Ordinanza n. 291 del 1996

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ORDINANZA N. 291

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma 5, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), promosso con ordinanza emessa il 15 novembre 1995 dal Pretore di Vicenza - sezione distaccata di Schio, sul ricorso proposto da Galluzzo Carmela contro Santomio S.p.a., iscritta al n. 356 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1996.

udito nella camera di consiglio del 10 luglio 1996 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

RITENUTO che, nel corso di un giudizio promosso da Carmela Galluzzo contro la S.p.a. Santomio per ottenere l'annullamento del licenziamento intimatole e la reintegrazione nel posto di lavoro, non avendo la ricorrente aderito alla revoca del licenziamento e dichiarato, invece, di optare per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, il Pretore di Vicenza - sezione distaccata di Schio, con ordinanza del 15 novembre 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma 5, della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo modificato dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108, "nella parte in cui prevede l'incondizionata facoltà del lavoratore di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto";

che, ad avviso del giudice rimettente, il diritto all'indennità sostitutiva sorge per effetto del licenziamento illegittimo, non della sentenza che accerta l'illegittimità e dispone la reintegrazione, sicché ordine di reintegrazione e indennità sostitutiva sarebbero "due istituti assolutamente disomogenei e tra loro sostanzialmente scissi", la seconda avendo funzione risarcitoria di un danno presunto iuris et de iure, non una funzione di rafforzamento del primo;

che, pertanto, il diritto all'indennità dovrebbe essere limitato al caso in cui il datore di lavoro non ottemperi all'ordine di reintegrazione, anziché configurato "come potestà rimessa all'esclusiva volizione del lavoratore, assolutamente prevalente rispetto all'eventuale invito del datore a riprendere servizio, e quindi come una forma in ultima analisi aggiuntiva di risarcimento rimessa alla decisione insindacabile del lavoratore";

che tale tutela, "potenzialmente esorbitante rispetto all'esigenza astratta di riequilibrare gli interessi in gioco", se confrontata con quella accordata ai dipendenti delle piccole imprese dall'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (art. 2 della legge n. 108 del 1990), appare in contrasto con i princìpi di eguaglianza e di ragionevolezza;

che inoltre risulterebbe violato anche il principio di libertà di iniziativa economica per l'onere sproporzionato imposto agli equilibri finanziari delle imprese soggette alla disciplina impugnata.

CONSIDERATO che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 81 del 1992; ordinanze nn. 160 del 1992 e 77 del 1996), l'indennità di cui si controverte non ha una funzione di risarcimento aggiuntivo a quello previsto dal precedente comma 4, ma, in connessione col diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, si inserisce in un rapporto obbligatorio avente la struttura di un'obbligazione con facoltà alternativa dal lato del creditore, essendo attribuita al prestatore la facoltà insindacabile di "monetizzare" il diritto alla reintegrazione in una prestazione pecuniaria di ammontare fisso, pari a quindici mensilità di retribuzione;

che tale facoltà non può essere arbitrariamente vanificata dal datore di lavoro revocando il licenziamento in corso di giudizio allo scopo di impedire la pronuncia dell'ordine di reintegrazione, che è il presupposto di esercizio della facoltà medesima: dal "considerato" precedente discende, invece, il corollario (conforme alla giurisprudenza della Corte di cassazione: cfr. sentenza n. 13047 del 1995) che la revoca dell'atto di licenziamento e l'invito a riprendere il lavoro impediscono la pronuncia dell'ordine giudiziale di reintegrazione e conseguentemente la scelta dell'indennità sostitutiva solo se accettati dal lavoratore, espressamente o tacitamente col ritorno in servizio;

che il medesimo argomento con cui la sentenza n. 81 del 1992 ha escluso la censurabilità della norma, così interpretata, sotto il profilo del principio di razionalità vale ad escluderla anche se tale principio sia evocato in correlazione con l'art. 41 Cost., mentre, ai fini del principio di eguaglianza, la posizione delle imprese incluse nell'area della "tutela reale" dei lavoratori contro i licenziamenti non può essere confrontata con quella delle imprese incluse nell'area della "tutela obbligatoria", trattandosi di posizioni differenziate dalla legge secondo il criterio della dimensione dell'impresa più volte ritenuto giustificato da questa Corte (cfr., da ultimo, sentenza n. 44 del 1996).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma 5, della legge 20 maggio 1970, n.300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nel testo modificato dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108 (Disciplina dei licenziamenti individuali), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, dal Pretore di Vicenza - sezione distaccata di Schio con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 luglio 1996.