Sentenza n. 1 del 1997

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SENTENZA N. 1

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Renato GRANATA, Presidente

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

-        Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-        Prof. Valerio ONIDA

-        Prof. Carlo MEZZANOTTE

-        Avv. Fernanda CONTRI

-        Prof. Guido NEPPI MODONA

-        Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 301, primo, secondo e terzo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), come modificato dall'art. 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, promosso con ordinanza emessa il 4 dicembre 1995 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Plateo Massimo, quale legale rappresentante della Metalsa s.r.l., iscritta al n. 272 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di costituzione della Metalsa s.r.l., nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 novembre 1996 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

uditi l'avv. Giancarlo Pezzano per la Metalsa s.r.l. e l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1.-- La Corte di cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dal legale rappresentante della Metalsa s.r.l. avverso l'ordinanza della Corte di appello di Milano, con la quale era stata respinta la richiesta, avanzata nelle forme dell'incidente di esecuzione, di restituzione di un quantitativo di alluminio sottoposto a confisca all'esito di un procedimento penale per contrabbando svoltosi nei confronti di un altro soggetto ed al quale la Metalsa s.r.l. era rimasta estranea, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dell'art. 301, primo, secondo e terzo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), come modificato dall'art. 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, nella parte in cui consente, nei casi di contrabbando, la confisca delle cose che costituiscono oggetto, prodotto o profitto del reato, anche se appartenenti a terzi estranei al reato, e anche quando questi non siano colpevoli di difetto di vigilanza.

La Corte di cassazione rileva che in materia di contrabbando il legislatore ha disciplinato in modo più rigoroso ed incisivo le misure di sicurezza patrimoniali, rendendo obbligatoria, in deroga all'art. 240 del codice penale, la confisca delle cose che servono o sono destinate a commettere il reato o delle cose che ne sono l'oggetto, il prodotto o il profitto, e rendendo altresì obbligatoria la confisca dei mezzi di trasporto oggettivamente predisposti all'occultamento della merce per facilitare il contrabbando; in quest'ultimo caso, se il mezzo di trasporto appartiene a persona estranea al reato e questa dimostri che il mezzo è stato usato senza la sua volontà e senza sua colpa, la confisca può essere disposta solo se il mezzo di trasporto può considerarsi intrinsecamente criminoso.

In tal modo, osserva il giudice a quo, il legislatore si è adeguato, ma solo in relazione ai mezzi di trasporto, alle sentenze nn. 229 del 1974, 259 del 1976 e 2 del 1987 di questa Corte, con le quali era stata dichiarata, sotto più profili, la illegittimità costituzionale dell'art. 116 della legge doganale n. 1424 del 1940 (poi divenuto art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973). Conseguentemente, ad avviso del giudice a quo, l'art. 301, per la parte relativa all'oggetto del contrabbando, continuerebbe a porsi in contrasto sia con il principio della personalità della responsabilità penale, sia con il principio di egua- glianza, dal momento che discriminerebbe irragionevolmente tra terzi estranei al contrabbando, ai quali non sia imputabile violazione di doveri di vigilanza, a seconda che siano proprietari dei mezzi di trasporto o cose usate per il reato ovvero di cose oggetto del contrabbando.

Quanto alla rilevanza della questione, la Corte di cassazione osserva che, ove la questione stessa fosse accolta, il ricorrente nel giudizio a quo potrebbe evitare la confisca dimostrando di avere acquistato in buona fede le merci oggetto di contrabbando.

2.-- Si è costituita nel presente giudizio la società Metalsa s.r.l., la quale, dopo una analitica ricostruzione della vicenda processuale, con particolare riferimento alle circostanze comprovanti la buona fede nell'acquisto delle merci confiscate (nella specie, circa duecento tonnellate di alluminio), svolge considerazioni adesive alla ordinanza di rimessione.

In particolare, la parte privata ricorda le decisioni di questa Corte che hanno dichiarato, sotto diversi profili, la illegittimità costituzionale dell'originario testo dell'art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973, sul presupposto che la previsione della confisca obbligatoria sia delle cose utilizzate per l'attività di contrabbando, sia delle cose oggetto di contrabbando, anche se appartenenti a persone estranee al reato, realizzando una ipotesi di responsabilità oggettiva, si pone in contrasto con il principio della personalità della responsabilità penale stabilito dall'art. 27, primo comma, Cost. La stessa parte privata sottolinea poi come, in quelle sentenze, questa Corte abbia affermato il principio che, se possono esservi cose il cui possesso può configurare una illiceità obiettiva in senso assoluto, a prescindere dal rapporto con il soggetto che ne dispone, e che legittimamente devono essere quindi confiscate presso chiunque le detenga, in ogni altro caso l'art. 27, primo comma, Cost. non potrebbe consentire, viceversa, che si proceda a confisca di cose pertinenti al reato, ove chi ne sia proprietario al momento in cui la confisca deve essere disposta non sia anche l'autore del reato o non ne abbia tratto in alcun modo profitto.

La parte privata rileva quindi che, benché in tutti i casi analoghi a questi ultimi la confisca obbligatoria deve essere considerata illegittima, il legislatore, intervenuto nel 1991, si è limitato a prevedere un nuovo regime solo per quel che riguarda la confisca dei mezzi di trasporto usati per commettere il reato di contrabbando, confermando, invece, l'originaria formulazione del primo comma, il quale stabilisce, appunto, l'obbligatorietà della confisca anche delle cose oggetto di contrabbando. Il regime risultante dalla modificazione legislativa vanificherebbe però il senso e la portata delle decisioni di questa Corte che avevano dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 301 nella sua precedente formulazione.

L'art. 301 sarebbe quindi illegittimo innanzitutto per violazione dell'art. 3 Cost., in ragione della diversità di trattamento riservata al terzo proprietario dei mezzi di trasporto, la cui diligenza può essere fatta valere per evitare la confisca, rispetto al proprietario delle altre cose considerate dal primo comma, il quale non potrebbe mai provare la propria buona fede nell'acquisto delle cose oggetto di contrabbando.

La stessa disposizione sarebbe poi illegittima, ad avviso della parte privata, oltre che per violazione del principio di personalità della responsabilità penale, per contrasto con gli artt. 24, 25 e 42, terzo comma, della Costituzione; parametri questi ultimi non indicati nella ordinanza di rimessione.

3.-- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata, dal momento che le cose che sono l'oggetto, il profitto o il prezzo del reato di contrabbando devono essere ritenute cose oggettivamente illecite in senso assoluto, delle quali proprio la sentenza n. 229 del 1974 della Corte costituzionale consentirebbe la confisca presso chiunque le detenga.

Tale soluzione, ad avviso dell'Avvocatura, sarebbe pienamente ragionevole, a meno di non voler svuotare di contenuto e di effetti la previsione del reato di contrabbando. Infatti, se tale reato è stato compiuto, è la stessa permanenza delle cose nel territorio dello Stato che deve considerarsi illecita, a prescindere dal rapporto soggettivo con il loro attuale possessore o detentore. Sono quindi le finalità perseguite dal legislatore con la repressione del contrabbando a richiedere di qualificare come indisponibili le cose oggetto di contrabbando, perché altrimenti sarebbe sufficiente una "ripulitura" della merce attraverso una società di comodo, come la stessa Avvocatura ritiene essere avvenuto nella fattispecie, per legittimare un acquisto di buona fede e per rendere così impossibile una fruttuosa lotta alla evasione delle imposte doganali.

Considerato in diritto

 

1.-- La questione sottoposta all'esame di questa Corte ha ad oggetto l'art. 301 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, come modificato dall'art. 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, il quale, al primo comma, stabilisce in via generale "la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato" di contrabbando, nonché di quelle "che ne sono l'oggetto ovvero il prodotto o il profitto" e, nei commi successivi, detta una disciplina differenziata solo per i mezzi utilizzati per commettere il reato di contrabbando, allorquando questi appartengano a persona estranea al reato, alla quale non sia imputabile alcun difetto di vigilanza (secondo e terzo comma).

A giudizio della Corte di cassazione l'art. 301, rendendo obbligatoria la confisca delle cose oggetto del reato di contrabbando, quando le stesse appartengano a terzi estranei al reato e ai quali non sia addebitabile un difetto di vigilanza, contrasterebbe sia con l'art. 3 della Costituzione, in considerazione del differente trattamento riservato ai proprietari dei mezzi utilizzati per il reato di contrabbando rispetto a quello previsto per i proprietari delle cose oggetto di contrabbando, sia con il principio di personalità della pena, stabilito dall'art. 27, primo comma, della Costituzione.

Benché in essa siano formalmente indicate tra le disposizioni sottoposte all'esame di questa Corte anche il secondo e il terzo comma dell'art. 301, l'ordinanza di rimessione deve essere interpretata nel senso che le censure investano, come risulta dall'intero contesto della motivazione, il solo primo comma dell'art. 301, che disciplina la confisca delle cose oggetto di contrabbando, della quale si disquisisce nel giudizio principale.

2.-- La questione è fondata.

Non è nuovo, nella giurisprudenza costituzionale, il tema della confisca penale regolata, con disciplina derogatoria, dalla legislazione doganale.

Con la sentenza n. 229 del 1974 è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 116, primo comma, della legge doganale (legge 25 settembre 1940, n. 1424), trasfuso nell'art. 301 del testo unico delle leggi doganali approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, nella parte in cui, quanto alle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di contrabbando, imponeva la confisca anche nella ipotesi di appartenenza di esse a persone estranee al reato alle quali non fosse imputabile un difetto di vigilanza. Con la successiva sentenza n. 259 del 1976 la dichiarazione di illegittimità costituzionale ha investito gli stessi artt. 116, primo comma, della legge n. 1424 del 1940 e 301 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, nella parte in cui imponevano la confisca delle cose oggetto del reato di contrabbando, illegittimamente sottratte a terzi, quando tale sottrazione risultasse giudizialmente accertata. Con la sentenza n. 2 del 1987, infine, le medesime disposizioni, insieme all'art. 66 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, sono state ritenute illegittime nella parte in cui prevedevano che le opere d'arte oggetto di esportazione abusiva fossero sottoposte a confisca anche se risultassero di proprietà di un terzo estraneo al reato, che da questo non avesse tratto in alcun modo profitto.

Nell'ultima sentenza la Corte, rendendo ancor più esplicita la ratio decidendi che aveva sorretto i suoi precedenti, ebbe già a ricordare che nelle sentenze nn. 229 del 1974 e 259 del 1976 (che pure prendevano le mosse da fattispecie peculiari dedotte dai giudici remittenti: mezzi utilizzati per commettere il reato, nell'un caso, provenienza furtiva dell'oggetto del reato di contrabbando, nell'altro) era dotata di portata generale l'affermazione secondo la quale il proprietario della cosa sottoposta a confisca obbligatoria, se estraneo al reato e indenne da colpa, finisce con l'essere colpito a titolo di responsabilità oggettiva, con conseguente violazione dell'art. 27, primo comma, della Costituzione.

L'art. 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, dettando nuove regole in tema di confisca doganale, ha modificato il citato art. 301 del testo unico; lo ha adeguato però solo in parte ai principî risultanti dalla giurisprudenza di questa Corte. Il legislatore, infatti, ha dato rilievo allo stato soggettivo di buona fede del proprietario del bene (sotto il profilo del non essere questi incorso in un difetto di vigilanza) unicamente con riferimento ai mezzi utilizzati o destinati al contrabbando, mantenendo per il resto ferma l'indiscriminata obbligatorietà della confisca dei beni oggetto di contrabbando. In tal modo lo stesso legislatore ha mancato di portare alle conseguenze necessarie la generalità del principio affermato da questa Corte, il quale conduce ad escludere che la misura della confisca possa investire la cosa appartenente al terzo estraneo al reato di contrabbando, quando questi dimostri di esserne divenuto proprietario senza violare alcun obbligo di diligenza e quindi in buona fede.

3.-- Non sono condivisibili le argomentazioni svolte dall'Avvocatura dello Stato, secondo cui, poiché il fine della repressione penale del contrabbando consisterebbe nell'impedire la circolazione nel territorio nazionale di beni per i quali siano stati evasi i tributi doganali, il sacrificio imposto, mediante la misura della confisca, anche al terzo di buona fede sarebbe giustificato dall'esigenza di tutelare il preminente interesse pubblico sotteso alla previsione dell'illecito. Un simile sacrificio, infatti, non può essere inflitto al terzo di buona fede: altro sono le attività illecite dell'autore del contrabbando, dei suoi eventuali concorrenti, di coloro che siano incorsi nei reati di ricettazione o di incauto acquisto, altra la posizione del terzo che abbia compiuto il suo acquisto in buona fede e senza che esistessero elementi idonei a far sorgere sospetti circa la provenienza del bene. Tale posizione è da ritenere protetta dal principio della tutela dell'affidamento incolpevole, che permea di sé ogni ambito dell'ordinamento giuridico e dal quale scaturisce anche la regola generale di circolazione dei beni mobili nel nostro sistema di mercato (cfr. art. 1153 del codice civile). Si può anzi dire che, secondo l'ordinamento civilistico, lo stato di buona fede nell'acquisto di beni mobili, salve le deroghe positivamente previste, possiede una così accentuata rilevanza da interrompere qualunque legame del bene con i precedenti possessori e da determinare un acquisto a titolo originario, sicché la pretesa sanzionatoria dello Stato di aggredire con il provvedimento di confisca il bene del terzo, negandogli persino la possibilità di dimostrare la propria buona fede nell'acquisto, è priva di qualsiasi collegamento con una sua condotta suscettibile di riprovazione e si pone irrimediabilmente in contrasto con il principio della personalità della responsabilità penale.

Né tale conclusione può ritenersi validamente contrastata dalla considerazione dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui i beni provenienti da contrabbando avrebbero una intrinseca pericolosità sociale che giustificherebbe l'applicazione di una misura di sicurezza anche nei confronti del terzo incolpevole. Se è vero infatti che misure di sicurezza patrimoniali possono talora colpire singoli beni indipendentemente dal rapporto con il soggetto che ne dispone, è altrettanto vero, come risulta dall'art. 240 del codice penale e come questa Corte non ha mancato di osservare (sentenza n. 229 del 1974), che ciò può avvenire solo quando si tratti di cose "nelle quali sia insita una illiceità oggettiva in senso assoluto": cose delle quali la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'aliena- zione non possono essere consentiti neppure con autorizzazione amministrativa. Quando però tale illiceità "oggettiva" non sussista, l'affidamento incolpevole costituisce un insuperabile diaframma che si interpone tra l'attività illecita dell'autore del contrabbando e l'acquisto della proprietà del bene da parte del terzo, il quale sarebbe altrimenti inammissibilmente colpito, a causa della confisca, a titolo di responsabilità oggettiva.

4.-- Non può negarsi che, come questa Corte ha già rilevato in altre occasioni (sentenze n. 5 del 1977, n. 114 del 1974 e n. 157 del 1972), il reato di contrabbando doganale presenta peculiari caratteristiche collegate con la lesione di primari interessi finanziari dello Stato tali da giustificare l'imposizione di un trattamento sanzionatorio particolarmente rigoroso e severo nei confronti degli autori del reato stesso (disciplina della recidiva, equiparazione tra reato tentato e reato consumato, dichiarazione di abitualità). Tuttavia, la maggior severità di trattamento del reato di contrabbando, non irragionevole nei confronti dell'autore dell'illecito, quando venga estesa al terzo estraneo al reato, il quale sia addirittura privato della possibilità di dimostrare la propria buona fede, non è sorretta dai requisiti di adeguatezza e proporzionalità che costituiscono vincoli generali dell'attività legislativa intesa a comprimere diritti dei privati.

Un più ragionevole equilibrio degli interessi che in simili casi vengono in considerazione (quelli dello Stato connessi all'esercizio della potestà tributaria, quelli del privato derivanti dal principio dell'affidamento incolpevole) porta a ritenere che l'interesse finanziario dello Stato possa certo ricevere un ambito di tutela privilegiata anche nei confronti del terzo sul piano processuale. Può quindi risultare non irragionevole una deroga al principio vigente in materia di acquisti di beni mobili secondo il quale la buona fede è generalmente presunta; ma la tutela di tale interesse non può spingersi sino al punto di impedire al terzo estraneo al reato di essere ammesso a provare che non sussistevano al momento dell'acquisto circostanze tali da far sorgere sospetti circa la provenienza del bene da contrabbando.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 301, primo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), come modificato dall'art. 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, nella parte in cui non consente alle persone estranee al reato di provare di avere acquistato la proprietà delle cose ignorando senza colpa l'illecita immissione di esse sul mercato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 gennaio 1997.

Renato Granata, Presidente

Carlo Mezzanotte, Redattore

Depositata in cancelleria il 10 gennaio 1997.