Sentenza n. 194 del 1976
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SENTENZA N. 194

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, ultimo comma, del decreto legislativo luogotenenziale 14 febbraio 1946, n. 27; 2 del d.l. C.P.S. 13 settembre 1946, n. 303, ratificato con legge 5 gennaio 1953, n. 35; 4 della legge 24 maggio 1970, n. 336; 6, secondo e terzo comma, del d.l. 8 luglio 1974, n. 261, nel testo introdotto dall'art. 1 della legge di conversione 14 agosto 1974, n. 355 (benefici combattentistici), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 20 maggio 1974 dal pretore di Aosta nel procedimento civile vertente tra Marchetti Dino e le società Nazionale Cogne ed Egam, iscritta al n. 319 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 263 del 9 ottobre 1974;

2) ordinanza emessa il 13 febbraio 1975 dal giudice del lavoro del tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra Mazza Santo e la Società anonima torinese tranvie intercomunali (SATTI), iscritta al n. 140 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 dell'11 giugno 1975;

3) ordinanza emessa il 23 maggio 1975 dal pretore di Fiorenzuola d'Arda nel procedimento civile vertente tra Ziliani Felice ed altri e la Società AGIP ed altro, iscritta al n. 351 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 268 dell'8 ottobre 1975;

4) ordinanze emesse il 21 maggio 1975 dal tribunale regionale amministrativo per il Lazio sui ricorsi di Mastrolilli Vittorio, Bosio Emanuele Mario, Venosi Erasmo, Pellegrino Aldo e Franzetti Alfredo contro la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri, iscritte ai nn. 470, 471, 472, 473 e 474 del registro ordinanze 1975 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 313 del 26 novembre 1975;

5) ordinanza emessa il 14 ottobre 1975 dal pretore di Orbetello nel procedimento civile vertente tra Rossi Eustachio e l'ENEL, iscritta al n. 578 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1976;

6) ordinanze emesse il 21 maggio 1975 dal tribunale regionale amministrativo per il Lazio sui ricorsi di Lenzi Romolo e Messina Umberto contro la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri, iscritte ai nn. 580 e 581 del registro ordinanze 1975 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38 dell'11 febbraio 1976;

7) ordinanza emessa il 9 gennaio 1976 dal pretore di Vittorio Veneto nel procedimento civile vertente tra Salamon Antonio ed altri e l'Azienda trasporti Mesulana, iscritta al n. 102 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 72 del 17 marzo 1976.

Visti gli atti di costituzione di Mastrolilli Vittorio, Venosi Erasmo, Pellegrino Aldo, Franzetti Alfredo e Lenzi Romolo e delle Società Cogne ed Egam, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 1976 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

uditi gli avvocati Filippo Lubrano e Paolo Tesauro, per Mastrolilli Vittorio, l'avv. Filippo Lubrano per Venosi Erasmo, Pellegrino Aldo, Franzetti Alfredo e Lenzi Romolo, l'avv. Alberto Buffa per le Società Cogne ed Egam, ed i sostituti avvocati generali dello Stato Renato Carafa e Benedetto Baccari, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del pretore di Aosta emessa il 20 maggio 1974 nel giudizio intentato da Marchetti Dino contro la società per azioni "Cogne", del gruppo EGAM (Ente gestione aziende minerarie), per ottenere benefici concessi, a norma della legge 24 maggio 1970, n. 336, ai dipendenti pubblici ex combattenti ed assimilati, e con le successive ordinanze emesse dal giudice del lavoro presso il tribunale di Torino il 13 febbraio 1975 nel giudizio promosso da Mazza Santo contro la società Torinese tramvie intercomunali; dal pretore di Fiorenzuola d'Arda il 23 maggio 1975 nel giudizio promosso da Ziliani Felice ed altri contro l'AGIP; dal pretore di Orbetello il 14 ottobre 1975 nel giudizio promosso da ROSSI Eustachio contro l'ENEL e dal pretore di Vittorio Veneto il 9 gennaio 1976 nel giudizio promosso da Salamon Antonio ed altri contro l'azienda trasporti "Mesulana" società per azioni, giudizi tutti aventi ad oggetto la richiesta di riconoscimento dei benefici suddetti, é stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della citata legge n. 336 del 1970, in quanto non ha incluso i dipendenti delle imprese private fra gli aventi diritto alle provvidenze in esame, consistenti in benefici economici e di carriera di varia natura culminanti nella facoltà di chiedere il collocamento a riposo a condizioni di particolare vantaggio e, in particolare, in quanto non ha ammesso ai benefici anche i dipendenti di società a partecipazione azionaria statale, quale, ad esempio, la "Cogne".

Secondo le predette ordinanze, tale omissione violerebbe gli artt. 3 e 52 Cost. perché, mentre a norma dell'art. 52 tutti sono tenuti ad assolvere l'obbligo della difesa della Patria, la restrizione denunziata si risolverebbe in una discriminazione a danno di coloro che, pur avendo adempiuto il detto obbligo, si trovano ad essere esclusi dai benefici, sol perché dipendenti da imprese private. Ciò sarebbe ancor più evidente nel caso in cui, come si é detto, la impresa privata appartenga ad un gruppo finanziato con partecipazione statale, quale appunto l'EGAM, e, nella fattispecie considerata nell'ordinanza emessa dal pretore di Orbetello, dato che la norma impugnata include espressamente i dipendenti da enti pubblici, ancorché regolamentati da contratti collettivi di lavoro, come appunto l'ente convenuto ENEL, il cui personale, quindi, non dovrebbe ragionevolmente godere di un trattamento preferenziale rispetto ai dipendenti privati.

Secondo l'ordinanza dello stesso pretore di Orbetello, l'art. 4 impugnato contrasterebbe anche con l'art. 35, primo comma, Cost., perché finirebbe col privare i dipendenti privati della tutela accordata, dalla detta norma costituzionale, al lavoro come tale, indipendentemente dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro.

Il giudice del lavoro presso il tribunale di Torino, con la suindicata ordinanza, nel motivare la censura nei sensi suesposti, premette altresì come deduzione proposta "in linea principale" questione di legittimità del richiamato art. 4 della legge n. 336 del 1970 "anche in relazione a tutte le altre disposizioni della legge stessa" per contrasto, oltre che con l'art. 3 anche con gli artt. 97 e 53 Cost.: ciò in quanto, concedendosi benefici agli ex combattenti pubblici dipendenti, verrebbe ad essere violato anche l'art. 97 Cost. per le conseguenze negative sul buon andamento della pubblica amministrazione che deriverebbero dall'esodo dei pubblici dipendenti incoraggiato dalla norma, ivi comprese le spese eccessive relative a tale esodo, nonché l'art. 53 Cost., perché comporterebbe esborso di pubblico danaro per scopi e funzioni incompatibili con le finalità che la Costituzione porrebbe allo Stato.

Avanti a questa Corte si sono costituiti la società "Cogne" e l'EGAM, rappresentati e difesi dagli avvocati Alberto Buffa e Vittorio Chiurazzi. É anche intervenuto in tutte le cause il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

La difesa della società "Cogne" obbietta alle censure che il legislatore può adottare trattamenti differenziati per situazioni che ragionevolmente abbia ritenuto diverse.

La diversità di trattamento, sancita dall'art. 4 impugnato, sarebbe giustificata dalle diversità strutturali dell'impiego privato e pubblico, rappresentando la concessione di particolari benefici una compensazione della limitazione e della rigidezza delle norme sul pubblico impiego rispetto a quelle concernenti l'impiego privato.

Inoltre, poiché l'onere dei benefici ricade sull'erario, e la difesa della Patria sarebbe giuridicamente un servizio adempiuto per lo Stato visto nella sua unità, soltanto lo Stato stesso potrebbe disporre e provvedere in tema di riconoscimento di benemerenze militari, addossando l'onere finanziario relativo all'intera comunità attraverso il sistema fiscale, in aderenza all'inscindibile nesso fra il carattere politico del dovere di solidarietà posto dall'art. 52 Cost. e l'universalità del dovere di farvi fronte. Onde, se mai, l'onere della estensione dei benefici anche ai lavoratori privati potrebbe ipotizzarsi sempre e soltanto a carico dello Stato, e non certo delle aziende private, come sembrerebbe ritenere il pretore.

La pretesa irrazionalità della differenziazione impugnata, riferita, con particolare rilievo dal tribunale di Torino, alla asserita sostanziale parità di situazione del personale degli enti pubblici economici con quello delle aziende facenti parte di gruppi pubblici, nell'un caso e nell'altro "dipendenti dal pubblico denaro", sarebbe, poi, insussistente, dato che l'eventuale appartenenza delle azioni di una società privata ad un ente pubblico non inciderebbe sulla natura di soggetto di diritto privato dell'impresa controllata. Il momento di individuazione dell'ente pubblico andrebbe, invero, ricercato nei caratteri formali ed in particolare nel suo inquadramento istituzionale nell'organizzazione statale, il che non potrebbe certo affermarsi riguardo alla società "Cogne", la cui struttura é interamente regolata dal diritto privato. Pertanto, la pur pacifica natura pubblica dell'EGAM (ente di gestione), non toccherebbe per nulla la struttura privata della "Cogne". Il che, del resto, si ricaverebbe in particolare dalla stessa legge istitutiva del Ministero delle partecipazioni statali (legge 22 dicembre 1956 n. 1589), che prevede la creazione di enti pubblici di gestione delle aziende private, i quali enti non potrebbero, come tali, essere confusi con i soggetti privati gestiti.

L'Avvocatura, da parte sua osserva che, in relazione alla disciplina impugnata, al di fuori della qualifica di combattente, verrebbe in rilievo preminente ed esclusivo lo status di dipendente pubblico o privato. D'altra parte, alla sostanziale differenza di posizione giuridica e di trattamento economico esistente fra dipendenti pubblici e privati, potrebbe fare legittimamente riscontro una pari differenza anche nel caso di comune appartenenza alla categoria dei combattenti. Invero, l'osservanza del principio di eguaglianza esige soltanto che a situazione eguali sia applicato eguale trattamento, salva restando al legislatore la facoltà discrezionale di apprezzamento circa la parità o la diversità delle situazioni stesse, nel rispetto di criteri di ragionevolezza e degli altri principi costituzionali. E, nella specie, si riscontrerebbe appunto un ragionevole apprezzamento della diversità delle situazioni raffrontate, anche se queste siano comparabili attraverso la identità di un unico dato, di natura peraltro estrinseca, come quello della qualifica di ex combattente o equiparato.

Le società a partecipazione statale, come la "Cogne", pur se collegate ad enti pubblici di gestione, non perderebbero poi la loro tipica natura di imprese private che si identificherebbe con l'esercizio di attività economica al fine di lucro, per cui infondato sarebbe il particolare profilo di illegittimità, come si é detto, evidenziato, sotto questo aspetto, nelle ordinanze dei pretori di Aosta e di Orbetello. Con particolare riguardo a questa seconda ordinanza (del pretore di Orbetello) é da aggiungere che il pretore argomenta come sopra, dopo avere premesso e riconosciuto che l'ENEL é ente pubblico, con dipendenti regolamentati da contratto collettivo di lavoro. Il che ha suggerito all'Avvocatura dello Stato di eccepire, in via preliminare, l'eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di rilevanza, essendo il dipendente interessato, Rossi Eustachio, comunque tutelato per effetto dell'art. 4 della legge n. 336.

Riguardo alle censure relative agli artt. 97 e 53 Cost. mosse con l'ordinanza del giudice del lavoro del tribunale di Torino, l'Avvocatura osserva infine che esse investirebbero apprezzamenti di ordine politico, come tali riservati al legislatore, mentre, per quanto riguarda il particolare profilo di illegittimità prospettato in relazione alla pretesa disparità di trattamento fra dipendenti di enti pubblici e dipendenti di società private con le speciali caratteristiche accennate nell'ordinanza del detto tribunale, rileva che tali elementi non produrrebbero comunque la trasformazione della natura delle società stesse, che conserverebbero quindi giuridicamente la loro qualità di imprese private anche in concorso degli elementi peculiari elencati dal tribunale.

Con l'ordinanza del pretore di Aosta é stato denunziato, altresì, l'art. 1, ultimo comma, del decreto legislativo luogotenenziale 14 febbraio 1946, n. 27, in quanto, escludendo dal computo dell'anzianità il servizio prestato anteriormente alla riassunzione obbligatoriamente disposto a favore di tutti i lavoratori dopo l'ultimazione del servizio militare dal n. 2 dello stesso articolo, contrasterebbe con l'art. 52 Cost., nella parte in cui afferma che l'adempimento del servizio militare non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, e con l'art. 36 Cost. nella parte in cui assicura al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato.

Lo stesso pretore di Aosta, sempre con la medesima ordinanza, ha poi denunziato anche l'art. 2 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato, n. 303 del 1946, nelle parti in cui limiterebbe l'applicazione della sospensione del rapporto di lavoro durante il servizio militare di leva, ed il correlativo diritto alla conservazione del posto, ai soli lavoratori delle classi 1924 e successive ed ai lavoratori di classi precedenti rinviati per qualsiasi motivo alla chiamata di dette classi. Anche questa disposizione contrasterebbe con gli artt. 3 e 52 Cost. per motivi analoghi a quelli esposti in relazione all'art. 1 del d.l.l. n. 27 del 1946.

Per quanto riguarda la questione sollevata in relazione all'art. 1, ultimo comma, del d.l.l. 14 febbraio 1946, n. 27, la difesa della parte privata nega sostanzialmente la continuità del rapporto di lavoro precedente alla riassunzione obbligatoria con quello successivo, argomentando in base alla legge 13 novembre 1924, n. 1825, sul contratto di impiego privato, e all'art. 2111 del codice civile che sancivano il principio della risoluzione del rapporto di lavoro in conseguenza della chiamata alle armi. Solo con il d.l.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 303, fu disposto che per effetto della chiamata alle armi il rapporto di lavoro resta "sospeso", non interrotto, e fu ammessa la possibilità di prevedere nei contratti di lavoro il computo del periodo passato alle armi agli effetti dell'anzianità. Ma poiché, per effetto della sentenza n. 8 del 1963 della Corte, quest'ultima disposizione é stata dichiarata illegittima, chiarendosi che il diritto al computo di detto periodo deriva immediatamente dall'art. 52 Cost. indipendentemente dalla previsione nel contratto di lavoro, secondo la difesa il diritto stesso sarebbe configurabile solo per i rapporti successivi alla detta pronunzia mentre il primo rapporto tra il Marchetti e la "Cogne" si sarebbe invece esaurito il 18 gennaio 1941, nel vigore della legislazione del tempo.

Quanto, infine, alla questione sollevata con riferimento alle limitazioni stabilite dall'art. 2 del d.l.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 303, la difesa ripropone le osservazioni sopra svolte circa l'esaurimento del primo rapporto di lavoro del Marchetti, per sostenerne l'infondatezza.

L'Avvocatura osserva che non sussisterebbe la denunziata violazione dell'art. 3 Cost., giacché le particolari discipline censurate costituirebbero limitazioni rispondenti a razionalità e coerenza, e, come tali, sarebbero sottratte al controllo di merito della Corte costituzionale.

Mastrolilli Vittorio, già dipendente della Ragioneria generale dello Stato, collocato a riposo con i benefici di cui alla legge n. 336 del 1970, fu assunto quale direttore generale della Cassa di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali. Ai sensi dell'art. 6 dl. 8 luglio 1974, n. 261, convertito con modifiche nella legge 14 agosto 1974, n. 355, la Cassa, con nota 8 novembre 1974, gli comunicò che il rapporto di lavoro sarebbe venuto senz'altro a cessare a decorrere dal 4 marzo 1974, a meno di una sua preventiva rinuncia allo speciale trattamento di quiescenza ricevuto a norma della legge n. 336 del 1970 e salvo restituzione di quanto già percepito a tale titolo.

Nel corso del giudizio conseguente al ricorso proposto dal Mastrolilli contro detto provvedimento, il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questione di legittimità del menzionato art. 6 d.l. 8 luglio 1974, n. 261, nella formulazione di cui alla legge di conversione 14 agosto 1974, n. 355, che con il primo comma pone il divieto, per il personale collocato a riposo con i benefici combattentistici, di assumere impieghi o incarichi presso lo Stato e gli enti pubblici e, col secondo e terzo comma, dispone la cessazione degli impieghi ed incarichi così effettuati prima dell'8 luglio 1974 entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, salvo rinuncia espressa al trattamento di quiescenza ottenuto per effetto della legge n. 336 del 1970.

Al riguardo, detto tribunale afferma che al diritto al lavoro del cittadino farebbe riscontro, per lo Stato, sia il divieto di porre norme limitatrici di tale libertà, sia l'obbligo di indirizzare l'attività di tutti i pubblici poteri e dello stesso legislatore alla creazione delle condizioni che consentano l'impiego di tutti i cittadini idonei.

Il far dipendere una limitazione della capacità lavorativa dal godimento di un trattamento di quiescenza già concesso per legge e il precludere vie di accesso al lavoro a cittadini che siano tuttora in grado di svolgere un ruolo utile, contrasterebbero, rispettivamente, secondo il tribunale, con il divieto e l'obbligo sopra menzionati.

Comunque, il denunciato profilo di illegittimità emergerebbe con particolare evidenza per effetto della esclusione della possibilità di opzione fra la reintegrazione nel posto di lavoro precedente o la conservazione di quello conseguito successivamente, esclusione emergente dalle norme impugnate che si limitano a subordinare la conservazione del nuovo posto di lavoro alla rinuncia al trattamento di quiescenza, conseguito a norma della legge n. 336 del 1970. L'interessato verrebbe così a subire un trattamento diverso da quello propostogli per la scelta originaria del collocamento a riposo, senza che gli sia consentito rivalutare liberamente la nuova situazione al fine della stessa scelta. Pertanto, secondo il tribunale, sarebbero violati l'art. 4 e l'art. 13 Cost. inteso quest'ultimo non nel suo significato primario di tutela della libertà personale del cittadino ma, di riflesso, come tutela del diritto al lavoro considerato quale fondamentale libertà della persona umana.

Questioni identiche sono state sollevate dal tribunale amministrativo predetto in altri analoghi giudizi, rispettivamente istituiti da Messina Umberto contro l'Università degli studi dell'Aquila, da Bosio Emanuele contro l'INAM, da Venosi Erasmo contro l'ENAOLI, da Pellegrino Aldo contro la Cassa nazionale di previdenza e assistenza dottori commercialisti, da Franzetti Alfredo contro l'ENPI, da Lenzi Romolo contro l'Università di Roma.

La difesa dei privati costituitisi negli ultimi quattro giudizi svolge argomentazioni aderenti a quelle contenute nelle ordinanze di rinvio, ponendo in evidenza la particolarità della disciplina impugnata che muterebbe profondamente la situazione in base alla quale il pubblico dipendente operò a suo tempo la sua scelta ai fini del collocamento a riposo, tenendo indubbiamente presente anche la possibilità di dedicarsi ad altro lavoro. Modifiche retroattive di tale portata dovrebbero ritenersi escluse anche in base ai principi costituzionali della tutela dei diritti di libertà in genere e di eguaglianza, e coinvolgerebbero la credibilità stessa dell'ordinamento, che non potrebbe togliere ai soggetti privati quanto, per propri fini, ad essi ha definitivamente attribuito.

L'Avvocatura dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio, osserva che il legislatore, nell'introdurre con il d.l. 8 luglio 1974, n. 261, la condizione del divieto di assunzione di impieghi o incarichi successivi al collocamento a riposo per poter godere del trattamento preferenziale di quiescenza, avrebbe agito legittimamente non ponendo alcuna limitazione alla libertà di lavoro, ma rimettendo alla libera scelta degli interessati se avvalersi dei benefici alla condizione suddetta, o rinunciarvi. Ovviamente, prosegue l'Avvocatura, lo stesso legislatore, introducendo il divieto, non poteva non regolare contemporaneamente la posizione di coloro che avevano usufruito del beneficio quando il divieto stesso non sussisteva, poiché, se ne fosse stata limitata l'efficacia solo ai casi futuri, si sarebbe creata una diversità di disciplina legata solo al dato temporale del momento della presentazione della domanda di collocamento a riposo, mentre, d'altra parte, concedere agli ex combattenti già collocati a riposo l'opzione per la riassunzione avrebbe comportato gravi conseguenze, risolvendosi nella riammissione in servizio di dipendenti necessariamente in soprannumero, essendosi già provveduto riguardo ai posti in organico da loro lasciati.

In conclusione, quindi, la scelta effettuata dal legislatore sarebbe giustificata dal rispetto dovuto ai principi costituzionali dell'eguaglianza e del buon andamento della pubblica amministrazione, e non inciderebbe, comunque, sul diritto al lavoro garantito dall'art. 4 Cost., diritto che l'interessato potrebbe esercitare incondizionatamente al di fuori del settore pubblico e, all'interno, alla condizione di eliminare l'incompatibilità con i benefici riconosciutigli, a suo tempo, proprio nel presupposto del suo volontario allontanamento dall'apparato pubblico.

Inoltre, secondo l'Avvocatura, la denunciata disciplina non solo non contrasterebbe con le invocate libertà costituzionali, ma si uniformerebbe all'esigenza, pure sancita dall'art. 4 Cost., di creare le condizioni economiche sociali e giuridiche che consentano l'impiego di tutti i cittadini idonei al lavoro, giacché attraverso l'eliminazione di cumuli di trattamenti preferenziali di quiescenza e di impieghi a favore degli stessi soggetti, con i relativi oneri ad esclusivo carico dell'erario, si perseguirebbe appunto il sopra menzionato indirizzo costituzionale.

Infine, del tutto inconferente sarebbe il richiamo all'art. 13 Cost., essendo la questione in discussione limitata a rapporti individuali di lavoro senza incidenza sulla libertà personale del soggetto.

Tutte le sopra menzionate ordinanze sono state ritualmente notificate, comunicate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

La difesa del Mastrolilli ed altri, integrata dall'avv. prof. Paolo Tesauro, ha depositato nei termini una memoria illustrativa con cui confuta le argomentazioni addotte dall'Avvocatura a sostegno delle proprie tesi.

In particolare la difesa osserva anzitutto che il divieto di nuovo impiego imposto a carico degli ex combattenti collocati a riposo non potrebbe riguardarsi sotto il profilo di una mera incompatibilità, che infatti potrebbe configurarsi, a dire della difesa, solo in casi di potenziale conflittualità tra interessi diversi, insussistenti nella specie.

La posizione degli ex combattenti già collocati a riposo e degli ex combattenti che, all'epoca dell'entrata in vigore della legge, non avevano ancora usufruito dei benefici ad essi riconosciuti sarebbe poi da ritenere sostanzialmente differenziata, essendo i primi i titolari di un diritto soggettivo al trattamento di quiescenza, ed i secondi portatori di mera aspettativa, onde la equiparazione operata dalla legge fra dette categorie non potrebbe trovare giustificazione nella necessità di tutelare il principio di eguaglianza, come sostenuto dall'Avvocatura, dovendosi tale principio ritenere operante solo fra situazioni effettivamente omogenee.

La difesa prosegue poi illustrando altri aspetti di illegittimità del divieto di nuovo impiego sancito dalla norma impugnata per assunto contrasto col principio di eguaglianza, con riferimento, fra l'altro, alla pretesa diversità di trattamento che si verificherebbe fra gli ex combattenti a riposo e tutti gli altri pensionati statali, anche per quanto riguarda la possibilità di realizzare a loro favore con le norme impugnate le disposizioni di cui agli artt. 36 e 38 della Costituzione.

Infine, la difesa contesta che la disposizione impugnata possa realmente costituire mezzo di attuazione del pieno impiego di tutti i cittadini nel senso sostenuto dall'Avvocatura. Invero, l'unico scopo della legge del 1974 sarebbe l'opportunità di distribuire nel tempo l'onere finanziario derivante dalla legge del 1970, e non quello asserito dall'Avvocatura, che, eventualmente, avrebbe dovuto coinvolgere tutti i pensionati e non già solo gli ex combattenti.

Considerato in diritto

1. - Le dodici ordinanze, indicate in epigrafe, sottopongono all'esame della Corte questioni in parte comuni ed in parte collegate, sicché ne ravvisasi opportuna la riunione al fine di pervenire a contestuale decisione.

2. - La Corte, seguendo l'ordine di un graduale esame delle proposte questioni, ritiene premettere l'esame dell'ordinanza 13 febbraio 1975 del giudice del lavoro del tribunale di Torino, che, in linea primaria, solleva questione di legittimità dell'art. 4 della legge n. 336 del 1970 "anche in relazione a tutte le altre disposizioni di tale legge" per contrasto con gli artt. 3, 97, 53 della Costituzione. Secondo l'ordinanza, tratterebbesi di legge che, in sé e per sé considerata, anche a prescindere dai motivi di illegittimità prospettati sotto altri e successivi profili, costituirebbe per i fini arbitrari e di mero privilegio settoriale, che la informano, violazione dei principi che assicurano il buon andamento della pubblica amministrazione e regolano i limiti del concorso dei cittadini alla spesa pubblica.

3. - La questione non é fondata.

Va, anzitutto, posto in evidenza che la legge n. 336 del 1970, risultante dalla unificazione di numerose proposte di legge di iniziativa parlamentare presentate nel corso della quinta legislatura e riproducenti in parte proposte precedenti, si inserisce nella serie di provvedimenti analoghi a favore degli ex combattenti, che la nostra legislazione conosce e che, a partire dal R.D. 30 settembre 1922 n. 1290, hanno sempre avuto ad oggetto benefici di maggiore o minore ampiezza costantemente riservati ai dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici, che avessero diritto alla qualifica di ex combattenti.

Ciò corrisponde, a sua volta, ad un principio di carattere generale, implicitamente accolto dal legislatore nel corso di vari decenni, principio basato sulla peculiare natura del rapporto di pubblico impiego, che e rapporto di supremazia, attribuita in genere alla pubblica amministrazione, in vista degli scopi propri della sua funzione, con assegnazione ai pubblici dipendenti di una attività strumentale a tale fine (art. 98 Cost.).

É, pertanto, riscontrabile, nel caso, collegamento tra la posizione dei beneficiari e la natura del riconoscimento, loro attribuito dalla legge con la concessione di particolari agevolazioni economiche e di carriera.

Non meno rilevante, sotto altro aspetto, é la circostanza, emergente dai lavori preparatori, che i benefici in esame, consistenti, per il loro aspetto più incisivo e qualificante, nella offerta di collocamento a riposo a condizioni di notevole vantaggio, sono stati accordati, nell'intenzione del legislatore, per attuare non solo un riconoscimento del servizio militare prestato, durante il periodo bellico, dai soggetti destinatari, ma anche per promuovere quanto meno un primo passo concreto verso quella riforma della pubblica amministrazione che costituisce da tempo un obbiettivo di primaria importanza nel programma di adeguamento delle strutture dello Stato all'evolversi dei tempi e di snellimento delle strutture stesse e che dovrebbe trovare uno dei suoi cardini nell'esodo volontario dei dipendenti pubblici, ovviamente programmato e regolato secondo le esigenze e le possibilità offerte dalla situazione reale. Esodo volontario, che trova la sua sanzione legislativa fin dalla legge 27 febbraio 1955 n. 53 con la quale già venivano concesse condizioni di favore per il collocamento a riposo dei dipendenti della pubblica amministrazione e che, comunque, risulta trasfuso nell'art. 19 della legge delega del 18 marzo 1968 n. 249, quale principio di riorganizzazione ed é stato poi concretamente attuato, per i dirigenti statali ed il restante personale delle carriere direttive, anche con l'art. 67 del D.P.R. 30 giugno 1972 n. 748, che ha appunto previsto condizioni di particolare vantaggio per il pensionamento anticipato del personale in possesso di dette qualifiche.

Questi motivi concorrono ad escludere la fondatezza, secondo le norme di riferimento, della questione proposta, in via primaria, dal giudice del lavoro del tribunale di Torino, poiché non si tratta della concessione di un irrazionale privilegio settoriale, che contrasti col buon andamento dei pubblici uffici, né, tanto meno, di una distorsione, a fini ultronei, della spesa pubblica. Al quale ultimo proposito, va anche rilevato che non é congruo il richiamo del giudice, come termine di confronto, all'art. 53 Cost. che riguarda i criteri di proporzionalità che debbono presiedere alle prestazioni fiscali, imposte ai soggetti passivi, mentre la norma impugnata riguarda l'erogazione della spesa pubblica, e cioé una fase diversa da quella che attiene alla provvista dei fondi necessari.

4. - Con le ordinanze dei pretori di Aosta, Fiorenzuola d'Arda, Orbetello e Vittorio Veneto é stata prospettata l'illegittimità del suaccennato art. 4 della legge n. 336 del 1970 in quanto, nell'estendere ai dipendenti delle Regioni, degli enti locali e delle loro aziende, degli enti pubblici e di diritto pubblico, compresi gli enti pubblici economici, delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e degli enti ospedalieri, ancorché regolamentati da contratti collettivi di lavoro, tutti i benefici economici e di carriera a favore dei dipendenti ci vili dello Stato ex combattenti previsti dagli articoli precedenti, e nell'avere implicitamente escluso dall'estensione predetta i dipendenti delle imprese private, avrebbe operato una ingiustificata discriminazione a danno di questi ultimi, che pure hanno assolto come gli altri il comune dovere di difesa della patria, stabilito per tutti dall'art. 52 Cost. e dovrebbero, quindi meritare eguale riconoscimento, indipendentemente dalla circostanza, estrinseca all'assolvimento del detto dovere, che datore di lavoro sia, da una parte, lo Stato, o un ente pubblico come quelli indicati nella norma impugnata, ovvero, dall'altra parte, un privato. Da ciò conseguirebbe la violazione degli artt. 3, 35, primo comma, e 52 della Costituzione.

5. - La questione non é fondata.

Quanto é stato esposto al n. 3 a proposito dei criteri informatori della legge in esame vale anche a segnare i limiti del contenuto della legge stessa rispetto ad altri rapporti. Tra il rapporto di lavoro pubblico e quello privato intercorrono peculiari differenze, non solo e non tanto in relazione alle diversità strutturali dei rapporti stessi, di cui pure la giurisprudenza di questa Corte si é occupata, mettendone in luce le caratteristiche principali quanto soprattutto in relazione alle diversità collegate alla differenza di funzioni, come si é già esposto. Ciò é stato recentemente ribadito in modo espresso con la sent. n. 118 dell'anno corrente, la quale sentenza ha altresì dato atto del processo di tendenziale assimilazione dei due rapporti, aggiungendo, tuttavia, che ciò é rimesso ad una graduale evoluzione del sistema, affidata al solo legislatore, quale naturale interprete delle istanze politiche e sociali della comunità nazionale.

D'altra parte, a completamento di quanto precedentemente richiamato a proposito di benefici tradizionalmente già concessi ai soli dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, va ricordato che non v'è traccia, per converso, nella nostra legislazione di provvedimenti del genere di quelli qui considerati, destinati a dipendenti di imprese private, rinvenendosi, al riguardo, solo interventi legislativi diretti alla garanzia del posto di lavoro per i reduci ed assimilati, ma non già all'attribuzione di vantaggi di carriera od economici astrattamente riconducibili alla sfera dell'autonomia collettiva.

Da quanto premesso deriva che, mentre le censure in esame risultano collegate al parametro comune di raffronto costituito dalla condizione di lavoratore dei dipendenti pubblici e privati, tale presupposto é insufficiente ai fini del giudizio di comparazione che dovrebbe seguirne, difettando la necessaria omogeneità fra le categorie poste a confronto e risultando, comunque, ragionevolmente giustificata la diversità di trattamento stabilita dal legislatore, al di fuori della comune e doverosa dedizione al servizio della patria in armi.

6. - Con la suindicata ordinanza del pretore di Aosta, premesso che la Società per azioni "Cogne", alle cui dipendenze aveva lavorato la parte Marchetti Dino, é società privata ad intera partecipazione azionaria statale, esercitata a mezzo dell'Ente di gestione EGAM, viene prospettato un ulteriore profilo di contrasto dell'art. 4 legge n. 336 con il principio di eguaglianza. Ciò in base all'asserito parallelismo fra la posizione dei dipendenti pubblici (ammessi ai benefici) e quella dei dipendenti di imprese private finanziate mediante partecipazione statale o comunale ed esclusi dai benefici.

Nello stesso senso sono le ordinanze del pretore di Fiorenzuola d'Arda (dipendenti dell'AGIP, le cui azioni sono in maggioranza possedute dall'ENI, che é ente pubblico): del pretore di Vittorio Veneto (dipendenti della Società Mesulana, azienda privata autonoma, con principale azionista il Comune) nonché del giudice del lavoro del tribunale di Torino (Società per azioni torinese tramvie intercomunali con azioni possedute e amministrate dal Comune).

La questione non é fondata.

Va tenuto presente, infatti, che la partecipazione azionaria dello Stato o di enti pubblici in società per azioni é regolata espressamente dagli artt. 2458 e seguenti del Codice civile e questo "assoggettamento alla legge delle società predette é fatto per assicurare alla propria gestione snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici" (Relazione Ministeriale, numero 998). Ne consegue che, per dette imprese, é da ritenere che le stesse conservino inalterata la loro individualità in quanto l'appartenenza al gruppo controllato da un ente pubblico di gestione o, comunque, la partecipazione azionaria di un ente pubblico, non producono conseguenze d'ordine giuridico per quanto riguarda l'organizzazione interna e della loro attività che continua ad essere disciplinata dalle norme comuni e ad utilizzare le forme e gli istituti tipici del diritto privato.

7- Con la precitata ordinanza del pretore di Orbetello, viene, poi, sottoposta una particolare questione di legittimità dello stesso art. 4 della legge n. 336 del 1970, in riferimento agli artt. 3 e 35, primo comma, Cost. Premesso che il caso "de quo" riguarda un dipendente dell'ente pubblico ENEL, il cui personale é regolamentato da contratto collettivo di lavoro, l'ordinanza rileva che il collegamento, stabilito nell'art. 4, tra la qualità di ente pubblico e l'esistenza di un contratto collettivo di lavoro per i dipendenti, dovrebbe razionalmente condurre alla conclusione dell'estensione dei benefici anche a quelle categorie 'di dipendenti privati, che siano pur essi sottoposti a contratto collettivo di lavoro.

La questione non é fondata.

Il dedotto parallelismo tra imprese pubbliche e imprese private, che sarebbe evidenziato dalla comune regolamentazione del rapporto di lavoro, non può costituire elemento decisivo per ritenere sussistente il preteso contrasto con il principio di eguaglianza.

Invero, nel caso di enti pubblici con personale regolamentato da contratto collettivo di lavoro, trattasi pur sempre di enti che istituzionalmente perseguono scopi di interesse generale, in funzione dei quali é appunto loro attribuita dalla legge natura pubblicistica. L'eventuale assoggettamento, per questa parte del relativo rapporto di lavoro, alla disciplina privatistica, non esclude la qualificazione pubblicistica del rapporto né trasforma la natura pubblicistica degli enti stessi, che é frutto di una valutazione operata direttamente dall'ordinamento, con l'effetto di definire la posizione giuridica dell'ente ed il suo inquadramento nell'organizzazione dello Stato.

La differenza di trattamento rispetto alla attribuzione di benefici combattentistici non può ritenersi arbitraria o ingiustificata, ove si consideri, come in precedenza già osservato, la particolare posizione dei dipendenti pubblici in genere per la peculiarità delle prestazioni loro richieste.

Nemmeno sussiste la prospettata violazione dell'art. 35 Cost. poiché non può ravvisarsi una menomazione del principio generale di tutela del lavoro per effetto di norme che dispongano l'attribuzione di determinati vantaggi a lavoratori, a favore dei quali siano ragionevolmente individuabili particolari motivi di giustificazione.

8. - Con la suindicata ordinanza del pretore di Aosta viene proposta altra ed autonoma questione di legittimità.

L'ordinanza, nel precisare l'oggetto del giudizio, espone che a un dipendente della Società "Cogne", assunto in servizio nel 1937, indi licenziato perché chiamato alle armi, con liquidazione delle sue spettanze e, successivamente riassunto in servizio, non era stata computata, in occasione della cessazione del secondo rapporto e della relativa liquidazione, l'indennità di anzianità, corrispondente alla somma dei due rapporti, ma soltanto quella relativa al secondo periodo: ciò per effetto dell'art. 1, ultimo comma, del Decreto Legislativo Luogotenenziale 14 febbraio 1946 n. 27. Di questa disposizione l'ordinanza ha sollevato questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 36, primo comma, Cost. (retribuzione proporzionata alla quantità di lavoro prestato) e 52, secondo comma, (non pregiudizio della posizione di lavoro del cittadino sottoposto a servizio militare).

La questione non é ammissibile per difetto di rilevanza.

Dal testo dell'ordinanza si evince che la chiusura del primo rapporto era, senza contestazione, avvenuta al momento della chiamata alle armi del dipendente: ciò per effetto di risoluzione del rapporto, dettata dalla legge del tempo (legge 13 novembre 1924 n. 1825 e art. 2111 Cod. Civ.). Ed é la stessa ordinanza ad usare il termine di rapporto di lavoro "interrotto" (non già soltanto sospeso). Sul rapporto, da considerarsi in tal modo esaurito, non possono avere incidenza e forza retroattiva né la disposizione successiva del Decreto numero 303 del 1946 che ha concesso ampio spazio alla tutela di conservazione del posto di lavoro ed al computo dell'indennità di anzianità, né la solenne dichiarazione dell'art. 52 della Costituzione.

L'ordinanza accenna ad una "naturale continuazione del primo rapporto": ma ciò é soltanto empirica valutazione del problema.

Nemmeno l'impugnato Decreto legislativo n. 27 del 1946 acquista rilevanza per la decisione spettante al giudice di merito. Gli eventuali vizi della norma, quali essi siano, non si riverberano sulla prospettata situazione reale, emergente dagli atti, anche in funzione di un espresso riconoscimento di retroattività, che la legge de qua non prevede.

9. - Con la stessa ordinanza, il pretore di Aosta prospetta altra questione, così formulata. Siccome l'art. 2 del surrichiamato Decreto Legislativo n. 303 del 1946 limitava la possibilità di conservazione del posto ai lavoratori, chiamati alle armi per servizio di leva, ai soli lavoratori delle classi 1924 e successive e ai lavoratori di classi precedenti, rinviati per qualsiasi motivo alla chiamata di dette classi, ne deriverebbe, per questa limitazione di categoria beneficiata, un contrasto con l'art. 3 e con il predetto art. 52 della Costituzione.

La questione non é fondata.

La disposizione impugnata, nello stabilire la predetta limitazione, ha tenuto presenti, come attestato dai lavori preparatori, rilevanti elementi di fatto ed ha obbedito ad esigenze di razionale adeguamento della normativa in materia alle condizioni stesse. Invero, limitando espressamente, nel senso suddetto, l'applicabilità delle innovazioni apportate al regime del rapporto di lavoro in relazione alla prestazione del servizio militare, il legislatore ha considerato l'opportunità di dettare una precisa norma transitoria, stabilendo che le innovazioni, incidenti in profondità sulla organizzazione del lavoro, si rendevano applicabili ai rapporti concernenti lavoratori che, per effetto del termine ordinario di durata del servizio militare, in rapporto al momento della chiamata alle armi della classe menzionata, fossero in procinto di essere reimmessi nella vita civile al momento dell'entrata in vigore del provvedimento, o non avessero ancora prestato servizio militare per rinvio di chiamata, escludendone invece coloro che, per appartenere alle classi precedenti e per avere, quindi, già terminato, da più o meno tempo, il servizio militare all'epoca dell'entrata in vigore della nuova disciplina, fossero, invece, già rientrati nell'attività lavorativa.

Questa opportunità si rende evidente, ove si consideri che, in tal modo, si poneva una netta norma obbiettiva, espressamente tendente ad escludere le conseguenze derivanti da una ipotizzabile indiscriminata applicazione delle innovazioni, con la massiccia reintegrazione nel posto di lavoro anche di coloro che ne fossero stati esclusi in passato per effetto della normativa precedente, con immaginabili effetti negativi sulla economia delle imprese e sul mercato del lavoro in generale.

In presenza di tale razionale giustificazione della disciplina censurata, resta ovviamente esclusa la pretesa violazione del principio di uguaglianza e gli stessi motivi valgono per escludere la violazione dell'art. 52 della Costituzione, considerato che la garanzia della posizione di lavoro del cittadino deve necessariamente essere contemperata con il rispetto di interessi incisivi di carattere pubblico e generale, come tali meritevoli di essere tutelati.

10. - Con le ordinanze, indicate in epigrafe, emesse dal tribunale amministrativo regionale del Lazio, si assume che il divieto imposto dall'art. 6 d.l. 8 luglio 1974, n. 261, sostituito con l'art. 1 legge di conversione 14 agosto 1974, n. 355, al personale collocato a riposo con i benefici combattentistici, di assumere impieghi o incarichi presso lo Stato e gli enti pubblici in genere, salvo determinate eccezioni, e la conseguente disposta cessazione obbligatoria degli incarichi stessi comunque attribuiti prima della pubblicazione del citato Decreto-legge n. 261, salvo rinuncia al trattamento preferenziale di quiescenza già ottenuto a norma della legge n. 336 del 1970, comporterebbero una violazione dell'art. 4 della Costituzione (diritto al lavoro) e dell'art. 13 (inviolabilità della libertà personale).

La Corte non può condividere le argomentazioni che il giudice a quo ha posto a fondamento della censura sotto tale profilo e che sostanzialmente si incentrano sulla pretesa violazione degli obblighi che la norma costituzionale invocata porrebbe allo Stato, tanto di astenersi dall'emanare norme comunque limitatrici di tale libertà, quanto di promuovere, anziché limitare, l'attività lavorativa di tutti i cittadini idonei, violazione che nella specie assumerebbe portata maggiormente incisiva collegandosi con la efficacia retroattiva della disposizione denunciata.

Deve osservarsi che il diritto al lavoro garantito dall'art. 4 della Costituzione si traduce non in una pretesa giuridica del singolo soggetto ad ottenere un determinato posto di lavoro, bensì nella generica possibilità di avere accesso, concorrendone i requisiti, ai posti di lavoro disponibili e nell'obbligo, pure genericamente imposto al legislatore, di realizzare un ordinamento che renda effettivo questo diritto, attraverso l'adozione di concrete ed idonee misure per la assicurazione dell'occupazione e la creazione di posti di lavoro. Il diritto al lavoro, così concepito, é anche integrato nel suo aspetto per così dire strumentale, dalla garanzia della libertà di scelta della attività lavorativa e di quelle libertà che a tale scelta si colleghino in funzione di mezzo al fine. Ma, con ciò, non può ovviamente escludersi che al legislatore rimanga la facoltà di regolare l'esercizio della libertà di scelta dell'attività lavorativa mediante l'adozione di opportune cautele che valgano a tutelare altri interessi ed altre esigenze sociali, anche se ciò si traduca nella limitazione per alcune categorie di soggetti della possibilità di accedere a determinati posti di lavoro (Corte cost. sentt. nn. 120 del 1960; 105 del 1963; 11 del 1967; 102 del 1968; 41 del 1971).

Nella specie, come risulta chiaramente dai lavori preparatori, la disciplina censurata risponde ad evidenti esigenze di equità e di moderazione, tendendo ad evitare che il personale a cui, sia pure in relazione a sue benemerenze speciali, era stato attribuito un trattamento di quiescenza di particolare favore, si avvantaggiasse ulteriormente, e sempre a carico della pubblica finanza, utilizzando la propria situazione di preferenza per svolgere altre attività e frustrando così le finalità delle norme di favore per gli ex combattenti, ispirate al presupposto della attribuzione di un trattamento preferenziale in quanto collegato alla cessazione dei beneficiari dal rapporto di impiego pubblico.

A parte l'ostacolo di riferire al caso di specie il precetto di cui all'art. 13 della Costituzione, che garantisce la inviolabilità della libertà personale e ne vieta le restrizioni, mentre nell'attuale controversia la detta garanzia non viene affatto in discussione, trattandosi di ipotesi in cui non sono ovviamente operate restrizioni nel senso suddetto, e anche se potesse, quindi, considerarsi il riferimento alla detta norma sotto il profilo delineato nelle ordinanze di rinvio, intendendo cioé l'invocato principio in rapporto ad una sua particolare estrinsecazione che si sostanzierebbe nella libera scelta e nel libero esercizio di un'attività lavorativa, tutto quanto già esposto circa la legittimità della regolamentazione della invocata libertà di lavoro, varrebbe altresì a proposito della garanzia della libertà personale, intesa secondo la accezione sostenuta dal giudice a quo.

Né d'altra parte le conclusioni così raggiunte possono essere inficiate dalle considerazioni che il giudice a quo e la difesa delle parti private hanno svolto a proposito della retroattività della norma, che, come si é sostenuto, inciderebbe su posizioni costituite in vista di una situazione giuridica, mutata poi in forza della disposizione impugnata.

É, invero, principio acquisito nella giurisprudenza della Corte che l'irretroattività della legge assurge a principio di livello costituzionale solo per quanto riguarda la materia penale (sent. n. 118 del 1957 ed altre) mentre per le restanti materie, l'osservanza del principio é rimessa alla prudente valutazione del legislatore, sempreché la retroattività non comporti la violazione di uno specifico precetto costituzionale. É stato anche affermato dalla stessa giurisprudenza che il principio tradizionale della irretroattività della legge non penale dovrebbe, in linea di massima, essere osservato, essendo la garanzia della certezza dei rapporti giuridici uno dei cardini della tranquillità sociale e del vivere civile. Ma é anche vero che la validità di tale affermazione non può non essere condizionata alla insorgenza di casi che eccezionalmente impongano l'estensione retroattiva.

Ricorre nella specie un caso di riconoscimento di evidente opportunità per la attribuzione di efficacia retroattiva alla legge, che ne pone in evidenza le ragioni giustificatrici.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, ultimo comma, del d.l.l. 14 febbraio 1946, n. 27 (Norme integrative sulla riassunzione e assunzione obbligatoria dei reduci nelle aziende private); questione proposta con l'ordinanza in epigrafe dal pretore di Aosta, in riferimento agli artt. 36, primo comma, e 52, comma secondo, della Costituzione;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità dell'art. 4 della legge 24 maggio 1970, n. 336, contenente "norme a favore dei dipendenti civili dello Stato ed enti pubblici, ex combattenti ed assimilati" anche in relazione a tutte le altre disposizioni di tale legge: questione proposta con l'ordinanza di cui in epigrafe dal giudice del lavoro presso il tribunale di Torino, in riferimento agli artt. 3, 97 e 53 della Costituzione;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità dell'art. 4 della succitata legge 24 maggio 1970, n. 336, sollevate con le ordinanze in epigrafe dei pretori di Aosta, Fiorenzuola d'Arda, Orbetello, Vittorio Veneto e del giudice del lavoro presso il tribunale di Torino con riferimento agli artt. 3, 35 primo comma, e 52 della Costituzione;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma secondo, d.l. C.P.S. 13 settembre 1946, n. 303 (conservazione del posto ai lavoratori chiamati alle armi per servizio di leva), ratificato con legge 5 gennaio 1953, n. 35: questione proposta con l'ordinanza di cui in epigrafe dal pretore di Aosta, in riferimento agli artt. 3 e 52 della Costituzione;

5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 del d.l. 8 luglio 1974, n. 261 (norme a favore dei dipendenti dello Stato ed enti pubblici, ex combattenti e assimilati), sostituito con l'art. 1 della legge 14 agosto 1974, n. 355 (conversione in legge con modificazioni del d.l. n. 261 del 1974): questione sollevata con le ordinanze indicate in epigrafe dal tribunale amministrativo regionale del Lazio, in riferimento agli artt. 4 e 13 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 28 luglio 1976.