Sentenza n. 253 del 1994

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SENTENZA N. 253

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Giudici

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 669- terdecies del codice di procedura civile, promossi con ordinanze emesse il 6 ottobre 1993 dal Tribunale di Aosta, il 15 luglio 1993 dal Tribunale di Bologna, il 3 novembre 1993 dal Tribunale di Roma ed il 22 dicembre 1993 dal Tribunale di Verona, rispettivamente iscritte ai nn. 744 e 782 del registro ordinanze 1993 ed ai nn. 27 e 144 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell'anno 1993, e nn. 4, 7 e 13, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visti gli atti di costituzione di Berna Sassoli di Bianchi Delia, di Suozzi Rosanna e dell'I.N.A.I.L.;

udito nell'udienza pubblica del 10 maggio 1994 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento di reclamo avverso il decreto con cui il giudice designato alla trattazione di una domanda di provvedimento d'urgenza aveva respinto la richiesta, il Tribunale di Aosta, con ordinanza emessa il 6 ottobre 1993, ha sollevato, in relazione agli artt.24, primo e secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 669- terdecies, primo comma, cod. proc. civ. nella parte in cui non ammette la reclamabilità del provvedimento di rigetto della domanda cautelare.

Osserva il giudice a quo come il dettato normativo consenta il reclamo del solo provvedimento di accoglimento, così riconoscendo esclusivamente al soggetto passivo la possibilità del controllo giurisdizionale dell'ordinanza. Nè tale limite potrebbe dirsi superato dalla previsione dell'art.669-septies che consente la riproponibilità della domanda quando si verifichino mutamenti dei presupposti di fatto e di diritto, restando comunque esclusa la possibilità del riesame da parte del giudice in mancanza di tali condizioni. In tal modo si determinerebbe un trattamento irrazionalmente sperequato per posizioni processuali omogenee, con violazione del diritto di difesa.

2.1. - Nel corso di analogo procedimento, il Tribunale di Bologna, con ordinanza emessa il 15 luglio 1993, ha sollevato la medesima questione di legittimità costituzionale, osservando inoltre come non siano reclamabili, oltre ai provvedimenti di rigetto in argomento, neppure quelli che revochino le misure già concesse, o respingano l'istanza di revoca o modifica, nè quelli resi in sede di modifica ex art.669-decies che diminuiscano la portata della tutela in precedenza accordata.

Precisa il Tribunale remittente che il punto centrale della censura risiede nella omessa previsione di un vero e proprio strumento di gravame in favore dell'attore che si sia visto respingere la domanda, strumento viceversa apprestato per il convenuto in caso di accoglimento della stessa.

Non vi sarebbe differenza alcuna tra la situazione di chi subisce gli effetti di un provvedimento cautelare e chi debba sopportare uno stato di cose assunto come lesivo dei propri diritti, rimasto immutato a causa del rigetto del richiesto provvedimento.

Sia l'accoglimento che il rigetto, insomma, sarebbero il frutto di una attività giurisdizionale omogenea, sì che non appare ragionevole e risulta viceversa compressiva del diritto di difesa la differenziazione dell'impugnazione avverso tale attività secundum eventum litis.

2.2. - Si è costituita dinanzi a questa Corte la parte privata resistente nel procedimento di reclamo a quo chiedendo la declaratoria di infondatezza. Premette la difesa che, secondo parte della dottrina, l'ordinanza di rigetto per motivi diversi dall'incompetenza preclude la riproposizione dell'istanza solo quando questa sia fondata sulle stesse ragioni di fatto o di diritto fatte valere nel primo procedimento, onde l'agevole prospettazione di nuove ragioni e la facilità di utilizzazione di nuove prove consentiranno sempre di superare tale limitata efficacia preclusiva.

Quest'ultima sarebbe così "evanescente" da risultare giustificata sia alla luce della sostanziale differenza tra la situazione di chi vuole mutare lo status quo e quella - contrapposta - di chi veda mutato il proprio status precedente, sia dell'esigenza di evitare che il processo cautelare divenga un reclamo pressochè continuo ed illimitato.

Quanto all'invocato art. 24 si osserva in memoria come la previgente normativa sia risultata indenne dalla sanzione dell'incostituzionalità, sì che la mancata previsione del reclamo in quanto tale non sarebbe causa di violazione del diritto di difesa.

3.1. - Il Tribunale di Roma, adito in sede di reclamo avverso un'ordinanza di diniego di provvedimento d'urgenza resa dal Pretore di Roma in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza emessa il 3 novembre 1993, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 669- terdecies, primo e quinto comma, per contrasto con gli artt.3, 24, primo comma, e 101 della Costituzione, argomentando secondo profili analoghi ai precedenti.

Il giudice a quo insiste sulla "non ragionevole dotazione di più ampia strumentazione processuale" per le parti che resistono in giudizio e sulla "non giustificabile dissimmetria delle occasioni processuali nelle quali far valere un'istanza".

Alle prospettazioni già fatte proprie dagli altri tribunali remittenti, il Tribunale di Roma aggiunge l'ulteriore dubbio di legittimità relativo all'art. 101 della Costituzione.

La norma impugnata consentirebbe infatti "che si accumulino sul giudice di primo grado e incidano sul suo convincimento...differenti opportunità delle parti di ottenere da un giudice diverso solo pronunzie sfavorevoli al diritto cautelato".

3.2. - Si sono costituite nel giudizio dinanzi a questa Corte la parte privata ricorrente nel giudizio a quo chiedendo la declaratoria di illegittimità costituzionale, nonchè l'I.N.A.I.L. (in quel giudizio convenuto) affermando la conformità al precetto costituzionale della norma denunciata.

4.1. - Il Tribunale di Verona, con ordinanza del 22 dicembre 1993, adito in riforma di un provvedimento di rigetto di sequestro giudiziario, ha infine riproposto la questione in argomento, richiamando le perplessità, quasi unanimi, della dottrina su tale limitazione, nonchè le considerazioni svolte nell'ordinanza di rimessione del Tribunale di Bologna. Il giudice a quo dà altresì atto di alcuni orientamenti favorevoli alla ratio della norma impugnata, in quanto volta a reprimere la proliferazione dei reclami e rientrante nella discrezionalità del legislatore. Peraltro il Tribunale, pur affermando di aderire a quest'ultima tesi, ritiene di dover sollevare la questione proprio in ragione del dibattito in corso sul problema "lambìto da sufficienti margini di dubbio".

Infatti il provvedimento cautelare è destinato a restare fermo in assenza di un mutamento delle circostanze di fatto e di diritto, nè la "debolezza intrinseca" del meccanismo preclusivo sarebbe idoneo a garantire la parità di tutela, per la quale deve risultare indifferente l'esito della lite.

Invece la parte che si sia vista rigettare la domanda, non può dolersi con altro giudice dell'asserita erronea valutazione delle proprie ragioni, mentre nel caso inverso è possibile la "ripetuta valutazione della sussistenza" delle condizioni per la concessione della tutela.

Considerato in diritto

1. - I giudici a quibus denunciano l'illegittimità costituzionale dell'art.669-terdecies del codice di procedura civile, in quanto, nel limitare la possibilità di reclamo al solo provvedimento concessivo della tutela cautelare, con esclusione dell'ordinanza che abbia invece rigettato la relativa domanda, si porrebbe in contrasto: a) con l'art. 3 della Costituzione per la disparità di trattamento tra il soggetto inciso dalla misura cautelare, che può ottenere un riesame del provvedimento, ed il soggetto che si sia visto respingere la richiesta; b) con l'art. 24 della Costituzione perchè il ricorrente-soccombente sarebbe sacrificato nel proprio diritto di agire, limitato alla sola facoltà di riproporre la domanda in caso di mutamento delle circostanze di fatto e di diritto.

In particolare, poi, il Tribunale di Roma prospetta un ulteriore profilo di contrasto con l'art. 101 della Costituzione, ravvisabile nel fatto che le diverse opportunità offerte alle parti potrebbero condizionare il convincimento del giudice, orientandone la decisione in un senso piuttosto che in un altro.

I giudizi, per l'identità del petitum, possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza.

2.1. - La questione è fondata.

Con la legge 26 novembre 1990, n. 353, recante provvedimenti urgenti per il processo civile, il legislatore ha, tra l'altro, introdotto una nuova ed unitaria disciplina del procedimento cautelare, sollecitata dall'esigenza (si veda in proposito la Relazione all'aula della Commissione giustizia del Senato, comunicata alla Presidenza il 23 febbraio 1990 pag. 25, n. 12) di evitare che, a fronte di una crescente domanda di provvedimenti implicanti cognizione sommaria, le differenze strutturali fra i vari procedimenti e le lacune delle rispettive discipline si traducessero in una abnorme ampiezza dei confini delle opzioni ermeneutiche sulla ricostruzione di queste ultime e sui relativi àmbiti di applicabilità.

D'altronde, come questa Corte ha avuto occasione di notare con riguardo ai provvedimenti di urgenza ex art. 700 cod. proc. civ. (sentenza n. 190 del 1985), la disponibilità di misure cautelari costituisce espressione precipua del <principio per il quale la durata del processo non deve andare a danno dell'attore che ha ragione>; ed una siffatta funzione strumentale all'effettività della stessa tutela giurisdizionale, essendo innegabilmente comune sia alle misure di contenuto anticipatorio che a quelle conservative, giustifica l'introduzione di una uniforme disciplina che assicuri i requisiti propri (e minimi) imposti al modello processuale dalle garanzie di cui al sistema costituito dagli artt. 3 e 24 della Costituzione, in tema di contraddittorio, di obbligo di motivazione e, per quanto qui interessa, di posizione delle parti nell'esercizio dei rispettivi diritti.

2.2. - Ora, in un processo come quello civile, in cui per definizione le parti si contrappongono in posizione paritaria, il principio sancito dall'art. 3, primo comma, della Costituzione, implica necessariamente la piena uguaglianza delle parti stesse dinanzi al giudice ed impone al legislatore di disciplinare la distribuzione di poteri, doveri ed oneri processuali secondo criteri di pieno equilibrio.

L'equivalenza nell'attribuzione dei mezzi processuali esperibili dalle parti (salvo che la particolarità di tutela della situazione dedotta in giudizio, come una disparità delle condizioni materiali di partenza, giustifichi una disciplina differenziata: cfr. ad es. sentenza n. 134 del 1994) è in un rapporto di necessaria strumentalità con le garanzie di azione e di difesa sancite dall'art. 24 della Costituzione, sì che una distribuzione squilibrata dei mezzi di tutela, riducendo la possibilità di una delle parti di far valere le proprie ragioni, condiziona impropriamente in suo danno ed a favore della controparte l'andamento e l'esito del processo.

2.3 - Ebbene, con l'art. 669-decies il legislatore, nel suo discrezionale apprezzamento della struttura del processo, ha inteso ridurre il regime di stabilità dei provvedimenti cautelari, introducendo il controllo sugli stessi attraverso la previsione della revocabilità e modificabilità da parte del giudice istruttore della causa di merito. In aggiunta a tale previsione, la norma impugnata ammette il reclamo contro i provvedimenti concessivi della misura richiesta.

La revisio prioris instantiae, in cui si concreta detto reclamo - il quale consente, da parte di un giudice diverso e collegiale, il controllo sugli errores in procedendo e in iudicando eventualmente commessi dal giudice della cautela - è invece negata alla parte che subisca la situazione assunta come lesiva del proprio diritto e che abbia richiesto senza successo una cautela anticipatoria o conservativa. Si realizza così un'amputazione del diritto di difesa, in quanto si attribuisce maggiore possibilità di far valere le proprie ragioni a chi resiste alla richiesta di provvedimento caute lare rispetto a chi tale richiesta propone. E ciò non ha giustificazione di sorta, giacchè le due parti si trovano, nei confronti dell'ordinamento processuale, in posizione simmetricamente equivalente. Infatti il provvedimento, positivo o negativo che sia, incide comunque sulla sfera personale o patrimoniale di entrambe le parti, arrecando pregiudizio agli interessi dell'una o dell'altra in misura non valutabile astrattamente; nè vi è possibilità logica di ritenere a priori più probabile il fondamento giuridico dei provvedimenti di rigetto rispetto a quelli di accoglimento.

Lo squilibrio che la norma impugnata introduce tra i poteri processuali delle parti nel procedimento cautelare non può ragionevolmente ricondursi neppure a un'asserita differenza tra la situazione determinata dal provvedimento positivo e quella che consegue al provvedimento di rigetto per il fatto che solo il primo determina un mutamento della situazione preesistente. Ed invero l'istanza cautelare può essere diretta non soltanto ad ottenere un mutamento della situazione di fatto, ma anche ad evitare che tale mutamento si verifichi.

D'altronde la situazione di fatto esistente tra le parti appare inidonea, di per sè, a giustificare qualsivoglia privilegio processuale, essendo il processo diretto appunto a verificare ed eventualmente a ripristinare la conformità di essa al diritto. Prestare una considerazione privilegiata allo status quo, sarebbe quindi contrario alla stessa garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti.

2.4. - La sperequazione determinata dalla reclamabilità dei soli provvedimenti che concedono il provvedimento cautelare non può nemmeno considerarsi compensata dal fatto che, a norma dell'art.669-septies, primo comma, il provvedimento negativo non preclude la riproposizione dell'istanza di provvedimento cautelare quando si verifichino mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto e di diritto.

É evidente infatti che tra i due rimedi non vi è rapporto di equivalenza in termini di garanzia, posto che sul reclamo di cui all'art.669- terdecies è chiamato a decidere un giudice diverso da quello che ha pronunziato il provvedimento impugnato, mentre la riproposizione dell'istanza ai sensi dell'art. 669-septies si rivolge al medesimo giudice che ha già respinto la richiesta di misura cautelare.

E l'alterità del giudice dell'impugnazione rappresenta - secondo l'ordinamento, ma anche secondo il comune sentire - un fattore di maggior garanzia.

A tale rilievo - di per sè decisivo - deve aggiungersi la considerazione dei limiti di ammissibilità che pur sempre l'articolo 669-septies pone alla riproposizione dell'istanza, così escludendo che lo stesso giudice possa comunque pronunziarsi nuovamente su una domanda riproposta negli identici termini e in costanza della medesima situazione di fatto, al fine di eliminare un proprio eventuale precedente errore. Limiti, codesti, la cui presenza contribuisce a rendere ancor più grave la indicata sperequazione, la quale non potrebbe non produrre i suoi effetti anche per tutto il corso del giudizio di merito (ove instaurato dopo il provvedimento di rigetto della domanda cautelare ante causam), risolvendosi, sempre in mancanza di nuove prospettazioni e di sopravvenute circostanze, nella definitiva perdita del potere di chiedere la tutela cautelare dei diritti che si assumono lesi.

In altre parole e conclusivamente, va osservato che i rimedi della reclamabilità e della riproponibilità (nei limiti sopra esposti) dell'istanza cautelare operano su piani diversi, non sovrapponibili ma complementari, sì che la disponibilità del secondo non esclude la necessità di riconoscere la funzione di riequilibrio dei poteri delle parti, propria del primo.

3. - Con l'accoglimento della prospettazione fondata sulla violazione del principio della parità di trattamento nell'esercizio del diritto di agire e difendersi in giudizio, ai sensi dell'art. 3 correlato con l'art.24, resta assorbita la censura riferita all'art. 101 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 669- terdecies del codice di procedura civile, nella parte in cui non ammette il reclamo ivi previsto, anche avverso l'ordinanza con cui sia stata rigettata la domanda di provvedimento caute lare.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/06/94.

Gabriele PESCATORE, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 23/06/94.