Sentenza n. 310 del 1989

SENTENZA N.310

ANNO 1989

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 565, 582 e 540 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 21 marzo 1988 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Micarelli Matilde e Rastelli Rita ed altri, iscritta al n. 783 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale dell'anno 1989.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 aprile 1989 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

Considerato in diritto

1.-Sebbene accomuni le tre norme impugnate in un'unica questione di legittimità costituzionale, in realtà il giudice a quo solleva due questioni distinte: la prima, in linea principale, impugna gli artt. 565 e 582 cod. civ. nella parte in cui non includono tra i successibili ab intestato, parificandolo al coniuge, il convivente more uxorio; la seconda, in linea subordinata, impugna l'art. 540, secondo comma, in quanto non riserva al convivente, anche se escluso dal novero dei successibili a titolo di erede, almeno il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza della coppia, se di proprietà del defunto o comune.

Entrambe le questioni sono prospettate con riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione.

2. - La prima questione non é fondata.

Sotto il profilo del principio di eguaglianza la pretesa violazione dell'art. 3 e contraddetta dal rilievo, ripetutamente espresso da questa Corte, che < la situazione del convivente more uxorio e nettamente diversa da quella del coniuge> (sentenze n. 45 del 1980, n. 404 del 1988). E' vero che l'art. 29 Cost. non nega dignità a forme naturali del rapporto di coppia diverse dalla struttura giuridica del matrimonio, ma é altrettanto vero che riconosce alla famiglia legittima una dignità superiore, in ragione < dei caratteri di stabilita e certezza e della reciprocità e corrispettività di diritti e doveri, che nascono soltanto dal matrimonio>.

Lo stesso giudice remittente, là dove fa < salve eventuali, future differenziazioni riservate al legislatore>, ammette in definitiva che l'art. 3 non può essere invocato nella sua portata eguagliatrice. Ma le norme in esame non meritano censura neppure sotto il profilo del principio di razionalità. Il riconoscimento della convivenza more uxorio come titolo di vocazione legittima all'eredità, da un lato, contrasterebbe con le ragioni del diritto successorio, il quale esige che le categorie dei successibili siano individuate in base a rapporti giuridici certi e incontestabili (quali i rapporti di coniugio, di parentela legittima, di adozione, di filiazione naturale riconosciuta o dichiarata), dall'altro, per le conseguenze che comporterebbe nei rapporti tra i due partners (non solo l'obbligazione alimentare, ma anche qualcosa di simile all'obbligo di fedeltà), contraddirebbe alla stessa natura della convivenza, che é un rapporto di fatto per definizione rifuggente da qualificazioni giuridiche di diritti e obblighi reciproci.

Nemmeno può dirsi violato il principio di tutela delle formazioni sociali in cui si sviluppa la persona umana. Ammesso, come pure questa Corte ha ritenuto (sent. n. 237 del 1986), che l'art. 2 Cost. sia riferibile < anche alle convivenze di fatto, purché caratterizzate da un grado accertato di stabilita>, ciò non implica la garanzia ai conviventi del diritto reciproco di successione mortis causa, il quale certo non appartiene ai diritti inviolabili dell'uomo, i soli presidiati dall'art. 2.

In ordine alla famiglia naturale la discrezionalità lasciata al legislatore ordinario dall'art. 42, quarto comma, Cost. per la determinazione delle categorie dei successibili incontra soltanto il vincolo derivante dalla direttiva di equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi nei rapporti con i genitori che li hanno riconosciuti o nei confronti dei quali la filiazione e stata dichiarata, sancita dall'art. 30, terzo comma.

3. - La seconda questione é inammissibile.

Il giudice a quo non ha considerato che i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, attribuiti al coniuge dall'art. 540, secondo comma, cod. civ., sono oggetto di una vocazione a titolo particolare collegata alla vocazione (a titolo universale) a una quota di eredità, cioè presuppongono nel legatario la qualità di legittimario al quale la legge riserva una quota di eredità. Tale collegamento, per cui i detti diritti formano un'appendice della legittima in quota, si spiega sul riflesso che oggetto della tutela dell'art. 540, secondo comma, non e il bisogno dell'alloggio (che da questa norma riceve protezione solo in via indiretta ed eventuale), ma sono altri interessi di natura non patrimoniale, riconoscibili solo in connessione con la qualità di erede del coniuge, quali la conservazione della memoria del coniuge scomparso, il mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status symbols goduti durante il matrimonio, con conseguente inapplicabilità, tra l'altro, dell'art. 1022 cod. civ., che regola l'ampiezza del diritto di abitazione in rapporto al bisogno dell'abitatore.

Pertanto il giudice remittente non chiede alla Corte semplicemente di inserire il convivente more uxorio nella previsione dell'art. 540, secondo comma, ammettendo anche questa forma del rapporto di coppia quale possibile referente della nozione di < casa adibita a residenza familiare>, bensì sollecita l'introduzione nell'ordinamento della legittima di una nuova fattispecie strutturalmente e funzionalmente diversa da quella portata a modello: strutturalmente, perché il diritto di abitazione sarebbe attribuito al convivente indipendentemente dalla qualità di chiamato all'eredità; funzionalmente, perché, secondo la prospettazione dell'ordinanza di rimessione, il diritto di abitazione sarebbe qui destinato a tutelare direttamente e specificamente l'interesse alla conservazione dell'alloggio.

Una siffatta innovazione nel sistema normativo esula dai poteri della Corte.

Spetta al legislatore valutare il grado di meritevolezza di tutela dell'interesse all'abitazione nell'ipotesi in esame, e quindi decidere tra le due forme di tutela possibili, quella - gravemente limitatrice del diritto di proprietà degli eredi - del diritto (reale) di abitazione, ovvero, in assenza di una disposizione testamentaria più favorevole del de cuius, quella più moderata di un diritto personale di godimento temporalmente limitato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 565 e 582 del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 540, secondo comma, del codice civile, sollevata, in riferimento ai citati articoli della Costituzione, dal detto Tribunale con la medesima ordinanza.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/05/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 26/05/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Luigi MENGONI, REDATTORE