Sentenza n. 62 del 1994

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SENTENZA N. 62

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 7, commi 12 bis e 12 ter, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, nel testo introdotto dall'art. 8, primo comma, del decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto 1993, n. 296 (Nuove misure in materia di trattamento penitenziario, nonchè sull'espulsione dei cittadini stranieri) promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) due ordinanze emesse il 10 agosto e il 15 luglio 1993 dal Tribunale di Bergamo sulle istanze proposte da Hakimi El Kbir e Quiadar Aziz, rispettivamente iscritte ai nn. 644 e 657 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1993;

 

2) ordinanza emessa il 15 ottobre 1993 dal Tribunale di Roma sull'istanza proposta da Zohar Arusi, iscritta al n. 716 del registro ordinanze 1993e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.50, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visti l'atto di costituzione di Hakimi El Kbir, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica dell'11 gennaio 1994 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

 

udito l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

l.- A seguito della presentazione, in data 20 giugno 1993, dell'istanza di espulsione dallo Stato italiano da parte di Hakimi El Kbir condannato con sentenza di primo grado, emessa in data 16 giugno 1993, a sei anni di reclusione per i reati di ratto a fini di libidine, violenza carnale e atti di libidine, il Tribunale di Bergamo, sezione feriale, con ordinanza del 10 agosto 1993 (iscritta nel Registro delle ordinanze al n. 644 del 1993), ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, limitatamente ai commi 12 bis e 12 ter, introdotti dall'art.8, primo comma, del decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187 (convertito dalla legge 12 agosto 1993, n. 296), nella parte in cui impone al giudice procedente di disporre, su richiesta dello straniero o del suo difensore, l'immediata espulsione nello Stato di appartenenza o in quello di provenienza degli stranieri extracomunitari sottoposti a custodia cautelare per uno o più delitti, consumati o tentati, diversi da quelli indicati nell'art. 275, terzo comma, c.p.p..

 

Premesso, sotto il profilo della rilevanza, che i reati per i quali l'imputato é stato condannato non sono ricompresi nell'articolo da ultimo citato e che, ai sensi della sentenza n.148 del 1983 di questa Corte, é in principio possibile sollevare questioni di costituzionalità anche su norme penali di favore, il giudice a quo osserva come la valutazione della posizione dello straniero sottoposto a custodia cautelare operata dalla norma impugnata, ove raffrontata con quella del cittadino italiano sottoposto alla stessa misura, appaia arbitraria e non sorretta da criteri logici e razionali. Posto che, quando si tratta di diritti inviolabili, il principio di eguaglianza vale pure per lo straniero, la disposizione contestata sembra contrastare con tale principio nel concedere allo straniero sottoposto a custodia cautelare un trattamento privilegiato permettendo ad esso di sottrarsi con una propria determinazione al regime cautelare carcerario per avere in alternativa l'espulsione dallo Stato.

 

L'arbitrarietà di siffatta disparità di trattamento é evidenziata, secondo il giudice a quo, dalla considerazione del fine della misura cautelare (cioé quello di tutela della collettività dal concreto pericolo di reiterazione della condotta delittuosa), il quale non può essere supplito dalla previsione dell'espulsione, essendo questa legata per sua natura alla pericolosità sociale dell'individuo. Al contrario, la disposizione impugnata, la quale ha natura processuale e non sostanziale (e perciò non può essere qualificata norma penale di favore), deroga irragionevolmente alla disciplina complessiva delle misure cautelari e, soprattutto, alle cautele attinenti al concreto pericolo di fuga o di reiterazione della condotta delittuosa.

 

Inoltre, poichè il procedimento prosegue il suo corso, ove si addivenisse a una sentenza definitiva di condanna dello straniero espulso, risulterebbe molto meno agevole ottenere l'estradizione affinchè questi sconti la pena nel nostro Paese, dandosi così luogo a un'ulteriore arbitraria disparità di trattamento con il cittadino che si trovi nella medesima posizione.

 

Nè, infine, potrebbe ritenersi che i dubbi di costituzionalità siano attenuati dalla concreta disciplina posta dalla disposizione impugnata: infatti, oltre a restare fuori dall'art. 275 c.p.p. un'ampia gamma di gravi ipotesi delittuose, la previsione di talune preclusioni all'espulsione (individuate nelle "inderogabili esigenze processuali" ovvero "nelle gravi ragioni personali di salute o gravi pericoli per la sicurezza e l'incolumità in conseguenza di eventi bellici o di epidemie") non é, certo, volta ad assicurare la parità di trattamento fra cittadini e stranieri.

 

l.2.- È intervenuto l'imputato nel giudizio a quo per sostenere l'inammissibilità o l'infondatezza della questione.

 

Sotto il primo profilo, la difesa dell'imputato sottolinea che la disposizione contestata, incidendo sull'esecuzione della pena, contiene una norma penale di favore, di modo che la questione sarebbe inammissibile in ragione dell'impossibilità che un'eventuale pronunzia di accoglimento influenzi retroattivamente la posizione dell'imputato. Nè, sempre ad avviso della stessa parte, la conclusione prospettata potrebbe essere invalidata dalla sentenza n. 148 del 1983 di questa Corte, dal momento che nel caso di specie non ricorre nessuna delle ragioni individuate in quella decisione al fine di sottoporre a giudizio di costituzionalità le norme penali di favore.

 

Del resto, continua la stessa difesa, la conclusione non cambierebbe neppure ove la disposizione impugnata fosse assimilata alle norme processuali. Infatti, se in tal caso eventuali modificazioni sfavorevoli della disciplina normativa della custodia cautelare non potrebbero non avere applicazione nei procedimenti in corso, resta tuttavia il fatto che tale principio non potrebbe operare una volta che il diritto alla scarcerazione sia già maturato, come nel caso di specie, in base alla disciplina oggetto della censura di incostituzionalità.

 

Sotto il profilo del merito della questione, la difesa dell'imputato nel giudizio a quo osserva che non si dovrebbe dubitare della ragionevolezza di una norma posta dal legislatore, nell'esercizio della sua più piena discrezionalità, solo perchè creerebbe problemi nella prospettiva della futura ed eventuale esecuzione della pena.

 

Al contrario, la ragionevolezza della disposizione impugnata deriverebbe dal fatto che il legislatore non ha previsto sic et simpliciter la scarcerazione, ma ha stabilito che questa sia condizionata all'insussistenza di esigenze cautelari di tipo processuale e alla circostanza che l'imputato venga contestualmente espulso, configurando così una sorta di applicazione anticipata di una misura di sicurezza.

 

2.- Chiamato a decidere dell'istanza di espulsione dallo Stato italiano presentata da Quiadar Aziz, condannato dal Tribunale di Bergamo, prima sezione penale, con sentenza non definitiva, alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione per il reato di detenzione, a fini di spaccio, di sostanza stupefacente e sottoposto alla misura coercitiva della custodia in carcere, l'anzidetto Tribunale, con ordinanza iscritta nel registro ordinanze di questa Corte con il n. 657 del 1993, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, secondo comma, 27, terzo comma, e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del già citato art.7, comma 12 ter, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, il cui testo, come si é prima ricordato, é stato introdotto dall'art. 8, primo comma, del decreto-legge 14 giugno 1993, n.187 (convertito dalla legge n. 296 del 1993).

 

Premesso che non può minimamente dubitarsi della rilevanza della questione, essendo la norma impugnata quella che prevede il provvedimento richiesto nel giudizio a quo, il giudice rimettente sospetta, innanzitutto, che il citato art.7, comma 12 ter, si ponga in contrasto con gli artt. 3 e 13, secondo comma, della Costituzione, poichè attribuirebbe allo straniero extracomunitario una condizione di privilegio, nei termini già definiti nella ordinanza precedentemente illustrata, in violazione del principio di parità di trattamento, rispetto al cittadino, nel godimento dei diritti inviolabili. Tale violazione, aggiunge il giudice a quo, appare tanto più evidente nel caso in cui straniero e cittadino siano imputati in concorso fra loro del medesimo reato.

 

Inoltre, la stessa norma sarebbe lesiva del- l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, pur se, precisa il giudice a quo, tale contrasto appare al momento astratto, essendo l'istante condannato con sentenza non ancora definitiva. In effetti, secondo il giudice rimettente, l'espulsione dello straniero preclude del tutto la possibilità di eseguire la pena irrogata, rendendo così inattuabile l'essenziale funzione rieducativa della pena stessa. Infine, la norma impugnata svuoterebbe di ogni significato il principio del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione), dal momento che, mentre prevede l'obbligo (peraltro costituzionalmente sancito) di proseguire il procedimento penale, nello stesso tempo, con la previsione dell'espulsione, rende impossibile, o almeno estremamente difficoltoso, dare esecuzione all'atto definitivo dell'iter processuale, cioé la (eventuale) sentenza di condanna, rendendo così inutili tutte le attività giurisdizionali compiute.

 

3.- Posto di fronte all'istanza di espulsione presentata da Zohar Arusi, detenuto in espiazione della pena della reclusione di anni sei e mesi due inflitta dal Tribunale di Roma per il reato di cui agli artt. 71 e 74 della legge sugli stupefacenti, lo stesso Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del già ricordato art. 7, comma 12 bis, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, e successive modificazioni, nella parte in cui prevede che, nei confronti degli stranieri extracomunitari condannati con sentenza passata in giudicato ad una pena detentiva che, anche se costituente parte residua di una maggiore pena, non sia superiore a tre anni di reclusione, é disposta l'immediata espulsione nello Stato di appartenenza o di provenienza.

 

Premesso che, in base ai dati di fatto narrati, risulta evidente la rilevanza della questione, il giudice a quo, in ordine alla pretesa violazione del principio costituzionale di parità di trattamento, svolge argomenti analoghi a quelli enunciati nelle ordinanze di rimessione precedentemente illustrate. In aggiunta egli osserva che nel caso di specie non ricorrerebbero gli elementi che, secondo la giurisprudenza costituzionale, valgono a differenziare la posizione dello straniero rispetto a quella del cittadino, tanto più che l'espulsione dello straniero é già prevista dall'art. 86 della legge sugli stupefacenti.

 

Infine, rileva il giudice a quo, in considerazione del fatto che, ai sensi dell'art. 6 c.p., chiunque, non importa se cittadino o straniero, commette un delitto nel territorio dello Stato va punito secondo la legge italiana, la disparità ingiustificatamente introdotta dalla norma impugnata si palesa tanto più grave nei casi, come quello oggetto del giudizio principale, nei quali lo straniero (in ipotesi, corriere della droga) si introduce nel territorio nazionale al solo fine di commettere un delitto.

 

4.- In ciascuno dei giudizi sopra indicati é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale, svolgendo compiutamente le proprie difese solo nel giudizio iscritto al n. 657 del registro ordinanze del 1993 e ad esse rinviando nelle altre memorie, ha chiesto una pronunzia, in parte, di non fondatezza e, per altra parte, di inammissibilità.

 

Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, la violazione del principio costituzionale di parità di trattamento é mal invocato dai giudici rimettenti, poichè le posizioni del cittadino e dello straniero, sotto il profilo penale, differiscono per più aspetti e non sono automaticamente comparabili. Infatti, rispetto agli stranieri, specie se extracomunitari, il complesso regime del trattamento penitenziario e dell'esecuzione penale é concorrentemente determinato da problematiche diverse, attinenti alla sicurezza pubblica, all'ordine pubblico e alla politica statuale in tema di immigrazione. Pertanto, non può ignorarsi che il decreto- legge impugnato é stato dettato da ragioni di contenimento dei flussi migratori e che il provvedimento di espulsione previsto dalla norma impugnata non si traduce necessariamente in un trattamento di favore verso lo straniero, non potendo escludersi che esso si risolva in concreto in una misura più afflittiva di una pena detentiva di breve durata, scontata la quale lo straniero potrebbe continuare a soggiornare in Italia.

 

Ma, continua la stessa difesa, ove si volessero considerare le posizioni dello straniero e del cittadino non intrinsecamente eterogenee, occorrerebbe valutare la differenziazione introdotta dalla norma impugnata sotto il profilo della ragionevolezza. Da questo punto di vista, oltre a tener presenti le note e gravi esigenze di deflazione della popolazione carceraria e di prevenzione di situazioni critiche sotto il profilo dell'ordine, dell'igiene e della sicurezza negli istituti penitenziari, occorre sottolineare che l'espulsione a domanda é stata prevista per reati non gravi, per i quali, cioé, non é obbligatoria la custodia cautelare in carcere. Inoltre, sia nel concedere l'espulsione, sia successivamente alla stessa, il giudice é tenuto a valutare specificamente se sussistano inderogabili esigenze processuali implicanti la presenza dello straniero in Italia (ciò che sbarrerebbe la strada ai dubbi prospettati dal Tribunale di Bergamo, prima sezione penale, in relazione al caso di concorso di un cittadino e di uno straniero nella commissione di un medesimo reato). Infine, continua l'Avvocatura dello Stato, il provvedimento di espulsione, impugnabile dal pubblico ministero, non implica in linea teorica una rinuncia alla potestà punitiva dello Stato, ma ha, più semplicemente, l'effetto di sospensione dei termini di custodia cautelare e dell'esecuzione della pena.

 

Per quanto riguarda, poi, i profili relativi all'art. 27, terzo comma, e all'art. 97 della Costituzione, sollevati dal Tribunale di Bergamo, prima sezione penale, l'Avvocatura dello Stato eccepisce il difetto di rilevanza, trattandosi di questioni sollevabili dal giudice che procede quanto al merito del processo penale, e non dal giudice che, avendo già pronunziato la sentenza di condanna, é stato chiamato ad esprimersi sul solo thema decidendum inerente all'emanazione o meno dell'ordinanza di espulsione. Ove così non ritenesse la Corte, le questioni sarebbero comunque infondate. Infatti, il principio della funzione rieducativa della pena é salvaguardato almeno in parte dall'effetto meramente sospensivo dell'esecuzione della pena e dall'eventuale e immediato ripristino del- lo stato detentivo. Il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, poi, non può ritenersi leso, poichè, sebbene l'espulsione possa sfociare in una pena non eseguibile in concreto, tuttavia il processo penale, una volta attivato, dev'essere concluso, in linea generale, a prescindere dagli effetti che si determinano medio tempore quanto alla custodia cautelare e, in prospettiva, all'esecuzione della pena irrogabile.

 

 

Considerato in diritto

 

 

l.- Con tre distinte ordinanze, il Tribunale di Bergamo e il Tribunale di Roma hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, commi 12 bis e 12 ter, del decreto- legge 30 dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari e apolidi già presenti nel territorio dello Stato), convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, nel testo integrato con gli emendamenti aggiuntivi introdotti dall'art. 8, primo comma, del decreto- legge 14 giugno 1993, n. 187 (Nuove misure in materia di trattamento penitenziario, nonchè sull'espulsione dei cittadini stranieri), convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 1993, n. 296.

 

Più precisamente, mentre il Tribunale di Bergamo, sezione feriale, impugna l'art. 7, commi 12 bis e 12 ter, in riferimento all'art. 3 della Costituzione e il Tribunale di Roma sospetta che il medesimo parametro costituzionale sia violato dall'art. 7, comma 12 bis, diversamente il Tribunale di Bergamo, prima sezione penale, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 12 ter, in riferimento agli artt. 3 e 13, secondo comma, nonchè agli artt. 27, terzo comma, e 97 della Costituzione. Tuttavia, poichè l'oggetto dei dubbi di costituzionalità espressi da tutti i giudici rimettenti é la medesima previsione concernente il potere del giudice di disporre, su richiesta dell'interessato (o del suo difensore), l'immediata espulsione nello Stato di appartenenza o in quello di provenienza degli stranieri extracomunitari sottoposti a custodia cautelare per uno o più delitti diversi da quelli indicati dall'art. 275, terzo comma, c.p.p. ovvero condannati con sentenza passata in giudicato ad una pena (anche per la parte residua da espiare) non superiore a tre anni di reclusione, i relativi giudizi possono essere riuniti per venire decisi con un'unica sentenza.

 

2.- Vanno, innanzitutto, respinte le eccezioni di inammissibilità prospettate dalla difesa dell'imputato del giudizio relativo all'ordinanza di rimessione emessa dal Tribunale di Bergamo, sezione feriale (R.O. n. 644 del 1993).

 

In via principale la predetta difesa osserva che la disposizione impugnata conterrebbe una norma penale di favore, di fronte alla quale un'eventuale sentenza di accoglimento di questa Corte non potrebbe avere alcuna influenza rispetto alla condizione dell'imputato nel giudizio a quo, non sussistendo alcuna delle ragioni di rilevanza indicate per casi del genere dalla giurisprudenza inaugurata dalla sentenza n. 148 del 1983 di questa Corte.

 

In realtà, la premessa da cui muove la difesa della parte privata non può essere condivisa. Riguardo all'espulsione dello straniero condannato con sentenza passata in giudicato, pur a non considerare il rilievo che di per sè l'espulsione possa costituire in concreto per lo straniero, non già un beneficio, ma una sanzione alternativa dal contenuto ancor più afflittivo di quello proprio di una pena detentiva (come pure é stato affermato nel corso della discussione parlamentare del disegno di legge di conversione del decreto- legge n. 187 del 1993), resta il fatto che l'espulsione non modifica la sottoposizione dello straniero alla pena, nel senso che determina non già l'estinzione di quest'ultima, ma soltanto la sospensione della stessa, sicchè la reclusione può riprendere il suo corso qualora lo straniero rientri nello Stato ovvero l'espulsione non sia eseguita. Nè é senza importanza, in relazione a ciò, notare che l'art. 8, secondo comma, del decreto-legge n. 187 del 1993 ha introdotto, aggiungendo l'art. 7 bis nel decreto-legge n. 416 del 1989, una nuova figura di reato, punibile con la reclusione da sei mesi a tre anni, a carico dello straniero che distrugge il passaporto o un documento equipollente per sottrarsi all'esecuzione del provvedimento di espulsione ovvero che non si adopera per ottenere dalla competente autorità diplomatica o consolare il rilascio del documento di viaggio occorrente all'esecuzione dell'espulsione medesima.

 

Riguardo alla situazione dello straniero sottoposto a custodia cautelare, che é quella propria dell'imputato del giudizio a quo, la previsione dell'espulsione oggetto di contestazione contiene una modificazione in deroga di una norma processuale, essendo predisposta la predetta custodia unicamente in vista della soddisfazione di esigenze di carattere cautelare o direttamente inerenti al processo. Da tale qualificazione della norma impugnata come norma processuale, in relazione alla fattispecie dello straniero sottoposto a custodia cautelare, deriva l'indubbia applicabilità di un'eventuale pronunzia di accoglimento alla situazione dedotta nel giudizio a quo (v. sentt. nn.15 del 1982, 1 del 1980, 88 del 1976, 146 del 1975, 147 e 74 del 1973), applicabilità che, contrariamente a quanto suppone la difesa della parte privata, non può essere preclusa dall'ipotizzato diritto all'espulsione maturato in capo allo straniero sulla base della disciplina legislativa antecedente all'eventuale dichiarazione d'incostituzionalità. Si deve, infatti, escludere che la semplice presentazione dell'istanza di espulsione da parte dell'interessato (o del suo difensore) possa condurre a configurare un diritto soggettivo dello straniero a ottenere l'espulsione stessa, considerato che l'art.7, comma 12 bis, subordina l'accoglimento della predetta istanza all'accertamento, basato su una valutazione discrezionale del giudice competente, riguardante vari presupposti, fra i quali l'insussistenza di inderogabili esigenze processuali.

 

3.- Vanno, invece, accolte le eccezioni di inammissibilità prospettate dall'Avvocatura generale dello Stato riguardo ai profili di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 12 ter, attinenti agli artt. 27, terzo comma, e 97 della Costituzione, sollevati dall'ordinanza di rimessione del Tribunale di Bergamo, prima sezione penale (R.O. n. 657 del 1993).

 

Come, del resto, ammette espressamente lo stesso giudice rimettente, le questioni relative all'art. 27, terzo comma, e all'art. 97 della Costituzione si presentano, allo stato attuale, come ipotetiche e, pertanto, inammissibili. Premesso, infatti, che oggetto del giudizio a quo é l'adozione o meno dell'ordinanza di espulsione da parte del giudice procedente, ai sensi dell'art. 7, comma 12 ter, in sede non attinente al merito del processo, a seguito di un'istanza proposta da uno straniero sottoposto a custodia cautelare e nei confronti del quale non é ancora intervenuta sentenza definitiva di condanna, la prospettazione dell'asserita vanificazione della funzione rieducativa della pena é di tutta evidenza non rilevante rispetto al giudizio a quo. Per gli stessi motivi risulta palesemente non pertinente rispetto al medesimo giudizio il riferimento al buon andamento della pubblica amministrazione, di cui il giudice rimettente lamenta la violazione in ragione del fatto che il provvedimento di espulsione, mentre non impedisce la doverosa prosecuzione del procedimento penale, renderebbe impossibile o estremamente difficoltosa l'espiazione della pena in concreto irrogata, con conseguente spreco di attività giurisdizionali.

 

4.- Non fondate sono le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 7, commi 12 bis e 12 ter, sollevate dai giudici a quibus sotto il profilo relativo alla pretesa disparità di trattamento fra cittadini e stranieri extracomunitari.

 

Occorre osservare, in via di premessa, che, anche se il Tribunale di Bergamo, prima sezione penale, ha formalmente posto la questione in riferimento agli artt. 3 e 13, secondo comma, della Costituzione, esso tuttavia non ha inteso sollevare profili ulteriori rispetto all'anzidetta disparità di trattamento. Da ciò consegue che, nonostante la differenza formale appena menzionata, le questioni di legittimità costituzionale ora esaminate sono sostanzialmente identiche, poichè concernono un unico profilo, più propriamente riconducibile, come hanno indicato gli altri giudici a quibus, all'art. 3 della Costituzione.

 

Per quanto sia opportuno ribadire ancora una volta che, quando venga riferito al godimento dei diritti inviolabili dell'uomo, quale é nel caso la libertà personale, il principio costituzionale di eguaglianza in generale non tollera discriminazioni fra la posizione del cittadino e quella dello straniero, va tuttavia precisato che inerisce al controllo di costituzionalità sotto il profilo della disparità di trattamento considerare le posizioni messe a confronto, non già in astratto, bensì in relazione alla concreta fattispecie oggetto della disciplina normativa contestata. E, poichè quest'ultima attiene all'espulsione di una persona dallo Stato italiano, é in relazione all'applicabilità di tale misura che va valutata la comparabilità o meno delle situazioni rispetto alle quali i giudici a quibus sospettano la violazione del principio costituzionale di parità di trattamento.

 

Valutata sulla base dei criteri ora enunciati, la posizione dello straniero si rivela del tutto peculiare e non comparabile, per l'aspetto considerato, con quella del cittadino, poichè l'espulsione é una misura riferibile unicamente allo straniero e in nessun caso estensibile al cittadino. A quest'ultimo, infatti, la Costituzione ha riservato, in relazione alle possibilità di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, una posizione assolutamente opposta, connotata da un generale status libertatis (art. 16, secondo comma, della Costituzione). In particolare, come questa Corte ha precisato in una precedente sentenza (v. sent. n. 244 del 1974), l'essere il cittadino parte essenziale del popolo o, più precisamente, il "rappresentare, con gli altri cittadini, un elemento costitutivo dello Stato" comporta in capo allo stesso il "diritto di risiedere nel territorio del proprio Stato senza limiti di tempo" e il diritto di non poterne essere allontanato per alcun motivo. Al contrario, la mancanza nello straniero di un legame ontologico con la comunità nazionale, e quindi di un nesso giuridico costitutivo con lo Stato italiano, conduce a negare allo stesso una posizione di libertà in ordine all'ingresso e alla permanenza nel territorio italiano, dal momento che egli può "entrarvi e soggiornarvi solo conseguendo determinate autorizzazioni (revocabili in ogni momento) e, per lo più, per un periodo determinato".

 

In realtà, la diversa posizione dello straniero, caratterizzata dall'assoggettamento, in via di principio, a discipline legislative e amministrative, che possono comportare, in casi predeterminati, anche l'espulsione dallo Stato, ha una ragione nel rilievo, sottolineato dall'Avvocatura erariale, secondo il quale la regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale é collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione. E tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede in materia un'ampia discrezionalità, limitata, sotto il profilo della conformità a Costituzione, soltanto dal vincolo che le sue scelte non risultino manifestamente irragionevoli (v. sentt. nn. 144 del 1970 e 104 del 1969).

 

5.- Sotto l'aspetto da ultimo indicato, viene in questione il dubbio, enunciato dal Tribunale di Bergamo, sezione feriale, per il quale la previsione dell'espulsione dello straniero sottoposto a custodia cautelare per delitti diversi da quelli indicati nell'art. 275 c.p.p. appare arbitraria e non sorretta da criteri logici e razionali.

 

Siffatto rilievo non può essere condiviso. Come risulta chiaramente dai lavori preparatori della legge di conversione del decreto-legge n. 187 del 1993, la previsione dell'espulsione per gli stranieri sottoposti a custodia cautelare configura un'ipotesi di sospensione della custodia cautelare in carcere (così come l'espulsione dello straniero condannato con sentenza passata in giudicato costituisce una causa di sospensione della esecuzione della pena detentiva) giustificata essenzialmente dall'interesse pubblico di ridurre l'enorme affollamento carcerario, di per sé difficilmente compatibile con un efficace perseguimento della funzione rieducativa della pena, e di allontanare dal territorio dello Stato stranieri sottoposti a procedimento penale (ovvero condannati con sentenza definitiva). Tale previsione, mentre non modifica la posizione dello straniero di fronte all'ordinamento penale (nel senso, prima precisato, che si tratta di una misura che semplicemente sospende l'esecuzione della custodia cautelare o l'espiazione della pena), risulta connotata da cautele e da limiti normativi, che ne circoscrivono significativamente le possibilità di applicazione.

 

Infatti, in riferimento alla situazione dello straniero sottoposto a custodia cautelare, il provvedimento di espulsione può essere adottato soltanto limitatamente alle ipotesi di reato diverse da quelle per le quali la custodia cautelare in carcere é la sola misura cautelare personale applicabile. In altri termini, come risulta confermato da altri elementi della norma impugnata (subordinazione della espulsione alla mancanza di inderogabili esigenze processuali), in questo caso l'espulsione dello straniero può essere discrezionalmente disposta dal giudice sempre che le esigenze cautelari riscontrabili nel caso concreto possano dirsi soddisfatte dalla misura dell'espulsione. In riferimento alla situazione dello straniero condannato con sentenza passata in giudicato, l'adozione dell'ordinanza di espulsione é, invece, subordinata alla circostanza che la pena da espiare, anche se residua di una maggior pena, non sia superiore a tre anni. E ciò evidentemente comporta, che il reato per il quale lo straniero é stato condannato sia di gravità non particolarmente rilevante o, nel caso di pena residua non superiore a tre anni, che la pena possa aver raggiunto, sulla base di una non irragionevole presunzione del legislatore, le finalità ad essa proprie.

 

Inoltre, non é inutile ricordare che, come si é prima accennato, l'art.7, comma 12 ter, secondo periodo, non impone inderogabilmente al giudice competente - cioé al giudice che procede, se si tratta di imputato, o al giudice dell'esecuzione, se si tratta di condannato, - di ordinare l'espulsione, ma gli attribuisce il potere di decidere "acquisite le informazioni degli organi di polizia, accertato il possesso del passaporto o di documento equipollente, sentito il pubblico ministero e le altre parti".

 

Né, infine, può essere ignorato che, se pure atipicamente condizionata dalla richiesta dell'interessato (o del suo difensore), l'espulsione dello straniero stabilita dalla norma contestata si colloca coerentemente entro un quadro ordinamentale nel quale sussistono altre ipotesi di espulsione dello straniero (come quelle disciplinate dall'art.235 c.p. e dall'art. 86 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309). E la stessa subordinazione del rilascio del provvedimento di espulsione previsto dalla norma impugnata alla richiesta dell'interessato (o del suo difensore), per quanto atipica, non costituisce un arbitrario elemento di favore nei confronti dello straniero, ma rappresenta, come si deduce anche dai lavori preparatori, un requisito diretto, nella fattispecie, ad armonizzare la condizione dello straniero ai valori costituzionali cui il legislatore deve riferirsi nel prevedere una misura pur sempre incidente sulla libertà personale, cioé su un diritto inviolabile dell'uomo.

 

Il complesso degli elementi normativi ora ricordati induce a ritenere non arbitraria, nè palesemente irragionevole, la scelta del legislatore di permettere la sospensione dell'esecuzione della misura custodiale, o della pena, contestualmente all'allontanamento definitivo dello straniero dal territorio dello Stato, come previsto dalla norma impugnata.

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 7, commi 12 bis e 12 ter, del decreto- legge 30 dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini e apolidi già presenti nel territorio dello Stato), convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, nel testo introdotto dall'art. 8, primo comma, del decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187 (Nuove misure in materia di trattamento penitenziario, nonchè sull'espulsione dei cittadini stranieri), convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 1993, n.296, sollevate, con le ordinanze indicate in epigrafe, dal Tribunale di Bergamo, sezione feriale, e dal Tribunale di Roma, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nonchè dal Tribunale di Bergamo, prima sezione penale, in riferimento agli artt. 3 e 13, secondo comma, della Costituzione;

 

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del sopra menzionato art. 7, comma 12 ter, sollevate, in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Bergamo, prima sezione penale, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/02/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Antonio BALDASSARRE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 24/02/94.