Sentenza n.181 del 1988

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SENTENZA N.181

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 del d.l.l. 21 novembre 1945, n. 722, e successive modificazioni ed integrazioni (<Provvedimenti economici a favore dei dipendenti statali>), promosso con ordinanza emessa il 24 gennaio 1979 dal T.A.R. del Lazio sul ricorso proposto da Fienga Guido contro il Ministero del Tesoro, iscritta al n. 509 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 237 dell'anno 1979;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 dicembre 1987 il Giudice relatore Mauro Ferri;

udito l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

l. - Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 del decreto legislativo luogotenenziale 21 novembre 1945, n. 722 e successive modificazioni e integrazioni.

L'art. 2 del predetto decreto, recante provvedimenti economici a favore dei dipendenti statali, prevede una quota complementare dell'indennità di carovita <per la prima persona a carico> e per <ciascuna delle altre persone a carico, considerando come tali la moglie e i figli minorenni>; oltre che, a particolari condizioni, per i genitori.

L'art. 4 stabilisce che <ai fini dei precedenti articoli si considerano anche i figli naturali legalmente riconosciuti, i figli adottivi e gli affiliati>.

Le successive disposizioni di legge, che hanno modificato la denominazione di quote complementari dell'indennità di carovita in quote di aggiunta di famiglia, hanno lasciato inalterata per quanto riguarda le persone a carico la disciplina prevista dall'art. 4 del citato d.l.l. n. 722 espressamente richiamato a tale effetto.

La censura del T.A.R. investe detta normativa per il motivo che essa non considera - insieme con i figli naturali legalmente riconosciuti, i figli adottivi e gli affiliati-anche i figli <nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge>, così come invece é previsto dall'art. 3 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, che disciplina gli assegni familiari spettanti ai dipendenti del settore privato.

Tale mancata previsione configurerebbe ad avviso del giudice rimettente un contrasto con gli artt. 3, 29, 30 e 36 della Costituzione.

2. - Come é stato detto in narrativa, il provvedimento della Direzione provinciale del tesoro di Roma, impugnato dinanzi al giudice amministrativo rimettente, negava che l'aggiunta di famiglia potesse corrispondersi <per il figlio del primo matrimonio della moglie divorziata, tale quota potendo essere attribuita solo nel caso che il figlio in questione sia orfano di padre>. In questi termini l'Amministrazione ha applicato la circolare n. 90 del 15 giugno 1963 del Ministero del Tesoro-Ragioneria generale dello Stato, la quale, nell'impartire disposizioni per l'attribuzione delle quote di aggiunta di famiglia, disciplinate dal d.l.l. 21 novembre 1945 n. 722, ammetteva la corresponsione anche per i <figliastri> (Riepilogo, lett. B) n. 2).

Il T.A.R. rimettente ha rilevato come la norma legislativa che regola la materia, vale a dire il citato art. 4 del d.l.l. 21 novembre 1945 n. 722, elenchi rigorosamente le categorie equiparate ai figli legittimi ai fini della erogazione delle quote complementari di carovita (oggi aggiunte di famiglia); nessuna previsione e in essa contemplata per i figli nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge (o figliastri); nulla autorizza perciò una siffatta estensione in via interpretativa; con seguentemente le disposizioni <praeter legem> adottate con la surricordata circolare del Ministero del Tesoro non possono essere accolte come integrazione interpretativa della norma censurata.

3.-La questione é fondata sotto il profilo di violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Ai fini della valutazione di tale profilo, questa Corte ritiene che le discussioni sul carattere di integrazione retributiva o di contributo assistenziale dell'aggiunta di famiglia e degli assegni familiari non abbiano alcuna incidenza sul thema decidendum, che deve essere risolto sulla base delle premesse seguenti. La norma denunciata esclude che ai lavoratori dipendenti del settore pubblico possa essere corrisposta l'aggiunta di famiglia per i figli del coniuge nati da precedente matrimonio (figliastri).

Ai lavoratori dipendenti del settore privato, invece, gli assegni familiari sono corrisposti anche per tale categoria di persone a carico, in forza dell'espressa disposizione contenuta nell'ultimo comma del citato art. 3 del d.P.R. 30 maggio 1955 n. 797; tale norma é stata poi esattamente interpretata dalla Corte di cassazione nel senso che gli assegni spettino anche quando il precedente matrimonio e stato sciolto in seguito a pronuncia di divorzio.

La diversità delle due normative prese in esame pone in essere una disparità di trattamento fra il lavoratore pubblico dipendente e quello del settore privato, che si trovino nell'identica condizione di avere nella propria famiglia conviventi a carico figli del coniuge nati da precedente matrimonio di questi.

Tale disparità di trattamento, in una identica condizione familiare, potrebbe sfuggire alla censura di illegittimità costituzionale, soltanto ove si ritenga che le innegabili distinzioni persistenti fra il rapporto di impiego pubblico e quello privato diano luogo ad una diversità di condizione dei soggetti, in fluente in relazione alle regole che disciplinano la erogazione dell'aggiunta di famiglia e degli assegni familiari.

Una siffatta tesi é sostenuta dall'Avvocatura di Stato, che richiama una sentenza di questa Corte (n. 5 del 1971). In essa si legge che <fra i due ordinamenti del pubblico impiego e dell'impiego privato esistono fondamentali differenze di organizzazione, di struttura e di finalità, per cui i dipendenti dell'uno e dell'altro vengono a trovarsi in condizioni differenti> <Dalla differente situazione di cui sopra deriva la legittimità della disciplina della aggiunta di famiglia, la quale si differenzia anche nel nome dagli assegni familiari spettanti ai lavoratori dell'impiego privato>.

Con successiva sentenza (n. 231 del 1974) sempre in materia di differenze fra aggiunta di famiglia e assegni familiari, la Corte, ritenendo non fondata la questione, ha affermato che <nella specie non poteva essere censurato l'art. 79 del d.P.R. 30 maggio 1955 n. 797, ma eventualmente il decreto legislativo luogotenenziale 21 novembre 1945 n. 722 e i provvedimenti ad esso successivi, nella parte in cui si determina una disparità di trattamento in tema di aggiunta di famiglia tra prestatori di lavoro privato e prestatori di lavoro pubblico>.

E' appena il caso di ricordare che questa Corte ha da tempo dato atto del <processo di tendenziale assimilazione dei due rapporti> (scil. di impiego pubblico e privato), pur riconoscendo le peculiari differenze <in relazione alle diversità collegate alla differenza di funzioni> (sentt. n. 118 del 1976 e n. 194 del 1976).

Recenti sentenze, in tale linea evolutiva, hanno ritenuto fondata, in materia di provvedimenti d'urgenza a tutela dei diritti soggettivi dei lavoratori, la questione di costituzionalità della <diseguaglianza di trattamento tra dipendenti pubblici e privati> (sentenza n. 190 del 1985), nonchè quella derivante dalla esclusione, nelle controversie di impiego di dipendenti dello Stato e di enti pubblici riservate alla giurisdizione esclusiva amministrativa, dei mezzi istruttori previsti dal c.p.c. per le controversie relative all'impiego privato di competenza del giudice ordinario (sentenza n. 146 del 1987).

4. - La Corte ritiene che nella sfera di connotazioni che tuttora sorreggono il riconoscimento di una persistente diversità fra i due rapporti di impiego o di lavoro pubblico e privato, quali l'organizzazione, la struttura, le finalità dei medesimi, non rientri la regolamentazione delle categorie di persone per le quali e prevista la corresponsione dell'aggiunta di famiglia o degli assegni familiari, istituti per altro che non differiscono ne nella ratio ne nei fini.

Ne é una conferma il fatto che le più recenti modificazioni della normativa in materia di aggiunta di famiglia e di assegni familiari sono state adottate dal legislatore congiuntamente e secondo parametri sostanzialmente identici (D.L. 14 luglio 1980 n. 314 convertito con modificazioni in legge 8 agosto 1980 n. 440; L. 27 dicembre 1983 n. 730, art. 20; L. 28 febbraio 1986 n. 41, art. 23).

In relazione quindi alla materia cosi disciplinata i dipendenti pubblici e privati si trovano in una identica condizione soggettiva: ne consegue che nessuna razionale giustificazione é ravvisabile a sostegno della disparità di trattamento fra gli uni e gli altri denunciata dal giudice a quo.

Vale anche la pena di considerare che il Ministero del Tesoro con la circolare 15 giugno 1963 n. 90, sopra ricordata, aveva esteso la corresponsione dell'aggiunta di famiglia ai figliastri. Tale estensione é stata disattesa dal T.A.R. rimettente, che l'ha ritenuta incompatibile con il dettato chiaro e rigoroso della norma legislativa in discussione: essa tuttavia dimostra che la stessa Amministrazione statale ha avvertito l'esigenza di rimediare (seppure in modo improprio e parziale) ad una ingiustificata e irrazionale esclusione.

5.-La seconda obiezione dell'Avvocatura di Stato (che riguarda soprattutto la censura riferita agli artt. 29 e 30 Cost.) si fonda sul rilievo che nessun obbligo sussisterebbe per il dipendente statale nei confronti del figlio del coniuge nato da precedente matrimonio sciolto con sentenza di divorzio, permanendo <la comune potestà dei genitori sui figli nati dal loro matrimonio (art. 139 l. 1975 n. 151) onde, salvo i provvedimenti adottati dall'Autorità giudiziaria nell'interesse dei minori (art. 155), grava su entrambi l'obbligo di mantenerli, educarli ed istruirli (artt. 6 e 11 l. 1970 n. 898), val quanto dire attinenti a tutte le necessita di vita>.

L'obiezione non può essere condivisa. Innanzitutto essa non incide sulla irrazionale e ingiustificata disparità di tratta- mento fra il dipendente pubblico e il privato; e comunque é sufficiente rilevare che gli obblighi che incombono su entrambi i coniugi verso la famiglia ai sensi dell'art. 143 del vigente c.c. non possono non comprendere anche i figli nati dal precedente matrimonio di un coniuge (sciolto per divorzio) ove questi ne sia affidatario, e semprechè l'altro genitore non provveda: condizioni queste la cui sussistenza dovrà essere accertata dall'Amministrazione o dal giudice di merito, costituendo esse il presupposto di legge perchè sorga il diritto a percepire l'aggiunta di famiglia.

Nè va infine dimenticato che già in materia di assistenza sanitaria ai dipendenti statali la L. 19 gennaio 1942 n. 22 ha compreso fra i familiari aventi diritto all'assistenza (art. 4 n. 2) <i figli nati da precedente matrimonio del coniuge>; e seppure non si versa nella stessa materia, tale estensione in materia affine dimostra che l'esigenza era stata avvertita dal legislatore e aveva trovato accoglimento nel sistema.

7.-L'accertato fondamento della questione di legittimità costituzionale della norma denunciata, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, rende superfluo l'esame degli altri profili sollevati dal rimettente T.A.R. del Lazio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 4, primo comma, del d.l.l. 21 novembre 1945 n. 722 (<Provvedimenti economici a favore dei dipendenti statali>) nella parte in cui non comprende anche i figli nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge che ne sia affidatario.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/02/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Mauro FERRI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 18 Febbraio 1988.