Ordinanza n. 313/2000

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ORDINANZA N. 313

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 2, lett. c) della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza emessa il 12 marzo 1999 dal Pretore di Vibo Valentia sul ricorso proposto da Klita Krystyna contro il Prefetto di Vibo Valentia, iscritta al n. 502 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 maggio 2000 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto che il Pretore di Vibo Valentia, con ordinanza emessa il 12 marzo 1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 2, lett. c) della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) nella parte in cui non prevede il divieto di espulsione dello straniero convivente more uxorio con un cittadino italiano, per violazione dell'art. 3 della Costituzione;

che il giudice rimettente è chiamato a decidere su un ricorso avverso un decreto prefettizio di espulsione, proposto da una cittadina polacca, entrata in Italia nel 1994, che non ha mai chiesto il permesso di soggiorno e risulta convivere more uxorio con un cittadino italiano che provvede al suo mantenimento;

che il giudice a quo, ritenuto che non siano configurabili cause di forza maggiore che abbiano impedito alla straniera di regolarizzare la sua posizione nello Stato, rileva come la difesa della ricorrente abbia espressamente richiesto l'applicazione analogica dell'art. 17, comma 2, lett. c) della legge n. 40 del 1998, secondo il quale non può disporsi l'espulsione degli stranieri "conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge, di nazionalità italiana", ma ritiene che tale interpretazione estensiva della norma a favore dello straniero convivente more uxorio non sia possibile "attesa la specificità e tassatività della previsione normativa delle cause ostative all'espulsione dello straniero";

che secondo il rimettente la norma violerebbe l'art. 3 Cost. in quanto determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra lo straniero convivente more uxorio con un cittadino, da una parte, e lo straniero convivente con un parente entro il quarto grado o con il coniuge cittadino, dall’altra, essendo le situazioni di fatto tra loro assimilabili in base alla ratio della norma, che sarebbe quella di evitare lo sradicamento dello straniero dal nucleo familiare in cui egli vive nello Stato;

che, sempre secondo il giudice a quo, la convivenza dovrebbe essere tutelata nella sua ampia accezione di “legame e comunanza di abitudini e stile di vita”, e che vi sarebbe stata un’evoluzione nella concezione della famiglia di fatto, “tipica formazione sociale nella quale si estrinseca la personalità umana”, il cui vincolo naturale sarebbe espressione di libertà individuale ed andrebbe quindi tutelata con l'estensione anche al rapporto more uxorio di diritti prima riconosciuti soltanto al rapporto legale coniugale;

che per il Pretore rimettente, infine, il legame con un cittadino parente in quarto grado sarebbe più labile del legame di convivenza more uxorio, purché questa risulti provata e se ne accerti la stabilità;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;

che la difesa erariale ritiene che la scelta del legislatore di tutelare, anche in questa ipotesi, la sola famiglia di diritto sia pienamente in linea con quanto dispone l'art. 29 Cost., poiché la convivenza more uxorio sarebbe un rapporto privo dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività dei diritti e dei doveri dei coniugi, propri della sola famiglia legittima;

che l'Avvocatura ricorda che la Corte ha più volte posto in evidenza come i soggetti che hanno inteso instaurare un rapporto di mero fatto dimostrano di non voler assumere i diritti ed i doveri che nascono dal matrimonio, ciò che escluderebbe qualsiasi possibilità di applicazione analogica delle norme in esame.

Considerato che il Pretore di Vibo Valentia dubita della legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 2, lett. c) della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), ritenendo che la mancata previsione del divieto di espulsione dello straniero convivente more uxorio con un cittadino italiano violi il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, perché creerebbe una disparità di trattamento tra tale soggetto e lo straniero che convive col coniuge e lo straniero che convive con parenti entro il quarto grado, pure essi cittadini italiani;

che va preliminarmente osservato che la norma impugnata è stata interamente trasfusa, senza modificazione alcuna, nell’art. 19, comma 2, lett. c) del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) in forza della delega legislativa contenuta nell'art. 47 della stessa legge n. 40 del 1998; la questione di legittimità costituzionale deve intendersi perciò trasferita sulla disposizione del testo unico, rinvenendosi tuttora nell'ordinamento la norma impugnata, secondo il principio affermato da questa Corte nelle sentenze n. 84 del 1996 e n. 454 del 1998;

che questa Corte ha costantemente affermato l’impossibilità di estendere, attraverso un mero giudizio di equivalenza tra le due situazioni, la disciplina prevista per la famiglia legittima alla convivenza di fatto (cfr. da ultimo le sentenze n. 2 e n. 166 del 1998);

che questa Corte ha anche in più occasioni affermato che "la convivenza more uxorio è un rapporto di fatto, privo dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività dei diritti e dei doveri (...) che nascono soltanto dal matrimonio e sono propri della famiglia legittima" (sentenze n. 45 del 1980, n. 237 del 1986 e n. 127 del 1997);

che la previsione del divieto di espulsione solo per lo straniero coniugato con un cittadino italiano e per lo straniero convivente con cittadini che siano con lo stesso in rapporto di parentela entro il quarto grado risponde all'esigenza di tutelare, da un lato l'unità della famiglia, dall'altro il vincolo parentale e riguarda persone che si trovano in una situazione di certezza di rapporti giuridici invece assente nella convivenza more uxorio;

che pertanto la questione è manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 2, lett. c) della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), ora sostituito dall'art. 19, comma 2, lett. c) del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Vibo Valentia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 luglio 2000.