Sentenza n. 117 del 1972

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 SENTENZA N. 117

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 413 e 439 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 2 aprile 1970 dal pretore di Volterra nel procedimento penale a carico di Lippi Roberto, iscritta al n. 199 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 177 del 15 luglio 1970.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 maggio 1972 il Giudice relatore Paolo Rossi;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un procedimento penale a carico di Lippi Roberto, imputato del delitto d’emissione d’assegni a vuoto, il difensore chiedeva che il pretore di Volterra, dato atto della connessione esistente con altro procedimento per bancarotta semplice pendente presso il pretore di Livorno, dichiarasse la propria incompetenza, oppure, qualora non si ritenesse vincolato a procedere in tal senso, sollevasse questione d'illegittimità costituzionale dell'art. 50 c.p.p., in riferimento all'articolo 25, primo comma, della Costituzione.

Il giudice a quo, ritenuto che la disposizione indicata dalla difesa fosse operante solo nella fase istruttoria e che in quella dibattimentale trovassero applicazione, in via analogica, gli artt. 413 e 439 c.p.p., osservava che dette norme gli avrebbero consentito di valutare discrezionalmente l'opportunità di rimettere gli atti del procedimento al giudice competente per il reato più grave, senza che avesse luogo un automatico spostamento di competenza, ravvisando quindi un contrasto tra la normativa in esame ed il principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, primo comma, della Costituzione).

Si costituiva in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto d’intervento del 30 giugno 1970, chiedendo dichiararsi l'infondatezza della questione proposta.

La difesa dello Stato premette che la questione sollevata, solo formalmente riferita all'art. 439 c.p.p., concerne nella sostanza l'istituto della connessione dei procedimenti ed il conseguente potere del giudice di valutare se la riunione degli stessi sia opportuna sotto il profilo della speditezza processuale, per il dubbio che siffatta facoltà d’apprezzamento violi il principio costituzionale del giudice naturale.

Rileva quindi l'Avvocatura generale che la Corte costituzionale con la sentenza n. 130 del 1963, nell'escludere il contrasto tra le norme che disciplinano l'istituto della connessione ed il principio del giudice naturale, ha posto in risalto che il potere d’apprezzamento attribuito al giudice perché concili l'esigenza di evitare la cognizione distinta dei procedimenti con il criterio della speditezza processuale, non é un potere svincolato da limiti, perché esso é esercitabile nei soli casi regolati dalla legge, e non dà luogo ad una scelta insindacabile. Insegnamento ribadito dalla stessa Corte in successive decisioni, nelle quali ha riconosciuto la legittimità costituzionale degli spostamenti di competenza conseguenti a provvedimenti regolati da precise disposizioni e non insindacabili (sentenza n. 117 del 1968).

 

Considerato in diritto

 

Il pretore di Volterra, di fronte ad un’istanza per la riunione di due procedimenti a carico dello stesso imputato, uno dei quali pendente davanti altro giudice, si domanda se l'articolo 439 c.p.p. non contrasti col dettato dell'art. 25, primo comma, della Costituzione, nella misura in cui attribuirebbe al giudice del dibattimento il potere di disporre la riunione di processi pendenti innanzi giudici diversi, determinando così lo spostamento della competenza per territorio, in violazione del principio secondo cui nessuno può essere distolto dal suo giudice naturale.

Non si vede come la questione, se limitata al solo art. 439 c.p.p., potrebbe aver rilevanza nel caso, posto che si trattava di due procedimenti davanti a giudici diversi, uno dei quali processi (bancarotta semplice) era in fase istruttoria e l'altro (emissione continuata d’assegni a vuoto) era in fase dibattimentale, talché l'istanza di riunione sarebbe stata improponibile, secondo la comune giurisprudenza.

Ma poiché l'ordinanza fa riferimento sostanziale agli articoli 413 c.p.p., 45 e seguenti stesso codice, investendo l'intero problema della competenza per connessione, é necessario scendere all'esame del merito.

La connessione é un criterio razionale per determinare la competenza, nei casi espressamente indicati dalla legge. Di vero il simultaneus processus, sempre nelle ipotesi previste dal codice di procedura penale, giova alla speditezza dei giudizi, al miglior accertamento dei fatti, alla coerenza delle decisioni, all'interesse delle parti e in modo particolare a quello dell'imputato.

Con diverse sentenze (n. 130 dell'anno 1963, n. 1 dell'anno 1965, n. 15 dell'anno 1970, n. 139 dell'anno 1971) questa Corte ha rilevato che la nozione di giudice naturale non si cristallizza nella determinazione legislativa di una competenza generale, ma si forma anche di tutte quelle disposizioni le quali derogano a tale competenza sulla base di criteri che razionalmente valutano i disparati interessi posti in giuoco dal processo.

Il principio della precostituzione del giudice, sancito nel primo comma dell'art. 25 Cost., é rispettato allorché l'organo giudicante sia istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e non già in vista di singole controversie, né risulta violato nei casi nei quali la legge preveda la possibilità di spostamenti di competenza da un giudice a uno diverso, purché anch'esso precostituito, allorché tali spostamenti siano necessari per assicurare il rispetto d'altri principi, come quello costituzionale dell'indipendenza ed imparzialità, o quello dell'ordine e coerenza nella decisione di cause fra loro connesse.

Il giudice che viene a conoscere, in forza delle norme sulla connessione, di un processo che senza di essa dovrebbe venir deciso da altro magistrato, é pure esso giudice naturale e precostituito.

Arbitrio e violazione del principio del giudice naturale ci sarebbero se il giudice potesse disporre la riunione dei giudizi fuori dei casi indicati negli artt. 45 e 413 c.p.p.; se egli non avesse obbligo di motivare; se le parti non potessero discutere, presentando istanze e conclusioni.

Un margine di relativa discrezionalità nell'accertare la sussistenza delle condizioni volute dalla legge é inseparabilmente connesso all'esercizio del potere-dovere d'interpretazione proprio del giudice, ma si tratta di una discrezionalità regolata, razionalmente indispensabile e del tutto legittima.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 413 e 439 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 25, primo comma, della Costituzione, dal pretore di Volterra, con ordinanza del 2 aprile 1970.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Paolo ROSSI

Depositata in cancelleria il 27 giugno 1972.