Sentenza n.32 del 1990

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SENTENZA N.32

 

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Dott. Francesco SAJA Presidente

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Ettore GALLO

 

Dott. Aldo CORASANITI

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 8, della legge 26 maggio 1965, n. 590 (Disposizioni per lo sviluppo della proprietà coltivatrice) e 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817 (Disposizioni per il rifinanziamento delle provvidenze per lo sviluppo della proprietà coltivatrice), promosso con ordinanza emessa il 18 aprile 1989 dalla Corte d'appello di Venezia nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Pavanello Lucia ved. Schiavo e Ortica Wally ed altri, iscritta al n. 405 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1989.

 

Visto l'atto di costituzione di Ortica Wally;

 

udito nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1989 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

 

udito l'avv. Alberto Borella per Ortica Wally.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Chiamata ad applicare nel giudizio di rinvio il principio di diritto, enunciato dalla Corte di cassazione, secondo cui "fuori dalle ipotesi contemplate dal terzo e dall'ultimo comma dell'art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, in caso di trasferimento a titolo oneroso della propria quota da parte del proprietario di quota indivisa del fondo rustico non spetta al comproprietario il diritto di prelazione", la Corte di appello di Venezia, con ordinanza del 18 aprile 1989, ha sollevato d'ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 44 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del citato art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell'art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817, "nella parte in cui non attribuiscono il diritto di prelazione e di riscatto anche al comproprietario di quota indivisa di un fondo, oggetto di comunione volontaria, che coltivi direttamente una parte individuata del fondo stesso".

 

Secondo il giudice a quo la disparità di trattamento, che nell'ipotesi di comunione volontaria é riservata dalle norme denunciate, così come interpretate nella sentenza di rinvio, al comproprietario coltivatore di una parte individuata del fondo comune, rispetto al coltivatore diretto di un fondo confinante, non sarebbe giustificata nè da una sostanziale differenza delle rispettive posizioni soggettive, chè anzi il primo avrebbe titoli maggiori del secondo al riconoscimento del diritto di prelazione, nè da una diversità di ratio in relazione agli obiettivi di politica fondiaria ai quali é preordinato l'istituto della prelazione agraria.

 

2.- Nel giudizio davanti alla Corte si é costituita la parte alienante eccependo in principalità l'inammissibilità, in subordine l'infondatezza della questione.

 

L'inammissibilità é affermata sia sul riflesso che al giudice sarebbe preclusa la promozione di incidenti di costituzionalità in contrasto coi principio di diritto enunciato dalla Cassazione, al quale é tenuto ad uniformarsi, sia sul riflesso che nella specie non sarebbe stata dimostrata la qualità di coltivatore diretto del comproprietario che pretende di riscattare la quota di fondo alienata.

 

Nel merito si sostiene l'infondatezza della questione facendo osservare anzitutto la diversità di ratio delle ipotesi di prelazione legale previste dalle norme impugnate e il loro carattere di norme di stretta interpretazione, in quanto limitatrici del diritto di proprietà garantito dall'art. 42 Cost., in secondo luogo la differenza sostanziale tra la comunione volontaria di un fondo, della quale si tratta nella specie, e l'ipotesi, contemplata nel terzo comma dell'art. 8 citato, di comunione ereditaria tra i membri della famiglia coltivatrice insediata sul fondo.

 

D'altro lato, l'alienazione di una quota indivisa del fondo, in quanto lascia immutata la comunione del diritto di proprietà, non é nemmeno assimilabile all'ipotesi di fondi contigui, di cui uno venga alienato, alla quale l'art. 7 della legge n. 817 dei 1971, ha esteso il diritto di prelazione.

 

Considerato in diritto

 

1.- La Corte d'appello di Venezia dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 44 della Costituzione, dell'art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell'art. 7 della legge n. 817 del 1971 < nella parte in cui non attribuiscono il diritto di prelazione e di riscatto anche al comproprietario di quota indivisa di un fondo, oggetto di comunione volontaria, che coltivi direttamente una parte individuata del fondo stesso>.

 

Vanno preliminarmente disattese due eccezioni di inammissibilità opposte dall'appellante in riassunzione. La prima riprende la tesi contraria all'ammissibilità della questione di costituzionalità sollevata dal giudice di rinvio contro il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, al quale è vincolato. Gli argomenti addotti non sono però tali da scalfire la tesi favorevole all'ammissibilità, seguita dalla giurisprudenza costante di questa Corte (cfr. sentenze nn. 138 del 1977, 11 del 1981, 21 del 1982, 2 e 345 del 1987).

 

Sotto un altro profilo l'inammissibilità è eccepita sul riflesso che la questione è basata sul presupposto che il comproprietario, il quale pretende il riscatto della quota alienata, sia coltivatore diretto di una parte individuata del fondo, mentre di tale fatto non sarebbe stata ancora acquisita la prova. Sotto questo profilo l'eccezione coinvolge la valutazione del materiale probatorio di causa, per la quale è competente esclusivamente il giudice a quo.

 

2. - La questione non è fondata.

 

Le norme impugnate non violano il principio di eguaglianza perchè la situazione del comproprietario di un fondo, nel caso in cui un altro partecipante alla comunione alieni la propria quota, non è paragonabile a nessuna delle posizioni considerate dalla legge come titolo del diritto di prelazione. Non, evidentemente, alla posizione dell'affittuario, del mezzadro o colono contemplati nel primo comma dell'art. 8 della legge n. 590 del 1965, o del coerede dell'alienante, membro della famiglia coltivatrice insediata sul fondo, contemplato nel terzo comma; ma neppure alla posizione del coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita, al quale il diritto di prelazione è stato esteso dall'art. 7 della legge n. 817 del 1971, perchè la contiguità è un concetto spaziale inapplicabile alle quote pro indiviso (ideali) di un fondo in comunione tra più persone, la quota essendo la misura, non l'oggetto, del diritto di ciascuna sul fondo.

 

3. -Nemmeno è violato il principio di razionalità, rapportato alle varie ragioni che, nell'ambito delle finalità indicate dall'art. 44 Cost., giustificano volta a volta il diritto di prelazione nelle tre ipotesi testè ricordate. Nel caso di cui si controverte non ricorre la ratio sottesa all'art. 8, primo comma, della legge n. 590 del 1965, che mira a far coincidere la titolarità dell'impresa agricola con la titolarità della proprietà del fondo, e quindi inerisce ai rapporti di affitto a coltivatore diretto, di mezzadria e di colonia, mentre è estranea ai rapporti tra proprietari. Non ricorre la ratio sottesa al terzo comma dell'art. 8, il quale tutela l 'interesse dei coeredi dell'alienante a evitare l'ingerenza di un estraneo nella conduzione familiare del fondo.

 

Non ricorre infine la ratio sottostante all ' ipotesi aggiunta dall'art. 7, secondo comma, n. 2 della legge n. 817 del 1971, intesa a favorire la ricomposizione fondiaria mediante l'accorpamento di terreni limitrofi. Nella specie si tratta, invece, di unico fondo in comproprietà: l'alienazione della quota di un partecipante non scioglie la comunione, non produce un frazionamento del fondo, di fronte al quale possa prospettarsi un interesse alla ricomposizione. L'alienazione lascia immutata la condizione giuridica del fondo, che è quella di un fondo indiviso, onde si tratta di impedire, in ossequio alla direttiva costituzionale di razionale sfruttamento del suolo, che la divisione ne pregiudichi la funzione economica. A tale esigenza provvedono gli artt. 720 e 1114 cod. civ. vietando la divisione in natura delle cose non comodamente divisibili.

 

4. -Non solo manca una ragione che, ai sensi dell'art. 44 Cost., possa giustificare l'imposizione al diritto di libera disponibilità della quota (art. 1103 cod. civ.), garantito dall'art. 42 Cost., del limite proposto dal giudice remittente, ma il diniego al comproprietario del diritto di prelazione nel caso oggetto del giudizio a quo ha una specifica ragion d'essere nell'art. 714 cod. civ., richiamato dall'art. 1116 per la divisione delle cose comuni.

 

In questo caso il diritto di prelazione frustrerebbe la norma citata del codice civile, secondo cui per sottrarre alla comunione, e quindi alla divisione, una parte individuata del fondo comune non basta che un partecipante l'abbia goduta separatamente, ma occorre che l'abbia usucapita.

 

Fino a quando non sia intervenuta l'usucapione per effetto del possesso esclusivo, il godimento separato di una parte concreta del fondo è giuridicamente irrilevante, e quindi non è idoneo ad attribuire al fruitore la qualità di coltivatore diretto, che è un presupposto essenziale della prelazione agraria.

 

Il godimento separato non dà diritto, in sede di divisione, all'inclusione della parte individuata nel proprio lotto: in via di estrazione a sorte, se le porzioni sono eguali, o in via di attribuzione ad opera del giudice se sono diseguali, essa potrà trovarsi nel lotto assegnato a un altro condividente. Concedere il diritto di prelazione nell'ipotesi in esame significherebbe consentire al comproprietario di far cessare la comunione, acquistando la proprietà del fondo intero, senza sottostare alla regola della divisione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590 (Disposizioni per lo sviluppo della proprietà coltivatrice) e dell'art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817 (Disposizioni per il rifinanziamento delle provvidenze per lo sviluppo della proprietà coltivatrice), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 44 della Costituzione, dalla Corte di appello di Venezia con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/01/90.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

 

Luigi MENGONI, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 26 Gennaio 1990.