Sentenza n. 199 del 1994

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SENTENZA N. 199

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

Presidente: prof. Gabriele PESCATORE

Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI

prof. Antonio BALDASSARRE

avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

prof. Enzo CHELI

dott. Renato GRANATA

prof. Giuliano VASSALLI

prof. Francesco GUIZZI

prof. Cesare MIRABELLI

prof. Fernando SANTOSUOSSO

avv. Massimo VARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 12- bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), introdotto dall'art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), promosso con ordinanza emessa il 19 gennaio 1993 dalla Corte d'Appello di Trento nel procedimento civile vertente tra Maier Teresa e Chiusi Virginio, iscritta al n. 407 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1993;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un giudizio tra Maier Teresa ed il suo ex coniuge per le conseguenze patrimoniali della cessazione degli effetti civili del matrimonio, la Corte d'Appello di Trento, con ordinanza emessa in data 19 gennaio 1993, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 12- bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), introdotto dall'art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio) nella parte in cui esclude dal diritto a fruire della percentuale sull'indennità di fine rapporto l' ex coniuge non titolare di assegno di divorzio.

In punto di fatto il giudice a quo premette che il Tribunale di Bolzano, adito in primo grado, aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio e respinto le richieste economiche della Maier tendenti ad ottenere: un assegno di divorzio, lo scioglimento della comunione legale, nonché la corresponsione del 40 per cento dell'indennità totale di fine rapporto di lavoro percepita dal marito.

Dall'enunciato dell'art. 12- bis della legge n. 74 del 1987, osserva la Corte d'Appello di Trento, emerge uno stretto parallelismo tra la fruizione dell'assegno di divorzio ed il diritto ad ottenere una percentuale sull'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge: da ciò consegue, sempre secondo il giudice a quo, una irragionevole disparità di trattamento tra coloro che sono titolari di assegno e coloro che non lo sono. Mentre infatti l'assegno di divorzio assolve esclusivamente ad una funzione assistenziale, connessa all'esigenza di solidarietà sociale che deve sussistere anche fra ex coniugi, l'indennità di fine rapporto, invece, ha natura compensativa: la sua ratio risiede infatti nel riconoscimento del contributo che ciascun coniuge ha dato alla formazione del patrimonio familiare attraverso il proprio lavoro, l'assistenza e la collaborazione.

2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato che, nel contestare i rilievi esposti dalla Corte d'Appello di Trento, evidenzia come nella sentenza n. 23 del 1991 di questa Corte sia stata negata all'indennità di fine rapporto natura esclusivamente compensativa, convergendo in detto istituto anche aspetti di tipo assistenziale.

Con la legge n. 74 del 1987, prosegue la difesa erariale, si è inteso tutelare maggiormente i soggetti economicamente più deboli, approntando una serie di strumenti giuridici quali l'adeguamento automatico dell'assegno di divorzio, più ampie garanzie rispetto ad eventuali inadempienze, un trattamento pensionistico di reversibilità e l'attribuzione di una quota percentuale dell'indennità di liquidazione.

Poiché tutte queste misure si basano sulla stessa ratio, è coerente e razionale, e rientra nella discrezionalità del legislatore, porre a base di ulteriori agevolazioni proprio la corresponsione dell'assegno divorzile, in quanto, qualora l'assegno sia stato negato, è evidente che già in radice mancavano i presupposti della situazione di bisogno cui sono subordinate tutte le misure descritte, ed, in particolare, quella della attribuzione della quota ex art. 12- bis della legge n. 898 del 1970.

Non esiste, quindi, la dedotta disparità di trattamento, ma soltanto atteggiamenti diversi in riferimento a situazioni individuali diverse cui il sistema legislativo assicura, nella sua complessa articolazione, piena tutela.

Considerato in diritto

1. - La Corte d'Appello di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 12- bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), introdotto dall'art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio) nella parte in cui esclude dal diritto a fruire della percentuale sull'indennità di fine rapporto l' ex coniuge che non sia titolare di assegno di divorzio.

2. - Deve preliminarmente valutarsi se la questione sia ammissibile.

Come risulta dall'ordinanza di rimessione, la parte soccombente in primo grado aveva riproposto in sede di impugnazione tre distinte domande tendenti ad ottenere: a) la corresponsione di un assegno divorzile a carico dell' ex marito; b) la condanna di quest'ultimo alla corresponsione del 40 per cento dell'indennità di fine rapporto di lavoro da questi percepita; c) lo scioglimento della comunione legale con le relative conseguenze.

La Corte d'Appello, senza pronunciarsi sulla prima domanda e senza alcuna altra indicazione sulla sorte processuale o sostanziale della richiesta di un assegno divorzile (che - secondo la normativa vigente - è autonoma rispetto alla domanda relativa al diritto alla percentuale del trattamento di fine rapporto, mentre quest'ultima è condizionata alla concessione dell'assegno), ha ritenuto di sollevare la questione di legittimità costituzionale sulla norma che disciplina l'oggetto della seconda domanda.

3. - Appare evidente che l'approfondimento e la soluzione da parte di questa Corte di tale questione sarebbero del tutto superflui qualora il giudice a quo ritenesse, nel corso del giudizio principale, di dover accogliere il gravame circa la prima domanda relativa alla concessione dell'assegno di divorzio, poiché da tale decisione discenderebbe l'accoglimento della domanda riguardante il trattamento di fine rapporto.

È noto che i requisiti dell'attualità e della rilevanza di una questione di costituzionalità devono essere valutati allo stato degli atti e dell'iter decisionale, non sulla base di un'eventuale e teorica applicabilità della norma nel caso in cui il giudice, respingendo una prima domanda risolutiva del problema, intenda passare all'esame di una seconda domanda, il cui accoglimento è dalla legge condizionato al rigetto della precedente.

4. - Dalla motivazione dell'ordinanza non può evincersi quindi la rilevanza nel giudizio a quo della questione sottoposta all'esame di questa Corte, non avendo il giudice rimettente fornito sufficienti indicazioni per valutare se nel momento in cui detta questione è stata sollevata fosse sussistente il presupposto legale (e cioè la non titolarità dell'assegno divorzile) necessario per rendere rilevante la questione stessa.

Pertanto, coerentemente alla costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, ordinanze n. 139 del 1994 e n. 384 del 1993; sentenza n. 346 del 1993), la questione non può essere esaminata nel merito.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12- bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), introdotto dall'art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte d'Appello di Trento con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 12 maggio 1994.

Il Presidente: PESCATORE

Il redattore: SANTOSUOSSO

Depositata in cancelleria il 26 maggio 1994.