Sentenza n. 247 del 1983

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SENTENZA N. 247

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

          Prof. Livio PALADIN      

          Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 56, comma sesto, 42 e 61 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) e degli artt. 16 e 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario) promosso con ordinanza emessa il 3 novembre 1981 dal Tribunale di Ravenna nel procedimento penale a carico di Tucci Giuseppe iscritta al n. 830 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 1982.

Udito nella camera di consiglio del 23 febbraio 1983 il Giudice relatore Livio Paladin.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 3 novembre 1981, nel procedimento penale a carico di Giuseppe Tucci, imputato per avere presentato un'infedele dichiarazione dei redditi, il Tribunale di Ravenna ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 56, sesto comma, 42 e 61 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché degli artt. 16 e 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 27 della Costituzione.

Il giudice a quo rileva preliminarmente che, nella specie, l'accertamento dei redditi in questione é divenuto definitivo a seguito di pronuncia della Commissione tributaria di primo grado di Ravenna, dopo la dichiarazione di fallimento del Tucci: pronuncia avverso la quale il curatore del fallimento stesso non ha proposto ricorso, senza che a tale inerzia il fallito potesse porre rimedio. Per altro, nell'ordinanza di rimessione si afferma che ne sarebbe discesa una grave violazione del diritto di difesa e della stessa "presunzione di innocenza" dell'imputato, dal momento che il giudice penale non disporrebbe "del potere di sindacare sulla esistenza e consistenza del tributo evaso", con la conseguenza che sul fallito verrebbero "automaticamente" a gravare gli effetti penali dell'accertamento.

2. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte nessuno si é costituito, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri. Pertanto, la Corte é stata convocata in camera di consiglio, a norma degli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte stessa.

Considerato in diritto

1. - Questa Corte, con la sentenza n. 88 del 1982, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 60 e 21, terzo comma, della legge 7 gennaio 1929, n. 4, "nella parte in cui prevedono che l'accertamento dell'imposta e della relativa sovrimposta, divenuto definitivo in via amministrativa, faccia stato nei procedimenti penali per la cognizione dei reati preveduti dalle leggi tributarie in materia di imposte dirette". Ma tale decisione non consente di considerare già risolto, neppure in modo implicito, il caso che ora é in questione, nel senso che le norme denunziate non si prestino più a determinare le conseguenze ipotizzate e censurate dal giudice a quo (secondo la motivazione dell'ordinanza n. 95 di quest'anno).

Effettivamente, la Corte ha avuto cura di precisare più volte, non solo nel dispositivo ma nella motivazione della citata sentenza, che la pronuncia aveva esclusivo riguardo agli atti amministrativi dotati di efficacia vincolante per il giudice penale, impregiudicato restando il diverso problema dell'autorità spettante agli accertamenti divenuti definitivi per effetto di un provvedimento giurisdizionale. Ora, nel giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Ravenna, il giudice penale risulta vincolato dalla decisione di una Commissione tributaria; sicché la presente questione non può essere confusa con quella esaminata dalla sentenza n. 88 del 1982, ma richiede di venire affrontata nel merito.

2. - A tal fine, l'indagine va concentrata sull'art. 56, ultimo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ("Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi"), nella parte in cui si stabilisce che "l'azione penale per i reati di cui ai commi precedenti non può essere iniziata o proseguita prima che l'accertamento dell'imposta sia divenuto definitivo". E questa, infatti, fra le molte norme impugnate dal Tribunale di Ravenna, la sola che abbia tuttora una diretta rilevanza nel giudizio a quo - pur dopo l'abrogazione disposta, ma con effetto dal 1 gennaio 1983, mediante l'art. 13 del d.l. n. 429 del 1982, convertito nella legge n. 516 del medesimo anno - in quanto interpretata ed applicata nel senso che l'accertamento divenuto definitivo per effetto della pronuncia di una Commissione tributaria abbia autorità di cosa giudicata e dunque faccia stato nel conseguente giudizio penale. Ed é su tale norma che in sostanza si appuntano le censure dell'ordinanza di rimessione, là dove essa coinvolge anche casi in cui l'imputato sia rimasto estraneo, perché impossibilitato a parteciparvi, al giudizio tributario in seguito al quale l'imposta dovuta sia stata definitivamente accertata: come appunto si é verificato nella specie, dal momento che l'art. 43 della legge fallimentare, privando il fallito della legittimazione processuale nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale, determina per esso l'impossibilità giuridica di agire e difendersi dinanzi alle Commissioni tributarie, pur quando vengano in considerazione illeciti penali inerenti all'evasione delle imposte sui redditi.

Così circoscritta, la questione é fondata. Ad esigere l'annullamento della norma denunciata, valgono ragioni analoghe a quelle che hanno già indotto la Corte a temperare - per mezzo di varie decisioni - il rigore della cosiddetta unità della giurisdizione o del necessario coordinamento fra giurisdizioni diverse: nel cui nome si rendevano vincolanti vari tipi di accertamenti giurisdizionali, nei confronti di terzi che pur s'erano trovati nell'impossibilità di intervenire o di assumere veste di parte nei relativi giudizi. Effettivamente, con la sentenza n. 55 del 1971, la Corte ha ritenuto che sotto questo aspetto l'art. 28 cod. proc. pen. (sull'autorità del giudicato penale in altri giudizi civili o amministrativi) fosse incompatibile con la garanzia costituzionale del diritto di difesa. Nel medesimo senso ed entro analoghi limiti, la sentenza n. 99 del 1973 ha poi dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 27 cod. proc. pen. (sull'autorità del giudicato penale nel giudizio di danno). Più di recente, la sentenza n. 102 del 1981 ha nuovamente affermato "che la subordinazione, anche per i terzi rimasti estranei, dell'esercizio dei diritti civilistici all'accertamento che ne sia risultato in sede penale, viene a violare non soltanto il diritto di difesa ma anche il diritto di azione, inibendo la possibilità di dare la prova dei fatti posti a fondamento del proprio diritto"; e quindi ha annullato una serie di norme del d.P.R. n. 1124 del 1965, in tema di diritto di regresso dell'INAIL e di giudizio civile di danno a carico del datore di lavoro.

Dato il principio del libero convincimento del giudice penale, conclusioni del genere si impongono a fortiori quando si tratti di decisioni di altri tipi di giudici, destinate a far comunque stato in procedimenti come quello pendente dinanzi al Tribunale di Ravenna. Deve, pertanto, considerarsi in contrasto con l'art. 24 cpv. Cost. la previsione per cui l'accertamento dell'imposta, divenuto definitivo in conseguenza della decisione di una Commissione tributaria, vincola agli stessi effetti penali chi sia rimasto estraneo a quel giudizio, perché non posto in condizione di intervenirvi o di parteciparvi. E resta dunque assorbita l'ulteriore censura, proposta dal giudice a quo in riferimento all'art. 27 della Costituzione.

3. - Quanto, invece, alle impugnative degli artt. 42 e 61 del d.P.R. n. 600 del 1973, 16 e 19 del d.P.R. n. 636 del 1972, esse vanno dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza.

L'art. 42 del decreto n. 600 concerne gli avvisi mediante i quali l'amministrazione finanziaria porta a conoscenza dei contribuenti gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti di ufficio; l'art. 61 del decreto medesimo regola i ricorsi "contro gli atti di accertamento e di irrogazione delle sanzioni secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636"; gli artt. 16 e 19 del decreto n. 636 disciplinano, a loro volta, il termine per ricorrere, la fissazione dell'udienza e le memorie difensive, nei procedimenti dinanzi alle Commissioni tributarie di primo grado. Nessuna di queste norme potrebbe essere dunque applicabile in sede penale, neppure in seguito alle richieste pronunce di accoglimento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 56, ultimo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui comporta che l'accertamento dell'imposta divenuto definitivo in conseguenza della decisione di una commissione tributaria vincoli il giudice penale, nella cognizione dei reati previsti in materia di imposte sui redditi, contestati a chi sia rimasto estraneo al giudizio tributario, perché non posto in condizioni di intervenirvi o di parteciparvi;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 42 e 61 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 16 e 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 27 della Costituzione, sollevate dal Tribunale di Ravenna con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1983.

Leopoldo ELIA – Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE – Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 15 luglio 1983.