Ordinanza n. 139 del 1994

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ORDINANZA N. 139

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 507 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 30 aprile 1993 dal Pretore di Brescia - sezione distaccata di Gardone Val Trompia - nel procedimento penale a carico di Ghidini Ezio, iscritta al n. 475 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Udito nella camera di consiglio del 9 marzo 1994 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto che, con ordinanza del 30 aprile 1993, il Pretore di Brescia - sezione distaccata di Gardone Val Trompia - ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 112 della Costituzione, dell'art. 507 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede:

a) che "il giudice, una volta disposto il nuovo mezzo di prova, debba rinviare il dibattimento al fine di consentire adeguatamente alla parte onerata l'esercizio del diritto alla controprova";

b) che "tale rinvio sia equivalente a quello previsto, a seconda del rito, per i termini minimi di comparizione che, nel giudizio a quo, sono da individuare in 43 giorni ex artt. 555-558 c.p.p.";

che il remittente premette in fatto che il pubblico ministero "instava ex art. 507 del codice di procedura penale per far assumere come testimone il perito campionatore non indicato nella lista depositata dal pubblico ministero", e che "questo Pretore prima ammetteva la prova, poi ex art.190/3 del codice di procedura penale revocava il provvedimento di ammissione";

che, nel merito, il giudice a quo lamenta che la norma impugnata non prevede espressamente l'obbligo per il giudice di rinviare il dibattimento, a differenza di altre disposizioni in cui il legislatore ha imposto tale rinvio, osservando, peraltro, che nulla vieta che il giudice possa, anche d'ufficio, rinviare, ma potrebbe ben darsi che il giudice, pur in presenza di un'istanza in tal senso, non rinvii, ovvero rinvii per un tempo concretamente non sufficiente a consentire l'effettivo esercizio del diritto alla controprova;

che, ad avviso del remittente, la mera facoltà - anzichè l'obbligo - di disporre il rinvio del dibattimento determina la violazione del diritto di difesa, in quanto l'imputato vede molto limitati i propri poteri di ricercare ed indicare le prove contrarie; del principio di eguaglianza, in quanto si crea una disparità di trattamento tra imputati, a seconda che il pubblico ministero abbia o meno indicato ab origine la prova; dell'art. 112 della Costituzione, nel caso in cui sia il pubblico ministero a non poter disporre del tempo necessario per proporre la prova contraria;

che osserva, infine, il giudice a quo che il rinvio non può non essere equivalente al tempo che la parte aveva a disposizione dopo aver conosciuto le prove della controparte, e cioé deve essere pari al termine minimo di comparizione che, nel caso di specie, è di 43 giorni ex artt. 555 e 567 del codice di procedura penale.

Considerato che la questione appare chiaramente priva di rilevanza, in quanto il remittente, per il fatto di aver revocato - come s'è detto - il provvedimento di ammissione della prova prima di emettere l'ordinanza di rimessione, ha evidentemente escluso di dover far applicazione, allo stato degli atti, della norma impugnata;

che, pertanto, poichè il problema della concessione di una sospensione del dibattimento per l'esercizio del diritto alla prova contraria può ovviamente sorgere soltanto dopo che il giudice abbia ritenuto di disporre l'assunzione del nuovo mezzo di prova, la questione risulta sollevata in via meramente astratta ed ipotetica, e va quindi dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 507 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 112 della Costituzione, dal Pretore di Brescia, sezione distaccata di Gardone Val Trompia, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/03/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 13/04/94.