Sentenza n. 5 del 1977
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 5

ANNO 1977

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 296 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (testo unico delle leggi in materia doganale), promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 6 giugno 1974 dal tribunale di Como nel procedimento penale a carico di Tosi Elio, iscritta al n. 383 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 289 del 6 novembre 1974;

2) ordinanze emesse il 1 ottobre 1975 dal tribunale di Como nei procedimenti penali a carico di Bergamo Claudio ed altri, Scarinzi Edoardo e Bormolini Riccardo, iscritte ai nn. 104, 105 e 106 del registro ordinanze 1976 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 24 marzo 1976;

3) ordinanza emessa il 1 ottobre 1975 dal tribunale di Como nel procedimento penale a carico di Milo Giovanni ed altro, iscritta al n. 133 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 85 del 31 marzo 1976;

4) ordinanza emessa il 1 ottobre 1975 dal tribunale di Como nel procedimento penale a carico di Bruga Anselmo, iscritta al n. 251 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 125 del 12 maggio 1976.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 novembre 1976 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Gozzi, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel procedimento penale a carico di Tosi Elio ed altri, imputati del reato di contrabbando di generi di monopolio (tabacchi esteri), il tribunale di Como, con ordinanza 6 giugno 1974, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 296 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, concernente la recidiva in materia di reati doganali, per pretesa violazione dell'art. 3 della Costituzione. Secondo il tribunale, la norma impugnata disciplinerebbe in modo vincolante la detta aggravante, diversamente dall'art. 9 del d.l. 11 aprile 1974, n. 99, che ne lascia invece l'applicazione alla discrezionalità del giudice e sanzionerebbe così una diversità di trattamento a parità di condizioni personali che contrasterebbe, come tale, col principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.

In altri cinque procedimenti penali analoghi a carico rispettivamente di Bergamo Claudio e altri, Scarinzi Edoardo, Bormolini Riccardo, Milo Giovanni ed altri, Bruga Anselmo ed altri, lo stesso tribunale con ordinanze emesse il 1 ottobre 1975 ha sollevato identica questione di legittimità costituzionale.

Le ordinanze sono state notificate, comunicate e pubblicate come per legge.

Avanti a questa Corte si é costituito, in tutti i menzionati giudizi, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato tempestivamente le proprie deduzioni.

L'Avvocatura osserva che la peculiare disciplina della recidiva nel contrabbando la quale investe non solo l'obbligatorietà della contestazione dell'aggravante, ma altresì la misura ed il tipo dell'aggravamento della pena, diversa e più grave rispetto a quelle previste per i recidivi in reati comuni, sarebbe giustificata vuoi dalla necessità della prevenzione di un delitto come quello di contrabbando, particolarmente soggetto ad assumere i caratteri dell'abitualità e della professionalità, tanto che il legislatore speciale ha espressamente disciplinato tali ipotesi con gli artt. 297 e 298 del t.u. citato, vuoi dalla esigenza di tutelare l'Erario dai danni gravi e diretti cui é esposto per effetto di tale reato.

La impugnata regolamentazione della recidiva risponderebbe pertanto a particolari finalità preventive e repressive che hanno ispirato il legislatore speciale nel disciplinare in modo diversificato e più grave il reato di contrabbando doganale, e sarebbe quindi il frutto di apprezzamenti e valutazioni di politica criminale affidata alla discrezionalità del legislatore medesimo, salvo ovviamente i limiti della ragionevolezza e della coerenza logica.

E l'evidente rispondenza a detti criteri della disposizione impugnata sarebbe confermata dalla circostanza che la più rigida disciplina si renderebbe applicabile solo nei casi di recidiva specificamente indicati, mentre la stessa norma prevede che, negli altri casi, la recidiva nel contrabbando é regolata dal codice penale.

Considerato in diritto

1. - Tutte le ordinanze indicate in epigrafe riguardano la stessa questione, per cui può disporsi la loro riunione, in modo da dar luogo a decisione con unica sentenza.

2. - Va premesso che l'art. 111 della legge doganale del 1940, n. 1424, regolava la recidiva primaria o reiterata nel reato di contrabbando, prevedendo una forma speciale di aggravamento per le ipotesi di reato punite con la sola multa, e precisamente l'inflizione obbligatoria della reclusione fino ad un anno in aggiunta alla pena pecuniaria nel caso di recidiva primaria, e l'aumento dalla metà a due terzi di tale pena aggiuntiva per il caso di recidiva reiterata.

La stessa norma prevedeva poi, in linea generale, e salvo quindi i detti casi particolari di aggravamento, l'applicazione ai reati previsti dalla legge doganale della disciplina normalmente dettata dall'art. 99 cod. pen. e cioè l'applicazione obbligatoria degli aumenti di pena ivi previsti per le altre ipotesi di recidiva.

L'art. 296 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, impugnato, riproduce letteralmente l'art. 111 sopra menzionato, ritenuto applicabile nella specie ai sensi dell'art. 148 della citata legge doganale del 1940, trattandosi di imputazioni concernenti contrabbando di generi di monopolio di provenienza estera.

Il giudice a quo lamenta il contrasto di tale disciplina col principio di uguaglianza, facendo riferimento alla nuova normativa disposta in materia dall'art. 9 del d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito nella legge 7 giugno 1974, n. 220, che, a modifica dell'art. 99 cod. pen., rimette la applicazione della recidiva alla discrezionalità del giudice, e considerando che, a seguito di tale innovazione, il permanere della particolare disciplina vincolante della recidiva in materia di contrabbando condurrebbe ad una ingiustificata diversità di trattamento di quegli imputati rispetto agli imputati di altri reati.

3. - La questione non é fondata.

Come é noto, per costante giurisprudenza della Corte, l'osservanza del principio di eguaglianza non esclude che il compito di determinazione della misura delle sanzioni penali resti di stretta spettanza del legislatore (sent. n. 9 del 1972) in funzione dei suoi indirizzi di politica giuridico - sociale, sottraendosi al giudizio della Corte, sempre che ovviamente la sperequazione non assuma dimensioni tali da non riuscire sorretta da una benché minima giustificazione di ordine razionale e logico (sent. nn. 119 del 1973, 218 e 271 del 1974). Ed é in particolare da ricordare che, in ogni caso, secondo la giurisprudenza della Corte (sent. n. 155 del 1971) le condizioni personali, collocate dall'art. 3 della Costituzione sullo stesso piano del sesso, della razza, della lingua, della religione e delle opinioni politiche per escludere ogni discriminazione fra i cittadini, non sono quelle che derivano da un'attività criminosa del soggetto, in ordine alle quali, appunto, resta salva la discrezionalità del legislatore quanto alla determinazione della pena. Ed é altresì noto, come la Corte ha pure più volte ritenuto, che il reato di contrabbando doganale presenta peculiari caratteristiche collegate con la lesione di primari interessi finanziari dello Stato mediante l'evasione tributaria che l'agente procura con il passaggio clandestino o fraudolento, attraverso la linea doganale, delle merci soggette a diritto di confine, creando situazioni di possibile pericolo e di pubblico allarme (sent. nn. 157 del 1972 e 144 del 1974). Pertanto, mentre é evidente che la disciplina della recidiva censurata dal giudice a quo attiene alla determinazione della misura della sanzione penale per il reato di contrabbando, e rientra quindi nella sfera di discrezionalità del legislatore, é altresì chiaro che la sussistenza delle particolari caratteristiche del reato stesso, che postulano logicamente, per la delicatezza degli interessi protetti, una tutela particolarmente efficace, esclude quegli elementi di irragionevolezza o illogicità che soli potrebbero, come si é detto, legittimare un sindacato della Corte ai fini della osservanza del principio di uguaglianza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 296 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, (disposizioni legislative in materia doganale) sollevata con le ordinanze in epigrafe dal tribunale di Como, in relazione all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 gennaio 1977.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 12 gennaio 1977.