Sentenza n. 108 del 1994

CONSULTA ONLINE

SENTENZA N. 108

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Giudici

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 26 della legge 1° febbraio 1989, n. 53 (Modifiche alle norme sullo stato giuridico e sull'avanzamento dei vicebrigadieri, dei graduati e militari di truppa dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, nonchè disposizioni relative alla Polizia di Stato, al Corpo degli agenti di custodia e al Corpo forestale dello Stato) e art. 124 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario) promosso con ordinanza emessa il 4 marzo 1993 dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguria - Genova sul ricorso proposto da Bruno Anna contro il Ministero dell'interno, iscritta al n.567 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1994 il Giudice relatore Antonio Baldassarre.

 

Ritenuto in fatto

 

l.- Nel corso di un giudizio promosso da Anna Bruno contro il Ministero dell'interno, volto ad ottenere l'annullamento della nota 4 ottobre 1989, con la quale il predetto Ministero ha escluso la ricorrente dall'arruolamento nella polizia di Stato, il Tribunale amministrativo regionale della Liguria ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.26 della legge 1° febbraio 1989, n. 53, e dell'art. 124, terzo comma, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in riferimento agli artt. 3;27, primo comma; 51, primo comma e 97, primo comma, della Costituzione.

Il giudice a quo ricorda, in fatto, che la ricorrente, dopo il superamento delle prove concorsuali, è stata esclusa dall'arruolamento nella polizia di Stato, per pendenza di un procedimento penale nei confronti del fratello, sulla base delle norme impugnate, che estendono alle forze di polizia la previsione vigente per il concorso a uditore giudiziario, concernente la necessità del possesso di qualità morali e di condotta incensurabili, nonchè dell'appartenenza a famiglia di estimazione morale indiscussa. Tali disposizioni sarebbero, in primo luogo, contrastanti con gli art. 3 e 51 della Costituzione, poichè il legislatore, pur essendo libero di fissare i requisiti per l'ammissione a un pubblico impiego e di limitare così il diritto costituzionale di tutti i cittadini all'accesso agli uffici pubblici, non può tuttavia stabilire, come accade invece nel caso, limiti non rispondenti a criteri di logicità e non correlati a obiettivi interessi della pubblica amministrazione, oltrechè caratterizzati da un contenuto così vago da lasciare all'esecutivo una latissima discrezionalità. In secondo luogo, le stesse disposizioni violerebbero l'art. 27 della Costituzione, dal momento che stabiliscono una sorta di responsabilità oggettiva, addebitando a soggetti diversi conseguenze di condotte altrui, conseguenze che, per la loro gravità (perdita del posto di lavoro), sarebbero del tutto assimilabili a sanzioni penali (v. artt.28 e segg. c.p.). Infine, le disposizioni impugnate contrasterebbero con l'art. 97 della Costituzione, poichè, oltre a non poter essere giustificate sulla base del principio del buon andamento della pubblica amministrazione, esse non sembrano avere alcun rapporto di ragionevole congruenza con il valore dell'imparzialità della pubblica amministrazione, non essendo poste in vista dell'adozione di una condotta amministrativa tale da assicurare un'esatta valutazione di tutti gli interessi interferenti con il fine pubblico che le stesse norme intendono primariamente tutelare.

2.- É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere che la questione posta dal giudice a quo sia dichiarata non fondata.

L'interveniente osserva, innanzitutto, che il richiamo all'art. 51 della Costituzione non appare giustificato in considerazione del rilievo che tale disposizione espressamente rinvia al legislatore ordinario la fissazione dei requisiti per l'accesso agli uffici pubblici.

Inconferente sarebbe, altresì, l'invocazione dell'art. 27 della Costituzione, posto che quest'ultimo riguarda la responsabilità personale in campo penale, e non già l'asserita compressione di un proprio interesse legittimo legato all'arruolamento quale allievo della polizia di Stato.

Nè, ancora, sarebbe appropriato il richiamo all'art. 97 della Costituzione, poichè un particolare rigore nei requisiti di accesso a determinati uffici pubblici può, al contrario, ritenersi inteso ad assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione pubblica. Infine, non meriterebbero l'accoglimento neppure le prospettate censure d'irragionevolezza avverso il rilievo che le norme impugnate conferiscono all'indiscussa estimazione morale della famiglia dell'aspirante all'accesso a un ufficio di estrema importanza e delicatezza, quale quello della polizia di Stato, dal momento che la previsione normativa contestata appare in consonanza con il comune sentimento attuale, secondo il quale la famiglia costituisce il cardine della società e, come tale, è fonte e ragione dell'evoluzione, in bene e in ma le, di ciascuna persona.

 

Considerato in diritto

 

l.- Il Tribunale amministrativo regionale della Liguria ha sollevato questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt.3; 27, primo comma; 51, primo comma e 97, primo comma, della Costituzione - nei confronti dell'art.26 della legge 1° febbraio 1989, n. 53, nella parte in cui, richiedendo, ai fini dell'accesso nei ruoli del personale della polizia di Stato, "il possesso delle qualità morali e di condotta stabilite per l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria", rinvia all'art.124, terzo comma, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, laddove dispone che non sono ammessi al concorso coloro che, per le informazioni raccolte, non risultano, secondo l'apprezzamento insindacabile del Ministro competente, appartenenti a famiglia di estimazione morale indiscussa.

2.- La questione è fondata.

L'impugnato art. 26 della legge n. 53 del 1989 prevede, attraverso il rinvio alle norme stabilite per l'ingresso nella magistratura ordinaria, particolari limitazioni all'accesso nei ruoli della polizia di Stato. Il giudice a quo non contesta la natura di tali limitazioni, peraltro connesse all'adempimento di compiti e di doveri legati a un ufficio di vitale importanza e di estrema delicatezza al fine di assicurare beni pubblici fondamentali per la pacifica e ordinata convivenza dei cittadini, ma solleva il dubbio, più particolare, che l'appartenenza a famiglia di estimazione morale indiscussa, ricompresa fra i requisiti per l'immissione nei ruoli del personale della polizia di Stato, rappresenti una limitazione irragionevole, in grado di comportare conseguenze di tipo discriminatorio.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, risalente alle sentenze nn. 15 e 33 del 1960, l'art. 51, primo comma, della Costituzione, nel demandare al legislatore la fissazione dei requisiti in base ai quali tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici, non intende, certo, sottrarre tale potere a qualsivoglia sindacato di legittimità costituzionale sotto il profilo della congruità e della ragionevolezza delle limitazioni previste, come invece suppone l'Avvocatura dello Stato. Un sindacato del genere deve essere ammesso non soltanto per motivi di ordine generale - legati al fatto che, ogni volta che il legislatore è tenuto a bilanciare distinti valori costituzionali, non può affatto essere preclusa la via del controllo di questa Corte in ordine alla congruità e alla ragionevolezza del bilanciamento compiuto - ma anche per lo specifico motivo che lo stesso art.51, precisando espressamente che il predetto accesso dev'essere garantito a tutti i cittadini "in condizioni di eguaglianza", vincola il legislatore a sottoporre la propria discrezionalità di scelta ai rigorosi parametri posti dall'art. 3 della Costituzione.

Questa Corte è, dunque, chiamata a esaminare la disposizione denunciata sotto il profilo della sua congruità e ragionevolezza in riferimento al principio costituzionale che vieta al legislatore, nell'esercizio del suo potere discrezionale volto a stabilire per determinate categorie di pubblici uffici particolari e specifici requisiti di accesso, di far sì che questi ultimi si traducano, in concreto, in arbitrarie discriminazioni o in ingiustificate barriere in ordine all'ingresso nel posto di lavoro cui si è liberamente indirizzato il singolo cittadino. Sotto questo aspetto, il controllo di costituzionalità di questa Corte deve tener conto del rilievo che le garanzie predisposte dall'art. 51 della Costituzione riguardo all'accesso dei cittadini nei pubblici uffici sono un'applicazione particolare della generale libertà da irragionevoli limitazioni nell'accesso al lavoro (v. spec. sentt. nn. 207 del 1976 e 61 del 1965), che, per costante giurisprudenza costituzionale, è riconosciuta come profilo particolare del "diritto al lavoro" (art. 4 della Costituzione), un diritto più volte qualificato da questa Corte, anche con riferimento ai pubblici uffici, come "fondamentale diritto di libertà della persona umana" (v., ad esempio, sent. n. 45 del 1965).

3.- Considerata nel quadro dei valori costituzionali ora accennato, la condizione per l'accesso ai ruoli del personale della polizia di Stato, concernente l'appartenenza a famiglia di estimazione morale indiscussa, non può ragionevolmente ricondursi nell'ambito dei requisiti attitudinali dei singoli aspiranti, la cui determinazione è demandata dall'art. 51, primo comma, della Costituzione al legislatore ordinario.

Quella condizione, infatti, non riguarda capacità, attitudini o condotte relative al soggetto interessato, ma consiste in valutazioni o in comportamenti imputati all'ambiente familiare, che, in base a una arbitraria presunzione legislativa, vengono automaticamente riferiti al soggetto stesso. In conseguenza di ciò, deve ritenersi che la norma denunciata prevede una condizione comportante una limitazione irragionevole all'accesso ai pubblici uffici, in violazione del divieto contenuto nel principio di eguaglianza garantito dall'art. 3, primo comma, della Costituzione.

In realtà, la norma denunciata riflette una situazione storica della società italiana propria di molti decenni or sono, quando la famiglia era, di norma, l'ambito di socializzazione pressochè esclusivo dei giovani. Ora, a seguito dell'attuazione dell'obbligo scolastico e dello sviluppo delle possibilità reali di frequentare gli istituti di istruzione fino al livello universitario e a seguito dell'evoluzione dei rapporti sociali generali, che permette ai giovani un'accresciuta possibilità di interazione in ambiti extrafamiliari, non si può negare l'eventualità che singoli soggetti maturino in sè stessi la credenza in valori diversi o antitetici rispetto a quelli diffusi nelle proprie famiglie di origine e ispirino le proprie condotte a modelli di convivenza sociale differenti o contrari rispetto a quelli seguiti dai genitori o da altri componenti del proprio nucleo familiare.

Pertanto, se non è irragionevole che la moralità e la condotta di un soggetto che aspiri a entrare nei ruoli della polizia di Stato sia accertata anche con riferimento all'atteggiamento e al comportamento dell'interessato nei suoi ambienti di vita associata, compresa la famiglia, è invece arbitrario, nel concreto contesto storico appena delineato, presumere che valutazioni o comportamenti riferibili alla famiglia di appartenenza o a singoli membri della stessa diversi dall'interessato debbano essere automaticamente trasferiti all'interessato medesimo.

4.- L'impugnato art. 26 della legge n. 53 del 1989, nel rinviare ai requisiti attinenti alle finalità morali e di condotta stabilite per l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, richiama altresì le modalità di accertamento delle predette qualità, modalità che consistono, in riferimento al personale della polizia di Stato, in un provvedimento del ministro competente, contenente un apprezzamento insindacabile delle informazioni raccolte.

Anche per questo aspetto del rinvio effettuato dall'art. 26, la norma denunziata è chiaramente contrastante con il divieto costituzionale di discriminazioni arbitrarie nell'accesso ai pubblici uffici.

Costituisce, infatti, un'irragionevole limitazione alla posizione costituzionalmente garantita a ogni cittadino dall'art. 51, primo comma, della Costituzione tanto la previsione che a base del provvedimento diretto a negare l'accesso nei ruoli del personale della polizia di Stato siano genericamente poste "informazioni raccolte" da apparati amministrativi o da uffici di pubblica sicurezza, quanto la previsione che il provvedimento stesso consista in un "apprezzamento insindacabile del Ministro". In realtà, il rispetto dei parametri costituzionali invocati esige che l'anzidetto provvedimento di esclusione si basi su valutazioni imparziali aventi ad oggetto fatti specifici e obiettivamente verificabili, valutazioni che devono essere rese note attraverso la motivazione del provvedimento medesimo, di modo che quest'ultimo possa essere sottoposto all'esame degli organi giurisdizionali per l'indefettibile difesa dei diritti soggettivi o degli interessi legittimi dei singoli interessati (possibilità, questa, già ammessa grazie alla "interpretazione abrogante" data alla norma denunziata dalla giurisprudenza amministrativa). In mancanza di ciò verrebbero frustrate quelle esigenze costituzionali, recentemente sottolineate da questa Corte (v. sent. n. 440 del 1993), che precludono alla pubblica amministrazione apprezzamenti di estrema latitudine o indeterminati, proprio al fine di consentire al giudice amministrativo la verifica della legittimità del relativo provvedimento.

In conseguenza della pronunzia ora adottata, il rinvio al possesso delle qualità morali e di condotta stabilite per l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, operato dall'impugnato art. 26 ai fini dell'accesso ai ruoli del personale della polizia di Stato, resta operante nei limiti in cui l'esclusione è prescritta, secondo le modalità da ultimo ricordate, per "coloro che non risultano di moralità e condotta incensurabili". Questa è, infatti, la parte restante della norma cui l'art. 26 fa rinvio a seguito della dichiarazione d'incostituzionalità resa con la presente decisione.

5.- Sebbene i limiti della rilevanza della questione non consentissero al giudice a quo di estendere l'impugnazione all'art. 124, terzo comma, del regio decreto n. 12 del 1941, che di per sè concerne l'ammissione al concorso della magistratura ordinaria, nondimeno la disposizione appena citata va dichiarata costituzionalmente illegittima, nelle stesse parti caducate in riferimento al rinvio ad essa effettuato dall'art. 26 della legge n. 53 del 1989, sulla base del potere, attribuito a questa Corte dall'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, concernente la dichiarazione d'illegittimità costituzionale di disposizioni legislative diverse da quelle impugnate, la cui invalidità deriva come conseguenza della decisione adottata.

Infatti, una volta dichiarato incostituzionale il ricordato art. 26 nella parte, prima precisata, rinviante al possesso dei requisiti richiesti per l'ammissione al concorso della magistratura ordinaria, la medesima dichiarazione dev'essere resa ex officio in relazione alla disposizione oggetto del rinvio, essendo quest'ultima ovviamente identica alla norma desumibile per effetto del rinvio medesimo. Nè alcun rilievo può esser dato all'unico elemento differenziale relativo all'applicazione dell'art. 124, terzo comma, ai concorsi dei magistrati ordinari, consistente nel fatto che, in relazione a questi ultimi, l'apprezzamento delle "in formazioni raccolte" è riservato al Consiglio Superiore della Magistratura, ai sensi dell'art. 46 del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, n. 916 (Disposizioni di attuazione e di coordinamento della legge 24 marzo 1958, n. 195, concernente la costituzione e il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura e disposizioni transitorie). Anche se non si può trascurare che tale organo ha dato luogo a prassi interpretative della disposizione esaminata fortemente correttive, al fine di renderla meno distante dai valori consacrati nella Costituzione, resta il fatto che, in sè considerato, l'art.124, terzo comma, del regio decreto n. 12 del 1941 contrasta, per le ragioni già dette, con i principi costituzionali che esigono che il provvedimento ivi previsto sia basato su valutazioni imparziali aventi ad oggetto fatti specifici e obiettivamente verificabili, rese note attraverso la motivazione del provvedimento stesso.

Per effetto della dichiarazione d'illegittimità costituzionale parziale resa ex-officio sull'art. 124, terzo comma, del regio decreto n. 12 del 1941, viene altresì modificata la disciplina normativa dell'accesso ai ruoli del personale delle altre forze di pubblica sicurezza indicate nell'art. 16 della legge 1° aprile 1981, n. 121, per le quali l'art. 26 della legge n. 53 del 1989 contiene un rinvio alle norme sui concorsi della magistratura ordinaria identico a quello previsto per la polizia di Stato. Anche per tali categorie, in altre parole, la disciplina normativa residua è quella precisata precedentemente per la polizia di Stato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 26 della legge 1° febbraio 1989, n. 53 (Modifiche alle norme sullo stato giuridico e sull'avanzamento dei vicebrigadieri, dei graduati e militari di truppa dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, nonchè disposizioni relative alla Polizia di Stato, al Corpo degli agenti di custodia e al Corpo forestale dello Stato), nella parte in cui, rinviando per l'accesso ai ruoli del personale della polizia di Stato al possesso delle qualità morali e di condotta stabilite per l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, prevede che siano esclusi coloro che, per le informazioni raccolte, non risultano, secondo l'apprezzamento insindacabile del Ministro competente, appartenenti a famiglia di estimazione mora le indiscussa;

dichiara, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n.87 l'illegittimità costituzionale dell'art.124, terzo comma, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), nella parte in cui, nel disciplinare i requisiti di ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, prevede l'esclusione di coloro che, per le informazioni raccolte, non risultano, secondo l'apprezzamento insindacabile del Consiglio Superiore della Magistratura, appartenenti a famiglia di estimazione morale indiscussa.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/03/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Antonio BALDASSARRE, Redattore

Depositata in cancelleria il 31/03/94.