Sentenza n. 157 del 1972

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 SENTENZA N. 157

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 composta dai signori:

Prof. Michele FRAGALI, Presidente

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio GIONFRIDA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 114, primo comma, della legge 25 settembre 1940, n. 1424 (legge doganale), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanze emesse il 22 luglio 1970 dal giudice. di sorveglianza del tribunale di Firenze nei procedimenti per misure di sicurezza a carico di Zecchino Antonio, Stella Antonio e Lombardi Renato, iscritte ai nn. 323, 324 e 325 del registro ordinanze 1970 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 299 del 25 novembre 1970;

2) ordinanza emessa il 9 dicembre 1970 dal giudice di sorveglianza del tribunale di Firenze nel procedimento per misure di sicurezza a carico di Pizzolante Michele, iscritta al n. 30 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 del 24 marzo 1971.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 ottobre 1972 il Giudice relatore Paolo Rossi;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidene del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso del procedimento d’applicazione di misure di sicurezza nei confronti di tale Stella Antonio, il giudice di sorveglianza presso il tribunale di Firenze sollevava, con ordinanza del 22 luglio 1970, questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 114, primo comma, della legge doganale - secondo cui la dichiarazione d’abitualità in contrabbando produce gli stessi effetti della abitualità a delinquere -, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 25, terzo comma, della Costituzione.

Nell'ordinanza di rimessione si premette che la questione é ammissibile nella sede in cui é stata sollevata perché, nonostante la scadenza dei termini per l'impugnazione del provvedimento che ha applicato la misura di sicurezza, il giudice di sorveglianza conserva il potere di riesaminare il provvedimento stesso quando sia erroneamente applicativo di una misura di sicurezza, non formandosi in proposito la cosa giudicata.

Osserva il giudice a quo che, pur essendo l'abitualità nel contrabbando (art. 112 legge doganale) diversa da quella prevista nell'art. 102 del codice penale, alla prima, in virtù della norma impugnata, sono collegati i medesimi effetti che conseguono alla seconda e segnatamente la misura di sicurezza dell'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro per la durata minima di due anni.

Tale rinvio puro e semplice alla disciplina sancita dagli artt. 109, 216 e 217 del codice penale, contrasterebbe, ad avviso del giudice a quo, con l'art. 25, terzo comma, della Costituzione, secondo cui "nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge", perché la norma impugnata, ricollegando ad una certa fattispecie di pericolosità sociale una misura di sicurezza non propria di essa, ma di altra e diversa specie, eluderebbe, attraverso un rinvio generico ad una diversa disciplina normativa, il precetto costituzionale secondo cui é necessaria un'apposita previsione di legge.

Inoltre, prosegue l'ordinanza di rimessione, la statuizione di uguali effetti per due distinte ipotesi violerebbe il principio costituzionale d'uguaglianza, per ingiustificata equiparazione di situazioni diverse, sotto i seguenti profili: a) la situazione di pericolosità sociale ravvisata nel contrabbando abituale (art. 112 legge doganale) é di minor rilievo di quella prevista dall'art. 102 del codice penale, che richiede la condanna a gravi pene detentive, mentre la prima suppone anche lievi violazioni, per le quali i diritti sottratti non siano inferiori complessivamente alle 50.000 lire; b) nessun limite di tempo é previsto dall'art. 112 della legge doganale, diversamente da quanto disposto dall'art. 102 cod. pen., per l'ulteriore condanna che comporta, in aggiunta alle tre precedenti, la dichiarazione di abitualità.

É intervenuto in questa sede il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto di intervento depositato il 21 ottobre 1970, chiedendo dichiararsi l'infondatezza della questione proposta.

Osserva l'Avvocatura dello Stato che il presupposto accolto dal giudice di merito, secondo cui la pericolosità sociale dell'abituale in contrabbando é minore di quella del delinquente abituale comune, non risulta fondato. Al contrario, la speciale normativa degli artt. 112 e 114 della legge doganale appare ispirata a particolare rigore, richiamando gli stessi effetti previsti dagli artt. 109 e 216 cod. pen., proprio perché diretta a tutelare l'interesse generale alla riscossione dei tributi, il quale riceve dalla Costituzione una specifica tutela che vale a qualificarlo come un interesse particolarmente differenziato (cfr. sentenze della Corte costituzionale n. 50 del 1965 e n. 45 del 1963).

Pertanto il legislatore, nell'ambito della sua discrezionalità in sede di politica criminale, legittimamente ha disposto l'applicazione a colui che é stato dichiarato delinquente abituale in contrabbando delle stesse misure di sicurezza previste per il delinquente abituale comune.

Soggiunge infine la difesa dello Stato che non contrasta con l'invocato principio di legalità (art. 25, comma terzo, della Costituzione) la statuizione, effettuata dal legislatore, anche mediante generico rinvio ad altra normativa, di applicare le medesime misure di sicurezza a situazioni di pericolosità sociale che, nell'ambito della sua discrezionalità, ha considerato equivalenti.

2. - Nel corso dei procedimenti di applicazione di misure di sicurezza nei confronti di Zecchino Antonio e di Lombardi Renato il giudice di sorveglianza presso il tribunale di Firenze sollevava, con due distinte ordinanze di identico tenore, ed uguali a quella sopra indicata, la medesima questione di legittimità costituzionale dell'art. 114, primo comma, della legge 25 settembre 1940, n. 1424 (c.d. legge doganale) in riferimento agli stessi artt. 3, primo comma, e 25, terzo comma, della Costituzione.

3. - Identica questione di legittimità costituzionale é stata sollevata dal medesimo giudice di sorveglianza, nel procedimento a carico di Pizzolante Michele, con ordinanza del 9 dicembre 1970, nella quale si dà conto, con richiami di giurisprudenza, del perché venga in questione, ai fini del decidere, l'art. 114 della legge doganale, anziché l'art. 83 della legge sul monopolio del sale e del tabacco, richiamato nella sentenza di condanna della Corte d'appello di Firenze.

 

Considerato in diritto

 

Attesa l'identità dell'oggetto, i giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

Le questioni sollevate dalle diverse ordinanze sono due:

a) se l'art. 114, primo comma, della legge 25 settembre 1940, n. 1424, secondo cui gli effetti della dichiarazione di abitualità nel contrabbando sono quelli stessi stabiliti dall'art. 109 del codice penale che disciplina l'abitualità a delinquere comune, non contrasti con il principio d'uguaglianza sancito nell'art. 3 della Costituzione, in quanto parifica, agli effetti di misure detentive, due ipotesi diverse, quella del contrabbandiere abituale che abbia riportato quattro condanne a pene eventualmente lievi, e quella del delinquente comune la cui abitualità non può essere dichiarata se non in seguito a gravi condanne;

b) se l'impugnato art. 114, primo comma, della legge 25 settembre 1940, n. 1424, non contrasti con il principio di legalità garantito dalla Costituzione anche in tema di misure di sicurezza (art. 25, terzo comma, Cost.), in quanto col semplice richiamo all'art. 109 del codice penale attribuisca ad una certa specie di pericolosità sociale (l'abitualità in contrabbando) le conseguenze previste per una specie diversa.

Entrambe le questioni sono infondate.

1. - La valutazione della pericolosità dei singoli reati, e il compito di graduare per ciascuno le pene e le eventuali misure di sicurezza, spetta al legislatore, entro i limiti imposti dai principi generali e specificamente dagli artt. 2 e 27 della Costituzione. Ben può il legislatore, perseguendo ragionevoli fini di politica criminale, punire un reato in modo più severo di un altro che appaia a taluni meno dannoso o riprovevole; allo stesso modo può regolarsi per l'applicazione delle misure di sicurezza, che sono legittimamente previste anche per fatti non punibili.

Né si comprende perché la recidiva abituale in contrabbando dovrebbe meritare un trattamento diverso e più favorevole della comune recidiva abituale. Il contrabbando non soltanto é un reato diretto contro un interesse generale dello Stato, costituzionalmente protetto (artt. 53 e 14, terzo comma, Cost.), ma é capace di creare situazioni di pericolo e di pubblico allarme.

Il ricorso al principio di uguaglianza, sotto l'aspetto di un minor rilievo penale dell'abitualità in contrabbando rispetto alla generica abitualità nel delitto, é del tutto fuori luogo.

2. - Non sussiste in alcun modo la violazione del principio di legalità giustamente esteso dalla Costituzione anche alle misure di sicurezza (art. 25, terzo comma). L'art. 114, primo comma, della legge doganale, che con il preciso rinvio all'art. 109 del codice penale prevede per la dichiarazione di abitualità in contrabbando i medesimi effetti stabiliti per l'abitualità a delinquere, costituisce una completa, tassativa e non equivoca previsione legislativa.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 114, primo comma, della legge 25 settembre 1940, n. 1424 (legge doganale), sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 25, terzo comma, della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe indicate.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 novembre 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Paolo ROSSI

Depositata in cancelleria il 15 novembre 1972.