Sentenza n. 147 del 1967
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SENTENZA N. 147

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 1, lett. b. del D.L.C.P.S. 1 aprile 1947, n. 273, concernente la proroga dei contratti agrari, modificato dalla legge 13 giugno 1961, n. 527, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 4 marzo 1966 dalla Corte d'appello di Venezia nel procedimento civile, vertente tra Demo Augusto e Prevedello Antenore, iscritta al n. 92 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 143 dell'11 giugno 1966 ;

2) ordinanza emessa l'11 luglio 1966 dalla Corte d'appello di Catania nel procedimento civile vertente tra Barone Francesco ed eredi di Barone Giuseppe, iscritta al n. 220 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 324 del 24 dicembre 1966.

Visti gli atti di costituzione di Demo Augusto, Prevedello Antenore, Barone Francesco e Barone Mario e di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 16 novembre 1967 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

uditi l'avv. Angelo Stella, per Barone Francesco, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un giudizio promosso innanzi alla sezione specializzata agraria del Tribunale di Padova da Prevedello Antenore, proprietario di un fondo concesso in affitto a Demo Augusto, per ottenere il rilascio del fondo stesso allo scopo di poter procedere, in applicazione all'art. 1, lett. b. del D.L.C.P.S. n. 273 del 1947, modificato con legge n. 527 del 1961, ad una radicale trasformazione del medesimo, il convenuto sollevava questione di incostituzionalità delle norme richiamate per violazione degli artt. 3, 24 e 102 della costituzione, ma essa venne dichiarata manifestamente infondata. Instauratosi il giudizio di secondo grado avanti alla Corte di appello di Venezia, questa ebbe a ritenere fondato il dubbio della violazione degli artt. 24, 101 e 102 della costituzione pel contrasto della legge denunciata con il principio del libero convincimento del giudice, sicché, con ordinanza del 4 marzo 1966, disponeva la sospensione della causa e l'invio degli atti alla Corte costituzionale.

L'ordinanza, debitamente notificata e comunicata é stata pubblicata nel n. 143 della Gazzetta Ufficiale dell'11 giugno 1966.

Avanti a questa Corte si é costituito Demo Augusto, con l'assistenza degli avvocati Bernardo Bianchini e Vitaliano Lorenzoni e, con deduzioni depositate il 3 maggio 1966, ha fatto osservare che i requisiti essenziali posti dalla legge per l'accoglimento della domanda del concedente riguardano tanto la radicalità della trasformazione del fondo concesso, la immediata loro eseguibilità, la incompatibilità con la continuazione dell'affitto, quanto l'attuabilità del piano e la sua corrispondenza con l'interesse generale della produzione agraria e delle esigenze dell'occupazione.

Poiché tutti i requisiti predetti si pongono quali condizioni dell'azione e non già meri presupposti processuali ed il bene in contestazione ha carattere di diritto subiettivo, non si rende possibile che sulla sussistenza di qualcuno di essi si proceda senza il contraddittorio, e da parte di un organo amministrativo il cui giudizio, secondo ritenuto dalla costante giurisprudenza della Cassazione, rimane sottratto al riesame dell'autorità giurisdizionale investita della questione della risolubilità del rapporto di conduzione.

La tutela giurisdizionale di un diritto non può subordinarsi ad un apprezzamento discrezionale della Pubblica amministrazione agente in veste autoritativa, né può ammettersi l'affievolimento del diritto soggettivo in interesse legittimo, dato che la valutazione della sussistenza degli interessi generali della protezione agraria e dell'occupazione costituiscono elementi costitutivi dell'iter da percorrere per giungere alla decisione, e deve perciò rimanere riservato alle parti l'uso degli strumenti di prova a sostegno delle proprie ragioni, ed all'esclusiva competenza del giudice la pronuncia sugli elementi medesimi, sia pure col sussidio di accertamenti tecnici, sempre da lui controllabili e non mai assolutamente vincolanti.

Osserva come l'esigenza di procedere a valutazioni di interesse generale si presenta nell'applicazione di numerose disposizioni che si riferiscono ad esso, o a requisiti analoghi, come per esempio quello dell'ordine pubblico, senza che si sia mai ritenuto l'incompetenza del giudice ad effettuarle..

Invoca a sostegno delle ragioni dedotte le sentenze di questa Corte n. 70 del 1961 e 40 del 1964 e conclude chiedendo che sia dichiarata l'incostituzionalità della norma denunciata.

Si é pure costituito Antenore Prevedello, con l'assistenza degli avvocati Cesare Crescente e Francesco Franchi, e, con deduzioni depositate il 7 maggio 1966, ripropone le argomentazioni dedotte nel corso dei giudizi di merito, chiedendo il rigetto dell'eccezione.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri rappresentato e difeso dall'avvocato generale dello Stato, che nell'atto di intervento, depositato il 1 luglio 1966, ha fatto rilevare come la Corte si sia pronunciata su norme analoghe a quella in esame con le sentenze n. 70 del 1961, di accoglimento dell'eccezione, e con la n. 94 del 1962 di rigetto, e che la fattispecie regolata dalle norme ora denunciate é da assimilare a quella cui si riferiva la seconda delle pronunce predette. Infatti allora veniva in considerazione la tutela dell'interesse artistico e storico la cui sussistenza, al fine di far cessare il diritto alla proroga del conduttore di immobile urbano, era fatta dipendere dalla necessità ed urgenza di restauri, quale doveva essere valutata dalla Soprintendenza alle belle arti, la cui funzione, come la Corte ebbe a ritenere, non può considerarsi esplicata al servizio del processo, bensì esclusivamente a tutela di un pubblico interesse.

L'identità di questa fattispecie con quella in oggetto non é alterata pel fatto che solo nella prima e non già nella seconda sono consentiti alla Pubblica amministrazione interventi diretti a tutela dello stesso interesse che si fa valere nel corso del processo giurisdizionale, identica rimanendo nei due casi la natura della partecipazione a questo da parte dell'amministrazione. L'indole discrezionale dell'atto da questa emanato determina nel proprietario concedente, alla pari che nell'altra parte del rapporto, una situazione soggettiva di interesse legittimo, come tale tutelabile con l'esperimento sia di ricorso gerarchico al Ministro dell'agricoltura e sia di azione davanti agli organi di giustizia amministrativa, senza pregiudizio dell'esercizio del potere di disapplicazione da parte del giudice del diritto, nei limiti in cui esso sia consentito. Dopo aver fatto osservare che questo sistema di tutela risulta più efficace dell'altro affidato alla comune consulenza tecnica, l'Avvocatura conclude chiedendo il rigetto della eccezione.

Con successiva memoria in data 24 ottobre 1967 la stessa Avvocatura, nel ribadire le deduzioni dell'atto di intervento, rileva come, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, é riservato al giudice decidere circa non solo la radicalità della trasformazione e dell'incompatibilità della sua esecuzione con la permanenza del rapporto di affitto, ma anche la possibilità di immediata attuazione del piano, senza che alla decisione su quest'ultimo punto osti la determinazione del termine per l'esecuzione stessa da parte dell'Ispettorato. Il giudice infatti può riconoscere che il termine così fissato sia incongruo e ritenere quindi la mancanza del requisito dell'immediata attuabilità. Aggiunge che egualmente inesatta é l'argomentazione desunta da una presunta mancanza di contraddittorio nella fase amministrativa, dato che il ricorso gerarchico consente all'uno e all'altro degli interessati di far valere le proprie ragioni.

Aggiunge che il ricorso alla comune consulenza tecnica si palesa inadeguato allorché questa riguardi punti (come quello dell'interesse generale della produzione e dell'occupazione di mano d'opera) per i quali occorrono elementi di giudizio ben difficilmente disponibili da periti privati. Insiste nelle conclusioni già prese.

2. - Con altra ordinanza emessa dalla Corte di appello di Catania, nel procedimento civile vertente fra Barone Francesco eredi di Barone Giuseppe, avente ad oggetto l'azione di rilascio del fondo di proprietà di quest'ultimo concesso al primo per la coltivazione, in applicazione dell'art. 1 del decreto legislativo n. 273 del 1947, su menzionato, veniva ritenuta non manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalità di questa norma, dedotta dal conduttore. A sostegno osserva il Collegio che il vincolo discendente a carico del giudice dagli apprezzamenti demandati all'Ispettorato compartimentale dell'agricoltura contrasta con l'art. 24 della costituzione. Infatti se é vero che il giudice può rilevare contraddizioni o palesi incongruenze incorse negli apprezzamenti stessi e richiedere informazioni o chiarimenti, non gli é invece consentito nominare un altro consulente, o comunque ricavare da altre fonti il proprio convincimento. Inoltre il mezzadro leso dal giudizio dell'Ispettorato non é da questi udito, sicché, se convenuto in giudizio, non può difendersi su un punto da cui dipende l'estinzione del suo diritto.

L'ordinanza debitamente comunicata e notificata é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 24 dicembre 1966 n. 342.

Si é costituito davanti alla Corte Barone Francesco, assistito e difeso dall'avv. Angelo Stella, con deduzioni depositate il 14 ottobre 1966, con cui si riporta alle difese del giudizio di merito. Con successiva memoria del 3 novembre 1967 fa osservare che il caso in oggetto non presenta alcuna analogia con quello deciso dalla sentenza n. 94 del 1962, poiché quest'ultimo riguardava una situazione di assoggettamento del privato al rispetto di pubblici interessi, tutelabili direttamente dalla Pubblica amministrazione e perciò depotenziati fin dall'origine a interessi legittimi, mentre nella specie il concedente ha un vero e proprio diritto soggettivo ad eseguire piani di trasformazione dei fondi di sua proprietà rivolto a soddisfare un proprio interesse, mentre manca al riguardo ogni potere di iniziativa della Pubblica amministrazione. Si tratta di un mero rapporto di diritto privato fra lui ed il concessionario, di fronte al quale esclusivamente egli assume una responsabilità nel caso di mancata esecuzione del piano. Non vi é luogo quindi ad alcun affievolimento del diritto che possa giustificare l'affidamento all'esclusivo giudizio dell'autorità amministrativa della sussistenza di alcune delle condizioni poste dalla legge alla decisione sul rilascio del fondo locato, escludendo quello del giudice chiamato a decidere la causa. Conclude chiedendo che venga dichiarata l'incostituzionalità della norma denunciata.

Si é costituito anche Barone Mario, quale procuratore della vedova e dei figli del concedente Barone Giuseppe, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Torrisi e Francesco Ielo, con deduzioni depositate il 29 novembre 1966 nelle quali fa rilevare che la norma denunciata non compromette in alcun modo la tutela giurisdizionale dei diritti poiché la dichiarazione di utilità e attuabilità del piano, concretante un apprezzamento tecnico-amministrativo, é solo un presupposto per l'esperimento dell'azione, mentre spetta al magistrato non solo il sindacato della legittimità formale dell'atto e l'accertamento dell'incompatibilità fra esecuzione del piano e continuazione del contratto agrario, dal quale solo deriva la pronuncia relativa alla rottura del rapporto. Dopo aver osservato che l'assunzione di un provvedimento amministrativo a presupposto o condizione di un'azione giudiziaria trova altri esempi nel nostro diritto (come in materia di terre incolte, di acque ecc.) conclude chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Con successiva memoria in data 30 ottobre 1967 la difesa del Barone fa anzitutto rilevare la differenza della questione in esame rispetto a quella decisa con la sentenza n. 70 del 1961, dato che in quest'ultima l'esito del giudizio dipendeva esclusivamente dal parere espresso dal Genio civile, mentre nella prima l'intervento della Pubblica amministrazione riguarda solo uno degli elementi, e non quello principale, della controversia. Si richiama poi alla decisione del Consiglio di Stato n. 246 del 1966, che, avendo ritenuto proponibile avanti ad esso il ricorso avverso la decisione del Ministro dell'agricoltura in ordine all'attuabilità ed utilità della trasformazione, ha dichiarato infondata la denunciata violazione dell'art. 24 della costituzione.

Aggiunge che l'atto amministrativo in parola non sfugge neanche al sindacato dell'autorità giudiziaria ordinaria, in applicazione del principio di cui all'art. 5 allegato E, secondo quanto ritiene anche la Cassazione. Dopo avere messo in rilievo che il principio del contraddittorio non condiziona in via generale la validità dei procedimenti amministrativi, conclude osservando che, in ogni caso, la questione sottoposta alla Corte non é proponibile come questione di costituzionalità della legge n. 527, costituendo invece questione di interpretazione della medesima in relazione ai limiti posti al sindacato degli atti amministrativi.

Insiste nelle conclusioni già prese.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due cause riguardano la stessa questione di legittimità costituzionale, sollevata nei confronti dell'art. 1, lett. b. del D. L. C. P. S. 1 aprile 1947, n. 273, modificato dalla legge 13 giugno 1961, n. 527, contenente proroga dei contratti agrari, anche se una fa riferimento alla violazione del solo art. 24 della costituzione mentre l'altra denuncia anche quella degli artt. 101 e 102. Perciò esse sono state trattate congiuntamente e vengono ora riunite per essere decise con unica sentenza.

2. - La questione deve ritenersi infondata sotto l'aspetto delle allegate violazioni, sia del diritto all'azione ed alla difesa in giudizio, sia del principio del libero convincimento del giudice. A comprovare l'esattezza di tale affermazione occorre anzitutto tenere presente la funzione assegnata al decreto n. 273, che é quella di limitare il diritto dei proprietari terrieri alla libera disponibilità dei fondi concessi in compartecipazione o in affitto, affinché risulti tutelato l'interesse generale alla protezione della parte del rapporto contrattuale economicamente e socialmente più debole. Protezione che si esplica, sia con l'imposizione della proroga legale dei contratti agrari in corso, sia con il condizionare i casi di deroga alla proroga stessa ad eventi tassativamente determinati, riguardanti o l'esigenza dello stesso concedente di coltivare direttamente il fondo, ovvero (come nel caso che qui viene in considerazione) l'interesse del privato proprietario a ricavare maggiori profitti dalla coltivazione del fondo, ma solo in quanto esso appaia connesso con l'interesse generale.

É appunto siffatta connessione fra queste due specie di interessi che spiega come la disposizione denunciata, oltre a conferire al giudice poteri particolarmente penetranti in ordine alla valutazione della correlazione rilevabile fra la natura, l'entità, i tempi delle trasformazioni agrarie volute effettuare dal proprietario e la incompatibilità rispetto ad esse della presenza nel fondo dell'affittuario o del colono, allo scopo di evitare che senza una effettiva necessità venga sacrificata la pretesa di costoro al mantenimento in vita del rapporto, richieda d'altra parte all'Ispettorato agrario compartimentale una preventiva dichiarazione, vincolante il giudice, circa l'attuabilità e l'utilità delle medesime in confronto con le esigenze dell'incremento della produzione agraria, nonché con quelle dell'occupazione della mano d'opera.

É la diversità degli interessi voluti soddisfare che dà ragione del duplice procedimento richiesto affinché si possa consentire la deroga alla proroga legale: il primo, di carattere amministrativo, implicante apprezzamenti d'indole discrezionale, anche se in parte di discrezionalità tecnica, effettuabili per opera delle autorità (Ispettorati compartimentali e Ministro dell'agricoltura) che appaiono le sole, o le più idonee, a valutare la corrispondenza del progetto di trasformazione con le complessive esigenze dell'economia e della solidarietà sociale (da apprezzare anche in relazione alle direttive fissate dai programmi economico-sociali ed alla loro idoneità al conseguimento delle finalità cui questi hanno riguardo). Il secondo procedimento, esperibile avanti agli organi giurisdizionali, solo dopo che l'autorità amministrativa si sia pronunciata in senso favorevole all'istanza del proprietario, non presenta nessuna limitazione all'esercizio delle comuni facoltà consentite alle parti, né dei poteri del giudice per giungere alla determinazione della volontà della legge nel caso concreto, con riferimento alla sussistenza dei requisiti di radicalità, di incompatibilità, di immediatezza, richiesti dall'art. 1 lettera b. Non é esatto quanto é stato dedotto dalla difesa di uno dei concedenti, che cioè la fissazione da parte dell'Ispettorato del termine per l'ultimazione delle opere di trasformazione vincoli l'apprezzamento del giudice circa la immediatezza delle trasformazioni proposte, poiché, mentre questo riguarda l'inizio delle medesime, l'altra attiene alla loro durata massima e persegue lo scopo della tutela dell'interesse generale cui esse sono collegate.

Nessuna obiezione in ordine alla costituzionalità dell'intervento dell'autorità amministrativa, in modo condizionante per l'esercizio dell'azione giudiziaria, potrebbe dedursi né dalla circostanza che l'interesse cui esso si rivolge é fatto valere solo in seguito all'iniziativa del privato, né dal fatto che l'inosservanza degli obblighi assunti dal proprietario dia luogo non già a sanzioni amministrative, ma solo a doveri nei confronti della parte privata, che può, ai sensi dell'art. 4, richiedere la restituzione del fondo ed il risarcimento del danno a lui proveniente dall'avvenuto diniego della proroga legale. Infatti la tutela del pubblico interesse non si effettua sempre e necessariamente con le stesse forme, né assume sempre la stessa intensità, potendo invece venire diversamente ordinata secondo il grado di rilevanza delle necessità sociali e la diversità del contemperamento che si rende necessario attuare fra queste ultime e l'autonomia consentita ai privati.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, ed una volta ritenuto ammissibile il parziale affievolimento in interesse legittimo del diritto del proprietario alla trasformazione delle culture del proprio fondo, deve ritenersi che nessuna violazione dello art. 24 della costituzione sia riscontrabile. Infatti nella fase amministrativa, dotata di una sua autonomia rispetto al processo giurisdizionale, se non é assicurato il contraddittorio (che non trova garanzia costituzionale, riguardando l'art. 24 solo il procedimento giudiziario) non subisce alcun limite la tutela della situazione giuridica soggettiva del concedente, nel caso di dichiarazione a lui sfavorevole dell'Ispettorato agrario o del Ministero dell'agricoltura, rimanendo essa sempre effettuabile con la piena applicazione dei principi vigenti in materia.

Deve altresì escludersi che ricorra una violazione degli artt. 101 e 102, poiché, come si é già rilevato, nessun limite é posto alla indipendenza del giudice ed alla formazione del suo libero convincimento, dato che questo é effettuabile sulla base di tutti gli accertamenti probatori consentiti dalle comuni norme, in ordine alla sussistenza dei requisiti necessari per la pronuncia sulla richiesta di decadenza del diritto alla proroga, mentre limite contrastante con le norme richiamate non può considerarsi quello che discende dall'atto amministrativo che precede il giudizio contenzioso e che, se legittimo, vincola il giudice alla sua applicazione, secondo le norme generali regolanti tale specie di atti.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i due giudizi promossi con le ordinanze indicate in epigrafe,

dichiara infondate le questioni di legittimità costituzionale, proposte con le ordinanze stesse, dell'art. 1, lett. b, del D.L.C.P.S. 1 aprile 1947, n. 273, e dell'articolo unico della legge 13 giugno 1961, n. 527, contenenti norme sulla proroga dei contratti agrari, in riferimento agli artt. 24, 101 e 102 della costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.

 

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI

 

 

Depositata in cancelleria il 15 dicembre 1967.