputato Sgarbi nel corso di un programma televisivo, quale "opinionista" conduttore della trasmissione (cfr. sentenze nn. 56 e 58 del 2000), senza alcuna specifica connessione con dibattiti parlamentari, interrogazioni, inchieste o discussioni di progetti di legge in cui risulti una partecipazione attiva dello stesso Sgarbi: dichiarazioni che avevano dato corso ad un procedimento penale per il reato di cui agli artt. 595 cod. pen. e 30, commi 4 e 5, della legge 6 agosto 1990, n. 223.

Si tratta dunque di opinioni espresse al di fuori dell’esercizio di attività parlamentari tipiche, sicché l’intero problema, sottoposto alla Corte, si risolve nello stabilire se - ciò non di meno - esse siano da ricomprendere nella sfera delle attività (opinioni e voti) dei membri del Parlamento assistite dalla garanzia costituzionale (sentenze nn. 320 e 321 del 2000).

Deve innanzitutto essere escluso un qualsiasi collegamento o connessione con attività svolta dallo stesso deputato Sgarbi nell’ambito dei lavori parlamentari, per cui non si può neppure configurare una attività divulgativa delle proprie opinioni, difettando in radice la "riscontrabile corrispondenza sostanziale di contenuti con l’atto parlamentare" (sentenze nn. 11 e 58 del 2000).

Rispetto ad alcune interrogazioni e interventi ad opera di altri deputati (cui fa riferimento la difesa della Camera) - a prescindere dalla considerazione che manca nelle dichiarazioni contestate al deputato Sgarbi qualsiasi riferimento anche indiretto a tali atti tipici (alcuni dei quali notevolmente successivi nel tempo alla partecipazione dello stesso Sgarbi alla dialettica parlamentare) -, vi è una semplice parziale comunanza generica di tematiche relative alla persona offesa dalle dichiarazioni, per cui non è ravvisabile, neppure sotto questo ulteriore profilo, una corrispondenza sostanziale di contenuti e significati con un atto parlamentare (cfr. sentenze nn. 58 e 11 del 2000), e, quindi, un carattere divulgativo.

4.- In conformità con quanto, del resto, ritenuto dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, con proposta poi superata dal voto negativo dell’Assemblea, deve essere, pertanto, affermata la non riconducibilità dell'attività incriminata a quella a garanzia della quale è posto l'art. 68, primo comma, della Costituzione.

Ne deriva che la Camera dei deputati, adottando la deliberazione di insindacabilità in esame, ha interferito in modo illegittimo nella sfera di attribuzione dell'autorità giudiziaria ricorrente, e, di conseguenza, deve essere disposto l'annullamento della predetta deliberazione.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta alla Camera dei deputati dichiarare l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi, in ordine alle quali è stato promosso davanti al Tribunale di Como il giudizio penale indicato in epigrafe; conseguentemente annulla la delibera adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 16 dicembre 1998.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2000.

Francesco GUIZZI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 ottobre 2000.