Sentenza n. 5 del 1993

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SENTENZA N. 5

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 58, ultimo comma del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all'art. 50, primo comma, dello stesso d.P.R. (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), promosso con ordinanza emessa il 19 dicembre 1991 dalla Corte d'Appello di Bologna nel procedimento penale a carico di Sarti Ernesto, iscritta al n. 138 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Ritenuto in fatto

 

 Udito nella camera di consiglio del 19 novembre 1992 il Giudice relatore Renato Granata

Con ordinanza del 19 dicembre 1991 la Corte d'appello di Bologna, nel corso del giudizio d'appello nei confronti di Sarti Ernesto, imputato del delitto di cui all'art. 50, primo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972 n.633 per omesso pagamento dell'IVA dovuta nell'anno 1976 per un ammontare di o.237.880.906, ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 58, ultimo comma, d.P.R. n.633/72 citato, in relazione al citato art. 50, primo comma, per contrasto con gli artt. 3 e 112 Cost.

La Corte d'appello rimettente , investita a seguito di impugnazione del Procuratore della Repubblica, premette che l'atto di accertamento dell'imposta evasa (nella misura suddetta) era stato annullato dalla Commissione tributaria di Bologna con decisione del 25 ottobre 1983, divenuta definitiva il 27 luglio 1984, e che il Tribunale di Bologna, giudicando il Sarti per il reato di cui all'art. 50, primo comma, citato, lo aveva prosciolto per improcedibilità dell'azione penale per non essersi realizzata la condizione di cui all'art. 58, ultimo comma citato; ritiene quindi che per pervenire all'accertamento del reato, come richiesto dal Procuratore della Repubblica appellante, rimane lo sbarramento rappresentato dall'ultimo comma dell'art. 58 citato in forza del quale l'accertamento effettuato in sede tributaria e divenuto definitivo fa stato nel processo penale.

Tale pregiudiziale però - sostiene la Corte rimettente richiamando la sentenza n.258 del 1991 della Corte costituzionale - confligge con l'art.3 Cost. per irragionevole disparità di trattamento tra imputati per reati comuni ed imputati per reati fiscali. Inoltre si pone in contrasto con il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 Cost.), che risulterebbe < < di fatto condizionata da determinazioni dell'Autorità amministrativa>>.

Considerato in diritto

 

 l. É stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 58, ultimo comma, in relazione all'art. 50, primo comma, d.P.R.26 ottobre 1972 n.633 (istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto) nella parte in cui prevede che la decisione pronunciata in sede tributaria in ordine all'accertamento dell'Ufficio e divenuta definitiva faccia stato nel processo penale per sospetta violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) in ragione della disparità di trattamento tra imputati di reati comuni ed imputati di reati fiscali e del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 Cost.) per il limite in tal modo frapposto al suo esercizio in caso di decisione tributaria che annulli l'atto di accertamento.

2. Il citato art. 50, primo comma, - norma abrogata (a partire dal 1° gennaio 1983) dall'art. 13 d.l. 10 luglio 1982 n.429, convertito nella legge n. 516 del 1982, e quindi (temporaneamente) ancora vigente per le condotte poste in essere fino a tale data - prevedeva come delitto il fatto di sottrarsi al pagamento dell'imposta dovuta nel corso di un anno solare per un ammontare superiore a L. 100.000.000. L'azione penale - prescriveva il successivo art. 58, ultimo comma (norma questa anch'essa abrogata con la medesima limitazione temporale) - poteva essere esercitata soltanto dopo che l'accertamento era divenuto definitivo (con ciò ripetendo una disposizione già contenuta nell'art. 21, ultimo co., legge n.4 del 1929); tale prescrizione - come già ritenuto da questa Corte con sentenza n.258 del 1991 riguardo alla analoga disposizione dettata dall'art. 56, ultimo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 (anch'essa abrogata dal citato art. 13 d.l. n. 429 del 1982) in relazione ai reati di evasione fiscale previsti dal precedente art. 50 - significava anche che il giudicato formatosi nel giudizio tributario faceva stato nel giudizio penale.

Come si è già avvertito, la pregiudiziale tributaria, così definita, è stata da ultimo eliminata dalla nuova normativa dei reati tributari, quale introdotta dal d.l. n.419 del 1982, che al citato art. 13 ha abrogato le tre disposizioni che la prevedevano (art. 21 legge n.4 del 1929, art.58, ultimo comma, d.P.R. n.733 del 1972 e art. 56, ultimo comma, d.P.R.n.600 del 1973); ma - per effetto della speciale disposizione dettata dal secondo comma del citato art. 13 - essa ha conservato una residuale applicabilità ai reati commessi fino al 31 dicembre 1982. Quindi dopo la radicale riforma del 1982 la pregiudiziale tributaria è rimasta non di meno vigente in un ambito assai limitato e progressivamente in via di esaurimento.

Pertanto la sollevata questione di costituzionalità, nonostante l'intervenuta modifica del quadro normativo, è tuttora rilevante nel giudizio a quo (che ha ad oggetto l'imposta sul valore aggiunto dovuta nell'anno 1976) atteso che, avendo la Commissione tributaria (con decisione definitiva non più soggetta a gravame) annullato l'avviso di accertamento con cui l'Amministrazione finanziaria faceva valere un'assunta evasione d'imposta da parte del contribuente, il giudicato tributario, così formatosi, è - come esattamente ritiene la Corte d'appello rimettente - preclusivo di un autonomo accertamento in sede penale del medesimo fatto.

3. Il quadro normativo - che, come rilevato, assegna all'istituto della pregiudiziale tributaria un ruolo residuale (ad esaurimento) - è stato inoltre ulteriormente modificato da questa Corte che ripetutamente è intervenuta con dichiarazioni di illegittimità costituzionale che hanno operato un'erosione della sua portata. E tale erosione - che il giudice rimettente chiede portarsi ad ulteriore compimento, muovendo le censure di cui in narrativa - ha seguito una duplice direttrice, perchè ne è risultato talora ampliato il diritto di difesa del contribuente-imputato, talaltra e steso l'esercizio dell'azione penale del pubblico ministero.

Mette conto da una parte ricordare - come orientate nel primo senso - le sentenze n.247 del 1983 e n.88 del 1982 che hanno rispettivamente escluso che la pronuncia giurisdizionale tributaria possa far stato nel processo penale nei confronti dei terzi che non abbiano potuto partecipare al relativo giudizio (tributario) e che la definitività dell'accertamento amministrativo, non più assoggettabile a rimedi giurisdizionali, abbia efficacia vincolante nel giudizio penale.

Per altro verso questa Corte ha dichiarato, con sentenza n.89 del 1982, l'illegittimità del citato art. 58 d.P.R. n.633 del 1972 e, con sentenza n.2 del 1989, la illegittimità dell'art. 56, ultimo comma, d.P.R.n.600 del 1973, nella parte in cui - l'uno e l'altro - dispongono che l'azione penale ha corso dopo che l'accertamento è divenuto definitivo anche nel caso di reato < < del tutto indipendente dalla entità del tributo>> evaso (rispettivamente: emissione di fatture inesistenti o non veritiere; annotazione nei certificati di corrispettivi inferiori a quelli effettivamente erogati).

Il più recente intervento di questa Corte (sent. n. 258 del 1991) si inserisce nel primo filone, essendo stata dichiarata l'illegittimità costituzionale di tale ultima disposizione (art. 56, ultimo comma) nella parte in cui stabilisce che l'accertamento dell'imposta, divenuto definitivo a seguito di una decisione di commissione tributaria, faccia stato nel giudizio penale relativo al reato di omessa, incompleta od infedele dichiarazione dei redditi, pronuncia questa che si fonda essenzialmente sulla considerazione che < < l'esigenza di evitare giudicati contraddittori non può più valere a ritenere costituzionalmente lecita la vincolatività per il giudice penale di pronunce tributarie che, pur se valide ai fini fiscali, sono basate su regole di giudizio estranee al processo penale e contraddittorie con la sua essenza>>.

4. La questione di costituzionalità in esame - che attiene alla pregiudiziale tributaria non come istituto processuale, ma per il suo contenuto sostanziale - riguarda (al pari della sentenza n.258 del 1991, da ultimo citata) gli effetti del giudicato tributario nel processo penale, ma con riferimento non già ai reati previsti dall'art. 56 d.P.R. n.600/73, bensì al reato contemplato dall'art. 50, primo comma, d.P.R.n.633/72.

La sostanziale identità delle due fattispecie ed il rispetto del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) implicano anche un'analoga valutazione della illegittimità costituzionale delle due norme (mentre assorbito è l'esame dell'ulteriore censura riferita all'art. 112 Cost.).

Non può infatti valere come elemento diversificatore il tipo di reato oggetto delle due norme, essendo irrilevante, al fine della valutazione della censura di costituzionalità, che l'effetto preclusivo del giudizio tributario riguardi l'evasione di un'imposta sui redditi, come nella fattispecie presa in considerazione da questa Corte nella sentenza n.258/91 citata, ovvero l'evasione dell'imposta sul valore aggiunto, come nella fattispecie di cui all'ordinanza di rimessione.

Pertanto una volta espunta dall'ordinamento la pregiudiziale tributaria relativamente ai reati in materia di imposte dirette, la permanenza dell'istituto relativamente al reato di evasione di IVA si appalesa irragionevole (non valendo il mero dato temporale - consistente nell'essere stato il reato commesso prima o dopo la data del 1° gennaio 1983 - a dare sufficiente giustificazione di un regime speciale che il legislatore ha inteso abrogare) e ridonda in violazione del principio di eguaglianza (art.3 Cost.) non tanto se si compara - come richiede il giudice rimettente - la posizione dell'imputato di un reato comune (per i quale vige il principio dell'autonomia delle singole giurisdizioni) con quella dell'imputato di un reato tributario commesso prima del 1^ gennaio 1983 e per il quale sia ancora in vigore il principio della prevalenza della giurisdizione tributaria (posto che in tal caso il giudicato tributario fa stato nel giudizio penale); quanto piuttosto, guardando al più limitato ambito dei reati tributari commessi prima della data suddetta, se si compara il trattamento riservato ai reati previsti dall'art.56 d.P.R. n.600/73 (per i quali non opera la pregiudiziale tributaria per effetto della citata pronuncia n.258/91) con quello invece ancora in vigore per il reato previsto dall'art. 50, primo comma, d.P.R. n. 633/72, oggetto del giudizio a quo (per il quale, al contrario, opera la pregiudiziale tributaria).

Va quindi dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art.58, ultimo comma, in relazione all'art. 50, primo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972 n.633 (istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto) nella parte in cui prevede che la decisione pronunciata in sede di giurisdizione tributaria in ordine all'accertamento dell'Ufficio e divenuta definitiva fa stato nel processo penale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 58, ultimo comma, d.P.R.26 ottobre 1972 n. 633 (istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto) nella parte in cui stabilisce che la decisione della commissione tributaria, divenuta definitiva, fa stato nel processo penale per il reato previsto dall'art. 50, primo comma, dello stesso d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633.

 Così deciso in Roma nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/01/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 19/01/93.