Ordinanza n. 426/98

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N.426

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 322-bis del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 24 dicembre 1997 dal Tribunale di Firenze nel procedimento penale a carico di P.F. ed altro, iscritta al n. 98 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Udito nella camera di consiglio del 30 settembre 1998 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

  Ritenuto che il Tribunale di Firenze, adito quale giudice di appello avverso i provvedimenti cautelari reali, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 322-bis del codice di procedura penale, < < nella parte in cui non prevede che le parti ivi indicate possano proporre appello anche contro le ordinanze in materia di sequestro conservativo>>, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

  che il rimettente premette che il pubblico ministero, a seguito del rigetto di un’istanza di sequestro conservativo dei beni mobili e immobili di due imputati, presentata ai sensi degli artt. 316 e seguenti cod. proc. pen., aveva proposto appello contro tale provvedimento, eccependo in subordine, ove il Tribunale avesse ritenuto inammissibile il gravame, l’illegittimità costituzionale dell’art. 322-bis cod. proc. pen.;

  che il giudice a quo, ritenuto di non poter addivenire, stante il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, ad una interpretazione estensiva della disciplina delle impugnazioni in materia di sequestro conservativo, ritiene non manifestamente infondata la questione di costituzionalità della disciplina sopra indicata, richiamandosi, in particolare, ai principi espressi nella sentenza n. 253 del 1994, con cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 669-terdecies cod. proc. civ., nella parte in cui non ammette il reclamo avverso l’ordinanza con cui é stata rigettata la domanda di sequestro conservativo proposta nel processo civile;

  che, in riferimento all’art. 3 Cost., ad avviso del rimettente la mancata previsione nel procedimento penale dell’appello avverso il provvedimento di diniego del sequestro conservativo determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra il destinatario del provvedimento di sequestro, che ha la facoltà di chiedere il riesame a norma dell’art. 318 cod. proc. pen., e il pubblico ministero, che rimane privo di tutela a fronte di un provvedimento di rigetto del sequestro da lui richiesto;

  che non sussisterebbero del resto plausibili ragioni del diverso trattamento riservato in tema di impugnazioni al destinatario del provvedimento che dispone il sequestro conservativo e al pubblico ministero, non essendo ravvisabile nella disciplina che abilita il pubblico ministero a chiedere il sequestro conservativo quella "disparità delle condizioni materiali di partenza", richiamata dalla sentenza n. 253 del 1994 come presupposto che potrebbe giustificare un trattamento differenziato;

che ad avviso del rimettente la simmetrica equivalenza riconosciuta nel processo civile nella materia de qua tra attore-ricorrente e convenuto-resistente in caso di accoglimento o di rigetto della domanda di sequestro conservativo dovrebbe riproporsi nel processo penale nei confronti delle posizioni dell’imputato e del pubblico ministero in caso di accoglimento o di rigetto della richiesta della misura cautelare;

che la mancata previsione dell’appello del pubblico ministero avverso il provvedimento di diniego del sequestro conservativo appare al giudice a quo lesiva del principio costituzionale che impone di garantire alle parti un < < giusto processo>>, con particolare riferimento all’art. 24 Cost., in quanto la diversità di disciplina tra sequestro conservativo e preventivo che si é determinata a seguito dell’introduzione dell’art. 322-bis cod. proc. pen. non trova ragionevole giustificazione, ed é anzi contraddetta dall’attribuzione al pubblico ministero della "potestà" di chiedere la misura cautelare senza che poi gli venga assicurata l’effettività della tutela giurisdizionale;

che, infine, il rimettente rileva che una disciplina che assicurasse < < in maniera uniforme i requisiti minimi imposti dal sistema di garanzie costituito dagli artt. 3 e 24 Cost.>> con riferimento alla posizione delle parti nell’esercizio dei propri diritti, dovrebbe necessariamente prevedere l’estensione dell’appello avverso i provvedimenti in materia di sequestro conservativo a favore di tutte le parti del processo.

Considerato - per quanto concerne la censura relativa alla dedotta sperequazione tra la posizione dell’imputato, cui é riconosciuta la facoltà di proporre reclamo avverso l’ordinanza che dispone il sequestro conservativo, e quella del pubblico ministero, privo del potere di impugnare il provvedimento di diniego della misura cautelare - questa Corte ha avuto occasione di affermare in via generale che la diversità dei poteri spettanti in materia di impugnazioni all’imputato e al pubblico ministero é giustificata dalla differente garanzia rispettivamente loro assicurata dagli artt. 24 e 112 Cost. (sentenza n. 98 del 1994); che il potere di impugnazione del pubblico ministero non costituisce estrinsecazione necessaria dei poteri inerenti all’esercizio dell’azione penale (sentenza n. 280 del 1995); che il principio della parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente l’identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e dell’imputato (sentenza n. 363 del 1991, con particolare riferimento alla mancata previsione dei poteri di impugnazione in capo al pubblico ministero);

che la peculiarità della posizione del pubblico ministero e la piena autonomia del sistema processuale penale rispetto a quello civile rendono ininfluente il richiamo alla sentenza n. 253 del 1994, in quanto il difetto di simmetria tra istituti in qualche modo analoghi dell’uno e dell’altro procedimento non costituisce, di per sè, indice di irragionevolezza o di violazione del principio di eguaglianza (v. da ultimo sentenze n. 326 del 1997 e nn. 51 e 53 del 1998);

che, infine, dal confronto tra la disciplina prevista dall’art. 322-bis cod. proc. pen., che riconosce sia all’imputato che al pubblico ministero la facoltà di proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo, e quella sottoposta a scrutinio di legittimità costituzionale a causa della mancata previsione in capo al pubblico ministero del potere di proporre appello avverso il provvedimento di diniego del sequestro conservativo, non può desumersi alcuna violazione dell’art. 24 Cost.: é infatti del tutto ragionevole e plausibile che l’art. 322-bis cod. proc. pen. riconosca il potere di impugnazione al pubblico ministero, in quanto il sequestro preventivo persegue fini pubblicistici volti alla prevenzione dei reati (v. sentenza n. 334 del 1994), mentre il sequestro conservativo di cui al primo comma dell’art. 316 cod. proc. pen. é finalizzato alla soddisfazione di interessi patrimoniali, sia pure facenti capo allo Stato;

che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 322-bis del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1998.