Sentenza n. 6 del 1963
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SENTENZA N. 6

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 28, primo comma, 55, primo comma, 65, 76, 82, 83 e segg. del T.U. 16 maggio 1960, n. 570, e 43 della legge 23 marzo 1956, n. 136, promosso con deliberazione emessa il 12 aprile 1962 dal Consiglio comunale di Baiso su ricorso di Grasselli Daniele e Marmiroli Pietro, iscritta al n. 85 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 del 9 giugno 1962.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri:

udita nell'udienza pubblica del 23 gennaio 1963 la relazione del Giudice Giuseppe Branca:

udito il sostituito avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso d'un procedimento relativo all'ineleggibilità di alcuni consiglieri promosso dai signori Grasselli e Marmiroli, il Consiglio comunale di Baiso ha emesso, per la seconda volta, una deliberazione di rinvio alla Corte costituzionale.

Con questa deliberazione, emanata il 12 aprile 1962, si denunciano da un lato gli artt. 82, 83 e segg. del T.U. 16 maggio 1960, n. 570, e 43 della legge 23 marzo 1956, n. 136, già denunciati in una precedente deliberazione di rinvio, dall'altro gli artt. 28, comma primo, 55, comma primo, 65 e 76 del citato T.U. 16 maggio 1960, n. 570.

Il primo gruppo di disposizioni (artt. 82 e segg. del T.U. 1960, n. 570, e 43 della legge 1956, n. 136) contrasterebbe con gli artt. 101, 102, 103, 108 e disp. VI della Costituzione: le norme impugnate avrebbero introdotto una nuova giurisdizione speciale contro il divieto degli artt. 102, 103 e senza nessuna di quelle garanzie che devono essere stabilite con legge dalle norme relative all'ordinamento giudiziario.

Le altre disposizioni (artt. 28, primo comma, 55, primo comma, 65 e 76 del T.U. citato) contrasterebbero con l'art. 48, secondo comma, della Costituzione, per cui il voto é eguale, oltreché personale, libero e segreto: infatti, il numero dei candidati di ogni lista non può eccedere i quattro quinti del numero dei seggi da assegnare nel Comune; ciò comporterebbe la conseguenza che talora, nel caso di ineleggibilità di uno o di alcuni di tali candidati, non ci siano nella lista altri candidati che possano prendere il posto di costoro: con il che si traviserebbe la volontà dell'elettore col pericolo che la lista minoritaria abbia più seggi di quelli che consegue la lista di maggioranza: perciò ne soffrirebbe il principio d'eguaglianza del voto.

2. - Il Presidente del Consiglio, intervenuto con atto dell'Avvocatura generale dello Stato depositato il 14 maggio 1962, osserva innanzi tutto che la questione relativa agli artt. 82 e segg. del T.U. del 1960, n. 570, e 43 della legge del 1956, n. 136, é stata già decisa nel senso dell'infondatezza.

Quanto all'altro gruppo d'articoli, secondo l'Avvocatura dello Stato la questione é infondata: le norme impugnate sono dirette ad assicurare una partecipazione delle minoranze all'amministrazione dei Comuni; una lista non può conseguire più di quattro quinti dei seggi e perciò é limitato a quattro quinti dei seggi il numero dei suoi candidati, con il che non é a parlare di violazione dell'art. 48 della Costituzione.

L'inconveniente indicato dalla deliberazione di rinvio sarebbe una conseguenza del sistema elettorale adottato dalla legge: scrutinio non di lista, ma misto con tendenza alla uninominalità; dato ciò, niente di strano che all'eletto d'una lista si sostituisca il candidato d'un'altra lista, né si può dire, una volta adottato quel sistema, che vi sia alterazione dei risultati elettorali.

Nella memoria depositata l'8 gennaio 1963 l'Avvocatura dello Stato ricorda come, anche ad avviso della Corte costituzionale (sentenza n. 43 del 1961), il principio dell'eguaglianza del voto operi solo al momento in cui é dato il suffragio e si concretizza attribuendo a ciascun elettore, né più né meno, la possibilità di contribuire, nella stessa misura di ogni altro elettore, alla formazione degli organi elettivi. Il principio d'eguaglianza, infatti, non si estende al risultato concreto della manifestazione di volontà dell'elettore; se vi si estendesse, sarebbero incostituzionali tutti i sistemi elettorali vigenti, anche il sistema proporzionale puro poiché in esso i voti dati a una lista che non raggiunge neanche un quoziente non realizzano alcun effetto e perciò sarebbero disuguali rispetto agli altri.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione di legittimità costituzionale degli artt. 82 e segg. del T.U. 16 maggio 1960, n. 570, e 43 della legge 23 marzo 1956, n. 136, é stata già decisa più volte, da ultimo con la sentenza n. 92 del 1962 e con l'ordinanza n. 44 del 1962 della Corte costituzionale ; sentenza e ordinanza che ne hanno riconosciuto l'infondatezza.

Poiché non si adducono, né sussistono nuovi motivi di illegittimità costituzionale, tale questione é manifestamente infondata.

2. - Nella seconda parte della deliberazione di rinvio si denunciano, in riferimento all'art. 48, comma secondo, della Costituzione, gli artt. 28, comma primo, 55, comma primo, 65 e 76 del citato T.U. 16 maggio 1960, n. 570. La questione é, anch'essa, infondata.

Le disposizioni impugnate disciplinano le elezioni amministrative dei Comuni con popolazione non superiore ai 10.000 abitanti. In tale Comuni il sistema vigente é quello che lo stesso T.U. n. 570 chiama maggioritario e contrappone allo scrutinio di lista con rappresentanza proporzionale, vigente nei Comuni con più di 10.000 abitanti (artt. 1 e 2 del T.U.). Il sistema maggioritario, com'é noto, tende ad assicurare un'amministrazione stabile al Comune, facilitando la possibilità che uno dei gruppi di candidati consegua la maggioranza dei seggi; ma, se non contenesse un qualche correttivo, potrebbe portare la lista vincente al conseguimento di tutti i seggi del Consiglio comunale.

Per evitare questa conseguenza le norme impugnate innanzi tutto esigono che il numero dei candidati di ogni lista non superi i quattro quinti del numero dei seggi da assegnare, di modo che almeno un quinto di questi seggi potranno andare ai candidati delle altre liste (art. 28); in secondo luogo stabiliscono che ogni elettore possa votare candidati di liste diverse (art. 55). Dato che a tutti i candidati e a tutti gli elettori la legge riconosce gli stessi diritti con le stesse limitazioni, ogni contrasto con l'art. 48, comma secondo, della Costituzione, che garantisce l'eguaglianza del voto, é da escludere.

L'art. 65 del T.U. s'inquadra perfettamente nel sistema poiché attribuisce i seggi ai candidati che hanno conseguito il maggior numero di voti, indipendentemente dalla lista di cui fanno parte: se l'elettore può votare candidati di liste diverse, evidentemente il suo suffragio é diretto non già a tutti i componenti d'una lista, ma ai singoli candidati come tali; di modo che l'assegnazione del seggio, fatta in relazione ai voti riportati da ciascuno di costoro indipendentemente dalla lista a cui appartiene, é corollario del particolare meccanismo elettorale.

Di questo sistema é un'altra componente la norma contenuta nell'ultima delle disposizioni impugnate (art. 76 del T.U.), secondo cui il posto di chi, essendo stato eletto, risulti poi ineleggibile é preso dal candidato che abbia avuto dopo di lui il maggior numero di voti; anche in tal caso, poiché il voto spetta al singolo candidato, non alla lista, e siccome contrasterebbe col pubblico interesse rinnovare le elezioni ogni volta che affiorino motivi di ineleggibilità d'un eletto, il criterio adottato dalla legge é dei più ragionevoli: con ciò non é che i suffragi dati a chi risulta poi ineleggibile abbiano minor valore di quelli dati agli altri, si che l'eguaglianza del voto ne sarebbe compromessa; ma più semplicemente si tratta di voti che, pur essendo eguali agli altri in ossequio all'art. 48, comma secondo, della Costituzione, risultano privi d'efficacia perché e in quanto sono andati a chi non poteva riceverli: e il principio costituzionale dell'eguaglianza del voto non può spingere i suoi effetti sino al punto di rendere efficienti i suffragi dati a persone ineleggibili o da rendere necessario in tali casi il rinnovo della consultazione elettorale.

3. - Quando a ciò si ponga mente, risulterà chiara l'inesattezza delle affermazioni contenute nella deliberazione di rinvio: é vero che, essendo limitato il numero dei componenti d'ogni lista, può accadere che, dichiarati ineleggibili alcuni di costoro un'altra lista, di minoranza, consegua il maggior numero di seggi; ma non si può dire che il sistema sia tale da falsare i risultati elettorali travisando la volontà degli elettori.

Infatti, quella possibilità sussisterebbe anche se il numero dei canditati d'ogni lista non incontrasse il limite che é posto dal citato art. 28; inoltre il gruppo maggioritario non può lamentarsi d'un effetto che deriva normalmente dalla sua imprevidenza mentre avrebbe potuto evitare l'inclusione, nella propria lista, di candidati ineleggibili; ma soprattutto é da escludere che la disciplina legislativa consenta, così come si afferma, un vero e proprio travisamento dei risultati elettorali: si é già detto che il suffragio é dato ai candidati, non alla lista, di modo che, venendo meno la sua efficacia nei confronti di uno o di alcuni di costoro, il loro posto é preso da altri candidati; perciò, in questa sede, non sarebbe esatto valutare le risultanze elettorali in termini di lista, là dove il sistema elettorale, invece, fa perno sulle singole candidature.

Un'esatta valutazione del meccanismo elettorale conduce a rilevare una sola deviazione, rispetto agli effettivi risultati delle elezioni, cioè quella ricordata più sopra, per cui un candidato non eletto prende il posto d'un altro che ha conseguito un maggior numero di voti; ma si tratta d'un inconveniente che, come s'é accennato, non é motivo di illegittimità costituzionale poiché, fra l'altro, é un correttivo suggerito dalla necessità di salvare proprio i risultati elettorali.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara: a) manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 82, 83 e segg. del T.U. 16 maggio 1960, n. 570, e 43 della legge 23 marzo 1956, n. 136, relativi all'elezione degli organi delle amministrazioni comunali e provinciali, proposta con la deliberazione n. 19 del 12 aprile 1962 del Consiglio comunale di Baiso, in riferimento agli artt. 101, 102, 103, 108 e disp. trans. VI della Costituzione;

b) non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 28, primo comma, 55, primo comma, 65 e 76 del T.U. citato, proposta con la citata deliberazione, in riferimento all'art. 48, secondo comma, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 1963.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ.

 

 

Depositata in cancelleria il 12 febbraio 1963.